11 - VERBA VOLANT
Christian's PoV
Il bagno era invaso dal vapore della doccia e dall'aroma del bagnoschiuma e dello shampoo, ma anche dal tetro umore di Christian, che si attaccava a tutto quello che toccava, ingrigendo l'atmosfera. Anche il cielo sembrava rispecchiare perfettamente i suoi pensieri: era bianco, fosco e immobile, una lastra uniforme e triste. Passò una mano sulla superficie appannata dello specchio, lasciando una striscia che rifletteva la sua immagine.
I capelli biondicci e ancora bagnati gli incorniciavano il viso, e gli occhi sembravano del colore del miele ghiacciato, forse a causa della luce al neon che si diffondeva dal mobile del bagno. Le labbra morbide erano scure, probabilmente perché le aveva torturate mordendole per l'ansia. Si allontanò di scatto dallo specchio, si avvolse nell'accappatoio e andò in camera a vestirsi.
Prese un paio di pantaloni neri dall'armadio e una felpa grigio scuro. Inspirò l'odore che emanava, e il profumo di Arya gli invase le narici e tutti i sensi. L'ultima volta quella felpa l'aveva indossata lei, due giorni prima, quando gliela aveva prestata perché era infreddolita. Lui si era sempre finto infastidito, ma adorava vedere i suoi vestiti addosso a lei, e Arya adorava sentire il suo profumo ogni volta che la stoffa si muoveva o cambiava vento, glielo aveva confessato tempo fa.
Cercò di non pensare al fatto che stava per fare una cosa di cui probabilmente si sarebbe pentito nel momento esatto in cui l'avrebbe fatto, eppure la sua mente tornava da sola al pensiero di quella giornata, a cosa gli avrebbe detto una volta che lei sarebbe arrivata lì e riformulava inconsciamente mille versioni diverse del discorso che le avrebbe fatto, cercando di immaginarsi cosa gli avrebbe risposto lei.
– Ehi. – La salutò Christian, con il peggior dopo-sbornia di questo mondo, mentre le andava incontro per abbracciarla. Le sue braccia grandi la circondarono e ebbe il tempo di inspirare ancora il suo profumo maledettamente buono. Durò giusto qualche secondo, il tempo di un abbraccio veloce per salutarsi, ma Christian si chiese se ora per lui fosse cambiato qualcosa. È forse diverso il loro abbraccio?
Non seppe dare risposta a questi pensieri, ma sperò con tutto se stesso che i baci dell'altra sera si sarebbero ripetuti.
– Hai un aspetto orribile. – scherzò Arya, accennando un sorriso.
Era vero, aveva un aspetto orribile; non aveva chiuso occhio tutto il giorno e si sentì subito peggio.
– Beh, parla per te, tesoro! – rispose con un sorriso. Le diede una pacca affettuosa sulla spalla e si richiuse la porta alle spalle, cercando di arginare in qualche modo il caldo soffocante.
– a proposito, ho lasciato qui le chiavi e la borsa ieri...posso riprenderle? – gli chiese lei, indicando le sue cose appoggiate per terra in un angolo della parete.
– Oh, si. Certo.– prese tutto e glielo porse. Le chiavi sono nella borsa e anche i vestiti che avevi. Ho messo tutto lì dentro. Ora andiamo su in camera, c'è il condizionatore acceso.
Arya lo seguì fino in camera sua, e lì lo assalirono i ricordi della sera precedente, quando finalmente esprimeva tutto quello che provava per lei, senza però comprendere in pieno le sue emozioni, non sapendo perché gli tremano ancora le mani al solo pensiero di toccarla di nuovo e il non sapere cosa diavolo gli prende ancora peggio, se possibile.
- Perché sei scappata di notte? - chiese con un groppo in gola.
