Bagliori di luce... tutta la luce del mondo

"Tutta la luce del mondo" di Aldo Nove

Un romanzo stupendo, di cui ho avuto modo di parlarvi già in altri momenti. Uno tra i miei libri preferiti. Certo, come tutto, non è perfetto. Ricalca sempre l'onda del "Angelo si è allontanato da Francesco e non l'ha considerato più suo fratello fino alla fine" (non vera, come sappiamo) e le ricerche su Piccardo e Giovannetto sono quel che sono. Ma lo adoro comunque, traggo molta ispirazione per scrivere i miei deliri da questo libro.

Tratta di Piccardo - una rara occasione che qualcuno lo consideri - incuriosito dai racconti e dalle voci che circolano su questo zio strano, matto, santo e, deciso a conoscerlo, parte in segreto alla volta della Verna, apprendendo, lungo il tragitto, di vari personaggi che hanno animato la vita di Francesco, da Frate Leone a Bernardo di Quintavalle a Chiara e altri. Il tutto sullo sfondo di un Medioevo magico, stravagante, prorompente, più simile a noi di quanto potremmo immaginare.

Non mi appartiene nulla, sia ben chiaro, solamente ci tenevo a condividere con voi alcuni estratti di questo libro meraviglioso❤️❤️❤️





«Tuo zio è fidanzato.»

«Ma cosa dici?»

«Lo sanno tutti.» disse Benedetto strafottente.

«Con chi è fidanzato?»

«Con quell'altra santa famosa.»

«Tu bestemmi.»

«Tu sei uno stupido.»

«Morirai all'inferno!»

«No... All'inferno ci andranno tuo zio e la sua amica.. »

La fidanzata di suo zio...

Questa cosa proibita delle persone fidanzate turbava da qualche mese Piccardo in modo speciale. Come stesse fiorendo in lui. Sapeva tutte le storie dei peccati mortali e sapeva che una donna nuda molto bella era la cosa più bella e insieme pericolosa del mondo, che porta gli uomini alla pazzia e poi all'inferno.

Sapeva del resto cosa fanno gli uomini nudi con le donne nude.

Lo vedeva fare tutti i giorni nei cortili e nelle strade dai cani, dai cavalli, dai maiali. Quella cosa da animali che fa diventare gli uomini animali e che pure riempie di dolcezza la vita mentre la fa diventare complicata.

Una volta Piccardo aveva visto una donna nuda dalla finestra di una casa di un vicino e gli era venuto il sudore e pregava tutto il giorno e poi la notte ci pensava e non riusciva a dormire. Capiva che non doveva pensarci e ovviamente ci pensava sempre, e il suo cuore si infiammava, e per quello si immaginava già all'inferno.

Il giorno di quella discussione Benedetto e Piccardo erano seduti su un muretto di piazza del Macello, all'angolo di via san Paolo, lì dove c'era un fondaco abbandonato in cui i bambi giocavano spesso a nascondino.

Scendeva la sera allora e i due indugiavano a raccontarsi storie.

Piccardo aveva sentito spesso parlare di quella donna, Chiara, che aveva seguito suo zio nel mistero della sua vita. Era anche lei venerata come una santa, ma a differenza di suo zio Francesco, che era stato anche nella terra degli infedeli e prima di ritirarsi aveva viaggiato in tutto il mondo cristiano, viveva reclusa da anni in un eremo.

Si diceva che i due si incontrassero spesso.

Certo Francesco andava a trovarla. Poi la gente mormora, e Piccardo fin da quando aveva memoria di sé aveva sentito questi mormorii.

Quando Piccardo rimase turbato dalla visione di quel donna nuda andò a parlarne con padre Luca, un prete amico di sua madre che spesso gli raccontava storielle edificanti e che l'aveva tenuto a battesimo nella chiesa di San Lorenzo. Era un uomo basso e curvo, molto anziano, e gli ispirava fiducia. Padre Luca, alla storia di Piccardo, rimase ponderoso, in silenzio, per qualche istante.

Poi gli disse di seguirlo in sacrestia. Lì aprì l'antina di un mobile. Spostò alcune reliquie e prese un bassorilievo ligneo dove era raffigurata l'immagine di una donna molto bella, con i capelli lunghi, che si pettinava guardandosi allo specchio. Allo specchio era riflesso il Diavolo che mostrava il sedere.

«Hai capito?» gli chiese padre Luca.

Piccardo deglutì. E fece segno di sì con la testa.

C'era, tra Benedetto e Piccardo, quello strano misto di avversione e simpatia che contraddistingue i capi delle bande avverse di bambini. Pareva quasi che a Piccardo piacesse, farsi punzecchiare da Benedetto, rampollo di una famiglia del resto molto vicina a quella dei Bernardone per condizione sociale, i Morescotto. Suo padre Bernardo era commerciante di spezie, e i loro genitori si incontravano spesso perché Bernardo procurava ad Angelo certe tinture orientali con cui si trattavano le stoffe.

