Capitolo 64
Qionqgi osservò il cristallo di Quantum, il terzo che adornava l’androne dell’abitazione e si voltò verso l’uomo che era con lui, chinando la testa con un movimento fluido mentre un mezzo sorriso gli piegava le labbra: «Sono veramente costernato per i fallimenti dei miei compagni, mio signore» mormorò, alzando una mano e carezzando il Quantum solidificato che imprigionava Taowu: «Io non ho parole…»
«Non voglio parole, voglio fatti» Kwon osservò il suo sottoposto, carezzando la testa di metallo del serpente che gli adornava il collo: «Ormai sono stanco dei vostri fallimenti, stanco di non vedere fare nemmeno un passo verso i Miraculous. Vi ho donato il potere ma per cosa? Per vedermi deriso dai miei nemici?»
«No, mio signore.»
«Sei l’ultimo, Qionqgi, e so che hai lavorato per esserlo, per avere ogni oncia di tempo a tua disposizione» Kwon si avvicinò, allungando una mano e afferrando il generale per il collo: «Fa che le tue manovre non siano state vane: portami i Miraculous o subirai la stessa fine degli altri.»
Qionqgi boccheggiò, aprendo e chiudendo la bocca, cercando di afferrare quanta più aria potesse mentre la presa del suo signore si faceva sempre più stretta e forte: l’avrebbe ucciso lì, senza aspettare il suo fallimento o il suo successo.
No, Kwon sembrava intenzionato a sfogare la propria rabbia e a porre fine alla sua vita.
Cercò di respirare, di riempire i propri polmoni d’aria, ma diventava sempre più faticoso e il corpo iniziava a sentire la mancanza di afflusso di nuovo ossigeno mentre la vista si appannava leggermente e la testa iniziava a girare; socchiuse gli occhi, alzando una mano e sfiorando con i polpastrelli quella che si stava stringendo attorno alla sua gola, sentendo le dita di Kwon fare meno pressione e lasciarlo andare: si accasciò a terra, inspirando profondamente e portandosi le dita alla gola, sentendola dolorante per la forza con cui era stata stretta.
«Non deludermi, Qionqgi» furono le parole, quasi sputate dall’uomo, prima che questi se ne andasse e lo lasciasse completamente solo; inspirò profondamente, cercando di recuperare l’aria che gli era mancata e calmare così il proprio corpo, recuperando un po’ della compostezza che lo contraddistingueva.
Non doveva fallire.
Non doveva fare la fine degli altri.
Inspirò a fondo, socchiudendo gli occhi e lasciando andare l’aria, mentre due piccole mani si poggiarono sulla sua schiena, facendolo trasalire appena: «Mio povero signore» mormorò una voce femminile e Qionqgi sorrise, issandosi un po’ su e lasciando andare un nuovo respiro: «Ci penserò io a fermare il vostro nemico.»
«Fallo e sarai ricompensata.»
«Avrò un corpo vero?»
«Ti darò il corpo che più desideri.»
Alex storse la bocca, mentre si lasciava andare contro lo schienale della poltrona e tenendo lo sguardo sul monitor, quasi come se fissandolo intensamente potesse trovare la soluzione a tutti i suoi dilemmi: «Problemi?» la voce del maestro Fu lo riscosse e lo fece voltare verso l’entrata della camera e notare l’anziano con un vassoio in mano; Fu gli sorrise, avanzando nella stanza ed evitando ogni ostacolo presente sul pavimento, dimostrandosi veramente agile nonostante gli anni che aveva.
«Di solito, le persone normali, lasciano qualche traccia…» bofonchiò Alex, poggiando il gomito al bracciolo della poltrona e il viso contro il pugno chiuso, osservando le finestre del monitor con un broncio: «mentre Kun Wong…» si fermò, stringendo le labbra e facendole poi schioccare: «Niente. Nulla. Nada. Nothing. Rien de rien.»
