Angelo

Papa c'è poco, a casa.

I suoi viaggi per le Fiandre durano mesi. È amaro il sapore della distanza e poi dolce quando il tempo si accorcia e Angelo intuisce che mancano pochi giorni al suo arrivo.

Lui e Francesco si siedono, pigiati, sull'uscio di casa ad attendere che dietro l'angolo da un momento all'altro il padre sbuchi coi cavalli e i carri zeppi di stoffe e varie mercanzie e regali per loro. Giocattoli. Libri. Sono merce rara e preziosa i libri. Costano. Papa dice che salassano la scarsella, ma fruttano tanto.

È bello allora corrergli incontro, assaltarlo, o anche tendergli agguati dietro l'angolo del fondaco, abbracciarlo forte e sentirlo raccontare le sue storie sulla Francia, dove staziona in taverne, osterie, bettole o con le carovane dei mercanti. Anche se si ferma sempre per pochi giorni, poi, a casa, sempre davvero troppo pochi giorni e il tempo che dedica a Francesco e Angelo pare poco. Poche le carezze, pochi i minuti di spensieratezza passati assieme, al tavolo, al fondaco, dietro il bancone

Papa ha gli affari da sbrigare, tessuti da vendere, contratti da siglare, soldi da investire, e per Angelo l'immagine più comune diventa, man mano che si accumulano gli anni, quella del padre che appena arrivato scarica sacchi pieni di roba sulla tavola, e tutti ne mirano stupefatti il contenuto, orgogliosi. Più roba Papa porta più si ricorda che staranno bene, così che ogni viaggio si tramuta in un approvvigionamento che esorcizza la povertà, bandendola, scongiurandola, perché grazie alla Francia loro non sono poveri, ma sono la famiglia dei Bernardone.

Francia è la terra d'origine di Maman.

Maman parla francese e gliel'ha insegnato a lui e Francesco.

Francesco reca impresso nel nome la Francia.

Come un calco da riempire, un timbro d'appartenenza, un sigillo di garanzia. Come un vaso di terracotta da colmare con l'acqua del successo. Detesta quando gli puntualizzano che il suo vero nome sarebbe Giovanni.

Francesco sbuffa, pensa che è barboso, antiquato.

Papa l'ha cambiato.

È nato quando Pietro di Bernandone tirava somme e mercanteggiava alle fiere francesi e Papa ha desiderato che la benedizione della terra dei suoi floridi affari, delle sue dorate fortune, si stenda su quel primogenito largamente atteso - sette anni di tentativi, sette anni di pene e patimenti, di novene e sogni infranti, sette anni di matrimonio sterile - per sempre, fin dal nome che per tutta la vita lo accompagnerà.

(Però di quel figlio alla fine gli rimarranno soltanto il nome e i vestiti sfilati e restituiti e l'imbarazzo cocente, la derisione del paese in una piazza gremita.)

Il francese, però, è vellutato sulla lingua e scorre sinuoso, elegante.

Anche strano.

Il francese è una lingua strana con tutte le parole che terminano prima, oppure terminano, recise, all'improvviso. Questa è l'impressione che sente Angelo e un giorno ha chiesto a Papa se questo sia giusto. Papa, sorridendo bonariamente, gli ha risposto che in qualche modo sì, perché i francesi non hanno tempo da perdere e per quello non perdono neanche il tempo di dire le parole, dicono quelle che sono abbastanza per fare gli affari. Mentre i preti, ha soggiunto, hanno tanto tempo da perdere e vanno in giro bighellonando per strada e ne dicono troppe, anche a sproposito e lì il discorso si è interrotto, che doveva servire la moglie del podestà venuta per ammodernarsi il guardaroba con le ultime esportazioni d'oltralpe.

Il tempo è denaro.

Non lo si perde in chiacchiere.

Eppure Angelo vede Francesco perderlo in ballate e notti brave in taverna e su quello Papa non batte ciglio. Sostiene che la gioventù va goduta e ne ride.




Hanno mantenuto intatta la sua camera.

Intoccabile per Maman, quasi al pari d'un'edicola votiva. Cristallizzata all'ultimo giorno che Francesco vi trascorse al suo interno.

Angelo non riesce a varcarne la soglia.

Fa troppo male.

Il cuore gli si stritola, le lacrime pizzicano, colano, inarrestabili. Un groppo di... di cosa? Rimorso? Odio? Un nodo di emozioni combattenti, variegate, brucianti, emozioni che cozzano, disputandosi il primato del suo cuore, gli occlude la gola.

È tutto rimasto immutato.

Fermo.

Come se Francesco dovesse rincasare da un momento all'altro.

