Amore di madre

Giuro che sto mi preparando anche per la ricorrenza degli 800 anni del presepe di Greccio XD vi tormento, lo so. Ma intanto godetevi il frutto sudato di questo pomeriggio, volevo scrivere di Pica da un po' 🌝



Che non si dica che Ortolana non l'abbia avvisata.

«Ha passato una nottataccia da incubo, poverino. Vomitava, stava male, non ne poteva davvero più.»

Pica annuisce in silenzio, tampinando nel chiostro di San Damiano la matriarca d'un abbiente casato convertita in Povera Dama. Non si era costruita fantasie irrealistiche recandosi qui. Che il suo Francesco stesse male era intuibile, lo sanno tutti e Assisi si strugge, temendo per il suo Santarello.

Ma adesso... sente il respiro venirle meno. Vomito? François a vomi?

Come sta? È cosciente? Quanto ha rigurgitato? Ha accusato altro?

Si paralizza, perseguitata dalle peggiori paure, stringendo spasmodica il canestro di doni portato. Il suo bambino, il suo piccino, sofferente queste atrocità! Ortolana avverte che si è fermata e ritorna sui suoi passi. Anche lei è madre, il doppio rispetto a lei, del sesso opposto, ma comprende il suo turbolento stato d'animo.

«Pica.» la richiama dolcemente. «Adesso si è quietato, lo vedrai con tuoi occhi.» Le porge la mano, da madre a madre. «Vieni, coraggio.»

Pica si lascia condurre, addentrandosi nell'uliveto.

In una capanna angusta, stretta e sghemba, rami e frasche, il suo bimbo riposa, esangue, infagottato nel suo bozzolo di coperte, trapunte e cuscini, bagnato da spiragli di luce. Chiara sosta al suo capezzale e pone l'indice sulle labbra appena le intravede, ammonendole di fare silenzio. Si è appena addormentato.

«È reduce da una notte orribile, ha rigettato l'anima. Fate piano, vi prego.»

Pica gli si accosta col massimo della discrezione. È pallido, sudato.

François...

«Maman aspetterà che ti sarai svegliato mon trésor.»

Non manca mai a una promessa.




I panni e le lenzuola, stesi nell'uliveto ad asciugare al sole, sono appuntati sui fili con mollette di legno, gonfiate dal vento salente dalla vallata.

Ortolana, maniche rimboccate, lava, strizza, sciacqua, sbattendo i panni con l'impeto d'una flagellante sul piano in pietra d'una fontanella laterale, direttamente sotto il filo dello zampillo, marezzato di muschio, circoscritto da vasetti di vaporosi gerani, e risuonante di gracidii.

I panni vengono posti con cura in una capiente tinozza di legno, recipiente a forma conica e con larga bocca, piegati bene, panno sopra panno, coperta da un ceneraio generalmente un sacco di iuta o, più spesso, un modesto, semplicissimo lenzuolo, sopra cui viene depositato uno spesso strato di cenere.

Per dare profumo al bucato si ricorre volentieri all'utilizzo di alcune foglie di lavanda, di alloro o di rosmarino, raccolte nell'orticello del convento. Per rendere ancora più efficace l'azione sgrassante aggiungono gusci d'uovo tritati. Si versa sulla cenere l'acqua bollente colmando fino all'orlo la tinozza. Bolle scoppiettano, lingue schioccanti in vampante morbide, frizzanti in una soluzione di schiuma slavata.

Questo misto di acqua e cenere, filtrante attraverso i tessuti, è conosciuta come liscivia e viene fatta fuoriuscire dal buco posto alla base della tinozza.

La liscivia recuperata, in un procedimento secondario, viene di nuovo bollita e versata nella tinozza con un ciclo di riempimenti e svuotamenti che, Pica ha appreso dalle lavandaie della conceria, può sottrarre quasi un'intera mattinata di lavoro. Il bucato, quindi, lo lasciano in ammollo tutta la notte nel recipiente. L'indomani i panni, consueto in ogni cantina o casa della Penisola, vengono estratti, piegati e riposti all'interno dei cesti o delle canestre per essere portati al fiume o al lavatoio più a portata di mano, dove viene osservato il rituale del lavaggio e del risciacquo.

Pica segue incantata i movimenti di Ortolana, sgrassante le vesti con il sapone fatto in casa, le strofina vigorosamente, cancellando macchie e tracce di sporco, le risciacqua, strofinando e sbattendo ripetutamente i panni sulla pietra. Una signora, una nobildonna di prim'ordine che si abbassa nell'umiliante servizio d'una sguattera.

E sorride. Non accusa stanchezza, non si lagna. Niente.

«Pensano che Francesco debba soggiornare in un centro disponente di cure più adeguate, Elia e i suoi.» la informa Ortolana, la pelle squamata e scottata dall'acqua torrida. «Corbellerie. Lui se la passa benissimo qui. I nostri ritmi sono lenti, calmi, dopo il suo viavai frenetico è quello che gli serve. Una panacea, fidati di me.»

Suo figlio è in buone mani.

Pica non ha mai dubitato della bontà d'animo d'Ortolana, di Chiara e delle loro consorelle. La madre una padrona aristocratica tutt'ad un pezzo, gentile e caritatevole. La figlia, quella ragazza attraente e vispa, che un tempo aveva romanticamente immaginato d'assortire in coppia con il suo François, è l'espressione più alta del disinteresse e del servizio. Trascorrevano ore assieme! Quale madre non s'insospettirebbe, presagendo fiori d'arancio?

«Lo spostiamo nell'uliveto, all'ombra, o nel giardinetto di Chiara.» prosegue Ortolana, strizzando e appendendo. «Almeno dalla tarda mattina fino all'ora di cena, con un intervallo nel pomeriggio per un sonnellino. O lo mettiamo a riposare, vegliato da qualcuno.»

Conoscendolo dormirà ben poco, apprezzando la compagnia.

«Chiara, i frati o mon Ange?» tira a indovinare Pica.

Ortolana annuisce e sciorina un lenzuolo, destreggiandosi tra i fili. «Costituiscono la norma. Gli leggono, gli raccontano, lo tengono impegnato.»