Benedetto, come ogni bambino, sentiva con istinto cinico e innocente allo stesso tempo il dramma che Piccardo viveva, la lacerazione della sua famiglia, nel tempo che trascorreva per tutti e per loro era invece come incessantemente interrotto e complicato dalla presenza inaudita dello zio santo.

«Ma tu sai cosa vuol dire, santo?» chiese Piccardo a Benedetto.

«È uno strano, che prega.» rispose l'altro alzando le spalle.

«Tutto qui?»

«Uno strano che prega e parla con gli animali come i matti. Cose così.»

«I matti parlano con gli animali?»

«Non solo i matti.»

«E chi altri?»

Piccardo si era davvero stufato.

Strinse i denti e tirò all improvviso una sberla a Benedetto facendolo quasi cadere dal muretto dove erano seduti a cavalcioni. Non l'aveva mai fatto. Benedetto reagì subito prendendolo per la maglia, restituendogli la sberla. A Piccardo bruciavano gli occhi, aveva voglia di piangere e al contempo di dare una lezione alla tracotanza del bambino che lo stava offendendo.

Ma qualcosa lo trattenne.

«Smettiamola qui.» disse.

« Hai paura?» lo sfidò Benedetto già pronto al combattimento.

«Non ho paura. Tu parli così perché non sai nulla.»

«Io so quello che sento.»

«Che senti da chi?»

«Dalla gente. Tutta.»

«Tutta non è vero.»

«Be, quasi tutta. Che tuo zio e quell'altra santa siano innamorati lo dicono proprio tutti. Poi ci sono le altre storie.» disse Benedetto ancora con il fiatone, provando a cambiare argomento. «Miracoli e cose di questo genere. Certi ci credono. Ci sono quelli che credono a tutto quello che dicono i preti e le vecchie che stanno sempre in chiesa. Le vecchie che stanno sempre in chiesa lasciamole perdere. Ma i preti si sa che vogliono vivere sulle spalle degli altri. Lo fanno solo per ricevere le elemosine e non lavorare. Poi con quelle costruiscono le loro chiese. Bello vivere così! E proprio tu, che fai parte di una famiglia che ogni giorno si guadagna il pane come la mia, dovresti restare lontano da quella gente. Sono tutti falsi.»

La tregua tra i due bambini era solo apparente. Benedetto cercava solo di ferirlo da un altro punto di vista.

Il mondo dei santi...

Il mondo dei mercanti...

Era questo il capogiro della terra in quei giorni, tormentata dal cambiamento che sulla propria pelle viveva. Un capogiro in cui Cristo da una parte e i soldi dall'altra sembravano separare per sempre l'unità di un mondo che aveva smesso di essere uno.

C'era l'esuberanza delle famiglie come quelle di Piccardo e Benedetto, che attraversano il mondo raccontando di incredibili storie oltremare, e tutto era meraviglioso e nuovo, e si poteva vendere e comprare. Non più i castelli soltanto arroccati lontano nelle loro inaccessibili corti e non più soltanto la distanza misteriosa degli eremi e i riti austeri in latino nelle chiese.

(...)

«Tuo zio bacia i lebbrosi.». disse allora Benedetto.

Anche questa l'aveva già sentita. Sua madre gli aveva spiegato che era una cosa bellissima, che solo Gesù prima aveva fatto. E lui ne fu orgoglioso, anche se un po' gli veniva da vomitare.

«Mio zio vuole bene ai poveri perché il regno di Dio è loro.»

«Quale regno di Dio?»

«Perché parli così?»

«Come fanno i più poveri ad avere un regno? Se sono poveri...»

«Infatti non è loro, è di Dio.»

«E allora cosa c'entrano, i poveri?»

(...)

Come un piangere.

Quello del bambino che ha un bisogno infinito d'amore, e non si placa, non si placa mai.

Chiara raccontava spesso un suo sogno. Un sogno impossibile, che faceva tremare. Aveva sognato che Francesco l'allattava. Lei piccolina era completamente abbandonata al seno del santo che la nutriva, come una madre.

Doveva andare.

Aveva diciotto anni.

Attendeva la notte.

Quella notte.

Allora non ci sarebbero state più le cose di prima. Già da tempo era come se fossero stanche d'esistere, le cose. Quello era il mondo di Chiara, e si allontanava da lei. La stanchezza del mondo che non ce la fa più a sedurti perché qualcosa di più forte è arrivato e ti ha presa.

Era finito il tempo di prima.

Chiara era bella.

«Bella di volto e di corpo.» dicevano ad Assisi

Aveva molti pretendenti.