Che belle menzogne propugna il subconscio!

(Maman è sollevata: Francesco parla con qualcuno. Chi? Chi è riuscito a cavargli qualche parola di bocca? Angelo non può crederci. Dal ritorno da Spoleto suo fratello non spizzica favella e ora, improvvisamente, qualcuno, qualcun'altro, qualcuno che non è lui riesce a smuoverlo. Chi? Chiara, risponde Maman, al settimo cielo, confortata da quell'amicizia dai contorni impensabili. Chiara? La ragazzina dello Scifi? Angelo ghigna segretamente di rabbia, fumante di gelosia. Gli Scifi sono clienti abituali, compratori esigenti delle loro merci, ma quella smorfiosa che c'entra? Francesco dovrebbe aprirsi con lui, che è suo fratello, carne della sua carne, una parte di lui fin dall'infanzia. Non con un'insipida seconda figlia in una caterva di femmine. Chiara Scifi non ha niente di peculiare. Angelo sì: è suo fratello.)

Cosa allora manovra i suoi passi, ogni mattina, fino a quella porta sbarrata? Quale entità indirizza la sua mano a posarsi su quella maniglia, senza poi concludere un fico secco? Potresti entrare e rivivere i giorni agrodolci che furono. I giorni affondanti come relitti, polverose anticaglie. Potresti e ti sentiresti meglio.

O no?

Francesco ribaldo e cortese. Francesco sfegatato ammiratore delle gesta dei cavalieri. Francesco re incontrastato delle feste, sovrano dei sollazzi notturni d'Assisi, Principe della Gioventù! Francesco, determinato a migliorare la sua condizione sociale, a scalare i gradini della piramide e meritarsi un titolo, un blasone di cui fregiarsi, affrancarsi dalla nomea di commerciante e prole d'un usuraio.

Francesco, suo fratello, adorato fratello...

Esistono dei doveri Francesco, non tutti possiamo impazzire come te.

Potrebbe fare come Papa. Cancellare la sua esistenza. Rifiutarsi di nominarlo. Lui ha rinnegato noi e noi rinneghiamo lui, due pesi due misure. Se l'amore di un genitore non è bastato, se non ha aggiustato i rottami della sua anima, allora che marcisca da solo, quel catorcio! Al diavolo, mascalzone rovina della famiglia! Papa ha dato tutto, sacrifici e viaggi pericolosi e tira e molla su prezzi, cifre, somme. Ha risparmiato, negato elemosine, ha contato monete tintinnanti, incamerato, requisito da indebitati inaffidabili delle loro promesse. E così viene ricompensato?!

Quel piantagrane perdona ladroni, ma non l'amore di un padre?!

Angelo non lo sa. Sa solo che Francesco è felice. Splende di una ritrovata, contagiosa felicità. È felice senza di lui. Senza suo fratello.

Sta bene anche con Angelo tagliato fuori, scucito dalla sua vita.

Non sarà lui a ricucire lo strappo. È Francesco che sbaglia...

Vero?

Quando Vanna lo informa della gravidanza, il loro primogenito in arrivo, è tentato di scendere a Santa Maria degli Angeli e annunciare a Francesco che diverrà zio.

Veramente, lo è davvero.

Ma lo scorge da lontano ridere e cantarellare mentre lava un gruppo di nauseabondi, ributtanti lebbrosi. Lui e la sua banda di screanzati dal cervello spappolato.

Così li sbeffeggia Papa.

Potrebbe andare da lui. Pochi passi e le distanze si accorcerebbero. Una frase. Solo una frase. Diventerai zio. Basta poco. Coraggio.

No.

Francesco è in compagnia dei suoi fratelli.

Tremando di rabbia, di colpa, d'odio - odia suo fratello, odia la disciplina alle botte di Papa, odia la sua stessa codardia, perché è stato in silenzio, in disparte, un'ombra, e l'ha lasciato impazzire, l'ha lasciato degenerare - Angelo scappa via, risalendo in città. Smette di correre solo approdato in casa, su, ai piani superiori, nella camera che appartenne a Francesco. Sbatte la porta con un tonfo.

Si accascia sul pavimento.

E ricaccia il gemito giù per la trachea, sopportando il dolore, il fuoco divampante, il rimorso che lo scuoia, sbrindellandogli il cuore.

Lacerto dopo lacerto.




Rende liberi riappacificarsi. Voltare pagina significa rinascere.

Riabbracciare Francesco lo scagiona da invisibili catene.

Lo aiuta. Assunto in comune, alternando il servizio in bottega a quello alla propria comunità, Angelo supporta gli interessi e i bisogni dei Frati Minori, come ormai sono ufficialmente nominati i discepoli di Francesco, osservanti della sua dottrina. Loro portavoce, rappresentante nelle sale civiche, presso il vescovo o il podestà.

