Luce
È cieco.
Completamente cieco.
Angelo glielo comunica, Leone conferma: Francesco si è svegliato di soprassalto, sobbalzando sul giaciglio, urlando come un dissennato di non vederci più. Hanno tentato di calmarlo. Approcci deprimenti, caduti nel vuoto.
Quando Chiara entra nella capanna lo strepitio s'è smorzato in un piagnucolio guaente, quasi un bisbiglio. Francesco è disteso di lato, rovesciato dalla confortevole paglia del giaciglio, l'erba suo materasso, opponendo le spalle all'ingresso. Quatta quatta Chiara gli si approssima, toccandolo sulla spalla.
Le palpebre di Francesco, enfiate e segnate dalle graffiate rossastre che si è inflitto nell'attacco isterico - comprensibile e umano - stentano ad aprirsi.
«So che sei te.» L'ha riconosciuta dal mero contatto.
«L'erba non è imbottita, lo sai vero?»
«Lo è.» bofonchia rude, infastidito. Gradirebbe trincerarsi dietro un muro di silenzio e miseria, lo sa bene. Peccato che l'obbiettivo di Chiara sia demolire quel muro.
«Di cosa?» Gli da corda, sorridendo ammiccante. Prima o poi si stuferà di quel gioco di botta e risposta. «Di lumachine e insettini? Intessuta di rugiada?»
Francesco esita a rispondere, il labbro tremolante.
«Sono cieco Chiara.»
Bene, ha scovato la falla e il muro si è sgretolato.
La stizza si tramuta in una confessione lacrimosa. Francesco si volta, spaparanzato a pancia in su. I suoi bulbi oculari sono incrostati, suppuranti stille incolore, la pupilla ormai vitrea, spenta. Cecità totale.
«Lo so.» lo conforta lei e leva di torno l'intralcio ingombrante di cuscini e coperta, tirando Francesco verso di sé e deponendogli nuca sul guanciale delle sue ginocchia. Striature luminose s'insinuano tra le fessure della capanna, il tetto di frasche, battendo a terra. Gli accarezza il viso, la barba rada e pungente impiastrata di muco, lacrime e sangue coagulato. «Ma ci sono io.»
«Tu...»
«Io.» ribadisce sicura, sicura come deve esserlo per Francesco adesso.
«Mia pianticella...» Le artiglia il saio, la presa debole, di mani forate e fasciate. Francesco le circonda la vita con le braccia. Si sostiene a lei, una colonna portante. Forse l'unica che veramente resta ancorata e salda al suo posto.
«Sono qui Francesco.»
Lui inspira, un suono rauco, lento. Struscia la guancia contro la stoffa pruriginosa del suo saio. «È notte o giorno?»
«È quasi mezzogiorno, il sole splende e tra poco ti servirò una buona minestra calda.»
«Non c'è differenza tra notte e giorno per me.» le rivela tetro, demoralizzato. L'allegria con cui affronta le infermità asportata da lui. «Vago nella notte eterna, buio e nero dovunque mi volti. Non ti vedo più Chiara, non vedo più nulla.»
«Il Creato canta Francesco, lo senti?» La natura è in festa, i suoi fratelli e le sorelle tanto amati e soccorsi ora ricambiano il favore. Chiara se lo serra contro il torace, sollevandolo un poco. «Gli uccelli, le mandrie, il vento tra le spighe...»
«Le allodole!» Sgrana gli occhi, stupefatto, un sorriso balenante.
«Coriste d'eccezione.»
«Sorella Cicala.»
Se l'era resa amica, alla Porziuncola, una cicala, e ogni sera, all'imporporarsi delle nuvole e all'incendiarsi del sole, cantavano in comunione. Sorella Cicala frinente e il Giullare di Dio, l'ultimo pazzo della terra, come ama definirsi.
«I corvi.» enuncia Francesco e Chiara riesuma la memoria di quella coppia di corvi inseparabili dal suo amico, pari alle tortorelle.
«Le rondini.»
Francesco s'illumina, radioso di ritrovata gioia.