Alex sospirò, seguendo con lo sguardo i movimenti di Fu e osservandolo mentre poggiava il vassoio sull’unico punto libero della scrivania e armeggiava poi con le tazze, passandogliene una che il ragazzo accettò con il sorriso sulle labbra: «Magari essendo millenario» buttò lì Fu, portandosi alla bocca la propria tazza e sorseggiando il the: «Ha nascosto le sue tracce.»
Alex l’osservò, scuotendo il capo e sorseggiando la bevanda calda, storcendo le labbra al gusto amarognolo: «Sarebbe plausibile, ma a un certo punto sarebbe dovuto comparire: sembra abbia un qualcosa in Cina, finanziava Maus, pare che abbia le mani in pasta ovunque…» si fermò, portandosi nuovamente la tazza alle labbra e allungandosi, digitando velocemente qualcosa sulla tastiera e osservandola scritta ‘not found’ che era comparsa sullo schermo: «Ci dovrebbe essere qualcosa: i soldi che dava a Maus da qualche parte venivano, no? La festa a cui siamo invitati? Non c’è un catering a suo nome. Nulla di nulla.»
«Forse sta usando un altro nome?»
«Che sia fan di Bridgette?»
Fu sorrise, allungando una mano e posandola sulla spalla di Alex: «Sei venuto fuori da situazioni ben più difficili di questa…»
«Stavolta invece non ci riuscirò» mormorò il ragazzo, allungandosi e poggiando la tazza sul vassoio: «Sinceramente mi chiedo a cosa possa servire il mio aiuto…»
«A tanto» dichiarò Fu, battendo la mano sulla spalla del ragazzo e inspirando: «Sai, inizio a pensare che sarebbe stato utile ai Gran Guardiani venire affiancati da qualcuno come te, Alex: un valido aiuto nella missione e…»
«Uno scudiero, in pratica.»
«Cosa?»
Alex alzò le mani, ridendo e scuotendo il capo: «Lila ha prestato a Xiang dei libri, dove ci sono dei guerrieri immortali e alcuni di questi hanno dei tipi che li aiutano e si chiamano scudieri» si fermò, ghignando: «Io avevo iniziato a leggerne uno perché volevo le scene di sesso, ma invece ho beccato il punto della spiegazione e poi Xiang mi ha trovato con il libro in mano e…beh, tanti saluti alle scene di sesso.»
«Puoi sentire Lila se te lo presta…»
«E’ una possibilità, ma conoscendola me lo farebbe sudare quel libro.»
Fu annuì, portandosi una mano al mento e massaggiandosi la barbetta, sorridendo appena: «Scudieri di Nêdong. Mi piace.»
«Ed io sono il primo dell’ordine, vero?»
«Ovviamente, tu sei Alex. Primo scudiero di Nêdong.»
Il ragazzo sorrise, alzando una mano e portandola sopra quella dell’anziano, voltandosi poi verso il pc e notando l’icona di un programma lampeggiare: si issò, recuperando le cuffie che aveva abbandonato vicino alla tastiera e le infilò, sistemandosi gli occhiali e iniziando a lavorare velocemente al pc, annuendo con la testa: «Guai in arrivo.»
«Un altro attacco?»
«Già.»
Hawkmoth atterrò nei pressi della grande fontana che dominava Place d’Italie, sorridendo imbarazzato alla donna che era trasalita per il suo atterraggio improvviso: «Sei sicuro che sia qui?» domandò, portandosi una mano all’orecchio e ascoltando la voce metallica di Alex.
Il giovane eroe ascoltò, annuendo e osservando verso l’alto, notando le figure dei suoi compagni saltare sui tetti che circondavano il grande spiazzo composto dalla piazza e dalle strade che la circondavano: era stato in quel luogo qualche vuota, accompagnando sua madre al grande centro commerciale di Italie 2: «Alla buon’ora» esclamò, osservando i quattro e aggrottando lo sguardo, notando la mancanza di due componenti del gruppo: «Ladybug e Chat Noir?» chiese, facendo passare lo sguardo sui compagni.
