Capitolo 42 - Non è più come un tempo
Finirà anche la notte più buia
e sorgerà il sole.
-Victor Hugo
Non gli era mai piaciuto svegliarsi di soprassalto, colto impreparato da qualche rumore che interrompeva il suo sonno. E quella notte, era successo.
Il telefono aveva preso a squillare, rompendo il piacevole silenzio che dominava il suo appartamento e costringendolo ad aprire gli occhi di scatto. Non aveva mai odiato tanto la sua suoneria come in quel momento. Si era messo a sedere, stropicciandosi gli occhi e allungandosi poi verso il comodino. Afferrò il cellulare, osservando il nome che illuminava lo schermo.
Adelaide.
Si chiese quale potesse essere il motivo per cui lo stesse chiamando alle tre e venticinque del mattino e non trovando alcuna risposta razionale, decise semplicemente di rispondere. «Cosa succede?» chiese, trattenendo a fatica uno sbadiglio.
«Mio padre è in ospedale» gli rivelò subito, senza giri di parole, con voce estremamente preoccupata. Fu in quel momento che Damian si svegliò del tutto, alzandosi di scatto dal letto.
«Perché?» chiese, ormai anche lui allarmato.
«Non lo so... ha svegliato mia madre dicendole che non si sentiva affatto bene e poi e svenuto» spiegò, faticando a non piangere. «Lo hanno ricoverato subito e adesso è ancora lì, ma nessuno di noi sa nulla di più per il momento» aggiunse.
Il professore sospirò, portandosi una mano nei capelli in modo nervoso. «Cazzo» commentò «Vedrai che non sarà nulla di grave» provò a rassicurarla, ma nemmeno lui poteva prendere per certo le sue parole. Paul era un uomo ormai anziano e aveva già alcune patologie pregresse che minavano il suo stato di salute. Affermare che, sicuramente sarebbe andato tutto bene, era un'ipotesi non molto probabile.
«Dove sei ora?» le chiese, camminando avanti e indietro per quella camera da letto.
«Su un taxi, sto andando in ospedale. Oliver e mamma sono già lì» rispose, trattenendosi ancora qualche secondo dal chiedergli un qualcosa che lui già stava pensando.
Forse avrebbe dovuto prendere anche lui un taxi e farsi portare subito in aeroporto. Sarebbe dovuto salire sul primo aereo per Londra e raggiungerli, perché, nel caso in cui Paul avesse avuto qualcosa di grave o nella peggiore delle ipotesi, non avesse dovuto farcela, lui di certo non poteva non essere presente in quel momento così delicato. Non avendo più informazioni sulle sue attuali condizioni di salute, non poteva avere la certezza che tornare a Londra sarebbe davvero stato necessario, ma, difronte a quel dubbio, si disse che sarebbe stato meglio rischiare di fare un viaggio in più piuttosto che uno in meno.
«Okay, ascolta, tu stai tranquilla, raggiungi Oliver e Gemma. Mentre io vado in aeroporto e cerco di arrivare il prima possibile» Adelaide annuì dall'altro capo del telefono, non rendendosi conto che non avrebbe potuto vedere il suo gesto. «Aggiornami se dovessi sapere qualcosa di più» si raccomandò.
«Sì, va bene» quella volta rispose a parole, provando davvero a seguire il suo consiglio di restare calma ma non riuscendo proprio a tranquillizzare la sua mente.
Paul era suo padre e per quanto avesse i suoi problemi che riguardavano la gelosia nei confronti di suo fratello, perché figlio prediletto da lui, gli voleva bene oltre ogni cosa. Era cresciuta con il valore e la convinzione che la famiglia fosse ciò che di più importante una persona potesse avere e non era pronta per affrontare un'eventuale perdita di quel calibro. Ci era già passata con la scomparsa dei suoi nonni, non era stato semplice, per niente. Sapeva che, nel caso in cui anche suo padre fosse venuto a mancare, sarebbe stato difficile per tutti i Robinson andare avanti.
Era il pilastro della famiglia, colui che teneva tutti uniti. Era la certezza di sua madre, suo marito, colui che le regalava tanta gioia. Gemma ne sarebbe uscita distrutta e lei non avrebbe avuto la forza mentale necessaria per curare il dolore di entrambe, non da sola. Senza contare che, una parte più oscura della sua psiche non poteva fare altro che pensare al fatto che, se Paul fosse morto, allora la direzione delle aziende di famiglia sarebbe passata ufficialmente ad Oliver.
Non le piaceva di certo ammetterlo a se stessa, ma la realtà era che, da un lato, sperava che suo padre rimanesse in vita il più possibile per il semplice fatto che così almeno suo fratello non avrebbe potuto diventare il capo.
Con quel brutto pensiero che le rimbombava nella testa, Adelaide proseguì il suo viaggio verso l'ospedale, sperando di avere qualche nuova notizia appena raggiunta la sua meta.
Nel frattempo, dall'altra parte dell'oceano, Damian aveva infilato velocemente e alla rinfusa un paio di vestiti nella valigia, per poi indossare degli indumenti casual e chiamare un taxi. Il viaggio verso l'aeroporto sembrò durare un'eternità e la sua unica distrazione fu il momento in cui, dal cellulare, scrisse una mail all'università per comunicargli l'inconveniente avuto e la sua conseguente assenza dalle lezioni per il giorno successivo.
