Il Papa

Dio riconoscerà i suoi.

E me? Riconoscerà anche me, Innocenzo, quando giungerò dinanzi al suo trono, in attesa che emetta sulla mia anima il giudizio finale?

Innocenzo, innocente. Un nome, una beffa. Una bugia. Un insulto.

Alle pile di cadaveri ammassati a bruciare e decomporsi nelle strade francesi, il lezzo della putrefazione, il brulichio d'insetti e mosche ronzanti sulle loro membra gonfie, turgide, irrigidite nel gelo perenne della morte.

Uccideteli tutti. Dio riconoscerà i suoi.

Arnaud Amaury, capitano mio fidato, quali insensibili, crudeli parole hai rivolto ai tuoi soldati? Quanta insensata efferatezza, spietata carneficina, quanto odio, ardeva dentro di te quando lanciasti l'ordine?

Quanto, di quella fiamma, ho contribuito ad attizzare?

Innocenzo, Innocenzo, papa delle lotte, delle sfide, delle diatribe.

Arbitro e boia.

Nessuno lo fiata, ma i marmi di questa chiesa bisbigliano, quando le tenebre si condensano e la luna muore come morirono i Catari trucidati, muore in una bara di nuvole e nebbia. Riecheggia nei saloni sfarzosi, striscia nelle insenature tra i mosaici sontuosi, sibila nel lusso di cui ci ingozziamo, laidi, laidi peccatori.

Dio riconoscerà i suoi.

Dio riconoscerà da chi partì il comando.

Chi appiccò il fuoco che incendiò i cristiani d'Europa non di carità, ma di odio.

Chi perpetrò un massacro.

Le mie mani, le mani di un professato innocente che innocente non è, lupo travestito da agnello, rammarico truccato da trionfale esultanza, sono lorde di sangue. Non lo lava la pastosa crema di rose, non lo sciacqua l'aroma ottundente dell'incenso, non lo smacchiano le confessioni e le penitenze recitate a manetta.

Innocenzo non è innocente e Dio, onnipresente, onnipotente, sa.

Perché Dio riconoscerà i suoi.

Non me, non Innocenzo l'assassino.

Quant'è triste il ruolo del papa! Errano a crederlo avvantaggiato, preferito ascoltatore da Dio. Povero, sciagurato quel papa Innocenzo, tanto vicino a Dio e tanto lontano da quella plebaglia in cui Dio alberga!

La mia vita crolla. Sono macerie, rovine. Cocci irrecuperabili. Sta collassando, sgretolandosi nella fragilità effimera dei castelli di sabbia. Granello dopo granello la mia vita si scolorisce, spegnendosi, cedendo al buio.

Al buio il sangue scompare.

Nel buio del cuore, della fede, non si scorgono colori.

Tranne nelle notti angosciose del Laterano, dove, al buio, il sangue sulle mie mani curate e lisce - grasse a sazietà di tutti quei banchetti che affamano i mendicanti fuori dalle mie porte - risalta.

Sgargiante. Rosso.

Incancellabile.

Ma poi sei spuntato tu, Francesco, a insozzare con i tuoi piedi scalzi e il tuo saio stracciato i marmi raffinati del Vaticano.

Piccolo, miserabile sconosciuto... e tu da dove sbucavi?

Sono molti quei visionari che ci cantano belle favoline di pace e fraternità e colloquio tra i popoli. Ce le contano su, messinscene carine, affabili, giurano obbedienza e subito dopo, appena lasciamo loro briglia sciolta, ci azzannano alle spalle, accoltellandoci con lame di accuse, eresie, minacce paventate che ci colpiranno dall'alto, se non ci convertiremo alla loro causa.

Noi, di tutta risposta, li convertiamo in cenere e polvere.

Tu non ci bersagliasti di veleno e acredine, Francesco.

Ti intrufolasti nei nostri opulenti interni, spezzando catene in cui noi stessi ci eravamo imprigionati, scongelando il torpore che ci rammolliva. Venisti a noi sporco e puzzolente, impestante il Vaticano di miasmi da porcilaia, rispettante il mio ordine, lanciato per punzecchiarti e levarti di torno, scocciatura iniziale che ti credevo, d'andare a predicare la Parola ai porci.

Tra simili ci s'intende, pensavo sarcastico.

Quando mai azzeccai pure questa? Fui io, un infido e meschino porco, a farmi sedurre dal trillo d'una colomba quale te, Francesco.

Le tue parole piantarono radici nel mio cuore, le innaffiarono nel suo terreno arido, inondarono della linfa disseccata insegnamenti che credevamo cementati quali precetti. Abbattesti le mura e si spalancarono vastità incontaminate.

Papaveri e fiordalisi germogliarono tra le piastrelle. I marmi si polverizzarono in terra vergine. Uccellini cinguettarono sopra simulacri di santi tempestati di gemme. L'oro si sciolse e si fuse al bacio del sole. Collane pesanti e artificiosi paramenti si tramutarono nella pienezza tondeggiante e mistica della luna.

Sentii il tepore della terra, la morbidezza compatta delle zolle che si frantumavano ai miei piedi. Il fruscio dell'erba. Il respiro della brezza. I miei occhi si colmarono dell'infinità sconvolgente, immutabile e previdente del cielo. L'acqua mugghiava nelle mie orecchie, una preghiera alla vita che scorre e fluisce, si schianta e muore, ristagnandosi nella staticità della pozza. Risi al fuoco giocherellone e impetuoso. Mi assordai al chiacchiericcio della natura.

Sbocciarono fiori nella mia anima appassita, rinacque speranza nel mio cuore.

Non ero più intronato nei miei ori e nelle mie perle, tesoro nel mio palazzo, ma possedevo, senza possederlo, il tesoro dei tesori.

Quello che avevo anelato, rincorso, personificato per superbia, tutta la vita.

Il papa non è Dio.

E Dio è morto con i suoi.

Uomini e donne e bambini, Catari e comuni cristiani.

La mia vita era instabile, minacciava di disfarsi, come il Laterano nel sogno che mi occorse quella notte, ma un piccolo, lurido straccione la sostenne, sprezzante del pericolo, crescendo e crescendo, diventando un gigante che a momenti sfondava il tetto della Basilica. Tu, Francesco.

Riparatore di vite, di case, di chiese a catafascio.

Noi siamo incrostati di ricchezza e di potere. Tu, con la tua povertà, con la tua semplicità, hai saputo umiliarci.

Si vedrà cosa ne sfocerà dal vostro nucleo, è prematuro e precipitoso esprimersi in un solido giudizio ora. Si maturerà, con il tempo.

Vai Francesco, figlio d'Assisi, e che la benedizione di quel Dio che è rinato grazie a te ti accompagni sempre.

Lui riconosce i suoi.




Fu Innocenzo III a bandire la crociata contro i Catari.

A Béziers, nella Francia meridionale, il 22 luglio 1209 vennero massacrate alcune migliaia di persone, fra cui donne e bambini, accusati d'essere Catari. Non ci fu distinzione tra coloro ch'erano ritenuti eretici e i cattolici, la maggioranza della popolazione.

Arnaud Amaury, abate, arcivescovo e legato di Innocenzo III, avrebbe rivolto a un soldato che gli chiedeva come poter distinguere nell'azione gli eretici dagli altri l'emblematica frase:

«Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi»

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