Poesia di poeta

Il sole brilla sulle acque movimentate della sorgente e Francesco ne rimane abbagliato.

È stato abbagliato da Dio, Francesco, trafitto da una scoccata denominata amore. Amore. Maiuscolo. Immortale. L'Amore dell'Eternità. Francesco scorge l'Eternità, sono spiragli di paradiso, barlumi dell'Eterno sovrano dell'Eternità.

Francesco respira l'Eterno.

Nelle valli e nelle radure, nei boschi ombrosi, nella scura depressione delle gole, nella profondità tenebrosa delle grotte. Sulle cime delle montagne, sui cocuzzoli rocciosi dove nidificano i falchi. Nello spumeggiare furioso del ruscello. Nella rugiada che trapunta di perline il prato. Nell'eco degli uccelli tra le fronde. Nel gemito del vento tra i rami. Nelle belve, selvatiche e addomesticate.

Sui campanili e in mezzo alle tegole scottanti di sole. Gironzolando nei crocicchi, nei crocevia, nelle viuzze strettissime e disorientanti d'Assisi. Nei campi lussureggianti di fiori, nei tappeti traboccanti di grano.

Francesco è ricco della libertà della natura.

Piccolo Francesco. Piccolo e gigantesco. Rivoli della tua parola scorrono nei secoli, risalendo alla foce. A te.

Fratello Sole e Sorella Luna. Frate Fuoco e Sora Acqua. Fratello Vento. Sora Madre Terra. L'universo si veste di libertà, emana il profumo dolce, soave, paradiso della tua persona. Un frammento di tutto conficcato nel Tutto. Frate Lupo e Fratellini Uccellini, piumati e scoppiettanti di colori. Fratelli Corvi. Sorelle Rondini.

«Zio! Zio!»

L'uomo nutre l'ambizione di risaltare in quanto uomo. Non umano. La natura può rivelarsi infida, scabrosa, ingiusta. Ma umana. Non opprime per soddisfazione d'opprimere. Non soggioga per conquistare il superfluo, l'eccesso. La natura si prende in base alle sue necessità. Non un grammo in più, non una particella sottratta a usufrutto personale. La natura prende per tutti e a tutti distribuisce. Materna.

«Zio!»

Piccardo e Giovannetto e un plotone di bambini gli corrono incontro, lo implorano di fermarsi a giocare. Nascondino, il più giovane dei suoi nipoti ci traccia una riga decisa, terribilmente serio. Giovannetto vuole giocare a nascondino.

E sia.

«E dopo il gioco dei fiori!»

I bambini sono bambini. Enfatizzano e idealizzano le imprese degli adulti, li arrogano dell'onnipotenza tributata a Dio. Coltivano germogli di sogni, i bambini, ma non lasciano che quei sogni s'impossessino di loro fino a inibire le cervella e indurli a credere d'essere Dio. Il bambino sa d'essere bambino. Sogna di diventare uomo, ma i suoi piedi sono attaccati a terra. Un bambino sa dimostrarsi umano.

L'arroganza non lo inquina.

Come sono pure e monde dai mali del mondo le risate dei piccoli! Francesco conta, rivoltato al muro. Non si bara, ma sbirciare può rivelarsi utile...

«Pronti o no, vi stanerò!»

Parole profetiche. Assisi, un saliscendi, rappresenta l'ideale scenario del nascondino. Rintraccia i dispersi, quelli scappano dai nascondigli, si riparano nei vicoli, provano a mimetizzarsi nella calca del mercato. Francesco li acchiappa. Acciuffa Piccardo per il cappuccio della giubba. Lui esplode in risate fragorose. Lo zio leva in aria il nipote. Giovannetto lo assalta, Francesco cade a terra e Piccardo gli rovina addosso.

«Zio sbadato!» ride prima di saltare in piedi.

«Zio vittima d'un assalto!» Dove s'è cacciato Giovannetto, quel furfantello?

Un peso gli piomba improvvisamente sul petto, atterrendolo. Eccolo. Gli occhioni azzurri del suo nipotino gli sfarfallano scintillanti a un palmo di naso.

«Sono stato veloce!»

Una lepre sarebbe rimasta con un pugno di mosche.

S'inaugura il gioco dei fiori, come promesso. I bambini sfrecciano a svestire Assisi delle sue trine floreali. Papaveri selvatici, margherite spontanee. Gerani. Narcisi a tromba, vanitosi nella loro gialla aureola. Le infiorescenze carnose dei gigli. Gli iris violacei, i calici che impallidiscono verso il cuore. I girasoli solenni che si drizzano, devoti seguaci dell'astro diurno, irradianti petali dalla loro corona.

Muniti degli orpelli, la processione parte, marciando nella cacofonia ruggente del mercato, stupendo gli adulti, strappando risate, commenti salaci. Un'orda di maiali sospinti dal porcaro si scansa. Aggirano una bancarella straripante di frutta.

Il presunto santo di paese che si abbassa a saltellare e canticchiare con dei marmocchi? I grandi scuotono il capo, ridendo sotto i baffi.

Sono abituati alle stravaganze di Francesco.

Approdati in piazza del duomo - riflessi rosati rimbalzanti sui fregi ricamanti l'edificio dedicato al santo patrono Rufino, il baccano consueto degli uffici comunali in fondo al viale d'ingresso laterale - il corteo si frammenta in corpo di danza.