Fece poi lo stesso anche con Ember, mandandole un messaggio in cui le spiegava cosa fosse successo e le prometteva che le avrebbe fatto avere presto notizie sul suo ritorno.
La ragazza stava dormendo beatamente nella sua stanza, mentre, nel letto accanto a lei, anche Jodi stava facendo la stessa cosa. Il cellulare di Ember, comprato da poco dopo aver nuovamente rotto il suo, era poggiato sulla scrivania. Lo schermo si illuminò, al ricevere di quella notifica, emettendo anche una leggera vibrazione, che nessuna delle due fu in grado di sentire.
Arrivato in aeroporto, il professore corse subito agli appositi banchi per richiedere un biglietto. «Il primo volo disponibile per Londra, parte tra un'ora. Se si sbriga può passare i controlli e riuscire ad arrivare in tempo» le comunicò la giovane ragazza dietro il bancone azzurrino.
«Sì, va bene» acconsentì, recuperando la carta di credito e porgendogliela. Avrebbe dovuto correre, ma poteva farcela.
La donna, qualche minuto dopo, gli porse il suo biglietto e lui non perse un secondo di più prima di fiondarsi ai controlli di sicurezza. Per sua fortuna aveva indossato un paio di jeans e delle scarpe comode e nella valigia non vi era praticamente nulla che facesse peso, ciò gli diminuiva di un po' la fatica data dalla fretta.
Nel frattempo, quando gli fu possibile, cercò di controllare il suo telefono, sperando di trovarci qualche messaggio o una chiamata in arrivo che gli comunicava notizie sullo stato di Paul. O anche un messaggio da parte di Ember, così da avere la certezza che lo avesse letto. Ma il suo schermo continuò a restare vuoto, privo di qualsiasi notifica.
Riuscì a prendere quel volo, sudato e affannato arrivò in tempo prima che chiudessero il portellone.
"Decollo ora."
Scrisse e poi inviò, informando Adelaide, essendo poi costretto a spegnare il cellulare e restare fuori dal mondo per più di sei ore.
Sperava solo di non dover trovare brutte sorprese al suo arrivo a Londra.
L'alba si levava in cielo assieme a quell'aereo, accompagnando il decollo e segnando la fine della nottata per tutti gli studenti di Harvard.
I raggi di sole filtrarono dalle tende bianche, donando luce alla stanza delle due ragazze. Poco prima che la sveglia suonasse, Jodi, quella volta, la disattivò. «Buongiorno, è ora di svegliarsi. Una nuova e fantastica giornata ci attende» disse, avvicinandosi al letto nel quale Ember ancora dormiva.
L'altra ragazza mugugnò, rigirandosi tra le coperte. Era troppo presto per l'orario in cui era andata a dormire la sera prima, dopo la sua passeggiata nei giardini. «Ti sei drogata per caso?» biascicò poi, non riuscendo a capire da dove avesse preso tutto quell'entusiasmo di prima mattina.
«No, ma oggi è il mio primo e ultimo giorno senza esami. E voglio godermelo al massimo» spiegò. Jodi non avrebbe terminato quello stesso anno, come invece avrebbero fatto Kaden, Ember e Carter. Il suo corso di studi prevedeva un anno in più rispetto a quello degli altri, così come per psicologia, che Kaden aveva scelto di fare. Ma lui era più grande e avendo iniziando prima, lo finiva anche.
Perciò, per Jodi, quel giorno sarebbe stato l'ultimo senza lo stress per gli esami. Perché da quello successivo avrebbe dovuto iniziare a preoccuparsi di studiare una quantità immane di pagine, per poter passare i test e accedere così al suo ultimo anno. Anche ad Hailey mancava ancora un anno di corso prima di poter conseguire la laurea, ma lei, a differenza della bionda, non era affatto preoccupata in vista dai test.
Comunque, anche chi avrebbe terminato il suo percorso ad Harvard quello stesso anno avrebbe dovuto sostenere gli esami finali. Il punto era, che solo Jodi la prendeva in maniera così stressante.
«E poi anche tu dovresti essere emozionata» aggiunse, togliendole la coperta di dosso e guadagnandosi uno sguardo arrabbiato. «Oggi avrai la conferma per quanto riguarda l'università che andrai a frequentare per il dottorato» le ricordò. E con quell'informazione la svegliò del tutto.
Si era completamente dimenticata di quel dettaglio, troppo presa dagli avvenimenti delle ultime settimane. Lei e Kaden si erano accordati, scegliendo entrambi la Brown come luogo per continuare i loro studi. E così, avevano mandato i loro consensi, attendendo delle risposte per iniziare e concludere a tutti gli effetti quelle pratiche che li avrebbero poi portati a diventare a tutti gli effetti degli studenti dottorandi alla Brown.
Non lo aveva detto a Damian, perché il discorso non era più uscito e lei aveva preferito non tirarlo fuori per prima. Adesso però il momento della verità era arrivato e nulla sarebbe più stato solo un'ipotesi. Jodi le portò il suo computer, poggiandoglielo sulle gambe e invitandola ad aprirlo. La ragazza, con incertezza, ne sbloccò il monitor per poi far ricadere subito gli occhi sulla casella della posta elettronica, osservando quel piccolo 1 che stava ad indicare una nuova notifica.
