Prologo
La brezza estiva carica di umidità preannuncia che presto pioverà, di nuovo.
Il temporale di oggi pomeriggio ha ripulito l'aria e sopra di me si distende un cielo limpido punteggiato da miriadi di stelle. Una luna gigantesca illumina le ultime ore di buio: tra poco sarà mattino e io non ho catturato nemmeno un uccello.
Ho cominciato la mia caccia solitaria nella savana notturna quando la Croce del Sud aveva raggiunto il punto più alto sopra l'orizzonte e sono parecchie ore, ormai, che cammino tra l'erba alta, nella speranza di scovare qualche piccola preda che possa sfamare i miei cinque figli.
Sono uscito dal villaggio di nascosto: non è permesso andare nella savana di notte. Secondo il mio popolo, la terra selvaggia è il regno delle forze della natura e appartiene a Bagawna, spirito della savana e signore degli animali selvatici. È molto pericoloso avventurarsi in questi luoghi, non solo per possibili incontri con belve feroci, ma soprattutto perché abitati da innumerevoli spiriti: è alto il rischio di trovarsi davanti un'incantatrice o uno stregone che ti ruba l'anima. Nel mio villaggio, quando si vuole allontanare qualcosa di cattivo e di impuro, si va di notte a gettarlo nella savana, che è per noi un posto magico e soprannaturale.
Io però non sono così convinto di queste tradizioni, le considero più superstizioni infondate.
Credo invece che lo stomaco vuoto dei miei figli vada riempito e che la loro fame debba essere saziata a qualunque costo, anche a quello di imbattermi in spiriti cattivi o animali feroci.
Stanotte non ho incontrato, per fortuna, nessuna entità immateriale nella terra selvaggia governata da Bagawna. E purtroppo non ho catturato nemmeno nessun volatile: la mia ricerca è stata vana, maledizione!
Percorro il sentiero reso morbido dalla pioggia pomeridiana che ha anche cancellato qualsiasi traccia o impronta di esseri viventi passati di là. Ha però risvegliato il profumo della terra, intenso e pungente. La luna è così luminosa che colpisce ogni singolo filo d'erba in un'esplosione di verde che accende la savana. Mai vista una luna talmente splendente da trasformare la notte in giorno!
L'afa è insopportabile. Respiro a bocca aperta e i miei fitti ricci corvini sono appiccicati sulla fronte e su parte del collo.
In lontananza noto il grande albero, re della savana: un sicomoro meraviglioso e rigoglioso si erge tra l'erba alta e le sterpaglie. Spero che sotto le sue fronde abbiano trovato riparo per la notte piccoli uccelli di cui ho tanto bisogno.
Mi trascino, scalzo, sul sentiero fangoso e mi aiuto con il bastone per schivare pozzanghere e rocce. In pochi minuti raggiungo la collinetta al cui centro svetta il grande albero. Ai suoi piedi una distesa di foglie e fichi crea un tappeto spesso e irregolare.
Mi fermo a riprendere fiato e mi asciugo il sudore con un lembo del mio dashiki giallo, senza maniche, che mi arriva alle ginocchia.
D'un tratto noto un guizzo sotto lo strato di foglie e frutti, proprio di fronte a me.
Deve essere qualcosa di grosso a provocare lo spostamento così significativo delle sterpaglie.
Mi avvicino cauto e con movimenti impercettibili raggiungo il punto in cui qualcosa di vivo si sta dimenando, ignaro della mia presenza.
Col bastone sposto delicatamente le foglie e posiziono la sacca di rete nel punto in cui ipotizzo possa uscire la bestiola, per provare a catturarla.
Vedo qualcosa spuntare proprio sotto lo strato appena smosso: stoffa rossa.
L'afferro con due dita e la tiro.
Dal fogliame emerge un fagotto cremisi da cui spuntano due braccia e due gambe.
Ruoto il fardello verso di me e mi ritrovo due grandi occhi limpidi come le acque di una laguna che mi fissano curiosi.
Il visetto a cui appartengono questi bellissimi occhi è imbrattato sulle guance, sul naso e attorno alle labbra, da chiazze rosate che lasciano intravedere una pelle candida e diafana come i raggi della luna. Il volto è incorniciato da riccioli dorati, quasi bianchi, che ricadono morbidi sulla fronte.
«Uno spirito!» grido spaventato mollando la presa sul fagotto amaranto e facendo un salto all'indietro.
La creaturina precipita tra le sterpaglie e comincia a piangere disperata.
I suoi gemiti sono così inconsolabili che decido di avvicinarmi di nuovo a lei, incuriosito e preoccupato.
La osservo meglio, ma a distanza.
E sorrido.
Sono stato proprio uno sciocco a scambiarla per uno spirito!
Una bimba di poco meno di due anni avvolta in un vestitino scarlatto giace ai piedi del sicomoro, circondata da fichi rosei e maturi, a prima vista mangiucchiati. Deve essersi sfamata con quelli: il suo viso sporco e appiccicoso ne è la prova.
La prendo in braccio e comincio a cullarla come di solito faccio col mio figlio più piccolo, Kiros, quando ha i crampi della fame.
Il contrasto delle manine chiare della bambina appoggiate sulle mie braccia color dell'ebano è davvero molto evidente e inquietante.
Continuo a dondolarla finché lei, poco alla volta, si calma.
La guardo addormentata contro il mio petto.
Deve essere sfinita, povera piccola!
«Ma chi sei?» le sussurro sottovoce pensando a quanto possa essere impaurita e indifesa e a quale possa essere la sua drammatica storia.
Le sfioro la testolina con le labbra per rassicurarla, ma io sono il primo a essere confuso e disorientato.
Mi guardo intorno per cercare qualche traccia della presenza umana, qualche indizio che possa indicarmi chi abbia abbandonato qui questa creaturina bionda, lasciandola sola, sporca, cenciosa e affamata.
Ma non trovo nulla che possa aiutarmi: la pioggia del pomeriggio ha cancellato tutto. Per fortuna le fronde del sicomoro e il tappeto di foglie e fichi sotto cui si è nascosta, hanno riparato la bambina dal temporale, altrimenti, oltre che indigente e vestita di stracci, a quest'ora sarebbe anche inzuppata e infreddolita.
Mi alzo, sicuro di ciò che devo fare.
È la cosa giusta.
Oggi tornerò al villaggio senza uccelli per nutrire i miei figli, ma con una bocca in più da sfamare.
Guardo il fagotto addormentato tra le mie braccia.
E sono ancora più convinto che sia la cosa giusta.
Se la lasciassi qui, questa povera bambina morirebbe di certo e in un modo orribile!
È già un miracolo che sia sopravvissuta da sola nella savana africana, soprattutto di notte quando i grandi predatori si muovono per cacciare.
Un vero miracolo!
La piccolina sorride, probabilmente è d'accordo con me.
Così, seguendo le usanze del mio villaggio in occasione della nascita di un bambino, sollevo la piccina verso il cielo in segno di ringraziamento e dico ad alta voce:
«D'ora in poi ti chiamerai Miracle.»
Rimango per alcuni minuti a fissare la luna che fa capolino dietro la sua testolina.
Poi faccio ritorno, insieme a lei, al villaggio.
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