Chiara di Favarone di Offreduccio di Bernardino era l'orgoglio della sua famiglia, il virgulto della nobile casata che in lei si sarebbe rafforzata, come una quercia, mettendo radici potenti e spodestando gli altri blasoni della città. Si trattava, da anni, per tutte le donne della sua famiglia, di organizzare un matrimonio, il migliore possibile e su questo convergevano le forze dei suoi genitori. Un marito degno di lei, di loro, nella languida catena che lega generazione dopo generazione e si immagina, se fa le mosse giuste, sempre più forte, fino a regnare sul mondo, fino ad abbandonare le incertezze della vita e i suoi dolori.

Edificare la propria famiglia come un castello inoppugnabile e lì dentro vivere lontani dalla paura. Perché sempre la paura rischia di prendere il sopravvento, nell'alternarsi della sorte, e Chiara aveva dalla sua parte la bellezza, il più grande patrimonio di una donna oltre allo stemma della sua famiglia.

O per guerra o per amore si deve trionfare.

Dentro Chiara la guerra era finita da tempo, e l'amore era incominciato da quando, ancora ragazzina, sentì Francesco  parlare nella chiesa di San Rufino. Lui, che era uno degli uomini più ricchi di Assisi e aveva voluto perdere tutto, le aveva insinuato il dubbio che non ci fosse nulla da perdere, nella vita che le si prospettava, e che di quel nulla bisognava sbarazzarsi. Il nulla tracotante di tutte le vite prima di lei, della sua stessa vita prima quel momento.

Come un rapimento.

Sentiva che Francesco l'avrebbe presa per mano.

Ma non come i suoi pretendenti.

L'avrebbe condotta assieme a sé dinanzi a un mondo che cresceva, dolcissimo, in quella meraviglia che la mitezza delle sue parole spandevano ovunque. Parole di pace e rasserenamento.

O per guerra o per amore e allora per amore, pensava Chiara, per amore, sempre più forte lo sentiva, per amore, ma un amore che fosse più grande, il più grande possibile, tanto da aprirsi al mondo senza condizioni.

Questo era per lei il messaggio di Francesco. Una libertà che non si può immaginare, ma soltanto vivere.

Vivere in un modo che nessuno aveva sperimentato prima.

Nessuno di umano.

Di solamente umano.

La vita di Gesù Cristo.

I preti la consideravano troppo alta da potere essere imitata.

Francesco, per Chiara, non la imitava, la viveva. Semplicemente.

E semplici erano le sue parole e i suoi gesti. E semplice fu la sua decisione, e salda.

Doveva andare.

(...)

«Non fermarti, Chiara, non fermarti...»

Non si capisce se il batticuore è di dentro o è di fuori quando non hai più il fiato ed è buio e hai il cuore in gola e ogni cosa è per la prima volta. La prima volta che lasci alle spalle tutta la tua vita perché non era tua, quella, o forse lo era troppo, miseramente tua.

Chiara correva verso non più se stessa.

Sentiva ogni battito del cuore come un piccolo dovere che stava nascendo e che sarebbe cresciuto inaudito, ma ancora era fragile, doveva attraversare il bosco e la strada verso la chiesetta dove l'aspettavano Francesco e i suoi fratelli era ancora più lontana, quella notte, perché di notte tutto esce dal tempo e tace, gravido di giorno e delicato.

Non più se stessa era la luna che squarciava il buio tra gli olivi a intermittenza, la luna era il sole di quell'unica volta trasfigurata per sempre, quella domenica dell'anno di grazia 1211, la più sconvolgente domenica della sua vita, e l'elegante abito che aveva indossato per la cerimonia liturgica le rendeva più difficile la corsa.

La Domenica delle Palme.

La settimana della Passione.

Prima della Resurrezione.

Stava morendo.

Stava morendo al secolo, Chiara.

Lo faceva deliberatamente. Come Cristo che entrando in gloria a Gerusalemme sapeva dentro di sé che sarebbe stato quello, l'inizio del suo determinatissimo viaggio verso la morte e che la morte era solo l'anteprima del sempre, e che i santi sono morti in vita propria, a maggiore gloria della vita intera.

«Non fermarti, Chiara, non fermarti...»

Piangeva, Chiara, piangeva in impossibili sorrisi, piangeva di paura e gioia, come una pazza, piangeva di aver scelto tutto, senza scegliere quindi, ma semplicemente accogliendo di più, tutto quello che poteva accogliere, il destino.

Questo le aveva trasmesso quel ragazzo impossibile che tutto aveva abbandonato e che ora la stava aspettando, aspettava lei, proprio lei.

Lei. Sarebbe arrivata.

Stava arrivando.