Vi cliccò sopra, aprendo la mail che arrivava direttamente dal rettore della Brown University. Lesse velocemente, rendendosi conto che tutti i pensieri che aveva avuto nella sua testa stavano lentamente diventando realtà. «Allora?» domandò l'amica, impaziente di sapere.
«Allora... hanno accettato. Andrò ufficialmente a fare il mio dottorato alla Brown» sapeva che le cose non sarebbero potute andare altrimenti, insomma, erano stati loro stessi a scriverle per primi, dimostrandosi interessati ad averla tra i loro studenti. Era già ovvio che con una sua risposta positiva l'avrebbero accettata senza altri ripensamenti. Il punto era che, mentre pronunciava quelle parole ad alta voce, tutta quella situazione iniziava a prendere una piega diversa e il suo cervello si rendeva conto di come il tempo scorresse veloce.
Ormai mancava meno di un mese alla fine delle lezioni e alla sua conseguente laurea e poi quel capitolo della sua vita si sarebbe concluso, mentre un altro avrebbe visto il suo inizio. E allora cosa ne sarebbe stato di lei e Damian?
«Oh mio Dio! Sono così felice per te!» esclamò Jodi, strappandola ai suoi pensieri deleteri e stringendola in un abbraccio. «Chiamo subito Kaden per sapere se anche lui è stato accettato» si alzò di scatto dal letto, afferrando il suo telefono e facendo partire quella telefonata.
Dopo qualche squillo, la voce del ragazzo rispose. «Sì?» sbadigliò, confermando che si fosse probabilmente appena alzato.
«Hai già controllato le mail?» chiese subito la bionda.
«No, perché?» rispose, mentre si passava una mano nei capelli scompigliati e si reggeva all'isola della cucina.
«Ember è stata presa alla Brown per il dottorato. Dovrebbe essere arrivata anche a te la risposta» lo informò, mentre l'altra ragazza cercava di concentrarsi sulla bellezza di quella notizia, evitando di farsi prendere dal panico per tutti i cambiamenti che avrebbe portato.
«Oh, cazzo. Era oggi che arrivavano le risposte?» domandò retoricamente, cercando di fare mente locale. «Papà, dammi un secondo il computer» lo raggiunse dall'altra parte di quell'isola, prendogli il portatile dalle mani ancora prima che potesse rispondergli. Controllò a sua volta le mail, scoprendo poi di essere stato accettato anche lui.
«Che succede?» domandò il padre, cercando di scorgere qualcosa sullo schermo.
«Hanno accettato la mia domanda per il dottorato alla Brown» rivelò, facendolo così sapere anche alle altre due ragazze.
«Ma è fantastico» si congratulò, stringendolo in un abbraccio e lasciandogli una pacca sulla spalla. «Martha!» chiamò poi la moglie, alzando la voce di modo che potesse sentirlo. «Kaden andrà alla Brown per il suo dottorato» la informò, facendola subito accorrere in cucina.
«Sono così fiera di te, tesoro mio» sua madre gli lasciò un tenero bacio sulla fronte, faticando a trattenere la commozione. Aveva sempre avuto il figlio in casa con loro e quella sarebbe stata la prima volta in cui si sarebbero dovuti separare sul serio. Kaden avrebbe dovuto trasferirsi più vicino alla nuova università e lei avrebbe dovuto abituarsi all'idea di non averlo più sempre vicino. Era triste per quel fatto, ma era una tristezza che non poteva minimamente coprire l'enorme gioia che provava nel vedere i sogni del suo bambino prendere vita.
Dall'altro capo del telefono, invece, Ember udì le parole dei genitori del suo migliore amico, avvertendo la felicità nella loro voce e chiedendosi cosa stesse provando lui davanti a quei gesti d'affetto che lei mai aveva ricevuto in vita sua. «Okay, vi lasciamo festeggiare. Ci vediamo oggi pomeriggio» Jodi chiuse quella telefonata, non riuscendo a togliersi il sorriso dalle labbra.
Era felice per i suoi amici e lo era anche per il fatto che non si sarebbero allontanati troppo da lei. Avrebbero dovuto passare un anno separati e poi, conseguita la laurea, anche lei li avrebbe raggiunti, andando a proseguire i suoi studi alla Columbia, così che tutti avrebbero potuto trovarsi nella città di New York assieme. Avevano già messo giù quei piani futuri, ne parlavano ormai da anni. Anche quando ancora non avevano certezze di dove sarebbero andati per davvero dopo la laurea, tutto il gruppo di amici era certo di voler trasferirsi nella Grande Mela per iniziare a tutti gli effetti la loro vita da adulti.
E adesso, finalmente, quell'obbiettivo era sempre più vicino alla sua realizzazione.
Intanto che l'euforia dell'amica continuava, Ember aveva preso a vestirsi. Quella mattina avrebbe avuto lezione di letteratura ed era decisa a dire a Damian la novità. Il loro tempo era agli sgoccioli, lui le aveva detto di provare a vivere giorno per giorno quella relazione, ma le era impossibile non pensare al futuro, soprattutto dopo quella notizia. Voleva solo parlarne con lui e cercare di capire, senza chiedergli esplicitamente quali erano i suoi piani adesso che era a conoscenza della novità.
