L'estate più bella
Dopo i miei esami tornai a casa felice di aver concluso la mia carriera scolastica ed eccitata per il futuro che mi aspettava. Abbot in persona aveva scritto una lettera di referenze indirizzata all'allora presidente dell'Ufficio di Applicazione della Legge sulla Magia. L'idea di andare a vivere a Londra e di lavorare finalmente attivamente al ministero della Magia era ovviamente molto eccitante, ma ero ancora un po' cagionevole di salute per il mio incidente di Quiddich ed ero davvero esausta dopo l'ultimo periodo di studi. In altre parole, non vedevo l'ora di passare l'estate a casa dei miei genitori nel mio piccolo paesino e godermi tutte le letture possibili. Il vantaggio di essere figlia di un ministro presbiteriano era che una volta aiutato un poco mia madre nelle faccende domestiche potevo rilassarmi tranquillamente senza dover lavorare nei campi come facevano a dir la verità la maggior parte dei ragazzi del paese.
L'estate in scozia è molto fresca soprattutto lungo le coste o nell'isole, ed è non di meno una stagione piovosa, il sole a luglio e agosto è quasi un'allucinazione, ma a giugno ci possono essere brevi periodi soleggiati con temperature che arrivano a sfiorare appena i 20° : una vera goduria per starsene all'ombra di una betulla spazzata dal vento a leggere. Non è rado, tuttavia, essere sopresi dalla pioggia, ma quel giorno mi ero davvero dimenticata l'ombrello. Ero molto sbadata da quando ero tornata, era come se ancora non riuscissi a capacitarmi che la scuola di magia era finita, che avrei cominciato presto la mia vita da adulta. In ogni caso quel giorno di metà giugno incominciò a piovere all'improvviso e corsi verso una vicina fattoria per ripararmi sotto il loro fienile.
Entrai bussando, ma sembrava fosse deserta. In tanti anni non ero mai stata in quella fattoria anche se sapevo che apparteneva ai McGregor, una famiglia di contadini locali babbani. Mi sciolsi il poncio di capelli fradici cercando di smuoverli per asciugarli quando intravidi un'ombra dietro di me. Mi voltai imbarazzata: per i presbiteriani vedere una signora coi capelli sciolti era un gesto terribilmente intimo, specie per una ragazza illibata come io ero. Immaginate quanto arrossii nello studiare quel ragazzo che proveniva dalla stalla, alto e prestante con una vanga in mano, la camicia aperta , passato di sudore per l'affanno del lavoro svolto e il caldo della giornata.
- Minerva? Sei tu? Quasi non ti riconoscevo ! - fece il ragazzo a sua volta imbarazzato. Si lavò le mani e la faccia in una tinozza e poi si voltò a guardarmi coi capelli fradici e quegli verdi profondi. Dougal era un anno più giovane di me: lo ricordavo come un bambino sveglio e intelligente, dai lineamenti delicati che quando avevo lasciato le scuole babbane mi arrivava sì e no alla spalla. Gli anni erano passati anche per lui ed ora a 17 anni si trovava ad essere un uomo fatto: mi dava quasi una spanna. Era sempre stato un mattacchione a scuola. Un giorno su due era in punizione: non è che non conoscesse le regole, era che si divertiva ad infrangerle. Reagii al suo stupore mascherando l'imbarazzo con l'ironia.
- Il tuo odore sprezzante invece non mi lasciava dubbi - lo presi bonariamente in giro sorridendogli. Lui arrossì profondamente vergognandosi di ciò che in realtà non doveva: era un contadino nella fattoria che sarebbe stata presto sua, ero io quella fuori posto, con le mie scarpe troppo eleganti coperte di fango, il vestito stropicciato per la corsa e i capelli neri ad onde bagnati e indomabili.
- Cosa stavi leggendo?- chiese curioso avvicinandosi.
- Un ... classico... - tentai di nascondere il libro.
- Andiamo, sai che sono curioso... - insistette il contadino rubandomi il libro che nascondevo dietro la schiena e strappandomelo di mano.
- Minerva! Tua padre sa che leggi Samuel Rutherford Crockett! - fece stupito. Ovviamente mio padre non ne sapeva nulla: avevo acquistato quel libro alla stazione con molto imbarazzo, una volta tornata da Hogwarts. Ero pur sempre una ragazza diciottenne che aveva finora passato la sua intera vita tra i libri e che conosceva un solo modo per rispondere ad una domanda fondamentale: leggerne. La cornice bucolica e la storia d'amore tra mezzadri mi aveva attirato: in fondo quello era il mondo che io conoscevo, che reputavo essere casa mia, anche se in Scozia era quanto meno raro vedere una signora girare con un parasole viola. Scoprii che Dougal aveva letto un breve racconto dello stesso autore pubblicato qualche anno prima da un giornale scozzese.