«E lui asfissia noi con le sue genialate inopinabili.» Chiara arriva, ansimando per lo sforzo, scaricando un cesto di sai stinti, logori. Il cambio di Francesco. «L'altro giorno si è impuntato di voler partecipare alla messa mattutina con noi. L'Eucarestia è il pane di vita, confermo. Ma non reggerebbe neanche cinque minuti. È troppo presto per lui. Francesco lo capisce? No. Si è fatto svegliare dai frati a quell'orario e trasportare nella cappella prima che noi sopraggiungessimo? Sì.»

Pica si prefigura com'è andata a finire. «È crollato?»

«Una sfida eroica per non cedere al sonno, ma, tempo poco, l'abbiamo riportato a letto.» Chiara s'incastra il cesto sottobraccio. «L'ho cambiato. Ronfa ch'è una meraviglia, la febbre sta calando. Preghiamo che lo abbandoni del tutto.»

Francesco e le febbri, un'accoppiata inscindibile da che Pica ne serba memoria. È sempre stato così gracile, cagionevole, il suo petit François...

Aguzza la vista, sbiancando. Il saio spiegazzato nel cesto è impiastricciato. Di rosso.

Rosso!

«S-Sang?» geme terrorizzata, additando la macchia conturbante.

Chiara la nota e, con fare evasivo, la copre, appallottolandola, nascondendola con una calza di quelle pesanti calzate dal suo bimbo.

«Il vomito di stanotte.» le motiva immediatamente, schiarendosi nervosa la gola.

Vomito... d'un rosso intenso? Il suo François vomita... oh Dio Santissimo!

«Il a vomi s-s-sang?!»

«Purtroppo.» Tutta qui, concisa, la risposta di Chiara. Si volta a comunicare con la madre. «Solita prassi. Li lavo io.»

E si defila, svignandosela all'interno di San Damiano.

Ortolana aggancia altre mollette. «Si riserva lei l'onore di lavare gli indumenti di Francesco. Credo per risparmiarlo dall'imbarazzo dell'avere i suoi mali sbandierati ai quattro venti. Non chiedermi dove se la sbrighi, segreti suoi. È carino però, denota tenerezza e vicinanza da parte di Chiara.»

Una voce roca, debole, irrompe non poco lontano.

«D-Dove...»

Pica sussulta. François! Il suo François è sveglio!

Sfreccia tra la biancheria stesa, intrufolandosi nella capanna. Suo figlio è un ammasso di pelli e coperte, intontito, tastante a casaccio. Si tuffa a capofitto su di lui, stritolandolo in un abbraccio, tempestandolo morbosa di baci sulla guancia.

«François, mon cher François! Maman c'est ici, c'est ici pou toi!»

«Eh?» bofonchia confuso nei brevi sprazzi di respiro. «Chi? Cosa?»

«C'est moi mon enfant!» esclama Pica, una pioggia a dirotto di baci.

Ma... i suoi occhi! Ch'è capitato ai suoi spensierati, bellissimi occhi grigi? Quella loro sfumatura lampeggiante carisma, penetranti, guardinghi, scombussolanti le tue solide fondamenta e ribaltanti le basi della tua vita. Un contorno rosso, irritato da graffi e stropicciamenti, simile a uno sfogo cutaneo, gli incrosta le palpebre, gonfie, schiuse a malapena. E l'iride! I capillari, i solchi delle occhiaie, i segni di... bruciature? Suo figlio è stato sottoposto a supplizi? A tenaglie arroventate?!

Il suo bambino... sta diventando cieco?!

«Dove sono i f-frati...?» mugugna pastoso.

«Fuori.» Chiara scivola nella capanna. «A mendicare ad Assisi. Torneranno prima di sera, stai tranquillo.» Gli palpa la fronte imperlata di goccioline. «La febbre è scesa, grazie a Dio.» bisbiglia furtiva a Pica. «Come ti senti Francesco, hai la nausea?»

«H-Ho fame...»

Pica ha quello che serve al suo stomaco! Srotola il fagotto, estraendolo dal cesto inseparabile. «Claire, servigli questo, gli piacerà.»

Una fetta del suo adorato pasticcio di gamberi invade con il suo invitante odore l'angusta capanna. La badessa annuisce. Una succulenta distrazione per Francesco.

Poi... oh! Se ne stava scordando! Dandosi della sbadata, Pica tira fuori anche la promessa contratta con Piccardo e Giovannetto. Il lupacchiotto di pezza, cucito da lei per i suoi nipotini, è stato generosamente devoluto allo zio infermo.

Lo posiziona sul torace del suo bimbo. «Dai piccoli mon trésor

I polpastrelli ne delineano la forma. «Un lupo?»

Un pensiero per allietare le sue notti. Lo zio si sentirà meno solo!

«Da Piccardo e Giovannetto.» chiarisce puntigliosa Pica.

Un sorriso fiorisce, vezzeggiando il pupazzo imbottito di bambagia. «Fratello Lupo...»

Chiara spartisce la sua allegria. «Sei contento? Per una giornata intera sei circondato solo e unicamente donne.»

«Dio me ne scampi...»

«Francesco!»

Era una battuta. Lui ride, un riso degenerante in tosse, soffocando nel suo stesso respiro, finché non è rattrappito su un fianco, impallidito di botto. La mano di Chiara preme, sbattendogli solidale contro la schiena finché Francesco non la smette di tossire, rovesciandosi all'indietro per sdraiarsi e ingurgitare fiato.

«Il Signore ci ha liberati dalle mogli...» gracchia roco, ma giulivo. Lo sbotto di tosse non l'ha spaventato. «... e il diavolo ci procura delle sorelle!»



Chiara rammolisce l'impasto del suo pasticcio di gamberi, lo discioglie e allunga con dell'acqua, spezzettando e ammorbidendo la crosta.

Il suo stomaco regge poco, motiva, e Pica non fiata.




Il suo bambino ha amato le chiese - le ama, è ancora vivo, respira regolarmente, fiacco, ma vivo e vegeto, vivo - e in una chiesa eretta dalla natura riposa.