Lei sarebbe stata disposta a portare avanti la loro storia anche a distanza?
Non sapeva darsi una risposta, perché era vero che, una volta presa la laurea ad Harvard, nessuna regola gli avrebbe impedito di stare assieme. Ed era vero che i chilometri che li avrebbero divisi non sarebbero stati poi così tanti. Ma tanti dei loro problemi restavano comunque.
Damian rimaneva lo stesso un uomo sposato ed Ember era sempre determinata a concentrarsi sulla sua carriera.
Con un po' di organizzazione avrebbero comunque potuto vedersi, lei sarebbe potuta tornare ad Harvard per trovarlo e lui avrebbe potuto andare alla Brown. Non era una cosa impossibile, la gente nel mondo portava avanti relazioni caratterizzate da distanze ben più vaste di quella che separava le due università.
Il fatto principale però, era che nonostante tutta la buona volontà che potevano metterci, il matrimonio del professore non poteva scomparire come per magia. Per quanto sarebbero potuti andare avanti a mantenere quella relazione in segreto?
Era questo che volevano entrambi, viversi sempre facendo attenzione a non essere scoperti?
Ember non voleva ricoprire il ruolo dell'amante per tutta la vita. Non voleva convivere con la paura che il loro segreto venisse a galla.
Adesso che le cose iniziavano a farsi sempre più concrete per quanto riguardava la sua futura carriera, lei cominciava a rendersi conto di quanto potesse essere pericoloso portare avanti il tutto, lontano da occhi indiscreti.
Se avessero scelto di andare avanti e qualcuno li avesse scoperti, a quel punto sì che la sua carriera sarebbe finita per sempre. Voleva entrare in politica e gli scandali in quel mondo non erano concessi.
Portare avanti in segreto la loro relazione finché entrambi si trovavano nello stesso luogo, era decisamente più semplice. Perché nessuno si sarebbe chiesto, vedendoli uscire uno accanto all'altro dall'aula o vedendoli parlare da qualche parte, come mai fossero assieme. Lui era il suo professore, lei la sua alunna, era normale che avessero dei rapporti. Ma dal momento in cui lei avrebbe terminato i suoi studi ad Harvard, se qualcuno l'avesse vista tornare spesso in quell'università solo per far visita a Damian, allora sarebbe sembrato decisamente un comportamento sospettoso.
Potevano essere scoperti in ogni caso, ma quella strada era decisamente l'opzione più pericolosa.
Ecco perché era certa di volerne parlare con lui di quella notizia. Non sapeva bene cosa si aspettasse, forse, sotto sotto, voleva solo sentirsi dire che non gli fregava nulla di tutti quei problemi, che voleva lei e che avrebbe messo un punto al suo matrimonio per poter portare avanti la loro relazione.
Ma sapeva che le cose non erano così semplici.
Camminando verso il suo dipartimento, incontrò Hailey lungo la strada e insieme si avviarono poi verso l'aula di letteratura, pronte per la lezione. Ma quando raggiunsero le porte della classe, si ritrovarono davanti una sorpresa inaspettata. «Il professore Turner non c'è oggi» le avvisò una loro compagna di corso, mentre camminava nella direzione opposta alla loro.
«Come mai?» chiese subito Ember, aggrottando le sopracciglia.
«La segreteria non ha fatto in tempo ad inviare una mail a tutti, ma una delle addette è dentro l'aula apposta per avvisarci quando saremmo arrivati. Ha detto che il professore ha avuto un problema familiare ed è dovuto tornare a Londra. Quindi per oggi la lezione non si tiene. Ci avviseranno loro se riesce a tornare entro due giorni, sennò salterà anche quella di giovedì» spiegò la ragazza, facendo spallucce e poi proseguendo per la sua strada.
Hailey volse subito lo sguardo verso la sua amica. «Lo sapevi?» le domandò.
«No, non mi ha-» stoppò le sue parole, quando, una volta recuperato il cellulare dalla tasca, si rese conto del messaggio che dominava lo schermo. Era la prima volta che prestava attenzione al suo telefono da quando si era svegliata. Troppo presa da tutti i suoi pensieri e dalla grossa novità della Brown, che nemmeno si era ricordata di controllare delle eventuali notifiche.
"Mio suocero è stato male e hanno dovuto ricoverarlo in ospedale. Sto prendendo un volo per andare a Londra, appena saprò qualcosa di più ti aggiorno."
Lesse il messaggio, per poi cancellarlo dalla schermata principale. «Sì, mi aveva scritto e non me ne ero nemmeno accorta» cambiò poi la sua versione dei fatti.
La notizia della Brown avrebbe proprio dovuto aspettare.
Quel giorno, Kaden ed Ember non erano stati gli unici a ricevere una bella novità. Anche Carter, quando si era svegliato aveva trovato una piacevole sorpresa tra le mail sul suo portatile.
Aveva passato una notte per lo più insonne, durante la quale non aveva fatto altro che ripensare al discorso tra lui ed Ember. Lei era andata a cercarlo, dicendogli di voler parlare per provare a chiarire le cose tra loro. Gli aveva detto di essere dispiaciuta per la piega che gli eventi avevano preso e che capiva quanto potesse essere arrabbiato. Ma lui non credeva ad una singola parola che lasciava la sua bocca ormai.
