Gioco di sguardi
La sua infanzia è segnata da una rivolta e da un incontro casuale.
O magari era destino.
«Svegliatevi! Svegliatevi bambine! Forza!»
Sua madre scansa celere le cortine del baldacchino, la scrolla, un risveglio brusco. Chiara schizza a sedere, si stropiccia gli occhi, assonnata. Penenda, raggomitolata al suo fianco, tra lenzuola, cuscini e trapunte, brontola contro l'alzataccia.
«Che succede?...»
«È guerra! Guerra!» Ortolana spalanca la cassapanca, fruga e butta sul letto vestiti a casaccio, i primi indumenti raccattati per coprire un minimo decentemente le bambine. Non hanno previsto l'attacco. I fermenti ribollivano da giorni, malumori nella classe mercantile, dissapori e contrasti inaspriti dalle pesanti tasse. Ma ora, sferrare un assalto alla Rocca ora, inaspettatamente. Cogliere di sorpresa i nobili e costringerli alla fuga immediata... è un colpo basso. «Ci attaccano!»
Guerra?
«Chi?» Chiara è disorientata. Annetta corre trafelata da lei, spinge Penenda via dalle lenzuola, ficca Caterina in una tunichetta prelevata in fretta e furia e le annoda la cuffietta sotto il mento. La sua sorellina è sfigurata dalle lacrime. «Chi ci attacca?»
Chiara balza giù dal letto, si precipita alla finestra, pigiando il viso contro il vetro. Una marmaglia di rivoltosi tenta di sfondare il loro portale a colpi d'ariete, un massiccio tronco di legno battuto con lena. Uno. Due. Tre. Contano fino a tre e per tre volte insistono, la testa dell'ariete cozzante contro il legno rinforzato di sbarre, sigillato da travi, serrature, catenacci, le guardie piantonate di stanza. Uno. Due. Tre. Come il conteggio a nascondino o l'attesa prima di sganciare il cucchiaio della fionda.
Lo schiocco secco delle corde, lo scricchiolio del legno, il sibilo del masso lanciato, tracciante un arco nell'azzurro - una sovversione del consueto, l'ordine rovesciato, le pietre gremiscono la terra, il cielo è patria degli uccelli - e lo scatto dell'argano. Lo schianto dei massi e dei barili incendiati contro le imponenti mura merlate della Rocca Maggiore, i detriti che grandinano, rovinando sugli sventurati in una pioggia di pietre affilate, in questi giorni di scontri, quel rumore sordo...
In pochi svelti movimenti la madre e Annetta sfilano le camicette da notte a lei e alle sorelle. Una veste d'un rosa antico le scivola dalla testa, le affibbiano un mantello, allacciano la cuffietta bianca sotto il mento in convulsi tremiti di tensione malcelata, calzano ai piedi scarpine. Mascherano male il terrore gli adulti.
Caterina trae conforto dalla sua bambola di pezza rabberciata e logora, mentre piagnucola, terrorizzata, in braccio alla balia.
«Madre che succede?» Chiara lo intuisce già, mica è tonta o ingenua tipo Penenda, con le sue ariette sfacciate da signorina. I ribelli, i mercanti, i borghesi, estenuati dalla supremazia degli aristocratici, si rivoltano. Il cane rompe a morsi la catena e s'avventa a sbranare il padrone che lo sfamava. Osserva in giro, Chiara, e, benché sia piccola e poco pratica delle tribolazioni cittadine, ultimamente ha percepito nell'aria un sentore di inquietudine. «Perché scappiamo?»
«Dobbiamo metterci in salvo!» Ortolana la tira per la mano, spronandola a sbrigarsi. «Svelte! Coraggio! Dobbiamo andarcene!»
E abbandonare la casa incustodita alla mercé di quei vandali?