L'ulivo spande la sua ombra. Chiara e consorelle hanno trascinato un materassino di sacco imbottito e qualche cuscino. Francesco, sorretto al fusto della sua pianticella, s'è rintanato con lei nella frescura informe e frastagliata. Suo figlio sta meglio rispetto a prima, constata Pica. Dal letto è passato all'esterno, una boccata d'aria, già qualcosa, giusto giusto per guadagnare un po' di colore su quelle gote pallide. Anche se all'ombra il sole trapassa ben poco.

Tiene la schiena sorretta da una miriade dei detestati cuscini, una coperta pesante stesa sulle gambe, la carnagione bianca come un petalo di camelia, le occhiaie meno evidenti, scolorite. Sorride al suo arrivo, il cappuccio calato sul capo.

«Maman...»

Maman. Oiu. Français. La lingua dell'infanzia mai del tutto rinnegata.

Forse suo figlio ha scoperto un modo nuovo per ritornare alla fanciullezza, ringiovanire e riassaporarne le prelibatezze, le piccole, incommensurabili gioie. Una seconda infanzia. Una primavera perenne. Non si rinasce se non ci rimpicciolisce al feto primigenio. Un paragone fortuito, pensa Pica.

Un sapiente del Vangelo - chi era? Nicodemo? - non interrogò forse Cristo, sottoponendogli un quesito simile? E Nostro Signore non sciolse forse i suoi dubbi, rispondendogli che la sua rinascita era intesa in acqua e spirito?

Lo Spirito e i suoi misteri...

«Je suis ici mon petit.»

Pica gli bacia delicata la mano tesa, stritolandola, non osando scostare il lembo penzolante della manica. Bacia la ruvidezza grezza del saio, percepisce la forma, gli incavi delle dita, un morbido rigonfiamento corrispondente al palmo. Bende? Guanti? Guanti con questo caldo? Qualunque cosa sia, non è di sua spettanza.

Doma l'emozione, prima di lasciarsi trascinare come prima.

«Je vais bien Maman. Trés bien.» si sbriga a rassicurarla, montando un sorrisone dei suoi. «Sono in forma smagliante.»

È ancora un bambino, il suo bambino. E il paragone si accentua al vederlo in questo saio enorme, quasi buffamente sproporzionato, privo del cordone identitario dell'Ordine fondato dal suo piccolino, così largo che un lembo della spalla gli casca giù, scoprendo il fregio delle clavicole, la corporatura macilenta e ossuta, stremata dalle malattie. Un petit François in una rivisitazione della camicia da notte. Gli occhi s'ingigantiscono, enormi, arrossati, le labbra color sangue.

In forma smagliante. Una battuta.

«Lo vedo.» Si siede al suo fianco, sul tappeto d'erba soffice. «Mais... come ti senti?»

«Viziato.» ridacchia gioviale il suo Francesco, meritandosi un'occhiataccia bieca da parte di Chiara, inginocchiata di lato. «Accudito, servito e riverito.»

L'amica rotea gli occhi. «Alla testardaggine estrema servono estremi rimedi.»

Francesco è sopraffatto dalla risata. Un suono soave, un trillo melodioso risanante gli acciacchi al vecchio cuore di Pica. Oh, la sua risata! La sua meravigliosa, eccelsa, stupenda risata! La malattia non l'ha sciupata o arrocchita. Vibra in un gorgoglio dolce alle orecchie come una candito provenzale al palato.

Francesco ride e il cuore di Pica ne esulta, festoso.

«Une mule!» Gli pizzica il mento con un buffetto affettuoso, la barba pungente tra i polpastrelli. «Sebbene en français sia femminile.»

«Oh, anche Chiara è testarda.»

Si becca un colpetto sulla nuca in risposta diretta allo sberleffo. «Francesco!»

«Quanto ci hai messo a imprimerti in testa di sospendere quei tuoi logoranti, debilitanti digiuni estremi e a seguire il mio consiglio?»

Chiara incrocia le braccia, arrendendosi. «Qualche... tentativo

«Tentativo o svenimento?» la incalza pestifero Francesco.

«Stiamo parlando di me o di te?» Chiara n'è ha fin sopra i capelli e lascia cadere il battibecco voltandosi a reperire le vivande. «Zero remore. Non propugnarmi frottole questa volta. Mangi tutto, da bravo.»

Che rigore!

La figlia di Ortolana non s'ingarbuglia in giri artificiosi di parole e lusinghe. Stavolta tocca a Pica ridacchiare. Chiara è diretta, non le manda a dire, ma sotto quella corazza imponente e un poco severa scorge la dolcezza materna che la contraddice. Amorevole, tenera e accorta. Una madre badessa, madre enfatizzata.

Riduttivo madre di San Damiano. Chiara è madre dell'Ordine. Una pianticella fortificata in tronco solido e radici profonde, attecchenti alla fonte di Cristo e irrigata dai rigagnoli di Francesco, regalante ombra e riparo a chiunque li mendichi.

Mescola la pappa macerata dal suo pasticcio di gambero, una grumosa poltiglia rossastra. Il cucchiaio si leva. Francesco serra, ostinato, le labbra.

«François...» Pica corre in soccorso di Chiara ancor prima che si levino proteste.

«Non ho fame Maman

«Devi mangiare se vuoi rimetterti in piedi mon petit!»

«È la tua pietanza preferita.» Chiara sa come giocarsi le sue carte. «Indovina.»

Suo figlio si rizza sui cuscini, raggiante. «I mostaccioli?»

I dolcetti alle mandorle di cui va ghiotto. Chiara si scambia con Pica uno sguardo divertito. Magari li avessero infornati! Ma no, quelli sono una specialità di Madonna Jacopa, Frate Jacopa, e la farina disponibile in cucina l'hanno sfruttata per preparare, condire e aspergere altre delizie.

«Una creaturina che nuota.» gli suggerisce Chiara.

«Rose François, un petit animal rose!»

Il suo primogenito si sistema contro la muraglia di cuscini. «Un ou une?»

Lecito chiederselo. Il suo idioma madre varia con i sessi. «Une

«Une...» Ci pondera sopra, la falda del cappuccio floscia e spenzolante, una bocca inghiottente l'esangue testolina del suo piccino. «L'écrevisse?»