- Mi dispiace molto per come sono andate le cose ieri sera. Non mi sono comportata bene, ho bevuto troppo e ho perso il controllo... non avrei mai pensato di fare quello che ho fatto – Arya lo guardò negli occhi e Christian le prese le mani, ricambiando il suo sguardo, e scorse in lei una strana espressione, come se fosse realmente dispiaciuta. Possibile che si stesse riferendo al bacio? E in questo caso allora perché dispiacersi?
– No, non dire così, quello che è successo ieri sera è stato bellissimo e desideravo farlo da tanto. – Le disse, prendendole le mani minute. Si rilassò per un momento, sperando finalmente di riuscire a farle capire che per lui non era stato un male ciò che era successo, così le sorrise con naturalezza e affetto, scorgendo però nel suo sguardo tanta tristezza.
– non ti seguo, Chri... perché ti infervori tanto per una sbornia? Era da tanto che volevi farlo? Ma che dici? Valeva anche per te il mio rimprovero. – gli disse con uno sguardo che non si sarebbe mai aspettato.
Il sorriso sulle sue labbra si spense all'istante, mentre una tetra consapevolezza si faceva strada in lui.
Arya non ricordava niente del loro bacio.
– io parlavo di quello che è successo in camera mia, dopo che siamo saliti... – ora anche la sua voce sembrava meno sicura, meno decisa e speranzosa.
– Sì, appunto di questo parlavo. Ci siamo ubriacati e poi ci siamo addormentati come due pere cotte. Abbiamo lasciato a terra una confusione terribile e siamo entrati in camera tua che puzzavamo d'alcool. non è stato un comportamento rispettoso e responsabile. – Scosse la testa in segno di disapprovazione.
– era questo quello che volevi dirmi? – chiese Christian, deluso e amareggiato.
Come poteva non ricordare?
Neanche con tutto l'alcool del mondo si sarebbe dimenticato di quello che c'era stato tra loro due. Strinse le labbra, continuando a evitare il suo sguardo.
– Anche. Volevo soprattutto vedere come stavi e aiutarti a mettere in ordine il macello di ieri. – Arya posò delicatamente la mano sul suo braccio, ma istintivamente lui sia scostò dal suo tocco.
– Non c'è bisogno che ti disturbi, spetta a me a rimettere in piedi quello che hai distrutto. – le parole di Christian erano dure e quello che aveva detto era arrivato dritto al punto: non la voleva lì, non la voleva al suo fianco. E se non avesse più recuperato il rapporto con lei? Se fosse finita qui con tutto il loro passato alle spalle? Sarebbe andato tutto sprecato?
– Ehi, non fare così, ti do una mano dai. – gli disse, sempre meno convinta. Christian fece un passo in avanti verso di lei, sentendo montare la rabbia.
Scandì le parole con estrema accuratezza. – fuori di qui – detto questo, le apri la porta della camera, come per invitarla ad uscire da casa sua.
Doveva riflettere e pensare a cosa fare da ora in poi. Anche se per lei non è successo niente, lui non sarebbe potuto tornare indietro. Si voltò, e sentì i passi veloci di Arya sulle scale che portavano al salotto, ed infine la porta sbattè, lasciandolo solo con i suoi pensieri.
***
Arya's PoV
Arya corse al piano di sotto, senza mai voltarsi. Ciò che ho appena fatto è orribile. Pensò, sbattendosi la porta alle spalle. Il caldo la soffocò di colpo, e lei si diresse verso il parco con un macigno enorme sul petto, tutti i suoi sensi di colpa.
Stava andando verso il parco, in un posto dove sperava di poter fuggire da quella situazione. Non sarebbe di certo tornata a casa, si sarebbe prima sfogata un po'. Mentre iniziava a scorgere le panchine e i tavoli del parco comunale, ebbe una strana sensazione. Si girò sentendosi osservata, ma era tutto immobile intorno a lei. Tutto sembrava calmo e piatto, in netto contrasto con i suoi pensieri confusi che le annebbiavano la mente.