Sosteneva di essere dispiaciuta, eppure non si era fatta scrupoli a trattarlo in quel modo. Non riusciva e non poteva perdonarla, nonostante i suoi sentimenti per lei fossero ancora vivi all'interno del suo cuore. Era stato difficile per lui ascoltarla mentre gli chiedeva se poteva evitare di far uscire con qualcuno quel piccolo segreto.
Piccolo segreto, così l'aveva definito, per cercare di sminuirlo davanti ai suoi occhi e per fargli credere di non avere un gran potere su quella faccenda. Carter sapeva però che si trattava di qualsiasi cosa, fuorché qualcosa di piccolo e di poca importanza.
Era andata a cercarlo solamente per assicurarsi che tenesse la bocca chiusa e non perché fosse davvero dispiaciuta o preoccupata per lui. L'aveva capito, soprattutto dal modo in cui gli aveva sorriso soddisfatta dopo che lui le aveva mentito dicendole che sicuramente non ne avrebbe parlato con nessuno. Ed ecco che in quel momento aveva deciso di dirle di andarsene e di non provare più a cercarlo.
Non le interessava minimamente dei suoi sentimenti, Ember continuava a giocare secondo le sue regole, senza curarsi di chi feriva.
Dopo tutto ciò che gli aveva fatto, non era riuscita a far uscire dalla sua bocca nemmeno una frase che somigliasse quanto meno lontanamente a delle scuse. La sola cosa che le interessava era assicurarsi che ognuno continuasse a comportarsi come lei aveva deciso nella sua mente.
Ma Carter non era di quell'idea.
La notizia di essere stato preso a lavorare in quella grande azienda nella Silicon Valley, lo aveva distratto per un po' dalla questione su Ember e Damian. Era felice, perché non se lo aspettava minimamente e invece il lavoro dei suoi sogni sembrava proprio poter essere ad un passo da lui.
Dopo averlo comunicato a sua madre e alle sue sorelle, gli era venuto in mente di chiamare anche i suoi amici ed esattamente in quel momento si era reso conto che, ormai, loro non facevano più parte della sua vita. Sì, c'erano i suoi compagni di allenamento e i suoi compagni di corso, con i quali aveva uno splendido rapporto. Però non era la stessa cosa, loro non erano le persone con le quali aveva condiviso tanti bei ricordi e con cui si era confidato.
E si rese conto che la ragione per cui aveva perso Kaden, il suo migliore amico o Hailey, o Jodi, era proprio Ember.
Era stata colpa sua se i rapporti con loro si erano incrinati. O forse, semplicemente, li aveva valutati male. Aveva creduto che, come con la ragazza, ci fosse un rapporto più profondo di quello che era in realtà. Perché quando era arrivato il momento di fare una scelta, nessuno aveva deciso di stare dalla sua parte. Tutti erano a conoscenza di quel segreto e nessuno lo aveva informato. Tutti sapevano il modo scorretto con cui lei lo aveva trattato, eppure nessuno aveva scelto di schierarsi dalla sua parte.
Tutti avevano scelto Ember.
Ed ecco che la rabbia tornava a tormentare la sua testa e il suo cuore. E difronte a quella consapevolezza, il suo corpo agì ancora prima che potesse farlo la mente. Uscì dalla sua stanza di fretta, sbattendosi la porta alle spalle e camminando a passo svelto verso l'edificio principale dell'università. Aveva una meta ben precisa in mente: l'ufficio della rettrice.
Entrò dentro quella costruzione centrale dell'università e imboccò il corridoio, ma prima che potesse svoltare a sinistra e raggiungere così la sua destinazione, una voce lo richiamò.
«Carter» suonava come una domanda, che trovò la sua risposta nel momento in cui il ragazzo si voltò. «Dove stai andando?» era Kaden.
Il ragazzo era appena uscito dalla segreteria, dopo aver portato alcune carte che gli sarebbero servite per conseguire la laurea. Quando l'aveva visto, aggirarsi per quel posto, un brutto presentimento da subito aveva fatto scattare un allarme nel suo cervello.
«Non sono cose che ti riguardano» gli aveva risposto Carter, proseguendo verso quell'ufficio.
L'altro l'aveva seguito prontamente. «Non ti sentirai meglio dopo averlo fatto» lo avvisò, attirando nuovamente la sua attenzione.
Si voltò verso di lui, interrompendo i suoi passi e fissandolo serio. «Hai deciso di startene zitto quando invece avresti dovuto venire da me. Quindi, adesso, non metterti a fare l'amicone» gli puntò un dito contro.
Kaden sospirò, chiudendo gli occhi per qualche secondo. «Hai ragione, ho sbagliato. E mi dispiace davvero per questo, Carter. L'ultima cosa che volevo era proprio ferirti» gli disse, provando ad avvicinarsi a lui.
«Però l'hai fatto. Hai scelto consapevolmente di farlo» rimbeccò.
«Lo so. Non pretendo che torniamo amici come prima o che tu possa perdonarmi. Ma voglio solo farti capire che quello che stai pensando di fare non è la cosa giusta» insistette. Lo pensava davvero, ma più di tutto voleva evitare che la sua migliore amica finisse nei guai.