Il gamberetto. Il suggerimento femminile l'ha aiutato. «Oui

«Un gâteau d'écrevisse?»

Pica gli centra la fronte con un bacio. Un tepore arde, languido, in fermento sotto l'epidermide. Una febbre novella, incombente sul delicato assetto della sua salute scassata. «Oui, ton plat préféré.»

«La torta di gamberi! Evviva!» Batte le mani, entusiasta, resuscitato dall'indolenza pigra e brontolona dell'inappetenza. «Ringraziamo il Signore!»

Da malato orienta sempre il pensiero a Dio. Pica gli ha insegnato bene. La devozione non si era estinta nei suoi bambini, solo... dormiva. E aspettava il tempo propizio per sbocciare. Un fiore che diffonde il suo inebriante profumo.

«Oui François.» Pica l'accarezza sulla fronte. Queste febbri maligne se ne andranno mai? Il suo bimbo, il suo fragile, tenero bimbo. Ossa di vetro e capelli di cristallo, baci di piuma e pelle di pergamena. «Ringraziamolo. Ma adesso mangia!»

«Maman

«Sentito la mamma?» Chiara strizza l'occhio a Pica, grata. «Mangia.»

La persuasione è un talento di Pica. Non se ne fa vanto. E non sa neanche se attribuirsi il cedimento di Francesco. Si decide a mangiare, comunque, che sia per influsso suo o insistenza di Chiara. Suo figlio apre bocca, rammolito contro la schiera esorbitante di cuscini, imboccato lentamente. Chiara aspetta che abbia masticato e digerito il boccone, dopodiché intinge il cucchiaio e rimonta con la cucchiaiata successiva. Quando Francesco lo richiede una coppa d'acqua lo disseta, infradiciandogli la barba, gocciolandogli lungo il mento.

La consorella lo ripulisce con il suo fazzoletto. Tocchi attenti, premurosi. S'è sbrodolato sulla coperta, una patacca rossastra. Non succede niente, la laveranno.

Per tutto il tempo Pica mantiene saldamente la stretta di mano con suo figlio.

Il suo bambino ha ripreso a mangiare come un bambino. Reticente, mai stato un ingordo, vorace di letture, non altrettanto di pasti e pietanze. Nelle feste indette al secolo contattava i cuochi provetti, soddisfava i palati più esigenti e raffinati imbastendo libagioni ricercate e insolite, curiose combinazioni in voga nelle corti francesi o innovative chimere di animali. I mercanti di vini passavano da lui, il Rex delle feste e dei lauti banchetti, lo spendaccione principe dei bagordi d'Assisi. Venivano pagati da Pietro, naturalmente, con immenso piacere.

Buongustaio il nostro ragazzo! S'inorgogliva, fiero dei traguardi mondani raggiunti dal suo primogenito, e gli concedeva tutto.

Buongustaio di feste dai gusti... corti. Farlo mangiare da piccolo era un'impresa, da allettato - crescendo, era una regolare visione - perdeva l'appetito. Quando ha cominciato con le sue stramberie non parliamone, rifiuto netto del cibo e, di nascosto, come un piccolo contrabbandiere incallito, dispensato ai lebbrosi e ai poverelli.

Da frate, osannato santo popolare e ospite della comunità di Chiara, le cose non sono cambiate, osserva Pica.

Bisogna armarsi di pazienza e brandire il cucchiaio per smuoverlo.

«Finalmente qualcosa di diverso dal brodo.» dice Francesco, accoccolandosi nella coperta. «Stava cominciando a diventare ripetitivo.»

«Lo digerisci senza alcuno sforzo, lo sai.» Chiara gli porge un'altra cucchiaiata.

«Me lo propinavi tutti i giorni!»

«Non riesci a sostenere piatti più corposi.» gli spiega Chiara, accogliendo la bocca spalancata dell'amico. Hanno ingranato il meccanismo. «Cos'altro preferisci?»

«Questo pasticcio.»

«E?»

Rivolge un sorrisetto furfantesco alla madre. «I mostaccioli.»

Chiara scuote la testa, liberando un risolino. «Sei fissato con quei biscottini.»

«Sono deliziosi!» Francesco non nasconde la sua passione.

«Più del mio budino?»

Budino? Chiara addolcisce il soggiorno del suo bimbo cucinandogli un budino?

«Voi donne!» si lamenta scherzoso Francesco. «Mi costringi a scegliere tra te e Jacopa, te ne rendi conto? Menomale che non ne sei gelosa...»

Sull'etereo viso incorniciato dal soggolo divampa un'incendio alla banale menzione della gelosia. L'espressione che si dipinge svela più d'un eloquente discorso. Chiara non sarà pienamente rosa dalla gelosia, Pica crede che abbia avuto occasione di conoscere Frate Jacopa e stringere con lei amicizia, tuttavia... le donne di suo figlio se lo contendono e la pianticella può rimanere indifferente e frigida mentre il suo fattore insignisce qualcun'altro, qualcuno di neppure appartenente alle loro file, di consacrato o politicamente rilevante e propenso a loro favore presso la curia romana, del titolo di frate? Frate a Jacopa e Chiara si accontenta di pianticella.

L'arco della gelosia scocca all'improvviso e centra il bersaglio persino nei cuori più sani e irreprensibili. Chiara non lo ammetterà mai, non in presenza di Francesco, ma una nota, una nota misera, di gelosia la contamina.

Frate a Jacopa e a lei solo pianticella.

Assimilata agli uomini e lei appendice.

In senso buono e fraterno, ovviamente, ma... eh, eh, eh... Pica ha imparato a decodificare i segnali e il linguaggio silente di una donna.

La giovane badessa di San Damiano, un poco, è gelosa.

«Non lo sono infatti.» rimedia in fretta, pulendogli il mento, il pasticcio appiccicaticcio sulla barba. «Domani vedremo se possiamo prepararti i mostaccioli, contento?»

«Solo se ce ne abbufferemo insieme.» Francesco ha compreso d'aver tirato troppo la corda e le sorride per fare ammenda. «Io e te.»

«Non serbo la benché minima speranza d'indurti il vomito, mi dispiace.»