«Sorelle Rondini! Beate loro che posso librarsi libere nell'aria, elemento terso e trasparente, e sgravarsi degli affanni di questo mondo montale. Ci affossiamo nel nostro pantano Chiara, ci costruiamo prigioni e sbarriamo dietro facciate menzognere, ma non saremo mai liberi! Le loro acrobazie...» A tastoni cerca la sua mano, Chiara gliela stringe, coprendola bene con la manica penzolante. «I loro magnifici voli, le loro... giravolte... S-Sorelle Rondini...»
«Il Creato ti vuole omaggiare Francesco. È qui. Le rondinelle sono qui.» S'annidano sotto la grondaia, cinguettando liete. «Non ti abbandonano.»
«Quanto vorrei vederle...»
Il Signore gli oscura la vista, ma gli affila l'udito. Francesco non può più vedere. Non può più toccare, sentire la soffice umidità trasudante dal terreno, coccolare il vello arricciato d'un agnellino. Non può. Ma lo sente.
E Chiara lo sente - e lo vive - per lui.
«Mettiamo qualcosa di nutriente in pancia prima.» gli propone, pulendogli il viso insudiciato. «Ti attende una minestrina deliziosa!»
«Solita d'ogni giorno.» Ah, si contesta la sua cucina? Non sfornerà i mostaccioli come Jacopa dei Settesoli, ma Chiara conserva il suo asso nella manica ai fornelli, quando occorre ricavare qualcosa dai beni mandati dalla Provvidenza.
Gli pizzica la guancia, fingendosi offesa. «Non ci si lamenta! Ti fa bene.»
«Fratello Stomaco si annoia.» ridacchia giocoso Francesco.
«Fratello Stomaco digerirà la sana e ritemprante minestra o niente! Non ha alternative! O si mangia o si mangia!»
Francesco sbuffa, nascondendo il viso nel suo abbraccio.
Chiara continua la messinscena, inscenando spaesamento. «Chi era quel tale che insisteva snervante affinché consumassi di più?»
Dal cuscino delle sue ginocchia s'alza un grugnito sommesso.
«Io.»
«E che mi ha obbligata a mangiare?»
«Sempre io. Il tale asinaccio.»
Ora ragioniamo. Scossa da un risolino, Chiara si curva a schioccarli un bacio sulla nuca. «Cocciuto come un asino, un primato più che meritato.»
Più tardi ritorna con la pietanza promessa, verdure e pollo lessati nel brodo dai vapori invitanti. I frati e Angelo hanno piazzato Francesco all'ombra scomposta d'un ulivo, intabarrato dentro una pesante coperta, pantofole inguainanti i piedi martoriarti, palmi fasciati e bendato, il vento scarmigliante il ciuffo corvino.
Chiara arriva, tremanti increspature sul brodo a ogni movimento. S'accovaccia, Francesco percepisce la sua presenza, protende la mano.
«La mia cristiana...»
Cristiana. Un altro soprannome. Pianticella, ramoscello, cristiana. Francesco abbonda di soprannomi per i suoi amici. Gli piace indicarle come appartenga a Cristo, a lui sia sposata. Lui funge solo da tramite.
Soffiando, Chiara raffredda la minestra. Il cucchiaio avanzato si scontra però con una bocca serrata.
«Francesco...»
Scuote il capo. «Povero Fratello Pollo!»
Si duole del pollo proprio adesso? Va bene, ne inventa di originali per non mangiare. «Onora il suo sacrificio riguadagnando le forze attraverso il suo brodo.»
«Ci sono molti fratelli e sorelle affamati che gradirebbero-»
Non è mattina per sorbirsi frottole. «Francesco. Mangia.»
Lui si profonde in un sospiro abbattuto, scoppiando improvvisamente a ridere.
«Sono un somaro cieco e rompiscatole, lo so.»
«Altamente, ma ti sostengo per amore.»
Un sorriso appare mentre la bocca si schiude, ingollando la minestra. Terminata, un misero rimasuglio stagnante sul fondo, Chiara gli pulisce il mento impiastricciato, la barba appiccicosa. Rilassato, fame appagata, Francesco si accoccola al suo fianco, avvinghiandosi bisognoso, la vite attorcigliata al palo.