Chiara è confusa mentre attraversa i ricchi ambienti, i saloni sfarzosi. Bagliori di fiamme e nembi di fumo scuro s'intravedono oltre i vetri, li offuscano, intorbidiscono l'aria. I servi e i famigli si fiondano a rotta di collo con loro, giù per la scalinata. Sottraggono argenti, stoviglie, arrotolano arazzi, sollevano forzieri, sbandanti a destra e manca, tintinnanti di pecunia, beni e arredi di pregio. Che quegli zotici depredino in incursioni e razzie la casa del loro signore? Intollerabile!
«Passeremo dalle cucine.» ragguaglia Ortolana le figlie, la paura incupente il suo bel viso. «Nessuno ci vedrà. La carretta ci attende.»
La carretta? Significa che gli zii, i cugini e il loro padre sono già pronti a partire? Ma perchè? Verso dove? E come mai il volgo dovrebbe accanirsi anche su di lei e sulle sue sorelle? Sono bambine! Non consistono in una minaccia!
Le cucine, con i forni costantemente operanti, le braci gagliarde e pimpanti, la collezione di padelle in rame e un repertorio di spiedi e ganci e forconi appesi a dondolare, sconvolgono Chiara. Sono irriconoscibili. La dispensa è stata saccheggiata, i sacchi di provviste e gli orci dell'acqua caricati sulla carretta.
«Eccola!» ansima Ortolana, avvistando il trabiccolo della loro salvezza. Le ruote fasciate di pelli per smorzarne l'attrito sulla ghiaia e sventare il rischio di venire intercettati. «Coraggio bambine, manca poco!»
Messer Favarone quasi strappa il drappo divisorio, apre lo sportello, si sporge, prende moglie e figlie. Ortolana solleva per prima Caterina, strillante di pena, la pupattola torta e ritorta nelle manine tozze. Penenda viene per seconda, issata con un grugnito di fatica. Ortolana sale, aiutata dal marito.
Il cocchiere monta in carretta, tiene le redini. Aspetta l'ordine.
Chiara si paralizza sulla soglia, pietrificata.
Il fragore dei tumulti, gli scoppi, i rimbombi, le barricate di mobilia accatastata, i duelli, lo sfacelo di muri e pietre demolite, di palazzi sventrati e fiamme appiccate, di portoni divelti e grate sforzate, di grida festose per bottini trafugati si eclissa.
Il mondo si eclissa.
Ode vagamente l'eco distorto di colpi d'ascia assestati al loro portone, il legno che cede, collassando in uno sfascio polveroso, i rivoltosi che esultano turpi, s'introducono in casa. Un tramestio di passi, zoccoli che percuotono l'acciottolato, destrieri che s'inalberano, imbizzarriti, nitriti e latrati, un baccano frenetico. Staranno esplorando i corridoi, setacciando alla ricerca d'ori e feccia nobiliare da accoppare, tesori di cui potersi fregiare e abbigliare.
Li vogliono ammazzare. Ululano al loro detestabile, schizzinoso sangue blu.
Perché?
Quello sguardo non lo sa.
Ma un fremito le percorre il corpo, un brivido le raggela le membra.
Quel ragazzo...
Francesco di Bernardone - tracotante nei suoi... quindici anni? Deve tagliare gli smaglianti sedici? - scorrazza per la via, infervorato dal brio dell'esperienza, i suoi sogni cavallereschi a un soffio dal concretizzarsi. Brandisce una spada sicuramente rubata, peserà il doppio di lui e se la trascina sbilanciato in una goffa, ridicola andatura, una che vorrebbe sembrare solenne, ma fallisce nel suo intento.
La banda di sodali lo sorpassa, superando la carretta, neanche ci si sofferma sopra, ma Francesco...
Francesco si arresta, i suoi occhi si fondono con quelli di Chiara.
Il tempo si congela, le sensazioni si attenuano, il circondario sbiadisce, il frastuono si attutisce. Il cuore di Chiara pompa ferocemente sangue, picchia con violenza contro la gabbia toracica che lo imprigiona. Un presentimento l'ammanta.
Forse ammanta entrambi.
Forse attecchisce un seme quando quello sguardo si pianta su di lei.
Il grigio burrascoso di Francesco - è un concentrato furioso di dilemmi e aspirazioni e cocci di sogni - circonfonde qualsiasi cosa.