Francesco si fida di lui. Francesco non ha mai smesso di volergli bene.

I suoi figli lo idolatrano, ammiratori di quello zio diverso da tutti gli altri zii. Uno zio comunicante con il Creato e intrepido ambasciatore di pace nei ranghi degli infedeli. Uno zio un po' svitato, ma uno svitato divertente e buffone, goliardico eppure terribilmente devoto, che si accolla i malesseri di tutti, spandendo carità e amore.

Il cuore di Angelo si amplia.

Tuttavia...

Gliela pone una sera, quella domanda, terminata com'è la sessione nell'agone politico di oggi. È in visita alla Porziuncola, Vanna, Maman e i bambini accodati, e Francesco, lontano dal trambusto della cena tra frati, monelli e indigenti, sta spaparanzato nell'erba sospirante di vento, la volta celeste scintillante sopra di lui.

Angelo lo raggiunge. Si siede a gambe incrociate al suo fianco. Francesco scruta il firmamento, le braccia allacciate a sorreggere la nuca.

Guarda altrove, ma percepisce il suo disagio. «Che ti turba fratellino?»

Un qualcosa che tu non potresti predire.

«Secondo te rischio di diventare come Papa?» geme strozzato Angelo. Un pulviscolo di lucciole volteggia sopra i cespi verdi e umidi. «Aggressivo e... e autoritario, che impone ai propri figli doveri da rispettare e linee da non superare?»

Francesco allarga il braccio. Un invito.

«Vieni qui Angelo.»

Lo fa. Si accovaccia dentro il suo abbraccio, accoccolato, praticamente appiccicato a Francesco. Come una volta. Come quando erano piccoli.

Protetto da suo fratello si sentiva invincibile, al sicuro...

Il respiro di Francesco è uno sbaffo caldo. «Guarda le stelle.»

Puntini luminosi, costellazioni, bussole di luce e pianeti, strumenti dell'armonia impercettibile udibile solo da orecchi fini.

«Riconosci una che sia uguale all'altra?»

No. Sono fiocchi di neve, unici, differenti. «Ognuna è diversa.»

«Esatto fratellino.» Francesco lo stringe a sè, placcandolo al suo torace. Il tessuto grossolano del saio prude contro la guancia. Ma il cuore di Angelo si allarga, le costole si espandono, ammorbidendosi. Inala l'amore di suo fratello. «Ognuno riluce di bellezza propria, non ricopierà mai il luccichio altrui.»

Lo spera.

(Quando gli renderanno nota la loro ultima e terza gestazione, a sorpresa, poco prima che Francesco si ritiri sulla Verna, lui strabuzzerà gli occhi. Vanna arrossirà e Angelo giudicherà confacente scherzarci. Dovevano testare un panno di broccato e si sono impegnati assai nella prova, oh sì...)

Perché è il loro padre che sbaglia, ha sempre sbagliato. Sbaglia ancora adesso, restio a riconciliarsi con il figlio squinternato, a sbraitare ogni volta che la conversazione vira su di lui. Faccende sue. Che rogni nel suo brodo. Francesco propende per la pace, lo incoraggia a compiere il primo passo, glielo ripete a manetta. Prova a erigere un ponte tu. Ma se l'altro lo abbatte che può farci? Angelo non vuole sprecare tempo dietro a un vecchiaccio astioso.

Solo che, se attacca il buon nome di suo fratello, del suo fratello ritrovato, dovrà difenderlo, giusto? Sono finiti i suoi giorni da marionetta paterna.

Alla freddezza paterna tanto vale, a questo punto, risponderci con altrettanta freddezza. Tanto è Pietro di Bernardone il colpevole.

È lui che non vuole abbassarsi a chiedere scusa.

Angelo è nel giusto.

Non è forse così?

No?




Lo scorge in una giornata uggiosa, laggiù, all'imbocco del vicolo, e rimonta, nitido, in lui un ricordo terribile, fosco. Francesco scagionato da Perugia, rimandato a casa ammaccato, febbricitante, avvistato da lui proprio in quella via, proprio lassù, che si reggeva storto al muro. Ora come allora spuntavano i visi dei vicini, dalle finestre, premuti contro le sbarre, le grate, a curiosare in strada.

«Bei compaesani che siete!» li rimprovera Angelo, accorrendo in soccorso del fratello. L'indomani il loro Santarello barcollante sarà sulla bocca di tutti. A venerarlo si prostrano lecchini, ma a intervenire non sollevano manco un dito!

«Francesco?»