«Descrivimi il Creato.»
«Lo conosci.» Colline, pianure, le fette arate dei campi, papaveri, grano e lo spruzzo ceruleo dei fiordalisi. Francesco le saprebbe decantare a menadito. In fondo l'ha fatto: il Cantico non è forse una lode?
«Non attraverso i tuoi occhi.» Oh. Strofina amorevolmente la guancia contro il suo avambraccio, soffocando uno sbadiglio. «Attacca pure mia pianticella cristiana.»
Lo stuzzicano le combinazioni oggi?
Le ore oziose, apatiche, immediatamente successive al pranzo sono, in generale, il suo preambolo a un riposino pomeridiano. Di norma Chiara s'intrattiene con lui, parlandogli, leggendogli, isolati nella quiete remota dell'uliveto, finché Francesco non crolla e allora lo riportano alle coltri. Si risveglia nel pieno pomeriggio, curato da lei, dalle sorelle o dagli altri frati, attendente l'imbrunire e la cena e il prossimo coricarsi.
Giornate placide, lente, da gustarsi con pazienza.
Chiara lo accontenta. Descrive. Descrive la limpidezza del giorno, le ombre scomposte dell'ulivo maculanti il prato, le consorelle operose nel silenzio edificante del convento, i frati. Leone, Filippo, Masseo, Rufino, Bernardo. C'è anche Angelo. La tavola laccata d'oro del grano, pettinata dalla brezza, i papaveri e i fiordalisi e altri fiori campestri impestanti l'oro, una muffa corrodente e variopinta. Le armenti di vacche muggenti, il rimbombo rintoccante del loro campanaccio. I greggi risalenti il versante del Subasio. Pecore candide, lanose, agnellini batuffolosi.
«Agnellini!» erompe Francesco con impeto. «Dolci riflessi di Nostro Signore!»
Ama qualsiasi creatura, nominandola fratello o sorella, ma nutre un affetto privilegiato verso quegli animali paragonati a Cristo. Gli agnelli, in tal guisa, ne emergono preferiti. Non ha forse liberato degli agnelli che stavano venendo condotti al mercato, dove avrebbero incontrato la macellazione, barattando il suo mantello? E non ha anche maledetto quella spregevole scrofa che, una notte, s'era intrufolata nella stalla d'un contadino uccidendo un innocente agnellino? Francesco amante gli animali e maledicente gli animali. Un paradosso. Ma è umano. Com'è umano disprezzare le mosche, associate al denaro. Frate Mosca, soprannome dato a un confratello taccagno, è stato espulso dall'Ordine, morboso era il suo attaccamento.
«Succhiano il latte dalle loro mamme.» gli dice Chiara e se lo stringe al petto, la testa di lui cindolante sulla spalla. «E si rincorrono nelle radure.»
«Belando... felici...» Solleva le dita, danzanti nell'aria, immaginando d'accarezzare il muso della piccola, cara creaturina di cui la sua vista è privata. «Fratellini Agnellini...»
S'appisola, sbocchi di fiato caldo, pesando addosso a Chiara, che gli tira su il cappuccio. Francesco, Francesco piccolino, ultimo tra gli ultimi.
Vedente il mondo attraverso chiari occhi di luce.
«Non sei cieco nella Fede.» gli sussurra, ben consapevole che possa sentirla. «Hai visto e continui a vedere più nitidamente di chiunque altro.»
Il mondo nella sua luminosa, spoglia, reale, amorosa interezza. Questo vede Francesco, cieco nel corpo, non altrettanto nell'animo. La meraviglia. Il bello. L'armonia imperante nel Creato. L'Amore.
Riuscirà Chiara a scrutare nella sua stessa ottica?