«Mi dimostrerò frugale.» Tenta di riavvicinarsi Francesco. «Te lo prometto.»

Una promessa sciogliente l'acredine di Chiara. Gli sorride di rimando. «Guarda che me lo segno, siamo intesi?»

Francesco si rizza, parodiando un omaggio militare. «Sissignora pianticella mia signora! Ci può contare! Non sconfinerò nel cap-» Uno sbadiglio infrange il clima giocoso instauratasi. Suo figlio lo ricaccia indietro con il palmo, il lembo svolazzante, le palpebre sfarfallanti. «Nel capriccio...»

È stanco, la nottata in bianco presenta la sua salata parcella.

«Hai sonno François?»

«No, assolutamente no.» È tentato di stropicciarsi l'occhio, ma resiste. Pica imbeve un fazzoletto nel bicchiere, tamponando delicata il bulbo irritato, apportando sollievo al suo povero bimbo rasentante la cecità. Si duole ancora per i suoi bellissimi, dolcissimi occhi. «Sono sveglio Maman

Pica lo conosce bene e ha imparato a scavare più a fondo. «François...»

«Giuro! Non si trattava di uno sbadiglio!» Francesco difende a spada tratta la sua versione. Partorita sul momento, Pica lo sa quanto Chiara. «Era... era una preghiera!»

Chiara non si trattiene dal ridere, una risata piena, effervescente. «Una preghiera?»

«Sì!»

«A bocca aperta?»

«I monaci nei loro tetri monasteri non innalzano canti forse in questo modo?» Si posiziona ben dritto, per quanto gli riesce, modellando le labbra in un ovale, improvvisando una faccia solenne e cerimoniosa da vecchio bacucco abate di qualche rispettabile monastero. «Ave Maria Gratia Plena...»

«La vita da monaco non ti si addice.» lo punzecchia Chiara. «Saresti morto di noia.»

«È agitato il nostro François.» Pica gli sbaciucchia la manica, la forma della mano, imballata nei guanti o nelle bende o in quello che reca a protezione del palmo. «Una trottola. Non riesce a stare fermo, non puoi tenerlo bloccato. Deve muoversi.»

«Anche a letto Madonna.»

«Oui, surtout a letto.»

Durante la convalescenza, anni fa, quand'era stato scagionato dalle carceri di Perugia, riapparendo a casa con un febbrone allucinante, il delirio irrequieto l'aveva fatto contorcere e dimenare tra le lenzuola, urlando mozziconi di frasi atroci, strazianti, sulle celle, sui prigionieri, sull'ingiustizia della guerra. In seguito, passato il peggio, convincerlo a trascorrere almeno mezza giornata a riposo era stata una battaglia ardua. Francesco preferiva riprendere a circolare per gli ambienti di casa con l'ausilio di un bastone. Irrefrenabile, sempre e comunque, testardo.

Pica lo ama così com'è e non lo baratterebbe con nulla al mondo.

Descrive il suo François, mentre si sazia con gli ultimi bocconi. L'incanto che produce tutto intero è impossibile da riprodurre: la sua voce, la danza delle mani quando accompagnano le parole, il modo di sorridere, avvolgente, caldo, tranquillizzante. Vanta questo dono particolare, fin da bambino, il suo incantesimo sensazionale: quando si rivolge a una persona sembra che essa diventi il centro del suo mondo, che abbia vissuto soltanto per arrivare a lei, suprema allegrezza della sua anima.

Descrive i campi, i prati trapunti di fiori variopinti, le messi di grano indorate dai tiepidi, carezzevoli raggi del sole. Le viti imporporate dalla decadente brillantezza autunnale. Le fonti silenziose tra i vicoli e i vicoletti, assolate, lo scroscio zampillante dei getti d'acqua, la congerie di vecchiette chiacchierone assopite al sole. Gli acini d'uva che s'inturgidiscono, indurendosi, sodi e maturi. I limoni ruvidi e acidi che raggrinziscono le labbra. Le ciliegie luccicanti e saporite, gli schizzi dei loro nocciolo sputati in gare caserecce, un poco contadine. Cattedrali di rami, volte di cielo velate da drappi di nuvole, affreschi di luce, omelie cinguettanti. I casali, i cipressi, gli ulivi saggi e imbolsiti, velanti di evanescente nebbia argentata i colli. I poderi stregati nel sortilegio della sonnolenza successiva al pranzo, i cortili oppressi dal sole, i sentieri di ghiaia ardente, battuti a piedi nudi. Manciate di terra nera, densa, zuppa che si sgretola, bagnata e fangosa. Tozzi di quella secca, giallastra, riarsa, che si sbriciola, sospinta dagli aliti della brezza. I gemiti d'un fiume ingrossato dalle piogge, i suoi uggiolii, il suo lamentoso, sommesso sciabordio, il suo irruento infrangersi sulle rocce ammantate di muschio. I ciottoli simmetrici o sgraziati, fantasiosi, lucidi d'acqua. I monti coronati di nevi, il rimbombo delle acque del disgelo, la cupezza delle foreste, l'acqua che di notte ghiaccia nelle brocche delle celle, una patina di arabeschi e disegni, la mutria scontrosa dei contadini, il sole ingrigito da eterne brume.

La lattiginosa sacralità dell'alba, quando il mondo dorme e si fluttua in quell'attesa mirabile, immanente, dove tutto appare possibile e le ombre delle favole e delle leggende si fondono con i barlumi della realtà. Il gioco dei fiori, gli schiamazzi dei bambini. Le ghirlande di spighe, papaveri e fiordalisi. Gli iris. I gigli. I girasoli. L'edera.

Lo stagno acquitrinoso e le rane e il grano, il vermiglio melograno, la buccia compatta e liscia cedente in chicchi scintillanti, sanguigni, e la siepe del verde sambuco e l'allegra brigata dei fanciulli sereni e le capriole tra i prati.