«Io... io ti conosco. Sei la figlia di Favarone.»
Le parole le seccano in gola, un nodo gliela occlude. Chiara ingoia il groppo di saliva, la pelle increspata, i palmi viscidi di sudore.
«Che fai?!» rimbrotta furibondo lo zio Monaldo, le vene pulsanti sul collo taurino. L'afferra per l'orlo del mantello, arpionandola in uno strattone e gettandola dentro con rude maniera. «Punti di farci ammazzare?! Vieni via! Dentro subito! Fila!»
La simbiosi con quel ragazzo tranciata di netto così...
Chiara si ricava un cantuccio tra la mole corpulenta di Annetta e una lagnante, insopportabile Penenda. Il cocchiere frusta, i destrieri si impennano.
Addio Assisi dai mastodontici palazzi e torri svettanti a fendere le nubi. Le ruote sobbalzano. Caterina stritola il suo balocco, lacrimoni le solcano il viso. Sfrecciano su strade dissestate, sconnesse, sulla ghiaia tortuosa. Penenda si lamenta a ogni scossone, assilla Ortolana di domande pressanti.
Perché questa fuga rocambolesca? Perché tanto odio e livore?
L'occhiataccia torva dello zio Monaldo le opprime il diaframma come un macigno.
«Quella storna di tua figlia per poco non mandava a monte tutto Favarone! Dovresti punirla! Fustigarla severamente! Si era incantata sulla soglia!»
Chiara lo ignora, rannicchiata. Lo sguardo del figlio del mercante le si è incollato addosso. Non fa altro che rimuginarci sopra, riannodare il nastro e rivederlo lì, dipinto a nitide tonalità nella mente. Francesco di Bernardone...
Io ti conosco. Sei la figlia di Favarone.
Io ti conosco...
Io ti conosco...
Anche lei lo conosce e quindi?
Figurati se fino ad adesso quel vanitoso patentato è mai valso qualcosa ai suoi occhi!
Il vento gela e morde, pizzicando le gote. Armigeri in cotta di maglia ed elmo, sporchi di lerciume, schizzati di fanghiglia e imbrattati di sangue, galoppano a fianco del loro veicolo, scortandoli seri e impassibili. Penenda, esaurite le asfissianti domande sui motivi dell'insurrezione, vira su altro e tartassa persistente sull'arrivo.
«Quanto manca a Perugia? Ho fame mamma, ho tanta fame! E freddo. E sonno. Ma ci dovevi svegliare in quel modo? Non ho preso tutti i miei vestiti, non ho salutato la casa. Uffa! Si saluta sempre quando si parte no? Suvvia, quanto manca?»
Chiara preferisce tacere, premendosi le ginocchia al petto, accoccolata nel mantello.
Caterina scalcia e si dimena, il terrore non ancora smaltito. Annetta la culla, Ortolana le blatera qualche zuccherina smanceria, carezzandola con tenerezza sulla cuffietta. Suo padre e lo zio confabulano di disegni futuri. Lo zio rogna che li stermineranno uno per uno, quegli insolenti, che zucche capitoleranno sui patiboli. Giura vendetta.
Chiara reclina la testa sul legno del sedile. Si perde, assorta, nella vallata, nel Subasio che si rimpicciolisce, allontanandosi, immenso e superbo, Assisi incastonata nel suo grembo d'un rosa madreperlaceo.
Assisi...
Lo sguardo di Francesco...
Il brivido le risale lungo le braccia.
Si assopisce lungo il viaggio, sfiancata dalle traversie della giornata.
Nei suoi sogni, il ragazzo non è uno spocchioso belloccio figlio di papà, ma le dimostra gentilezza, cortesia. La tratta come fosse una gemma preziosa. Prende la sua mano e s'inerpica insieme a lei sulle cime boscose del Subasio, fino a uno strapiombo da cui s'ammira la valle del Chiascio nella sua interezza di campi e selve.
«Chiara mia.» la chiama, amorevole, dolce, e il cuore le sussulta in una capriola.