Note
Raccontino nato così, perché amo troppo, da anni, Chiara e Francesco e non smetterò mai di amarli (siete come Augusto e Giulia nel mio pazzo cuoricino❤️). Francesco amava veramente gli agnelli come narrato! Amava specialmente tutte quelle creature che ricordassero il Salvatore e con l'agnello potete ben capire il perché 🌝
«Un giorno si imbatté in un uomo che portava al mercato due agnelli da vendere, legati, belanti e penzolanti dalle spalle. All'udire dei belati si accostò, accarezzandoli, come suole fare una madre con i figlioletti che piangono e chiese al padrone perché tormentasse i suoi fratelli agnelli. L'uomo rispose che li portava al macello per venderli e ricavarne dei soldi. Nell'udire questo, Francesco barattò il suo mantello con gli agnelli e li tenne liberi sotto la sua protezione.»
E non solo lo donò a Jacopa dei Settesoli, Frate Jacopa, la dama romana sua seguace, amica e nota per i mostaccioli di cui era ghiotto🌝
«Durante un soggiorno a Roma, il Santo aveva tenuto con sé un agnellino, mosso dalla sua devozione a Cristo, amatissimo Agnello.» Nel partire «lo affidò a una nobile matrona, madonna Jacopa dei Sette Soli, perché lo custodisse in casa sua.» E l'agnello, «quasi ammaestrato dal Santo nelle cose dello spirito», non si staccava mai dalla compagnia della signora, quando andava in chiesa, quando vi restava o ne ritornava. Al mattino, se la signora tardava ad alzarsi, l'agnello saltava su e la colpiva con i suoi cornetti, la svegliava con i suoi belati, esortandola con gesti e cenni ad affrettarsi alla chiesa. «Per questo la signora teneva con ammirazione e amore quell'agnello, discepolo di Francesco e ormai diventato maestro di devozione.»
E altro ancora! Gli agnelli spopolano!
Un giorno, «trovandosi San Francesco in cammino nei pressi di Siena, incontrò un grande gregge di pecore al pascolo. Secondo il suo solito, le salutò benevolmente, e quelle, smettendo di brucare, corsero tutte insieme da lui, sollevando il muso e fissandolo con gli occhi alzati. Gli fecero tanta festa che i frati e i pastori ne rimasero stupefatti, vedendo gli agnelli e perfino gli arieti saltellargli intorno in modo così meraviglioso.»
In un'altra circostanza, a Santa Maria della Porziuncola, «portarono in dono all'uomo di Dio (Francesco), una pecora, che egli accettò con gratitudine, perché amava l'innocenza e la semplicità che, per sua natura, la pecora dimostra. L'uomo di Dio ammoniva la pecorella a lodare Dio e a non infastidire assolutamente i frati. La pecora, a sua volta, quasi sentisse la pietà dell'uomo di Dio, metteva in pratica i suoi ammaestramenti con grande cura. Quando sentiva i frati cantare in coro, entrava anche lei in chiesa e, senza bisogno di maestro, piegava le ginocchia, emettendo teneri belati davanti all'altare della Vergine, Madre dell'Agnello, come se fosse impaziente di salutarla. Durante la celebrazione della Messa, al momento dell'elevazione, si curvava con le ginocchia piegate, quasi volesse, quell'animale devoto, rimproverare agli uomini poco devoti la loro irriverenza e volesse incitare i devoti alla reverenza verso il Sacramento».
E sì! Si incavolò veramente quando scoprì che un neonato agnellino era stato barbaramente ammazzato da una scrofa! Ce lo riporta Leone, nella Vita Seconda di Tommaso da Celano (Tommaso EVERYWHERE ORMAI). Tutto accade in diocesi di Gubbio, presso il monastero di San Verecondo, dove Francesco era giunto a sera per riposare e chiedere ospitalità per la notte. E proprio quella sera, pensate un po', sorpresa! Una delle pecore del monastero diede alla luce un piccolo agnellino, incantante tutti per la sua bellezza, tenerezza e innocenza caruccia caruccia.