Si sedette su una panchina vicino al boschetto, lontana il più possibile dalle case. Voleva stare da sola, voleva essere lasciata in pace.
Infilò le cuffie e accese la musica al massimo. Di solito il volume della musica non le permette di dare ascolto ai suoi stessi pensieri, ma non bastò. Le immagini di poco fa la travolsero, e rivide Christian; la speranza nei suoi occhi, e poi la delusione, il dolore. Era lei la causa di tutto questo.
N
elle sue orecchie risuonavano note tristi che rispecchivano il suo stato d'animo e, mentre ascoltava quelle parole, sentì una lacrima solcarle la guancia. Se la asciugò in fretta, pensando che non era giusto piangere; non era lei quella che aveva diritto di stare male. Avrebbe dovuto accettare in silenzio le conseguenze delle sue azioni.
Mentre si ricomponeva sentì un rumore alle sue spalle. Si tolse le cuffie per prestare più attenzione e posò il telefono nella borsa vicino a lei. Si voltò subito in quella direzione, acuizzando i sensi. Purtroppo gli alberi le bloccavano la maggio parte della visuale, così si alzò per vedere meglio l'origine del rumore, dirigendosi verso il bosco.
Giusto un paio di passi dopo, avvertì il suono di un ramo rotto proprio alle sue spalle.
Ma che diavolo succede? Pensò, girandosi di nuovo nella direzione della panchina. A quel punto, due mani forti la afferrarono da dietro le spalle, chiudendole la bocca cosicché non potesse chiedere aiuto. Cercò di divincolarsi ma le braccia che la stringevano aumentarono la presa, mozzandole il respiro. Il suo cuore batteva all'impazzata, mentre il dolore alle costole aumentava.
L'uomo non disse una parola, cominciando ad inoltrarsi nel bosco con Arya tra le braccia.
Il dolore alle costole ora era insopportabile e la mano che le serrava la bocca le impediva di respirare bene. Provò a dare calci e a graffiare il suo assalitore, ma nessuno dei suoi colpi ebbe successo, mentre l'uomo continuava ad avanzare nel bosco senza emettere neanche un suono. Ma cosa voleva da lei?
Arya provò a gridare ma l'effetto fu opposto. La mano dell'uomo si strinse stavolta sulla sua gola.
– sta zitta o sarò costretto ad ucciderti. – disse con una voce roca e profonda.
Arya aveva la bocca libera ora, e cerco di parlare nonostante la mano dell'uomo le stringesse la gola con potenza.
– che... che cosa vuoi da me? – chiese con il poco fiato che aveva. Cercando di girarsi e vedere l'uomo sul volto.
La sua pelle era più chiara del normale, quasi grigiastra, e il volto era ricoperto da cicatrici ormai vecchie, che gli solcavano il volto rendendolo ancora più spaventoso. Ma erano gli occhi la cosa che maggiormente catturò l'attenzione di Arya. Erano completamente neri. Senza pupille o iridi. Neri come la notte, ma lucidi. Sembravano quelli di un animale o di un personaggio di un film di fantascienza.
Un brivido le solcò la schiena e ammutolì, spaventata a morte. Arya emise un grido che risuonò per tutto il bosco, prima che la mano del mostro le raggiungesse di nuovo la bocca.
– Non gridare o ti ammazzo. Anche se sarebbe un peccato, il Padrone vuole tanto vederti... – le comunicò il mostro con il suo tono piatto e ruvido, aprendosi in una smorfia disgustosa che doveva somigliare ad un sorriso.
Il padrone? Arya cominciò di nuovo a muoversi cercando di uscire dalla presa del suo assalitore. Almeno aveva la speranza che non l'avrebbe uccisa, aveva buone possibilità di farcela. Per ora.
Cercò di liberare almeno un braccio dalla stretta solida dell'uomo, ma era come se fosse fatto di pietra. nemmeno un tentennamento.
La disperazione la avvolse e non poté fare a meno che abbandonarsi al pianto.
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