«E quale sarebbe la cosa giusta? Lasciarsi manipolare da lei e starsene sempre zitto continuando a farle fare ciò che vuole con tutti?» domandò retoricamente, scuotendo la testa con un'espressione arrabbiata.
«No. Ma non è questo il modo per cambiare la situazione» cercò di spiegargli. «Se adesso tu entri lì dentro e riveli quel segreto, non cambierai comunque nulla di quello che lei ti ha fatto. E in ogni caso questo non le farebbe smettere di comportarsi in modo sbagliato con gli altri» lo fissò dritto negli occhi, poggiandogli una mano sulla spalla. «Non è questa la soluzione» concluse, sperando davvero di essere riuscito a dissuaderlo.
Carter sorrise amaramente, alzando gli occhi al cielo. «Vale la pena tentare» ammise, provando a riprendere la sua camminata verso quell'ufficio.
Fu allora che Kaden, preso dal panico del momento, decise di giocare l'unica carta che gli rimaneva tra le mani per evitare una tragedia. «Tuo padre sarebbe fiero se ti vedesse fare questa cosa?» non avrebbe voluto farlo, non avrebbe mai voluto toccare quel tasto dolente, ma era l'unica soluzione che gli rimaneva.
Il ragazzo si lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, abbassando la testa e guardandosi i piedi. No, suo padre sarebbe stato molto deluso da lui se l'avesse visto commettere quel gesto. Se avesse saputo che per vendetta aveva fatto terminare la carriera di due persone. Non gli aveva mai insegnato a rispondere con l'odio a chi lo trattava male, ma a sorridergli e voltarsi dall'altra parte, lasciandoli fuori dalla sua vita. Gli aveva sempre detto che ci avrebbe pensato poi l'universo a dargli ciò che si meritavano e che lui non avrebbe dovuto pensare ad altro che a comportarsi sempre nel migliore dei modi, perché sarebbe stato ripagato. Da piccolo gli diceva sempre che l'odio non fa altro che generare altro odio e una volta che si entra dentro quella spirale di cattiveria poi non è più possibile uscirne fuori.
Si voltò ancora verso di lui, guardandolo con occhi lucidi e carichi di rabbia. «Sei un bastardo» gli disse a denti stretti, a pochi centimetri dal suo viso, per poi oltrepassarlo tirandogli una spallata e facendolo sbilanciare.
Il riccio si portò una mano sul braccio che gli aveva colpito, massaggiandoselo appena, per poi prendere un lungo respiro. Ora poteva avere davvero la certezza che la sua amicizia con Carter fosse definitivamente chiusa per sempre.
ꨄꨄꨄ
Il viaggio per Damian era stato lungo e stancate. Appena atterrato in aeroporto a Londra era corso a prendere un altro taxi, che l'avrebbe portato direttamente all'ospedale dove Paul era stato ricoverato. Una volta arrivato aveva subito trovato fuori Oliver che lo stava aspettando.
«Si è ripreso da poco. Pare che stia meglio, ora i medici ci spiegheranno tutto» gli aveva detto per poi portarlo dentro con lui, fino a raggiungere la camera dove si trovava Paul.
L'uomo stava sdraiato sul letto, con un aspetto pallido e provato. Al braccio aveva attaccato una flebo e dalla vestaglia uscivano dei fili collegati ad un macchinario. Era sveglio, con gli occhi aperti e teneva la mano a sua moglie, che, seduta accanto al letto aveva ancora le guance rigate dalle lacrime. Adelaide invece se ne stava ai piedi del letto, accanto al dottore, impaziente di sentire cosa fosse successo.
Quando Damian fece il suo ingresso assieme ad Oliver, tutti gli occhi si puntarono su di loro. «Oh bene, siete arrivati» disse il medico, infilando una penna nel taschino del camice bianco che aveva indosso.
«Damian!» esclamò Gemma, alzandosi subito e andando ad abbracciarlo.
«Non dovevi disturbarti a venire fino a qui» gli disse Paul, regalandogli un sorriso. «Gemma, per l'amore del cielo, smettila di piangere» la riprese dolcemente, notando che le lacrime avevano ripreso a scendere dai suoi occhi nel momento in cui aveva visto Damian. «La fa sempre più grande di quello che è» commentò poi, guardandolo e scuotendo la testa.
Il professore gli sorrise, avvicinandosi al letto e stringendogli la mano. «Non avrei mai potuto restare in America sapendo che non stessi bene» ammise, per poi affiancarsi alla moglie.
Adelaide gli strinse il braccio, attirandolo a sé e poggiando la testa sulla sua spalla, prima di salutarlo con un bacio sulle labbra. Damian evitò di pensare ai suoi comportamenti, concentrandosi solo sulla situazione di suo suocero.
«Allora, non è stato nulla di troppo grave» iniziò a spiegare il medico, facendo portare l'attenzione di tutti su di lui. «Ha avuto un principio di infarto» se prima avevano tirato tutti un sospiro di sollievo, dopo quelle parole le espressioni preoccupate sui loro volti tornarono. «Fortunatamente il suo cuore è stato abbastanza forte da reagire e sembra poterlo essere anche per evitare che ricapiti» li rassicurò.
«Ma se è successo, potrà sempre tornare» ragionò Gemma, spaventata.