«Ladybug non ha risposto e Chat è andato a recuperarla» spiegò brevemente Peacock, posando le mani sui fianchi e guardandosi attorno, scuotendo il capo: «Mogui, sei certo che il posto è questo? Perché è tranquillo. Veramente tranquillo.»
Hawkmoth annuì, osservandosi anche lui attorno e notando, solo in quel momento, un dettaglio che stonava con tutto il resto, che non si accordava alla quotidianità e normalità di quel posto: «Manon?» mormorò, facendo un passo avanti e notando il corpo dell’amica, disteso in mezzo alla strada.
Perché lei era lì?
Cosa era successo?
Perché era riversa per terra?
Sbatté le palpebre, scuotendo la testa e inspirando profondamente, mentre faceva un passo verso di lei: Manon era in pericolo e lui era…
Era…
Era lì.
Poteva aiutarla, poteva salvarla.
Poteva fare qualcosa.
Fece un altro passo, sentendo le gambe tremare e quasi temette che non reggessero il suo peso: doveva vedere come stava.
Doveva salvarla.
Portarla via di lì. Al sicuro.
Un altro passo, eppure aveva la sensazione di non avvicinarsi, di rimanere fermo sul posto.
Iniziò a correre, ma non riusciva a raggiungerla lo stesso: sempre lontana, sempre fuori dalla sua portata.
Sentiva il cuore battere furioso nel petto, il corpo tremare ed essere sul punto di cadere, di cedere, ancor prima di essere riuscito nel suo intento: era colpa sua, era tutta colpa sua.
Non aveva dovuto trascinarla in quel mondo, non aveva dovuto permettere che lei scoprisse ed entrasse in quella realtà fatta di pericoli per chi non era in possesso di un Miraculous, per chi non aveva i mezzi per difendersi.
Se Manon si era fatta male, se adesso lei era in pericolo, era solo ed esclusivamente colpa sua.
Qionqgi sorrise, osservando la grande struttura che dominava Place d’Italie e carezzò la fredda porcellana del volto della sua creatura: quando il suo signore gli aveva dato quell’essere, Qionqgi aveva pensato a uno scherzo, a una presa in giro nei suoi confronti.
Perché dargli una bambola?
Perché offenderlo in quel modo?
Ma a quanto pareva si era sbagliato e la piccola creatura di Quantum non solo aveva preso possesso delle persone che erano, per caso, in quel luogo quel giorno, rendendole tante piccole marionette al suo servizio.
No, la piccola era riuscita a imprigionare anche cinque dei sette portatori.
Un risultato che nessuno degli altri era riuscito a raggiungere.
Il sorriso si accentuò, quando vide i restanti Portatori giungere lì.
Presto. Presto lì avrebbe avuti tutti in mano sua.
Volpina osservò con stizza la coppia che si era materializzata avanti a lei, roteando il flauto con un gesto secco e inspirando: «Direi che questo è un affronto personale» bofonchiò, avvicinandosi ai suoi genitori e colpendoli con la propria arma, osservandoli svanire come fumo: «illusioni. Illusioni a me» sbuffò in maniera poco femminile, mentre il mondo attorno a lei si distorceva e si sfaldava, rivelando effettivamente ove si trovasse sia lei che il resto della squadra: alte pareti grigie li imprigionavano e i suoi compagni sembravano ognuno persi nel proprio mondo, di certo vittime anche loro del potere illusorio del loro nemico.
Volpina si avvicinò a Tortoise, osservando lo sguardo scuro che, dietro la maschera, fissava qualcosa con il terrore: «Risvegliati, cucciolo» mormorò, posandogli le mani sulle guance e allungandosi, sfiorandogli le labbra con le proprie.