Tutta la sua vita le scorreva davanti mentre il freddo le entrava in corpo ticchettando l'ineluttabilità delle cose e la loro bellezza, come l'afrore forte del rosmarino bagnato di rugiada misto alla terra e quello selvatico di chissà quale animale, nell'oscurità, a separarla ancora da Francesco. Si ricordava di quando per la prima volta gli occhi di un uomo l'avevano guardata in modo diverso, e come quello sguardo poi si fosse ripetuto, sempre uguale. Uno sguardo che compie gli anni a venire, il segreto che perpetua la vita, indicibile, pieno di peccato e necessario e bello e poi... ma poi lo sguardo di Francesco, uno sguardo che lasciava che tutto entrasse pieno di grazia negli occhi così che gli occhi tutto riflettessero e nulla, in quel riflesso, era male...

(...)

Il Medioevo non è mai finito.

Con più forza si rappresenta ogni volta che un simbolo unisce i punti della vita. È un afflato dell'anima che cerca il distacco e l'unione, il distacco da ciò che sente parziale e l'unione con ciò che sa eterno. Ma l'eterno si frastaglia tra le cose fino a rendersi irriconoscibile. Allora ovunque sventolano sue provvisorie bandiere, ne spuntano ovunque di fasulle e in milioni le seguono fino a che con esse non si disperdono in qualche meandro del tempo, solo gente, solo carne della dimenticanza.

Il Medioevo è un gesto del pensiero.

Un gesto radicale, che rifiuta le vie di mezzo, e volentieri brucia nel fuoco per rigenerarsi, e come una salamandra si raffigura, nel fuoco si trasforma, nel ferro delle armi e nelle macerazioni dell'anima, con una sete insaziabile di verità.

In un continuo viavai di anime in trasformazione: «Colui che arde non ha freddo, e colui che annega non ha sete.» scriveva la beghina Margherita Porete, arsa sul rogo come eretica a Parigi nel 1310. «Queste anime ardono talmente nella fornace del fuoco d'amore, che sono divenute propriamente fuoco, e così non sentono affatto il fuoco, essendo fuoco in se stesse, per la virtù d'Amore che le ha trasformate in fuoco d'amore.»

Il Medioevo era un mondo in trasformazione.

Non aveva mondo a sufficienza per ritenersi compiuto. Si sapeva in viaggio. Non si era ancora del tutto disvelato a se stesso, e quasi interamente si immaginava. Le sue zone d'ombra lasciavano che la luce filtrasse in abbondanza da altrove, e che luce e buio si alternassero. Mai nessuno ha capito la luce. Può soltanto accoglierla. Può bruciare con essa, trasformarsi in essa.

Venne poi l'idea che tutto dovesse essere illuminato dal suo concetto, dalla sua idea.

L'idea di luce allora vinse il fuoco della luce, e se ne scrissero libri, se ne costrinse in gabbia la forza senza capirne alcunché. Furono i secoli più bui della storia. Una sorta di Medioevo rovesciato che non ha fine, una recrudescenza inesausta della sua ombra pietrificata, levigata, stravolta. La luce non fu altro che l'emanazione delle cose così come l'uomo le aveva pensate, il loro doppio in vendita, la teologia arida dei mercati sfavillanti, chiusi nei loro inaccessibili conventi.

Il Medioevo era il tempo dell'attesa.

L'attesa è il tempo degli innamorati.

Quando qualcosa non c'è ancora ma sta per essere, e non è detto che sia, perché come tutte le cose è capricciosa, e può non venire, può essere immediata o può fare attendere all'infinito, come compiersi nel momento più inaspettato. L'attesa è il regno dei segni, che si moltiplicano per indicare la strada incerta, ancora da percorrere ma evidente, nell'evidenza del desiderio e dello slancio.

Il Medioevo era in tutto esagerato.

Inaffidabile al momento.

Come i mostri dell'Etiopia non si sapeva mai che forma potesse assumere, si ribellava all'ordine perché ne cercava sempre uno più alto, e a quello mirava, cercandolo ovunque, con slancio che non prevedeva ritorni.

Nascervi era un errore necessario per chi non aveva avuto in sorte di essere un angelo o una stella, e la lontananza era la sua dimensione. Una lontananza che ciascuno poteva provare a compiere anche se incerto era il viaggio, e il viaggio era tale proprio in quanto incerto, ogni scommessa era mortale, ma mai al punto da essere definitiva, ma mai da non potersi in alcun modo rettificare.

Nel Medioevo il centro era dovunque.

E incerta la periferia da attraversare, come una ragnatela da cui le anime cercavano un'emancipazione che le sottraesse alle fauci del ragno che attorno a loro costruiva la morte, e la morte altro non era che un eterno paragone.

Francesco di Bernardone, nato ad Assisi nel 1182 e ad Assisi morto nel 1226, è stato l'uomo più grande che ha attraversato il Medioevo e il tempo infinito delle attese, e il tempo tutto amandone la meraviglia delle diversità, e come tutta la luce la attraversi.

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