Ma quella notte uno scrofa fece irruzione nell'ovile e il povero agnellino va incontro a una tragica fine 😫
"Al mattino, alzatisi, trovano l'agnellino morto e riconoscono con certezza che proprio la scrofa è colpevole di quel delitto. All'udire tutto questo, il pio padre (Francesco) si commuove e, ricordandosi di un altro Agnello, piange davanti a tutti l'agnellino morto: «Ohimé, frate agnellino, animale innocente, simbolo vivo sempre utile agli uomini! Sia maledetta quell'empia che ti ha ucciso. E nessuno, uomo o bestia, mangi della sua carne!». Incredibile! La scrofa malvagia cominciò subito a star male, e dopo aver pagato il fio in tre giorni di sofferenze, alla fine subì una morte vendicatrice. Fu poi gettata nel fossato del monastero, dove rimase a lungo e, seccatasi come un legno, non servì di cibo a nessuno per quanto affamato."
Tommaso intende questo episodio in maniera edificante, per mostrare al novizio desideroso d'emulare Francesco a cui rivolge la sua scrittura (ehi, indirizzerà queste sue biografie a un pubblico specifico no?) quanto la parola di Francesco fosse potente, santa, per l'appunto.
André Vauchez, uno dei più grandi esperti nello studio dell'agiografia medievale, commenta la vicenda in questi termini:
"Alla luce di questo episodio e della sua brutale conclusione, comprendiamo meglio certe reazioni ostili che Francesco ispirava al mondo contadino, se diamo credito a una testimonianza, di provenienza non identificabile, raccolta in una compilazione francescana del XV secolo: "San Francesco era uscito dal convento per pregare, e un gruppo di pastori iniziò a dire: 'Ecco, questo è l'uomo che lancia maledizioni al bestiame e lo fa morire!', perché poco tempo prima c'era stata un'epidemia di peste bovina. E per questa ragione, quei manigoldi cominciarono a tirargli addosso dei sassi".
Povero Francesco 💀
Gli episodi che riguardano il rispetto e l'amore verso gli animali, nella vita di Francesco, però, sono numerosi. Non solo agnelli insomma.
Tommaso da Celano contemporaneo di Francesco nella Vita prima e nella Vita seconda ce li racconta avendoli vissuti in prima persona: "Gli uccelli manifestavano il loro gaudio... Egli andava e veniva liberamente in mezzo a loro, sfiorando con la sua tonaca le testine e i corpi"; così Francesco: "Fratelli miei uccelli, dovete lodare e amare il vostro creatore" Questo amore per gli animali non si limitava alla sola contemplazione e preghiera, ma andava ben oltre divenendo soprattutto rispetto per la vita. Una volta gli fu portato un leprotto preso al laccio e Francesco, commosso, disse: "Fratello leprotto, perché ti sei fatto acchiappare? Vieni da me." Subito il leprotto lasciato libero si rifugiò spontaneamente nel grembo di Francesco, come un luogo assolutamente sicuro. Rimasto un po' in quella posizione, volle in seguito lasciarlo andare, libero nel bosco, ma una volta a terra, il leprotto, più volte rimbalzò nuovamente in braccio a Francesco.
Celano ci spiega che lo stesso accadde anche con un coniglio e un fagiano, come se tutti gli animali si sentissero al sicuro accanto a lui. Il lupo di Gubbio non è solo! 😂Scrive ancora Tommaso: "Altrettanto affetto egli portava per i pesci che appena gli era possibile rimetteva nell'acqua ancor vivi (...) Un giorno nel lago di Piediluco, un pescatore gli offrì una tinca che aveva appena pescato; egli accolse lietamente e premurosamente quel pesce, chiamandolo fratello, poi lo ripose nell'acqua liberandolo".
Poi, stando alla testimonianza dei frati Leone, Ruffino e Angelo, autori della cosiddetta Leggenda dei Tre Compagni:
"Noi che siamo vissuti con Francesco e che abbiamo scritto questi ricordi, attestiamo di averlo sentito dire a più riprese che, se avesse avuto occasione di parlare con l'imperatore, lo avrebbe supplicato che per amore di Dio e per sua istanza venga emanato un editto, al fine che nessuno catturi le sorelle allodole o faccia loro del danno. E inoltre, che tutti i podestà delle città siano tenuti ogni anno, il giorno di Natale, a incitare la gente che getti frumento e altre granaglie sulle strade, in modo che in un giorno tanto solenne gli uccelli abbiano di che mangiare".
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