Attese, trattenendo il fiato e lasciandolo andare quando lo vide sbattere le palpebre, guardandosi confuso attorno e, infine, posare lo sguardo su di lei: «Che cosa…» mormorò, scuotendo il capo e portandosi una mano alla testa, abbassandosi il cappuccio: «C’erano i miei genitori» bisbigliò, strizzando le palpebre e inspirando profondamente: «Li ho visti. Erano qui davanti a me…»
«Un’illusione» mormorò Volpina, carezzandogli il volto e sorridendogli piena di dolcezza, prima di raggiungere Peacock e schioccargli le dita davanti al viso: l’osservò mentre si riprendeva, scuotendo la testa e imitando il comportamento di Tortoise di poco prima, lo sguardo grigio che si posava confuso su di lei; gli sorrise, raggiungendo Bee e liberando anche lei dall’illusione.
Si voltò verso Hawkmoth, poco distante da loro, il corpo fermo nell’atto di scattare e si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla e scuotendo leggermente, aspettando che anche lui si riprendesse e uscisse dalla sua illusione: «Hawkmoth» mormorò, prendendolo per la spalla e scrollando con più forza rispetto a prima, sentendosi poi il cuore leggero quando lo vide sbattere gli occhi e guardarsi intorno, alla ricerca di qualcosa.
«Manon?»
«Era un’illusione.»
«Lei era…»
«Lo so, Hawkmoth. Ma era un’illusione. Fidati.»
«Hanno giocato con le nostre menti» mormorò Peacock, scrollando il capo e prendendosi il setto nasale fra l’indice e il pollice, inspirando ed espirando profondamente: «Che facciamo? Noi siamo bloccati qui e…» alzando poi la testa verso il cielo, osservando le mura che si elevavano alte attorno a loro.
«Proviamo a distruggere le mura?» commentò Bee, alzando un braccio e stringendo gli occhi, prendendo così la mira, voltandosi adirata quando una mano di Tortoise si posò sulla sua, costringendola ad abbassare l’arto: «Che cosa?»
«Faresti più danno, Bee» commentò l’eroe, avvicinandosi al muro e posando la mano sopra di esso: «C’è una barriera e sono certo che rifletterebbe i nostri attacchi.»
«Siamo nelle mani di LB e del micetto, allora.»
«Sì, Volpina.»
Chat Noir osservò l’enorme struttura di mattoni grigi, che dominava la piazza e roteò il bastone, passandosi la lingua sulle labbra e spostando l’attenzione sul capannello di persone che, l’espressione vacua e il corpo senza nessuna vitalità, erano avanti la costruzione quasi fossero un piccolo esercito: «Che facciamo?» domandò, mettendosi in posizione di difesa e scoccando un’occhiata veloce a Ladybug: «Dobbiamo arrivare alla tipa che comanda tutto.»
«Lo so» borbottò l’eroina, osservando la figura femminile che, dietro le fila nemica, rideva divertita della loro impotenza: i boccoli biondi, la pelle del viso di porcellana e lo sguardo vitreo, tutto in quella creatura ricordava una bambola o una marionetta: «Dobbiamo arrivare a lei, ma senza ferire nessuno.»
«Qualche altra richiesta, my lady? Che so…» Chat si fermò, inspirano profondamente e scuotendo la testa: «Magari mi metto a fare la messa in piega a qualcuno.»
«Siamo acidi oggi, micetto?»
«Non mi piace che i miei amici siano là dentro» la voce di Chat Noir era decisa mentre dichiarava ciò, lo sguardo verde rivolto verso il piccolo esercito che la creatura di Quantum aveva ammassato lì non appena si era accorta della loro presenza: «My lady?»
Ladybug socchiuse gli occhi, inspirando profondamente e lasciando poi andare l’aria: «Occupati di loro» ordinò, prendendo lo yo-yo che teneva legato in vita e stringendolo nel palmo: «Io evocherò il Lucky Charm e vedrò cosa possiamo fare con quello.»