Danzano ridenti tra i papaveri e il grano, volteggiando ariosi, leggiadri. Nessun obbligo li vincola alla terra, nessun legame li incatena. Sono anime di spirito.
Cuciti di nuvole e luce.
Gli occhi di Francesco irradiano calore, affetto, tenerezza.
Al risveglio - si drizza stordita nella Perugia caotica, sua madre l'avvisa di scendere, in quanto sono giunti a destinazione - lo accantona come uno stupido sogno.
Francesco non l'amerebbe mai, in nessuno modo o universo.
Lo sguardo di quella bambina...
Le mura si sgretolano, demolite dalla furia latente dei ribelli. I roghi stemperano l'irruenza della fiamma, il loro lascito il fetore acre, pestilenziale del fumo e vestigia annerite, scheletriche, dell'arrogante nobiltà. Nobiltà esule. Nobiltà scacciata.
Francesco sorride sornione, in panciolle sul letto, l'esaltazione della giornata - e che giornata! Passerà alla storia! Il giorno in cui il popolo d'Assisi ha rialzato la testa e osato controbattere a quei tiranni, abolendone lo spadroneggiare superbo - non ancora scemata completamente, ma che lo avvolge come un abbraccio di pura adrenalina. Sembrava che i suoi romanzi avessero assunto vita propria, che le storie che tanto lo entusiasmano, infiammandolo d'ardore e di passioni cavallesche, fossero d'improvviso fuoriuscite nel mondo reale, concedendogli una possibilità di dimostrare il suo valore, di temprare il suo nerbo, la sua grinta!
E Francesco, lo sa, lo sente, e Papa non fa che rincararlo, possiede nervi saldi e mano ferma, occhio vigile e innata agilità. Ha la stoffa d'un paladino, lo decanta Papa.
Lui ci crede.
Un giorno sarà palese a tutti! Il mondo intero si prostrerà ai suoi piedi.
Venereranno la sua gloria e si crogioleranno nel suo nome.
Scolpirà il suo nome tra i giganti della storia, camminante al loro fianco sul cangiante, variopinto, arazzo del tempo. Meglio ancora, e si gasa di questa prospettiva: annienterà il tempo! Sì! Il suo nome trascenderà i secoli! Come Artù il saggio e accorto, il prescelto, Lancillotto il caparbio, Percival il cauto.
Schiaccerà la storia sotto il peso della sua fama...
«François!»
Angelo irrompe, si lancia sul letto, l'intelaiatura cigolante. Francesco trasecola e gli rifila un mugugno. Ma che è? Rimbambito a imbucarsi così in camera sua senza autorizzazione? Scherza ovviamente, burlone e amabile con il fratellino.
«À quoi tu penses?»
Via di francese, il loro linguaggio intimo, segreto, suggellante il legame con Maman.
«À rien.»
Scrolla le spallucce, evasivo. Afferra la spada - l'ha sorpresa in terra, nel marasma trafficato della via, e da allora, presumendo che il suo proprietario fosse caduto nei disordini, l'ha rivendicata come propria, e bando alle ciance la sua mole che lo sbilancia sgraziatamente - e la fa roteare, guardandola con fare smarrito, trasognato, immaginando di squarciare qualche qualche ferraglia dei sangue blu.
Corrado di Urslingen, Duca di Spoleto, comes Assisii, rappresentante del seggio imperiale, canzonato goliardicamente per la sua indole estrosa Mosca al Cervello, s'è battuto in ritirata, ripiegando su altre sedi. Il vessillo imperiale non garrisce più sulle imponenti guglie della Rocca. Gli oppressi si sono ridestati contro gli oppressori.
Per Assisi si prospetta una nuova, egualitaria, promettente era.
Angelo lo informa che gli ultimi fuochi si sono estinti nella parte meridionale della cinta muraria. Altre magioni sono state devastate in scorreria di bande armate. Un manipolo di arcieri sul cornicione d'un palazzo, lasciati a difesa, stava per mirare contro il contingente di mercanti, ma un altro gruppo ha scardinato il portone dal retro, obbligandoli alla resa, sebbene qualcuno abbia resistito fino alla morte, mentre i ribelli si avventuravano in quei saloni e in quelle camere fino ad allora meri sogni.