La danza diventa girotondo. Il girotondo un casino. Bambine volteggiano nelle braccia di Francesco, piccoli, intrepidi cavalieri offrono mazzi dei fiori lisi, sciupati, alle damigelle in miniatura. Un'allegra brigata di mescolanza, i ceti decadono. Bimbi nobili e figli di contadini. Schiatta di mercanti e progenie di servitori.

«Lo zio più bebbo del mondo!» lo loda Giovannetto e gli balza addosso da dietro, appigliandosi al suo collo. Francesco lo porta a cavalcioni. «Vorrei che tuddi i santi fossero come te zio Cesco!»

«Ogni santo è un pezzo unico!»

«Ma non ridono come te!»

«Ha ragione zio!» concorda Piccardo, respirando affannosamente nel fervore del divertimento. «I santi sono lugubri e musoni, non fanno altro che schiattare.»

«Male!» aggiunge Giovannetto.

«Diventano martiri o vivono negli eremi e si puniscono in penitenze orribili mangiando solo un morso di pane ogni cento anni!»

«Lo zio Cesco invece è divesso.» Giovannetto l'abbraccia, spiccandogli un bacino sulla guancia, sfregante contro la barba ruvida. «Balla e gioca e canta!»

«Ma io non sono un santo!» Freniamo l'entusiasmo. Le folle l'osannano e sostengono che intorno a lui fioriscano i miracoli. Francesco ha solamente fede e il suo cuore brucia d'amore. Tutto qui. «Sono solo un uomo.»

Piccardo si stacca dall'energico ciclone, cingendogli la mano.

«Un uomo speciale, fratello di tutti.»

Perché tutti sono fratelli tra di loro. Semplice.

Riconduce i bambini a casa, Angelo lo ringrazia d'averli curati. Salutati per la cena, Francesco ridiscende, uscendo dalle mura. La Porziuncola è celata nel manto fiammante del tramonto. Asinai e carri percorrono la stessa strada, ma Francesco taglia per i campi, negli uliveti. Si sente a casa. Inebriato dell'amore permeante la natura. I rami gremiti d'uccelli, le volpi e i lupi emergenti dalle selve, dalle loro tane anguste. Fratelli e sorelle. Loro ascoltano, non giudicano.

Ascolta colui che vive allo stato brado, sprovvisto di leggi, non vincolato da nulla e si chiude, sordo, colui che invece tutto questo possiede?

Il paradosso del Creato.

Non per nulla è più facile farsi capire dagli uccelli.

Si libera dalla tensione ricorrendo a un trucco che lo rilassa. Indovinare il volatile a partire dal canto. Questo è un usignolo. Questo un merlo. Allodola. Pettirosso. Passerotto. Gazza. Colomba.

L'uomo erra, però è la creatura capeggiante le altre. Sbaglia, sbanda, ma chi è lui per permettersi di giudicare? Gli hanno condotto un sacerdote dalla cattiva reputazione, una volta, un esperimento per vedere come l'avrebbe trattato. Francesco si è chinato e gli ha baciato le mani. Il sacerdote potrà anche essere reo d'azioni peccaminose, ma quelle mani trasformano pane in corpo, vino in sangue.

Se io incontrassi un sacerdote ed un angelo, saluterei prima il sacerdote e poi l'angelo.

«Sei battezzato?» aveva posto a colui che aveva trascinanto al suo cospetto il prelato. «Sei anche tu parte della Chiesa quanto lui allora. Anche le tue azioni macchiano il suo bel volto. Perché condanni dunque?»

E Chiara?

Chiara, la sua dolce, eterea, diafana Chiara, vergine e immacolata sposa, forte e combattiva della fierezza delle spose. Custodente, come Maria, la sacra parola nel silenzio, gravida di quel silenzio mistico, pregno di devozione e fede, asperso d'incenso. Chiara è il suo prodigio. Il pinnacolo della sua creazione. Una pianticella innaffiata da lui, curata e potata, che si sviluppa e irrobustisce il suo tronco.

Un giorno estenderà ombra e rifugio ad altri.

Francesco s'imbocca d'aria - pura e incontaminata - e la valle umbra si spalanca, le montagne abbraccianti il grembo di terra feconda. Scorge San Damiano, l'uliveto, i cipressi costeggianti e il giardinetto adorno di pochi fiori modesti di Chiara. Individua la Porziuncola nelle toppe brunite del loro fazzolettino. I paesini accozzati alle colline di Cannara e Bettona. I casolari costellanti la campagna.

Francesco è stato folgorato dall'Amore.

Davanti a questo scrigno di meraviglie chi non lo sarebbe?

«Quest'uomo era Giovanni Bernardone, chiamato san Francesco d'Assisi, un sognatore, eroe e poeta. Di lui ci è rimasta solo un'unica preghiera o poesia, ma invece di parole e di versi scritti egli ci ha lasciato il ricordo di una vita semplice e pura che, per bellezza e tranquilla grandezza, si erge sopra moltissime opere poetiche. Chi dunque narra la sua vita non ha bisogno di altre parole e considerazioni, dalle quali a mia volta sono felice di astenermi.»

Hermann Hesse - Francesco d'Assisi

Il più grande poeta di questa terra italiana, perché se gli altri vollero rendere maestoso il normale, Francesco d'Assisi rese il normale, dischiudendolo nel bocciolo della luce divina, bellezza.

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