Le corse a perdifiato, i saltelli, le scampagnate, liberi e spensierati. Gli scampanii, i rintocchi, i campanelli e i campanacci. Tintinni e trilli, i muggiti e i belati. I greggi al pascolo. Le vacche e la mungitura schizzante nel secchio. Le pecore lanose e i batuffoli lanuginosi dei loro scalmanati agnellini. Gli asinelli raglianti. Le api e i calabroni e le farfalle e i giardini recintati dai muretti a secco, tracimanti di verde, di respiri e vita e l'olmo coi nidi, grovigli di canne e filamenti, e l'odore pungente del fieno nelle stalle accaldate. Gli intingoli borbottanti nelle pentole, il fuoco gagliardo attizzato nel caminetto, le faville volteggianti nelle braci. Il vasetto di basilico intronato nell'angolino della cucina, detentore d'uno scampolo di luce nella finestra.

Ha una parlantina svelta, il suo tesoro, salta da un'argomento all'altro, da un ricordo all'altro. Si rammarica di non poter più godere di molte di queste meraviglie, le confessa. I suoi occhi stanchi e opachi hanno riflettuto troppo a lungo, così intensamente, il sole da rimanerne accecati. Li dipinge vividi, riesce a farli fuoriuscire dai loro schemi, dai loro dettami, dalla loro cornice di memorie.

«Lo sai Maman? Ho domandato un tronco come guanciale e le monache hanno respinto la mia umile richiesta.» Finge un broncio. «Era solo un tronco!»

«Duro e scomodo.» precisa Chiara, riordinando scodelle e posate. «Sconsigliato per... beh, uno nelle tue condizioni.»

«Ho sempre dormito con un tronco o una pietra usati come cuscini.»

Si spiegano molte cose. Chiara lo squadra ironica, interroga il cielo alzando lo sguardo e riprende le sue faccende. «Dormire? Tu?»

«Due ore erano già tante. Ne avevo di villaggi da evangelizzare, contrade dilaniate da dissidi e lotte da pacificare, città da convertire all'amore e alla fratellanza!»

Una brutta abitudine nata in questi ultimi anni, Pica l'ha appreso da Angelo, il quale critica aspramente i cattivi vizi, come li chiama, di suo fratello maggiore. Veglie e digiuni a oltranza, battendo anche Chiara in merito. Dormire pochissimo, consumare il minimo indispensabile di sostentamento. La calamita di febbri e malanni che suo figlio è divenuto dovrebbe sorprendere ben poco, fatte queste considerazioni.

Per fortuna, sia lodata la misericordia divina, a San Damiano Chiara non tollera sgarri di questo tipo. All'insofferenza di Francesco al riposo risponde con un pugno di ferro: dorme, mangia, in quantità umane e dignitose, e soprattutto riposa.

Non deve - non può più - vagabondare per l'Italia in incessanti cicli di predicazione, trascorrere notti all'adiaccio, sfamarsi di elemosine e narrare, intrattenere, suscitare divertimento e commozione, risate e scalpore.

Il suo corpo, Frate Asino, è giunto allo stremo.

E Pica ne soffre, ne soffre immensamente. Il suo bambino che a malapena si ferma a respirare, il suo bambino che non salvaguardia la sua salute fragile. Irresponsabile? No, pensa sempre agli altri. Prima loro, poi, per ultimo, Francesco. Si è martoriato per amore della vita, delle vite. Altruismo puro. Come può alleviare i suoi patimenti?

Son enfant, son François...

«Hai sfiancato Frate Asino.» gli fa notare Chiara. «Francesco, conosci il significato della parola riposo?»

Le riserva una linguaccia birichina. «È quello dei cani?»

E si rovescia sui cuscini a ridere di gusto.

«Volevo anche un'asse o la nuda terra e mi hanno dato un pagliericcio e un materassino imbottito!» continua burlone. «Capisci Maman?»

Pica ha maturato la sua opinione. I ragazzi stanno giocando, canzonandosi a vicenda, il suo François ride, però... «Hanno fatto bene mon petit

Chiara n'è felice. «Dimostrate più assennatezza di vostro figlio Madonna!»

«Guarda che ti sento! Sono quasi cieco, non quasi sordo!»

L'altra lo ignora, impilando i piatti in un accittolio legnoso. «Permane mistero come mai io abbia accettato senza rimostranze o bizze le tue disposizioni di un giaciglio più confortevole e digiuni meno rigidi e invece tu tutt'altro.»

Francesco si protende, aggrappandosi al gomito della sua pianticella. «Perché ti voglio bene e mi preoccupo per te, mio ramoscello.»

Il sorriso risorge su Chiara. Accantona i piatti e si fionda ad abbracciarlo.

«Anch'io te ne voglio, testardo d'un ciuco che non sei altro.»

Un altro dispettoso sbadiglio rompe l'atmosfera. Francesco struscia la guancia sulla spalla di Chiara. Pica contiene un risolino intenerito. Tutte le bugie riemergono a galla, presto o tardi. Il suo enfant è stanchissimo.

«Sarò buono.» mugugna ricalando sul monumentale assembramento di cuscini e guanciali. «Accoglierò fratello pisolino, ma per pochi minuti!»

Pica scommette che i minuti si tramuteranno in due ore piene.

Chiara lo aiuta a mettersi comodo, sprimacciandogli e rimboccandogli. «All'intervento di quale santo dobbiamo imputare questa grazia miracolosa?»

Francesco soffoca una risatina rauca. «Non abituartici.»

«Perfido.» Gli spizzica un bacio sulla nuca. «Sei perfido.»

«Un laido...» Le palpebre crollano. «... peccatore...»

S'addormenta tra i cuscini in un baleno, esausto, russante lieve come Giovannetto e il suo burbero Papa, rinfrescato dall'ombra dell'ulivo, panacea per la sua vista, il pupazzetto stretto stretto. Pica n'è toccata e non maschera l'emozione. Il suo bambino. Il suo primogenito. Il suo santo, benedetto primogenito. Quel viandante dalle enigmatiche veggenze ha avuto ragione: il suo piccolino è diventato un gran uomo nel mondo, grandissimo! Un affermato condottiero del Sommo Re.

Può esistere gioia maggiore per una madre? Si torce la gonna, incurvandosi a imporgli il consueto, immancabile, bacio della buonanotte.

«Repose toi François, une sieste c'est tout ce que tu mérites

La gioia interiore di Pica non sembra raggiungere Chiara. Che succede? La badessa s'è adombrata, un solco di preoccupazione a inciderle la fronte bianca.