«Signora, è stato un evento isolato, dovuto all'eccessiva stanchezza e all'eccessivo stress che un uomo nelle sue condizioni di disabilità non si può permettere» le fece notare.
«Vuole sempre fare tutto da solo, non permette mai a nessuno di aiutarlo» confessò la moglie, facendo scendere altre lacrime dai suoi occhi.
«Signor Robinson, so che ama il suo lavoro e so quanto sia fondamentale quello che fa per il nostro paese. Ma è arrivato il momento di prendersi una pausa, ha davvero bisogno di riposo, fisico e anche mentale» parlò direttamente con lui, guardandolo serio. «Avrebbe bisogno di seguire le sue terapie e non saltarle per andare in ufficio a sottoporre il suo corpo a tutto quello stress» aggiunse, guardando poi i figli. «Non sto dicendo che non dovrebbe più occuparsi delle sue aziende, sto dicendo che però non dovrebbe metterle davanti alla sua salute» concluse.
Paul annuì, sapendo che aveva ragione. Aveva sempre dato poco peso alle terapie che invece avrebbe dovuto fare e le conseguenze erano arrivate. «Papà, non preoccuparti. Mi prenderò cura io delle aziende mentre pensi a rimetterti» lo informò Oliver, avvicinandosi a lui.
«Sì, papà. Penseremo a tutto noi» saltò su Adelaide, calcando sull'ultima parola con la voce e rivolgendo poi uno sguardo arrabbiato al fratello.
«È fortunato ad avere due figli così» si complimentò il medico. «Mi raccomando, segua le terapie, prenda i farmaci che le abbiamo prescritto e, soprattutto, si riposi» raccomandò un'ultima volta, prima di lasciare quella stanza.
Rimasero tutti assieme a Paul ancora per un po', parlando e discutendo di ciò che era successo. E poi, Adelaide, Oliver e Damian lasciarono quella stanza, pronti a tornare a casa. Mentre Gemma restò con il marito in attesa che lo dimettessero.
Il telefono di Damian vibrò nei suoi pantaloni, facendoglielo recuperare. Ember aveva risposto al suo messaggio. «Vado un attimo al bagno» avvisò gli altri due.
«Va bene, ci vediamo di sotto nel parcheggio, così vi riporto a casa io» disse Oliver.
Damian si chiuse le porte della toilette alle spalle, lasciando passare qualche secondo e assicurandosi che sua moglie e il fratello si fossero effettivamente avviati verso il parcheggio. Poi compose il numero della ragazza, chiamandola.
«Ehi, come va?» gli chiese subito, volendo sapere qualcosa di più.
«Ciao, fortunatamente sta bene. Dovrebbero rimandarlo a casa entro questa sera» le confessò, osservando le occhiaie che gli dominavano il volto, attraverso quello specchio.
«Meno male» commentò la ragazza. «Sai già quando tornerai?» domandò poi, lasciando che i suoi pensieri si concentrassero sulla notizia del suo dottorato.
«Non ancora. Gli hanno detto che deve stare a riposo, quindi sicuramente domani resterò ancora qui per capire bene la situazione. Poi se nulla si complica, la mattina dopo prendo un volo per tornare» spiegò quali fossero i suoi piani, sapendo di non potersi assentare per molto dalle lezioni e contando anche che la voglia di rivedere la ragazza già iniziava a farsi sentire.
«Uhm, okay. Per qualsiasi cosa, fammi sapere allora.»
«Certo. Spero di poter tornare da te il prima possibile, bimba» le disse, sospirando frustrato.
«Ti aspetto» Ember concluse così quella telefonata.
Il professore si lavò le mani, per poi uscire e riprendere la sua strada verso il parcheggio sotterraneo. Una volta arrivato, trovò Adelaide ad attenderlo appena fuori dall'ascensore. Lo stava fissando con le braccia conserte e uno sguardo arrabbiato.
«Non potevi aspettare eh?» gli chiese, alzando gli occhi al cielo.
Damian aggrottò le sopracciglia, non capendo la sua domanda. «A fare cosa?»
«A chiuderti in bagno per chiamare quella puttana!» esclamò, non curandosi del tono di voce decisamente alto che stava usando.
«Tu sei completamente folle» l'accusò, scuotendo la testa, nonostante sapesse bene che aveva ragione lei.
«Neanche in un momento così delicato potevi resistere per sentirla» commentò, sorridendo amaramente. «Fai schifo» asserì poi.
«Adesso non posso nemmeno più andare al bagno senza che ti metti a fare queste scenate?» domandò retoricamente, continuando sulla sua linea di bugie.
Adelaide scoppiò a ridere, battendo le mani. «Sei diventato proprio un bravo attore» lo guardò con biasimo. «Queste stronzate con me non attaccano. E sai perché?» Damian non rispose a quella domanda, cercando di ignorarla del tutto. «Perché erano le stesse cazzate che ti raccontavo io quando ti tradivo. Solo che tu te le facevi andare bene, io no» gli poggiò l'indice contro il petto, guardandolo con quell'espressione soddisfatta.
Il professore mandò al diavolo tutta la sua pazienza, non curandosi più di mantenere quella falsa facciata. «Sì, hai ragione. Ma ricordati chi di noi due ha tradito l'altro per prima, la prossima volta che la chiami puttana» l'avvisò, allontanandole bruscamente la mano dal suo petto.