Tiene gli occhi chiusi. La fronte poggiata ai mattoni. Un sorriso si delinea tra quelle guance dal colorito spettrale.

«Stavo solo riposando gli occhi fratellino, ultimamente sono molto stanchi...»

Perché li rovini a furia di scrivere, cancellare, correggere e riadattare quella dannata Regola. Perché Elia e Ugolino sono più invasivi di un nugolo di mosche. Perché sei maledettamente reticente a consultare dei medici, degli specialisti. Non che su questo ultimo punto avrebbe da recriminargli, nota quant'è la reputazione di alcuni ciarlatani, pronti a prescriverti pediluvio nello sterco di capra e altre diavolerie.

Lo agguanta per il polso, il vento ululante tra i cenci bucherellati di suo fratello.

«Scotti come un tizzone!»

Il sorriso muore. Francesco si lascia scivolare lungo la parete, cascando a terra, distorcendo l'allegria in una smorfia di sofferenza.

«Sono diventato come loro vero?»

I suoi frati novellini, esigenti modifiche, specifiche, Regole ferree e normative intransigenti. Che pretendono le comodità, i lussi, la reclusione lontana e asettica nei conventi. La letizia dei primordi s'è dissolta.

«No Francesco, certo che-»

«Li ho allontanati, esattamente come loro hanno allontanato gli uomini...»

Che si sogna la notte? «Ti sei soltanto ritirato per poter scrivere in santa pace!»

Suo fratello scatarra sangue, bollicine rossastre schiumanti sulle labbra.

(Col senno di poi è ironico pensare che lo stesso male li trasporterà in paradiso. Due anni dopo la sua morte, quando innalzeranno il fratello maggiore alla gloria degli altari, Angelo rientrerà dalla cerimonia e crollerà a terra, tossendo, e il colore di quel catarro macchiante il palmo sarà inequivocabile. Maman sbiancherà. Non può perdere un altro figlio, non così presto, non consumato dallo stesso male, coi polmoni martoriati in antri di sangue e muco. Il commento di Angelo? Su come Francesco gli abbia lasciato un regalo di consolazione.)

«Avevano bisogno di un padre e io, io...»

«Li hai accontentati!» È sordo? Non capisce? «Hai soppresso la tua visione per evitare spaccature e crisi di proporzioni bibliche! Per salvare l'Ordine dal disastro e dalla frammentazione più totale! Hai idea di cosa ne sarebbe stato di... di tutto questo, senza il tuo nobile sacrificio Francesco?»

Suo fratello lo guarda disperato, bisognoso di un appiglio. Di una sicurezza, con la barba rada un poco impiastrata del sangue espettorato.

«Allora p-perché mi sento così in colpa Angelo?»

La colpa è la lama della coscienza. Francesco ha un animo così puro, intonso dal peccato, dalla collera, che la minima crepa provoca ripercussioni.

«Perchè hai amato molto i tuoi figli, ma altrettanto hai amato la Povertà.»

«Madame Pauvreté...» mormora suo fratello, socchiudendo le palpebre. «Pardonne-moi... Madame Pauvreté...»

Prudente portarlo al caldo, al fuoco più vicino.

«Je te raméne chez toi François.» A casa, sì, a casa è perfetto. E che Papa si rimangi il suo grugno livoroso! Gli porge la mano, aiutandolo a issarsi a fatica. «Prends ma main. Tu veux du lait? Mh?»

«Lait chaud?»

«Oui François, lait chaud..




Glielo versa in cucina. L'arancione vivace di un fuoco crepitante tinteggia le pareti fuligginose, i sacchi impilati, gli utensili agganciati sulla cappa del camino. Pioggia picchietta all'esterno, l'apricore che si inasprisce dolceamaro.

Francesco se lo scola con lentezza, entrambe le mani avvolgenti la tazza di terraglia.

E sorride enigmatico nella sua direzione.

Angelo non resiste. Scoppia a ridere, ci manca poco che il latte gli vada di traverso.

«Che succede?»

Francesco inclina il capo, ridacchiando sommesso. «Ti voglio bene fratellino.»

Una frecciata trapassante il cuore ogni volta. Angelo percorre i pochi centimetri che li separano, accorcia le distanze - come le ha accorciato tempo fa - e lo circonda con la potenza del suo abbraccio. Fratello meraviglioso. Fratello santo a furor di popolo. Fratello ritrovato. Zio portentoso. Era lui la pecora smarrita, sfiduciata...

«Anch'io fratellone...» Le pieghe del saio attenuano la voce.

Pazienza se Papa non è favorevole a riallacciare i rapporti.

Ad Angelo basta e avanza avere Francesco di nuovo per sè.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top