«Claire? Ma petite? Quel est le problème?»

Lacrime spillano sullo splendido ovale del viso, rigano le guance. Chiara accarezza lenta la fronte di Francesco. «Lo ritengono un fallito, lo so.»

Lo? Chi? Chi osa sparare queste insulse fandonie sul conto del suo bambino?!

«Ritengono?»

«I nuovi arrivati, i contestatori, chi non lo conosce bene. Tutti in pratica.» Tira su col naso, inspirando con eleganza. «Perché ha stemperato la severità austera e dedita alla povertà assoluta della Regola, si è piegato alle loro pretese. Perché non ha lottato per difendere il suo sogno. Non è vigliaccheria o debolezza, è coraggio! È sacrificio! Quanti sarebbero capaci di sacrificare il loro sogno per mantenere la pace, per preservare intatta la comunione tra fratelli e l'armonia distesa con Roma? L'ha scritta per gli altri, per accontentarli, perché la pace regnasse anche dopo che lui se ne... se ne... se ne sarebbe...»

Fatica a dirlo. Per Pica è impossibile pensarlo.

Chiara imprigiona il singhiozzo con la mano, tappandosi la bocca, un fiotto di lacrime e il bel viso si accartoccia, contratto nel dolore.

«Non ha tradito i suoi ideali, non ha calpestato la sua filosofia.» La ragazza recupera contegno, asciugandosi freneticamente. «È rimasto coerente. Sempre. Nonostante le malattie, le febbri, le crisi. Sta lottando contro delle crisi mastodontiche. A qualcuno importa? A pochi sembra. I santi sono perfetti, impeccabili, inespressivi e glaciali per loro. Remoti. Assorti. Non vivono crisi interiori, conflitti dell'anima, i grandi santi, le superano le tempeste, mica, secondo loro, si comportano come Francesco.» La tristezza s'infiamma in rabbia, in sgomento incredulo. «È tormentato dal pensiero d'aver sbagliato tutto, Madonna, d'aver cannato in partenza. Di non aver agito rettamente come padre e guida spirituale. Questi suoi figli lo confortano? Lo aiutano? No!» Chiara si circonda con le braccia, tremando, guardando il suo dormiente amico, migliore amico, frammento della sua anima, con compassione e timore. «Nessuno si palesa, aldilà dei primi, inseparabili compagni. Elia...» Scuote il capo affranta. «Elia lasciamolo perdere, non è idoneo discuterne adesso. Ma Francesco sta vivendo la sua angustiante notte della fede e chi scaccia le sue tenebre? Chi lo illumina?!»

Pica non ha dubbi. Si accosta, solleva con le dita il mento d'una disperata Chiara.

Occhi puri, d'un azzurro pulito, trapelanti pensieri di cielo.

«Tu.»

L'abbraccio, uno slancio diretto, un ancorarsi a lei, la sbigottisce, impreparata.

«Lui è f-forte...» singhiozza Chiara, sprofondandole dentro. «Non immaginano quanto sia forte. Ma solo in p-pochi conserviamo i buoni propositi iniziali... perché?»

Perché il Vangelo e il suo amore sono semplici. È l'uomo che è complicato.

Un ingranaggio che deve incepparsi per funzionare com'è stato progettato.

Pica le raccoglie le lacrime colanti con i polpastrelli, contenendole la circonferenza del volto, questo suo avvenente, minuto volto, tra le mani. Potrebbe essere sua figlia, Dieu immortel, potrebbero esserlo ben volentieri. Si scuoierebbe viva per i suoi tesori, ma ha covato fin dall'annuncio del suo matrimonio il sogno d'una bambina.

Una piccolina a cui pettinare e acconciare capelli, con la quale spartire trucioli di segreti solo loro, infilata in abitini principeschi, nuovi di zecca. Una bimba da coccolare, bastone e assistenza della vecchiaia.

Il destino le ha affidato due vivaci maschietti e le va bene così, non lo scomoda ancora, non adesso che spetta ad Angelo perpetuare la discendenza.

Una bimba immaginaria che adesso potrebbe avere l'età di Chiara.

Se Francesco la ama come un'amica, una fidanzata spirituale, una lampada diramante la sfocata foschia delle incertezze, una figlia e una madre, allora che valga anche per lei. Cosa glielo vieta?

«Dieu risolverà tutto ma petite, spera e abbi fede.» le mormora, sfiorandole il velo in una tacita carezza, avvinghiata. «Una fede di sicuro più granitica della mia, oui

«N-Non... non sapete quante volte vacilli...»

«Non ci aveva mai detto che sarebbe stata una passeggiata.» Osa Pica, osa spingersi oltre e baciarla in piena fronte. «Chiara... grazie.»

Si scioglie dall'abbraccio, disorientata. «Per cosa?»

Francesco ronfa come un ghiro, il piccolo lupo di pezza vicino vicino. Previsione accurata: i pochi minuti si estenderanno a due ore.

«Per curarlo.» Pica si addenta le labbra, preda di spasmi e brividi. Son enfant. Ha una nuova madre al suo fianco, una più onesta, limpida, diretta, una che lo inonderà d'amore. La sostituta migliore che potesse desiderare. «Per amarlo come tu sai amarlo. Per tutto, per tutto quello che fai per lui.»

Non se ne prende il merito. «Chiunque al posto mio farebbe lo stesso Madonna.»

Pica non crede.

Chiara si massaggia la fronte, rilasciando un sospiro stremato. Non si è separata dal capezzale di suo figlio un minuto, rammenta, non hanno chiuso occhio insieme.

«Bambina, stenditi un attimo.» la invita sollecita. «Da quanto non stacchi?»

«Ho un convento da gestire Madonna.» Si stira le membra intorpidite, reprimendo uno sbadiglio con il dorso della mano. «Le mie figlie aspettano direttive dalla loro madre, dovrò ricomparire tra di loro.»

«Sono certa che capiranno un ritardo.»

Ortolana s'intrufola nell'ombra, aderendo alle motivazioni di Pica.

