Mimosa
«Buongiorno a tutti, sono tornato!»
Archibald riteneva di essere l’unico spiraglio di luce a casa di Berenilde, anche se da quando la signora Roseline era lì l’atmosfera si era fatta più vivibile. Almeno così pareva, era appena entrato dalla porta d’ingresso ed era nuvoloso, un bel cambiamento dalla volta precedente, particolarmente piovosa.
La prima fonte delle sue attenzioni fu Vittoria; sebbene ancora non parlasse, Archibald le leggeva nello sguardo che era felice di vederlo. La prese in braccio e fece una giravolta, andando quasi a sbattere contro il tavolo del salotto. Andarono poi insieme in biblioteca da Berenilde, che lanciò uno sguardo esasperato all’uomo.
«Non hai il permesso di prendere in braccio Vittoria, Archi, lo sai bene.»
«Solo perché l’ho portata a fare un giretto ad Anima non vuol dire che io sia privo di fiducia, cara Berenilde! Si è divertita.»
Berenilde alzò gli occhi al cielo.
«Lei la sta esaurendo, Archibald!» esclamò la voce di Roseline da qualche parte nella biblioteca. Probabilmente stava aggiustando i libri più vecchi.
«Si figuri, Berenilde mi ama! Subito dopo il nostro signore e Vittoria ci sono io!»
La signora Roseline apparve da dietro l’ultimo scaffale e dichiarò: «Prima di te ci sono io, brutto idiota!»
«Eccola, anche lei mi è mancata!»
Archibald la abbracciò con il braccio libero e le stampò un bacio sulla guancia. Era il suo modo di salutarla, e poco importava che lei non lo sopportasse. Archibald l’aveva chiamata “tecnica anti-Dio": se mai Dio si facesse passare per lui, Roseline lo avrebbe riconosciuto da quel saluto.
Come sempre la donna gli sbraitò contro, anche se gli risparmiò una sberla indignata. Forse era per la presenza di Vittoria tra le sue braccia.
«Mi fermo per poco, cara mia Berenilde. Se non ti offendi, volevo restare un momento solo con la signora Roseline.»
La donna li raggiunse e prese dalle braccia dell’uomo Vittoria, poi fece retrofront e uscì dalla biblioteca, chiudendosi la porta alle spalle.
«Signora, questi sono per lei.» disse Archibald con un sorriso, tirando fuori da una tasca della giacca un piccolo ramoscello pieno di fiori gialli.
«Cos’è?»
«Mimosa. Una pianta comune a Babel, dov’è ora la sua amata Ofelia. È nota per essere la pianta dell’amore.»
Lo aveva detto con leggerezza, non sarebbe riuscito a dirlo in modo più serio di quello. Roseline però capì e arrossì violentemente, facendo correre lo sguardo dai fiori ad Archibald di continuo.
Infine li prese e, per la prima volta, gli rivolse un lieve sorriso. Non il sorriso smagliante dietro al quale Archibald nascondeva un cuore galoppante, ma nemmeno il suo solito cipiglio irritato.
«Sono belle, Archibald. Grazie.»
Era anche la prima volta che gli dava del tu.
«Di nulla, mia cara.» disse con un inchino. L’avrebbe baciata, ma lei odiava i baci. Dubitava anche che sarebbero potuti servire, per loro.
Poi la donna spezzò il rametto in due e gliene diede indietro una delle due metà. La sorpresa di Archibald fu tale che quasi non accettò il dono.
«Roseline...»
«Non dire nulla.»
Quando ripartì da quella casa, Archibald si sentì l’uomo più felice di tutte le arche.
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