«Sembra di essere tornati ai vecchi tempi» dichiarò Chat con un sorrisetto in volto, roteando nuovamente il bastone e puntandolo contro il terreno, usandolo come leva e saltando più vicino al nemico, iniziando a colpire chiunque capitasse abbastanza vicino da essere vittima dei suoi colpi.
Ladybug l’osservò per una manciata di minuti e invocando poi il potere speciale del suo Miraculous, osservando la forza creazionista riunirsi sopra di lei e lasciare cadere l’oggetto a cui aveva dato vita: «Delle forbici?» si domandò la ragazza, rigirandosi l’utensile fra le mani e poi iniziando a considerare l’ambiente circostante.
Come poteva utilizzarle?
Quale scopo avevano?
A cosa…
Si fermò, seguendo con lo sguardo quelli che sembravano fili e che, dagli avversari di Chat Noir, si stendevano fino alle mani della creatura di Quantum: una fanciulla dall’aspetto regale, con il vestito rosa pieno di trine e i boccoli biondi che incorniciavano un viso di porcellana e finemente decorato.
Ladybug l’osservò, guardandola mentre muoveva le mani e annuì, mentre qualcos’altro attirò la sua attenzione: «Chat» esclamò, attirando l’attenzione del compagno e vedendolo mentre la guardava confuso: «Mi serve che tu mi faccia da apripista.»
«My lady, ti sembra il momento?» le domandò il giovane, scuotendo la testa e balzando all’indietro, atterrando davanti a lei: «Allora, che piano hai inventato?»
«Devo tagliare dei fili.»
«Che fili?»
«Tu inizia a menare quelli che ci vengono contro, ai fili ci penso io» dichiarò la coccinella, facendogli l’occhiolino e vedendolo annuire, assestando due colpi precisi con il bastone allo sventurato che si era parato avanti a loro; Ladybug tagliò il filo, seguendo poi Chat Noir e liberando, una a una, le vittime dal giogo della creatura di Quantum, giungendo di fronte a quest’ultima che, sobbalzando, li guardò portandosi una al petto e aprendo la bocca in una o perfetta.
Chat Noir si voltò verso di lei, riponendo la propria arma e attivando il potere speciale, posando poi la mano impregnata di distruzione sulla pancia del nemico e osservandolo diventare polvere sotto ai propri occhi; la grande struttura grigia seguì lo stesso destino e si sbriciolò velocemente, liberando gli eroi al proprio interno.
Xiang osservò il video della giornalista, mentre informava i telespettatori del nuovo successo degli eroi di Parigi e si morse il labbro inferiore, mentre le chiacchiere vuote della professoressa le giungevano alle orecchie: avrebbe dovuto essere con loro, avrebbe dovuto seguirli e combattere anche lei.
Avrebbe…
«Ladybug sta mantenendo la sua promessa» dichiarò la sua compagna di banco, attirando l’attenzione di Xiang e sorridendo allo sguardo serio e pieno di interesse che questa le aveva rivolto: «Scusa, mi ero dimenticata che sei qui a Parigi da poco.»
«Che promessa?»
«Hai sentito parlare di Papillon?»
«Sì» Xiang annuì con la testa, un gesto che voleva enfatizzare il suo assenso e si trattenne dal piegare le labbra in un sorriso divertito: «Che cosa centra?»
«Quando Papillon attaccò la prima volta e quando Ladybug e Chat Noir comparvero a Parigi…» la compagna si fermò, dando una breve occhiata alla professoressa: «Beh, Ladybug promise di proteggere sempre tutti. Ed è quello che ancora sta facendo.»
Manon trasalì, voltandosi verso la finestra della propria camera da letto e notando Hawkmoth balzare all’interno: «Ehi» mormorò, chiudendo il libro di storia e voltando la sedia girevole verso l’amico, notando solo in quel momento lo sguardo pieno di disperazione che questi aveva.
