Capitolo 4 - Pensieri Innocenti

Non è quello che diciamo
o pensiamo che ci definisce,
ma quello che facciamo.
- Jane Austen

«Stronzate Johnson! Non esiste che quelli della Stanford riescano a batterci alla fiera di robotica» disse Carter, con tono sicuro, mentre afferrava la sua fetta di pizza.

«Non puoi esserne certo, magari loro hanno realizzato un qualcosa come l'armatura di Iron Man e allora sì che il vostro robot capace di operare come i chirurghi diverrebbe inutile» rispose l'altro, sedendosi meglio su quel telo, poggiato sull'erba morbida e rigogliosa.

«Nessuno nella realtà è mai riuscito a scoprire un elemento così piccolo e così potente in grado di alimentare quel tipo di armatura» puntualizzò Ember. «E se mai qualcuno ce la farà, saranno i nostri vicini del MIT» aggiunse, indicando con la testa un punto in lontananza, dove si trovava l'altra università. Adorava intromettersi in quei discorsi che lei definiva: "estremamente e piacevolmente da nerd".

«Ma non basterebbe collegarlo alla presa di corrente?» Hailey si intromise in quella conversazione, distogliendo per qualche secondo lo sguardo dallo schermo del suo cellulare.

«Dici sul serio?» domandò Kaden, fissandola sconvolto. Ember sogghignò, scuotendo la testa e finendo di mangiare la sua porzione di pizza al salame piccante.

«Mi spieghi come cavolo hai fatto a entrare ad Harvard tu?» chiese Carter, dando finalmente voce a un dubbio che lo attanagliava sin dal momento in cui aveva conosciuto quella ragazza.

«Beh... i miei genitori finanziano gran parte dei laboratori e credo che sia grazie a loro se siete riusciti ad ottenere quella stampante 3D e quel laser di cui vi vantate tanto» rispose Hailey, facendo spallucce. «E comunque, di cosa vi preoccupate? La Stanford non fa nemmeno parte della Ivy League» aggiunse poi, tornando a concentrare la sua attenzione sul cellulare che teneva tra le mani.

Hailey Bennett era così, una persona che molti avrebbero definito superficiale e a tratti anche altezzosa. Proveniente da una ricca famiglia di Atlanta, che commerciava nell'energia rinnovabile. Aveva una concezione del tutto diversa, dal suo gruppo di amici, di quelle che erano le priorità nella vita.

Per lei, prima di tutto venivano i soldi, la sicurezza di potersi permettere di indossare ogni giorno vestiti diversi da abbinare a costosissime borse. Non era una cattiva persona, era solo stata cresciuta con ideali diversi e si era abituata a contare solo sul conto in banca dei suoi genitori per fare qualsiasi cosa.

Ma agli altri non dispiaceva stare in sua compagnia, li faceva divertire con le sue uscite ingenue, dettate dal fatto che fosse davvero poco pratica in quel tipo di materie, che non riguardassero la moda o la vita delle celebrità. E poi era anche una persona piacevole, sempre pronta ad aiutare e preoccuparsi per chi le stava vicino.

Quel mercoledì, come qualsiasi altro mercoledì del mese passato lì ad Harvard, nel loro gruppo vi era la tradizione di ordinare la pizza e mangiarla nell'enorme giardino del campus. Almeno finché le temperature lo permettevano, perché con l'arrivo dell'inverno il loro pranzo si spostava in camera di Ember.

Seduti in un cerchio asimmetrico, sopra quei teli dalle fantasie tribali, nel mezzo del prato, continuavano a discutere degli argomenti più disparati.

«Ditemi che mi avete lasciato almeno una fetta di pizza al formaggio» la voce di Jodi arrivò forte e chiara alle orecchie di tutti. La ragazza si era fermata proprio accanto a Ember, lasciando ricadere a terra i tre enormi libri che teneva tra le mani e sbuffando successivamente.

«È tutta lì, solo tu mangi quella roba nauseante» la informò Kaden, indicando il cartone di una pizza ancora chiuso.

«Io penso che impazzirò per dare questo esame di diritto penale» asserì, recuperando una fetta e facendo sì che quei molteplici strati di formaggio filante colassero ovunque.

«Eri in biblioteca a studiare?» le domandò Ember, sfogliando distrattamente i libri dell'amica e riferendosi al suo ritardo di mezz'ora.

«Ma magari» rispose, con la bocca ancora piena. «Quella stronza della Pinkley mi ha tenuta in classe più del previsto, per discutere del mio ultimo elaborato. Che ha definito: "ambiguamente noioso"» disse, dopo aver ingoiato quel boccone.

Ember aveva ormai smesso di ascoltarla da dopo le prime due parole, perché la sua mente si era già persa tra una miriade di altri pensieri. Che andavano dal: "Dovresti iniziare a studiare anche tu per gli esami." Al: "Mi piacerebbe provare a seguire quel corso di yoga nella palestra del campus."