La donna spalancò la bocca, sentendo la rabbia ribollirle nelle vene. «Che c'è? Ti dà fastidio che la chiami così? Per essere disperata a tal punto da venire a letto con uno come te, non può essere altro che una puttana» rincarò la dose, fissandolo con sguardo di sfida.
«Tu non vali e non varrai mai nemmeno la metà di quello che vale lei. Rimarrai sempre e solo una donna frustrata e infelice, incapace di accettare la sua inferiorità rispetto a chiunque altro» le rispose a tono, lasciandola di stucco.
E prima che lei potesse dire la sua, la macchina del fratello arrivò, costringendoli a rimandare quella lite a quando fossero arrivati a casa.
Il viaggio fu silenzioso e sembrò durare più del previsto. La tensione tra i due avrebbe potuto percepirla chiunque, anche uno che non era a conoscenza della solo situazione come invece lo era Oliver.
Quando il fratello fermò la macchina davanti a casa loro, Adelaide scese senza dire una parola e sbattendosi la portiera alle spalle. «È arrabbiata per-» Damian cercò di parlare, pronto ad inventarsi una scusa per giustificare il comportamento della moglie. Ma l'altro non lo lasciò finire.
«Lo so per cosa è arrabbiata» ammise. «Non hai scelto proprio il tempismo migliore per fare quella telefonata, amico» aggiunse poi, facendogli gelare il sangue.
Oliver aveva sentito tutta la loro lite e a quanto pareva era a conoscenza del fatto che lui stesse tradendo la moglie. Damian sentì il battito del suo cuore accelerare e i palmi delle mani iniziare a sudare freddo. Il suo segreto poteva essere in serio pericolo. «Rilassati, non ho intenzione di dirlo a nessuno. Nemmeno mia sorella sa che ne sono a conoscenza» lo rassicurò, permettendogli di prendere un respiro.
«Vi ho sentiti litigare quel giorno al mio matrimonio e oggi ho aspettato per andare a prendere la macchina, perché volevo capire come stessero le cose tra voi due» spiegò, iniziando a farlo capire. «Beh, non stanno affatto bene a quanto vedo.»
Il professore si passò una mano sul volto. «Sono anni che non stanno bene» non avrebbe mai pensato di ritrovarsi a fare quel discorso con Oliver.
«Sì, immaginavo. Sai, a differenza dei miei genitori, colgo i segnali» in quel momento aveva avuto la conferma che il suo amico avesse già da tempo il sospetto che il loro matrimonio non funzionasse per niente.
«Lo sai che sono sempre stato contro i tradimenti, ma...» lasciò quella frase in sospeso, provando a cercare le parole per spiegargli come mai Ember gli fosse entrata così in testa.
«Non serve che me lo spieghi, fino a qualche tempo fa non sapevo nemmeno cosa fossero le relazioni monogame. E poi sono sempre stato il primo a dirti che un po' di divertimento, vista la tua situazione, non avrebbe fatto male» gli ricordò. «Non posso mica farti la morale per aver seguito il mio consiglio. Soprattutto dal momento in cui mia sorella sembrava farlo già da molto tempo prima di te» si lasciò andare ad un sorriso per sdrammatizzare quella situazione.
Damian annuì, sollevato dal fatto di poter contare su di lui, di averlo dalla sua parte. Anche se non lo ammetteva, Oliver sapeva bene dei problemi che la sorella aveva nei suoi confronti e non era mai stato dell'idea dei suoi genitori, che la famiglia fosse tutto. Lui pensava che la famiglia fosse importante, sì, ma se un membro di essa viveva con la sola speranza di vederti infelice, allora di certo non avrebbe dovuto avere la precedenza su qualcun altro che invece teneva davvero a te.
Per questo non avrebbe mai spifferato il segreto di Damian. Perché tra lui e sua sorella, Oliver preferiva di gran lunga avere vicino lui.
«Solo, adesso è un po' una situazione delicata, con papà in quelle condizioni. E sai che i miei ti vogliono bene come se fossi un figlio, quindi cercate di tenervela per voi questa storia» si raccomandò.
«Facciamo sì che rimanga un segreto» specificò Damian.
«Esattamente. Evitiamo di dare a Paul un qualcosa che potrebbe farlo stressare pesino di più dell'economia di questo paese» il professore annuì.
Si ritrovava in una situazione davvero complicata, nella quale avrebbe dovuto agire con cautela, per non rischiare di provocare danni irreparabili.
🌟🌟🌟
Non dimenticatevi di lasciare una stellina🙏🏻
Ho messo un po' di novità in questo capitolo. E insieme a queste un po' di nuovi problemi👀
La buona notizia è che Santo Kaden è riuscito a dissuadere Carter dall'andare a rivelare il loro segreto a tutti.
E che Oliver sta a tutti gli effetti dalla parte di Damian e terrà la bozza chiusa. Chissà magari potrà anche aiutarlo.
La cattiva notizia è che, è ufficiale il fatto che Ember e Damian alla fine dell'anno saranno divisi da un po' di chilometri.
E che la salute di Paul potrebbe mettersi tra loro due.
Per scoprire cosa accadrà, non dovrete fare altro che continuare a leggere😈
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XOXO, Allison💕
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