- Ha fatto molto parlare quel racconto, era abbastanza esplicito da far arrossire una signora presbiteriana e da indignarne i padri e i mariti, ma posso garantirti che le copie sono andate a ruba! Perché non me ne leggi un pezzo, intanto, che finisco? - sghignazzò soddisfatto.
Dougal sapeva leggere, questo lo sapevo benissimo: era un ragazzo intelligente costretto suo malgrado ad un lavoro umile. Se fosse stato un mago forse avrebbe avuto possibilità di elevarsi con lo studio e l'impegno: per dirla tutta nessuna delle due parole erano molto gradite da Dougal. Era sempre stato un buon tempone, amava bere con gli amici e godersi la vita, ridere fino ad avere le lacrime agli occhi.
- Leggitelo tu! - dissi allibita protestando. Mi vergognavo mortalmente alla sola idea di leggere certi passaggi a voce alta. Era ben più esplicito di quanto lo fossero mai stati i miei più sfrenati sogni. In più in quegli anni Hogwarts aveva una lista di regole sugli incontri amorosi degli studenti che in quanto presbiteriana non mi lasciava affatto stupita. Abbott era un uomo nato nel 1600: una ragazza non andava nemmeno sfiorata a meno di non avere un contratto scritto coi suoi genitori. Unica eccezione consentita il Quiddich, d'altronde noi streghe eravamo stanche di rimanere sugli spalti a guardare. Erano i decenni delle suffragette , a Londra si parlava molto di diritti delle donne e come strega e come donna ritenevo necessario avere un barlume di parità coi miei comprimari colleghi maschi. Ero stata fortunata a nascere in una famiglia in cui mio padre non aveva mai fatto differenze, se fossi stata una babbana probabilmente avrei già quasi sicuramente dovuto essere promessa in sposa a qualcuno.
- Ok, prendi tu la vanga allora - disse lanciandomi il suo attrezzo. Lo guardai strabiliata. Se pensava che io mi mettessi a fare il suo lavoro manuale aveva un bel da dire, ma poi vidi il suo sguardo di derisione nei miei confronti. Non mi riteneva capace e questo per la giovane Minerva equivaleva a una sfida: non mi ero tirata indietro davanti al gioco più violento del mondo magico, figurarsi indietreggiare davanti ad una vanga babbana. Sapevo bene di non poter usare la magia e di avere il diktat assoluto dei medici a riposo e caute passeggiate, ma non potevo darla vinta a Dougal.
- Avanti , tu leggi e io vango, pagina 30 - dissi allora impugnando l'attrezzo come avevo visto fare da mamma nel fienile. Dougal mi sorrise sornione e cominciò a leggere l'estratto. Sentire quelle parole uscire dalla bocca di un uomo mi lasciarono interdetta: chiaramente aveva più esperienza di me nel settore e sembrava come non provare alcun imbarazzo, anzi mi sfidava ed io vangavo con la schiena che mi urlava di smettere e il volto paonazzo, ma una parte di me non voleva fermarsi. Alla fine, la vanga ebbe la meglio e caddi riversa sulla paglia. Dougal mi aiutò ad alzarmi sostandomi per la vita, sembrava preoccupato: probabilmente ero pallida come il sole scozzese che timidamente aveva incominciato di nuovo a scaldare il fienile. Vedevo la luce penetrare dalle finestre in legno e disegnare ombre sul suo volto simmetrico e sincero.
- Sono caduta a scuola e a volte il costato mi fa male - mentii arrossendo.
- Non avresti dovuto prendere la vanga - mi sussurrò colpito.
- Non avresti dovuto leggere il mio libro - aggiunsi senza riuscire a distogliere lo sguardo. Mi scostò i capelli dal viso e mi sfiorò la guancia. Sarà stato per il libro, per la situazione assurda, per il suo odore che era nettamente migliorato, ma alla fine mi baciò. Non avevo un parasole lilla, solo la mia solita tonaca da campagna, le scarpe sporche e i capelli tutti in disordine; eppure, c'era una magia in quel bacio che mi lasciò estasiata. Mi diede un buffetto sul naso e mi sorrise. Io non sapevo cosa fare quindi indietreggiai imbarazzata. Feci per fare qualche passo , ma la schiena mi bloccò. Dougal mollò la vanga che aveva appena ripreso in mano e si offrì di accompagnarmi fino a casa. Per quanto avrei voluto scappare di corsa, con quelle fitte non avevo molta scelta.