Papa sta mercanteggiando per un panno d'argento dai barlumi opalescenti giù in bottega, lo aggiorna suo fratello, lievemente piccato dal fatto che Pietro abbia insistito perché rimanesse a osservare e apprendere la strategia della compravendita, come l'ha ribattezzata.
Francesco sbuffa. Mercanti, introiti, scarselle. È Angelo quello in gamba, ferrato coi calcoli e l'adocchiare quelle oche giulive delle clienti. Francesco mostra una spiccata propensione all'adocchiare ragazze formose, dalle vesti promiscue e le sottane fradice una volta che è scoccata la scintilla, oh, che piacere... stimolante...
Quindi, acciderbolina, cosa ci ha scovato di stimolante in quella bambinetta?
Chiara Scifi. Una smorfiosa piccola saccente con la lingua lesta, favella pungente e mente acuta. Ci avrà spiccicato quanto? Tre paroline in croce? Si tratta solo di una bambina. Saputella, non certo immune all'orgoglio del suo ceto. Che diavolo ha trovato di tanto interessante, e peculiare soprattutto, in una marmocchia da doversi fermare, indugiando a fissarla dritta negli occhi?
Non suscitava compassione o pietà, benchè meno da lei traspariva un qualsivoglia sentimento di paura, terrore. Alcunché.
Niente.
Un niente fomentante la loro connessione di sguardi.
Francesco si è tuffato nella limpida, naturale purezza degli occhi di Chiara, in quell'azzurro che ti imbambola, seducente e caldo. Le loro rotte convergenti, per una frazione di secondo, in una collisione di celeste e grigio.
Il tempo si è sciolto, compresso in quell'istante effimero, passeggero.
Lo zio l'ha braccata per il polso, trascinandola a forza nella carrozza.
Una fessura di luce, uno spiraglio, nell'anarchia assurda della guerra.
«Io... io ti conosco. Sei la figlia di Favarone.»
È nato... qualcosa.
Un brivido lo assale. Francesco intensifica la presa sul pomolo. Scuote il capo, l'immagine di quella bambina è persistente, non sfiorisce mai. Pazienza. Lui e Angelo sono uomini ormai - va bene, suo fratello quasi, deve ancora sospendere gli studi nella canonica - e non hanno tempo da scialacquare su smorfiosette fuggiasche.
Scialacquare i risparmi su un dissetante boccale però...
«Stasera ci si becca all'osteria con gli altri?» Francesco stuzzica Angelo, il quale lo spintona allegramente per la spalla. «Celebreremo la rinascita di Assisi dalle sue ceneri!»
«Paghi tu.»
«Perché?»
Suo fratello si piega all'indietro, sui cuscini, svogliato. «Non voglio indebitarmi già in giovane età!»
Sentilo pontificare lui! Ha ereditato la vena da taccagno da Papa adesso?
Francesco lo punisce con una cuscinata. «Braccino corto!»
Il maggiore lo assalta a cavalcioni, solleticandolo. Angelo scoppia a ridere, dibattendosi come un tarantolato. «E tu... tu hai le mani bucate!»
Mani bucate? No grazie, dedica molta cura alle sue mani.
È bastato uno sguardo.
Al crocifisso di San Damiano, inarcato a pendere negli spasmi dell'agonia.
Alla delicatezza soave e leggera di Chiara.
Alle rughe incise dal tempo sui volti accartocciati, nelle orbite affossate nel cranio smagrito, di un lebbroso.
È bastato uno sguardo per innamorarsi.
È stato sufficiente uno sguardo per cancellare ogni paura.
Francesco, oggi, su questa piazza, tra la folla attonita dei suoi concittadini, davanti al vescovo, davanti a suo padre irato, davanti a Chiara, si sveste della paura.