«Conosci bene i tuoi limiti piccola mia.» la riprende la madre. «Non rischiare il tracollo, Francesco non approverebbe. Gli daresti un piacevole risveglio mostrandoti affaticata e stanca quanto lui? Riposa un pochettino Chiara, solo un pochettino.»

Chiara ha imparato a custodire l'esperienza e non ripetere i suoi errori. Lancia un'occhiata all'amico russante tra i guanciali. «Solo se rimango accanto a lui.»

«Certo piccolina, certo.»

Lieta, la badessa ruba un cuscino a Francesco, infilandosi sotto la coperta, rintanata letteralmente al suo fianco. Gli prova la fronte, una verifica finale, per scrupolo.

«Gli sta risalendo una leggera febbre.»

«Provvederemo noi Chiara.» promette Ortolana. «Dormi ora.»

La figlia sussurra un flebile grazie prima di salpare per i neri mari dell'oblio, addossata alla spalla di Francesco, la guancia di lui spiaccicata al velo di lei. Pica e Ortolana li scrutano, struggendosi per il quadretto idilliaco. I loro bambini. I loro speciali, esuberanti, intrepidi, eccelsi bambini.

I loro miracoli.

Si allontanano dall'ulivo, la vista mozzafiato sulla vallata spoletana, un rappezzamento di campi, terreni, arati e seminati. Un manto d'argenteo verde, fresco verde, aulente verde, casali, prati e i monti di nuvole sfumanti, in lontananza, degradanti, e gli ulivi del poggio uno scialle di nebbia argentata, boccoli segnati dall'età di questo monte a strapiombo sull'infinito.

Arde un segreto nell'aria. Ti penetra e tu lo ascolti, lo divori, lo brami, lo scovi. Nelle pietre rosa e bianche delle case accostate, nell'arco e nelle arcate, nelle balaustre e nei rosoni fioriti. Nella solitudine di San Damiano e nel bosco dell'eremo. Nel profumo della Porziuncola e nella serena beatitudine del pellegrino al Rivotorto.

Il segreto mistico, pregnante, dissotterrato dai loro figli.

Tra schiocchi di vento e aliti di Dio, ricami di voli di colombe e volteggi d'allodole, sollazzanti sotto la grondaia. È prodigio. È miracolo. È purezza. È infanzia. È bagliore. È canzone. È amore. È quella fede sana, antica, toccata e colta.

È quella folle, dolce, trascinante follia che porti via con te e che tutto muove, comandandolo, direzionandolo, una ruota di fuoco riverberante in altre ruote, da rimbombo tonante a eco affievolito. Una malattia contagiosa.

L'ebbrezza, l'insania dei sani, la rivoluzione.

L'amore pochi lo catturano. È fuggiasco, anela la libertà, il disordine, le regole sovvertite, l'amore. Entra e si dirama, esplondendo dal fulcro, dall'epicentro, una rovente ondata, un folata che ti investe e ti trascina, rigenerandoti.

E tu germogli rinato.

Articolare terrene spiegazioni non puoi, non più. Non basterebbero tutti i poeti, i letterati, gli eruditi, i filosofi, gli studiosi, i sapienti e i bonzi della terra a fornire una perfetta spiegazione dell'amore. L'amore è follia, una splendida, indispensabile, necessaria, famelica follia.

In un mondo assolutamente schierato e prevedibile, la lucida pazzia degli innamorati serve come non mai, strumento che scombina la retorica, i calcoli, le griglie.

I poteri.

Una madre non sonda il futuro, non sa cosa le si prospetta innanzi, ma sfodererà l'arma del suo amore in qualsiasi caso.

«Direi che abbiamo fatto un buon lavoro.» si lascia sfuggire Pica, inglobando la pienezza della valle nel suo sguardo.

Francesco e Chiara riposano. Le allodole giocherellano al sole.

«Sì.» concorda Ortolana. «Direi proprio di sì.»



L'Ordine, pur guidato da Elia, è un vascello in balia della burrasca.

Suo figlio ha toccato con mano la fragilità di troppe vocazioni, le debolezze della carne, la gramigna di egoismi, invidie, gelosie piccole e grandi. Molti novizi non hanno retto alle durezze della Regola e sono tornati nel mondo incupiti dalla delusione.

Suo figlio ha ceduto la direzione ad altri, giudicati più competenti.

Allora perché sono tartassati dalle tribolazioni?




Pica assiste con sgomento alla lunga morte di Francesco, tenendosi un passo indietro rispetto alla cella da cui provengono lamenti sempre piú fiochi, perché ci sono già, intorno, assiepati, troppi fratelli a sgomitare, togliendo al moribondo la poca aria che i suoi polmoni riescono ancora a inalare, a questi serali albori d'ottobre.

«Io h-ho fatto la mia p-p-parte... la v-v-vostra il Signore ve la i-insegni!»

A stargli addosso sono soprattutto i primi compagni, chiusi attorno a lui come una testuggine. Eredi ansiosi di spartire i suoi beni e già mettono da parte tutto quello ch'è entrato in contatto con quel corpo sfatto. Le pezze con cui hanno deterso gli sbocchi di sangue. Il siero e gli umori che stillano dalle piaghe. Sì, perché suo figlio recava impresso nella carne il sigillo di Cristo, le sue ferite! Occultate a tutti, tranne a pochi eletti. Ecco la verità dietro le macchie di sangue sul saio, dietro le maniche spropositatamente lunghe. Anche un capello, un'unghia, una scaglia di pelle.

Il loro bottino di reliquie.

Strappano furtivamente e ferocemente brandelli del cilicio che da ultimo Francesco ha voluto indossare, il panno cinerino portato da Frate Jacopa, raccolgono la cenere da cui si è fatto aspergere.

I santi sono tesori. I loro corpi testimonianze della presenza del divino nel quotidiano.

Caricano il corpo sulla barella, inneggiato a santo nella processione di palme e fronde e rami d'ulivo dei bambini d'Assisi. Lo portano a Chiara, a San Damiano, perché possa piangerlo come si conviene.

Il loro ultimo incontro.

Il Padre e la sua pianticella.

È il momento, loro, la madre, straziata, addolorata - i genitori non dovrebbero sopravvivere ai figli - si tiene in disparte.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top