In verità, molto in Hawkmoth la stava preoccupando: poteva notare la linea delle spalle irrigidita, i pugni stretti e il respiro leggermente frettoloso; non si era ritrasformato subito e sembrava dover recuperare la calma: «Thomas, che succede?» domandò, balzando in piedi e avvicinandosi all’amico, sfiorandogli la mano guantata di viola e vedendolo trasalire al suo tocco: «Thom…» il richiamo di Manon le si bloccò in gola, ritrovatasi circondata dall’abbraccio del ragazzo e sentendosi stringere con forza: «Che cosa è successo?» mormorò, alzando la mano e carezzando la schiena dell’amico, sentendolo tremare sotto le sue dita mentre il respiro veloce le alitava sul collo.
«Ho creduto di perderti.»
«Cosa?»
«Mi ha fatto vedere cose…»
«Thomas, non sto capendo.»
«Ed eri lì. Eri…» Thomas si fermò, poggiando la fronte contro la spalla di lei e stringendola maggiormente a sé: «Eri…eri…»
«Sono qui.»
«Non voglio perderti.»
«Non vado da nessuna parte.»
«Non voglio…»
Manon lo strinse a sé, socchiudendo gli occhi e non capendo cosa era successo, cosa aveva spaventato così tanto Thomas: non sapeva cosa fare, cosa dire, poteva semplicemente lasciare che lui l’abbracciasse e ricambiare quella stretta disperata.
Rafael si poggiò al bancone, sorridendo alla vista del piccolo gruppetto che era da poco giunto: «Come mai qua?» domandò, notando lo sguardo di puro astio che gli rivolse Adrien, annuendo poi con la testa: «Giusto, serata drama.»
«Già, serata drama» borbottò l’amico, sedendosi e incrociando le braccia, scuotendo la testa bionda: «Proprio la sera in cui avevo progettato…»
«Adrien, minimo tu progetti sempre qualcosa per la serata.»
«Sono una persona a cui piace trovarsi pronto.»
«Che vi porto, ragazzi?»
«La tua testa.»
«Senti, gattaccio, io dovevo lavorare e non è colpa mia se tua moglie ha accettato l’invito della mia fidanzata…»
«Quello che devo capire…» s’intromise Felix, poggiandosi al bancone e fissando i due litiganti: «perché sua moglie ha accettato l’invito della tua fidanzata per una serata fra donne a vedere quella roba asiatica, a casa mia» concluse l’uomo, sistemandosi la giacca e calcando la voce sulle ultime parole: «Sono stato letteralmente buttato fuori.»
«Benvenuto nel mio mondo, Felix» borbottò Rafael, tirandosi su e incrociando le braccia: «Quando facevano simili riunioni da me, ero io quello che veniva sempre cacciato.»
«Veramente tu non sei mai stato cacciato» puntualizzò Adrien, poggiando la guancia contro il pugno chiuso: «Se non erro, l’ultima volta che hanno fatto qualcosa del genere, Sarah viveva ancora da sola.»
«Dettagli» borbottò Rafael, chinandosi sul bancone e sostenendo parte del suo peso con gli avambracci: «Cosa vi offro, ragazzi?»
«Whisky. Rum. Cognac» Felix scrollò le spalle, indicando con un cenno del capo Alex: «Qualsiasi cosa abbia una gradazione abbastanza forte per sopportare questo qua.»
«Io penso che noi due abbiamo iniziato con il piede sbagliato…» decretò Alex, indicando alternativamente se stesso e l’uomo: «Potremmo essere grandi amici.»
«Non sarò mai amico di uno yankee.»
«Tradotto: non sarà mai amico di qualcuno che si vuole infilare fra le gambe di Xiang» bofonchiò Rafael, scuotendo il capo e voltandosi verso le mensole cariche di liquori: «Wei? Adrien? Alex?»
«Sono con la moto, vorrei evitare di rischiare la patente.»