La paura è il veleno inacidente la vitalità dell'uomo. Uccide l'anima, la paura, corrode e divora la melodia ancestrale che alberga nel cuore delle creature.
Quale melodia?
Ma la più dolce, infusa di trucioli di paradiso! La più... la più straordinaria, sì, straordinaria, e ultraterrena.
L'amore. La melodia dell'amore.
Francesco l'ha ascoltata dai rantoli del lebbroso, dalla sicurezza ieratica e regale del crocifisso, che si lascia penzolare, esposto, si abbandona.
Abbandonarsi...
Alla traboccante, festosa fiera della luce. Dell'amore. Il crocifisso sillabava amore. Il lebbroso e le sue piaghe, il suo labirinto venato di croste e ulcere, bubboni fetenti, erano un sovrapporsi incalzante di racconti d'amore. Chiara e la trasparenza illibata, casta, angelica, dei suoi zaffiri, grondavano amore. Amore. Amore. Amore. Francesco n'è sopraffatto. Assueffato. Divinamente ebbro d'amore.
Gli ha rivoltato il cervello.
Gli ha annebbiato il senno.
E lo ha purgato dal demone della paura.
La paura della perdita. Del distacco. Della nullità. Del niente. Perdo il mio ruolo e mi riduco a niente. Ma l'uomo è niente. Un niente che si crede tutto e che in realtà è solo un atomo d'amore galleggiante nel mare dell'infinità. Mi barrico dietro sicurezze insicure. Il possesso è la personificazione dell'insicurezza.
Sono al sicuro se ho.
Non se sono.
Essere cosa? Diventare cosa?
Aspirare a cosa?
Avere per essere, la mentalità vincente del mondo, il modello da perseguire.
Non essere per avere.
Avere tutto. Avere il Tutto del Niente possedendo niente.
Niente per l'uomo e le sue prigioni di vanità e ossessione. Combatte l'insicurezza, la paura, ergendo argini impastati di altra ulteriore insicurezza.
I soldi. Il possesso. La materia. L'affanno.
Baluardi di sabbia contro la paura.
Ma Francesco, questa soleggiata mattina di febbraio, ha smesso di avere paura.
Non ha paura di denudarsi nella sua umanità.
Incoraggiato dall'amore se l'è mangiata, la paura.
Forse non sa più nemmeno cosa sia.
«D'ora in poi dirò soltanto: Padre Nostro che sei cieli!»
Protende le braccia a cingere in un abbraccio sconfinato, immotivato, illogico, la piazza sgomenta, il cielo dove danzano gli uccelli, le terre cristiane e pagane intere, coi draghi sputanti getti di fiamma e mostri rigurgitanti rubini e smeraldi. Congiunge la terra al cielo, il suo abbraccio, ricuce uno strappo lacerato da troppo tempo.
Il conturbante, sconvolgente, delirante sguardo di Francesco cattura lo stupore dipinto sulle espressioni inebetite dei suoi compaesani, incrocia quello ridente e sereno di Chiara, luminosa nello sboccio suoi quattordici anni, si posa sul vescovo esterrefatto, transita sulla tristezza frammista alla rabbia sul volto paonazzo di suo padre. Non è più suo padre. Questo mondo non gli appartiene più. Francesco è morto. Sorge un nuovo essere. Un neonato, purificato Francesco.
Un discepolo scalpitante, figlio del Figlio, allievo dell'amore, giullare alla corte del Signore dei Signori. La paura, l'ombra della morte, eterna compagna dell'uomo, si è dissipata. Per sempre. Non lo turberà mai più.
Sarà lui a turbare il mondo.
«Copritelo!» intima il vescovo al suo codazzo. Gli attendenti, segaligni pretini dall'anello della chierica in testa, gli sciorinano dalle spalle il gravoso indumento. «Per la miseria, copritelo! È inguardabile! Offende il pudore!»
Scandalizza l'uomo, ma inneggia a Dio.
Il mantello del vescovo per poco non lo tramortisce, ingobbendolo, voluminoso com'è, ricamato di sgargianti ori e argenti. Il funzionario praticamente glielo butta sopra le spalle esili, arretrando immediatamente manco stesse interagendo con un appestato.