- Raccontami come sei caduta - fece per essere cortese.
- Oh, avevo preso troppi libri dalla biblioteca scolastica - inventai. Ovviamente non potevo dirgli del Quiddich.
- La solita divoratrice, non è che qualcuno ti ha fatto lo sgambetto perché eri troppo più brava di lui? - mi prese in giro lui. Arrossii pesantemente.
- Che fossi più brava di lui, credo fosse certo, ma non credo mi abbia fatto uno sgambetto - non potei che ammettere ridendo.
- Come lo sai di sicuro? Avevi tutti quei libri davanti, non potevi vederlo! - insistette Dougal. Io mi misi solo a ridere scuotendo la testa e cercando di rimandare indietro dalle guance il colore rossastro.
- Spero almeno si sia fermato ad aiutarti - aggiunse lui allora.
- In realtà mi ha schernito - dissi senza pensare. Il solo ricordare il viso di quell'infame serpe verde mi provocava un profondo malessere. Lui e le sue idee di puro sangue. Tutte quelle parole al vento e poi non faceva che far esplodere il calderone a pozioni una settimana sì e una no.
- Che villano! Pensavo non ammettessero certa gente nei college di un certo livello - fece Dougal sinceramente amareggiato.
- Il preside è anche troppo permissivo sulle ammissioni - ammisi colpita dal suo trasporto. Nel frattempo, eravamo giunti in prossimità della chiesetta in cui mio padre teneva le sue funzioni. Il sole giocava a nascondino tra le nuvole disegnando lunghe ombre attorno a noi.
- Il libro , l'hai già letto fino in fondo vero?- intuì all'improvviso Dougal. Era la terza volta che lo leggevo, anche se mi vergognano mortalmente ad ammetterlo.
- Può essere - confessai studiando il suo sorriso.
- Sposarsi per amore deve essere così follemente totalizzante - aggiunse adombrandosi. Lo guardai perplessa.
- Mio padre vorrebbe che mi decidessi, ma trovo le ragazze del villaggio così noiose, così prevedibili... Non c'è nessuna come te qui - disse voltandosi verso di me.
- Nessuna che abbia letto più di te intendi?- lo provocai sorpresa.
- Esatto, nessuna che possa tenermi testa, nessuna che inforcherebbe una vanga solo per farmela pagare - scoppiò a ridere. Come aveva fatto a capirlo? Feci altrettanto.
- Allora immagino dovrai cercare oltre il villaggio - aggiunsi trattenendo il fiato.
- E se non volessi più cercare? Sposami tu, questa estate ! Insomma, hai finito le scuole ormai, cosa avrebbe da dire più tuo padre? - disse lui lasciandomi senza parole.
- Poi ti ho già vista coi capelli sciolti, più bella di come sei ora non posso trovare nessuna donna. - disse avvicinandosi e spingendomi dietro un albero per nasconderci alle finestre della casa. Io trattenni il fiato. Era così vicino, con quel sorriso sincero e quegli occhi verdi e profondi, i capelli ancora madidi di pioggia.
- Sarei una pazza. Fino a questa mattina ti ricordavo con un ragazzino di dieci anni. - arrossii.
- Perché non essere pazzi una volta nella vita? - aggiunse lui testardo. Scoppiammo entrambi a ridere. Essere pazzi insieme, come sotto quel fienile. Sembrava così giusto in quel momento. Eravamo come due bambini che battibeccavano e litigavano e si cercavano di nuovo. Due spiriti affini che sprizzavano di gioia nel verde della brughiera, nascosti dietro un albero a sussurrare e accarezzarsi la faccia... e lui era terribilmente bello.
Per un'estate, per un momento nella mia vita potevo buttare al vento le mie dannate regole e fare qualcosa di folle, scegliere qualcuno per amore, scegliere di scoprire dove quel nostro amore ci avrebbe portati come in quei libri da pochi centesimi, sperando nel lieto fine. La mia bacchetta era lontana, al sicuro, nel mio baule, avevo quel libro in mano. Guardavo quel contadino babbano, un ragazzo che mi faceva ridere e per la prima volta nella mia vita mi faceva sentire bellissima. Così gli dissi di sì , mi sistemai i capelli e promisi di tornare a trovarlo presto. Lo feci senza pensare, lo feci perché in quell'istante ero solo una donna e il mio cuore come tale stava agendo. Quello credo fu il più bel giorno della mia vita.
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