«Quindi qualsiasi cosa di analcolico andrà bene. Giusto, gattaccio?»
«Esatto, pennuto.»
Rafael annuì, recuperando una bottiglia e versando il liquore ambrato in un bicchiere dalla forma quadrata, posandolo poi davanti a Felix e indicandolo con un cenno del capo: «Whisky.»
«Ehi, ragazzino. Mi ci devo bagnare le labbra o cosa?»
«Doppio?»
«Fallo anche triplo.»
Rafael sbuffò, versando altro liquore e posando poi la bottiglia sul piano di lavoro: «Il boss è decisa ad andare alla festa, allora?» domandò, recuperando lo shaker e iniziando a versare all’interno alcuni ingredienti: «Ne parlavo con Sarah, prima di uscire e sarebbe un’ottima occasione per indagare un po’ sul tipo, soprattutto visto che qualcuno non sta trovando niente…»
«Ehi, non è colpa mia se quello ha ripulito tutto» borbottò Alex, sistemandosi gli occhiali e inspirando profondamente: «Comunque secondo me è un buon piano: andiamo, mangiamo e beviamo a sue spese, nel mentre indaghiamo e scopriamo qualcosa sul suo conto.»
«Marinette vuole andare, quindi anche io andrò con lei» la voce di Adrien era piena di decisione, mentre osservava i movimenti di Rafael, impegnato a miscelare i vari componenti dell’intruglio che stava preparando: «Non la lascerò da sola con quel tipo.»
«Beh, sola…» Wei strinse le labbra, scuotendo la testa: «Le altre sono decise ad accompagnarla.»
«E quindi anche noi…» dichiarò Rafael, chiudendo lo shaker e iniziando ad agitarlo: «Un tempo avevamo dignità.»
«Possibilità di decidere» continuò per lui Adrien, poggiandosi al bancone e ghignando, scuotendo il capo biondo.
«In pratica, un tempo avevate le palle» concluse per loro Felix, buttando giù il liquore e facendo dondolare il bicchiere, tenuto con l’indice e il pollice: «Beh, vi comprendo. Anche le mie sono andate perse: Bridgette mi ha castrato.»
«Povero il mio sergente preferito.»
«Ehi, yankee. Tieni le distanze. Possibilmente due o tre oceani fra noi due.»
«Non vi sentite in colpa ad aver scacciato di casa Felix?» domandò Marinette, finendo di legarsi i capelli scuri in due codine e osservando le altri occupanti del salotto, mentre si sistemavano nel salotto che era stato trasformato in un perfetto accampamento, adatto a vedere film e scambiarsi chiacchiere come se fossero a un pigiama party: «L’abbiamo praticamente sbattuto fuori casa. E la casa è sua.»
«Per niente» dichiarò Lila, afferrando un cuscino e stringendolo al seno, voltandosi poi verso Sarah che stava armeggiando con la televisione del salotto di casa Blanchet: «Allora, cosa ci vediamo?»
«Dunque…» Sarah storse la bocca, inclinando la testa e, preso il telecomando, iniziò a scorrere la lista di titoli: «Ho messo Fantastic – ma è abbastanza noioso in molte parti – Weightlifting Fairy Kim Bok Joo, Trot Lovers…»
«Trot Lovers non è quello dove il protagonista ha quei completi improponibili?» domandò Lila, accomodandosi meglio sul divano e osservando Sarah annuire con la testa: «Che altro c’è?»
«The legend of the blue sea, Shopping King Louie, Goblin. Che altro ho messo?» la ragazza si fermò, voltandosi e ghignando divertita: «Moon lovers…» ridendo poi divertita all’esclamazione corale che si era levata dal gruppo: «Ok, a quanto pare Moon Lovers no. Madame Antoine? Descendants of the sun?»
«Uno dove non si piange, ti prego.»
«Lila, i drama sono fatti per piangere.»
«Quello dove si piange meno, allora.»