Francesco ride. Saltella. Balla.
La sensazione trapiantata quel giorno, nel baillame delle insurrezioni, allienando lo sguardo parallelo con quello di Chiara, un fugace contatto di sguardi, è sedimentata con gli anni, innaffiata e alimentata dalle delusioni della guerra, potata dallo scontro con la realtà, concimata dalla lettura del Vangelo e dalla conoscenza di Chiara.
Adesso germoglia, effonde il suo profumo.
È un fiotto di luce travolgente, accecante. Chi lo circonda ostenta stemmi, esibisce blasoni, sfoggia velluti, sete, pizzi. Irrancidiscono nella presunzione che quelli, che questa pochezza, li difenderanno dalla paura.
Paura del tempo. Paura della morte. Paura del nulla.
Suscitano compassione in Francesco.
Fuggono da loro stessi e si incagliano in un sogno finito.
Si rassegnano.
Francesco non è fuggito da se stesso. Si è guardato dentro, nelle profondità del crocifisso di San Damiano, nell'esistenza mutilata di un lebbroso, nel libro della natura, nella spontaneità fresca di Chiara, e si è scorto appieno.
Un fragile cieco, corazzato di paura
Era cieco.
Lamentava un velo sugli occhi.
Il velo della paura, della rassegnazione.
L'ha scostato.
E ha visto, ha tastato, ha respirato, bruciandosi i polmoni, la sofferenza. Le brume lattiginose sulle vigne. La rugiada iridescente ingioellante i prati. Le foglie mollicce e vizze che trascolorano in cangianti gialli e ardenti carmini.
Ha carpito il segreto sotterraneo della vita.
La chiave della santità.
«Folle! Il ragazzo è folle!»
«Rinchiudetelo! Sbattetelo in galera!»
«Mai vista una disobbedienza simile... che vergogna...»
Folle? Assicurato. Gorgoglia una nuova ondata di riso sulle sue labbra.
La santità è la follia di seguire un Dio che è stato folle a tal punto da scegliere di essere uomo.
Si incontrano in una radura screziata di sole nei boschi fitti del Subasio.
Francesco e Chiara.
Vagano sotto i raggi filtranti tra le cupole verdeggianti, in un rigoglio idilliaco di papaveri e grano e fiordalisi. L'atmosfera elettrica, carica di tensione. Come se il turbinio di emozioni del momento scalciasse per esplodere, pestando il ventre dell'etere, e scagliarsi fuori, a confondere il mondo.
Uccellini cinguettanti incorniciano quell'ameno luogo d'appuntamento. Possono rischiare ora. Sono fratello e sorella, non più due mascalzoni in combutta, architettanti un piano di fuga e consacrazione segreto per lei.
Frate Francesco e Sorella Chiara.
È questione di secondi.
Questione di sguardi.
Non intercorre parola.
Ingombrerebbero soltanto, le parole.
Le loro anime palpitano, i loro cuori battono, ingovernabili, all'unisono - il cuore è una belva, per questo è trattenuto in gabbia, non per proteggerlo, ma per proteggere gli altri - e l'universo si concentra.
Il cielo e la terra si baciano.
Sarà quello il loro bacio, il sigillo del loro amore. Un bacio mai dato che però riconcilia cielo e terra, immortale e mortale. Un bacio incontaminato.
Un bacio incendiante il firmamento di stelle.
Scaturito da uno sguardo che attraverserà i secoli, scalzerà il predominio del tempo, soffierà via la polvere degli anni. Un amplesso mistico dove ogni cosa esiste in sovrabbondanza, sprigiona amore, amore, amore.
Amore rivolto al Creato. Tributato a Dio. All'uomo.
L'uomo... una scheggia di quello specchio infranto dove ci si riflette l'Eterno in un dipanarsi ininterrotto di generazioni...
Francesco avanza verso Chiara.
Chiara procede verso Francesco
I loro sguardi collimano.
Il paradiso ridiscende in terra.
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