Sarah annuì, osservando la lista di drama e annuendo poi: «Madame Antoine, direi» dichiarò, premendo i pulsanti del telecomando e facendo partire il primo episodio, mentre sgambettava e si sistemò sul divano, vicino a Lila e recuperò uno dei tanti cuscini, mettendoselo sotto la testa e alternando la visione sullo schermo a quella dell’amica che messaggiava: «Wei sta dando di matto?» domandò, sorridendo quando vide Lila scuotere il capo: «Forse non dovevamo fare questa serata…»
«Possono vivere anche senza di noi un giorno» dichiarò l’italiana, posando il cellulare sul bracciolo del divano e osservando il resto del gruppo: «Certo, stiamo parlando di due gatti, un pavone e una tartaruga dipendenti. Ah, e non dimentichiamoci il nerd di fiducia.»
«E il farfallino dove lo metti?» domandò Bridgette, ridendo divertita e sistemandosi meglio lo scialle sulle spalle, inspirando poi profondamente e voltandosi verso la televisione, osservando le immagini che andavano e facendo la conoscenza del protagonista maschile: «Siete veramente certi di andare?» domandò di punto in bianco, continuando a guardare lo schermo della televisione e, dopo una buona manciata di secondi, decidersi a voltarsi e osservare le quattro ragazze: «All’evento di Kun Wong» precisò, abbracciandosi le gambe con le braccia e poggiando il mento sulle ginocchia: «Posso dire, per esperienza personale, che non è un ottimo piano entrare nel covo del nemico.»
«Non abbiamo altra scelta» fu la risposta decisa di Marinette, mentre annuiva con la testa e fissava la donna: «Abbiamo troppo in ballo per tirarci indietro…»
«Mia madre, l’assistente di Gabriel…» iniziò Lila, guardando Sarah e vedendola annuire: «Il padre di Rafael, Nathaniel…»
«Maxime» mormorò Bridgette, socchiudendo le palpebre e annuendo con la testa: «Per non parlare dell’intera Parigi o dell’intero mondo.»
«Ecco, io direi di guardare al piccolo» dichiarò Marinette, suscitando l’ilarità nelle amiche e sorridendo a sua volta: «Pensiamo a salvare chi ci è caro e, così facendo, salveremo anche la città di Parigi.»
«La città che abbiamo promesso di proteggere» decretò Xiang, annuendo con la testa e sorridendo: «La promessa che Ladybug fece quando si innalzò contro Papillon – e sì, mi hanno parlato di quella promessa che hai fatto – l’abbiamo ereditata anche noi.»
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Che cosa strana: questa settimana ce l'ho fatta a fare i soliti due aggiornamenti canonici. Bene, bene. Ci siamo, siamo in dirittura d'arrivo...ancora tre capitoli e Miraculous Heroes 3 si concluderà, mettendo fine anche al cuore del Quantum Universe. Ma non vi libererete di me: ci sono ancora in corso Scene, Le ombre di Nanchino e non conto i tanti progetti riguardanti questo what if...!Universe che è stato creato, partendo dalla prima stagione.
Detto questo, oggi vi parlo di Place d'Italie, luogo protagonista di una parte del capitolo: è una piazza del XIII arrondisment ed è il punto di partenza della strada che collega Parigi con l'Italia, oggi strada nazionale n. 7. Ma non solo: è anche il punto di passaggio obbligato della circolazione sutomobilistica e delle linee del métro e dei bus. È un punto di transito tra la banlieue e il centro di Parigi o tra il quartiere di Montparnasse e la riva destra. Uno dei più grandi centri commerciali di Parigi confina con la piazza.
Detto questo, come sempre, vi ricordo la pagina facebookdove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi. E vi ricordo anche il gruppo facebook Two Miraculous Writers, gestito assieme a kiaretta_scrittrice92.
Detto ciò, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate (lo so, sono un mostro perché non rispondo mai!) e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!
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