La ragazza afferrò poi, prontamente, quella rondella di salame piccante dalla fetta di pizza che Carter aveva tra le mani, poco prima che potesse addentarla. Si guadagnò un finto sguardo arrabbiato, al quale rispose con un sorriso furbo.

Intanto che le lamentele di Jodi, riguardo il suo corso di studi, facevano da sottofondo a quella giornata di ritrovato e pallido sole, Ember decise di stendersi su quel telo blu. Allungò le gambe e poggiò la testa sulle cosce di Kaden, che prese ad accarezzarle i capelli neri, spettinandoglieli ulteriormente.

Il pensiero dei suoi genitori e di quella notte passata a piangere sulla spalla della sua compagna di stanza, sembrava ormai solo un lontano ricordo. Quel pomeriggio poteva affermare di sentirsi bene, nessun cambio d'umore aveva ancora rovinato la sua giornata e le lezioni erano state una più interessante dell'altra.

Soprattutto quella di letteratura.

Ember non pensava che una materia del genere potesse arrivare a prenderla tanto. Insomma, aveva sempre amato leggere, la scrittura, i classici e gli autori, ma lei aveva scelto quel corso per concentrarsi principalmente sulle lezioni di politica, economia, sociologia e marketing. Perché era quello che voleva fare nella vita, lavorare nella burocrazia del Paese, tirare i fili di tutti i meccanismi che lo Stato mandava avanti.

Però, da una settimana a quella parte, la letteratura sembrava aver occupato un posto privilegiato nella sua mente.

Doveva ammettere che gran parte del merito era del nuovo professore. Fare lezione con Damian era piacevole e interessante. La ragazza amava il modo in cui spiegava la vita di quegli scrittori, di come parafrasava i loro testi, il modo in cui leggeva quelle poesie e la passione che metteva nel suo lavoro.

Anche se restare concentrata durante quelle lezioni, la maggior parte delle volte, le risultava parecchio difficile. La sua mente tendeva ad iniziare a vagare, mentre ascoltava quella voce dal forte accento inglese, mentre guardava il modo in cui le sue mani gesticolavano e mentre osservava, da lontano, quei profondi occhi azzurri.

E allora ecco che i pensieri innocenti presto si trasformavano in immagini più piccanti, che scorrevano nella sua mente, come un vecchio film.

Quell'uomo aveva la capacità di eccitarla con una sola occhiata distratta. Ed era una cosa che amava e odiava allo stesso tempo. Non le piaceva perdere il controllo in quel modo, se non era lei a deciderlo. Ma davanti a lui, la sua mente sembrava sempre essere padrona di se stessa, scegliendo in che modi viaggiare con la fantasia.

Era innegabile, lui la attraeva fisicamente e comandare agli istinti della carne non è mai facile.

«Ember? Sei ancora tra noi?» Hailey attirò la sua attenzione, sventolandole una mano sopra al viso e costringendola ad abbandonare la tranquillità che la sua immaginazione le stava donando.

«Cosa?» domandò, aggrottando le sopracciglia e osservando i volti dei suoi amici. Per una frazione di secondo fece caso a come fossero tutti così profondamente diversi tra loro. E non solo a livello caratteriale, ma anche fisico.

C'era Carter, con il suo corpo perfettamente scolpito e quella pelle scura, che sembrava non poter presentare un'imperfezione nemmeno se volesse. I capelli corti coperti da un cappellino da baseball, riportante il logo dell'università e quei pettorali stretti nella maglietta aderente che tanto amava portare. Sembrava un'atleta e un modello, con la sua disarmante bellezza. Ma ciò che lei più amava era il suo carattere, la sua gentilezza, il suo regalare un sorriso a chiunque. Specialmente a lei.

E poi c'era Kaden -sul quale era ancora comodamente poggiata- con la sua ingannevole faccia da bravo ragazzo, sarebbe stata la persona del quale ogni genitore non avrebbe avuto dubbi nel fidarsi a far uscire con lui la propria figlia o il proprio figlio. Era sorprendente pensare che, invece, fosse proprio lui quello che nel gruppo possedeva qualsiasi tipo di sostanza stupefacente e illegale.

Era un ragazzo dallo stile particolare. Non si faceva problemi nel distinguere i vestiti in categorie, per lui non vi erano vestiti per maschi o femmine, ma per maschi e femmine. E questa sua apertura mentale era ciò che Ember più apprezzava. Oltre al fatto che con quel ragazzo potesse parlare di tutto, di ogni suo problema.

«Ti ho chiesto come mai non ti arrivano i messaggi e nemmeno le chiamate. Ieri sera avevo bisogno di te per un consiglio ed eri praticamente irreperibile al cellulare» disse Hailey, fissandola con un sopracciglio alzato, in attesa di una risposta.

La ragazza ricordò la rabbia con cui aveva scaraventato il suo telefono verso un albero e preferì tenersi quel racconto per sé. Era solita cedere a quei gesti dettati dall'impulso, si faceva sopraffare dalle sue emozioni. Però poi teneva sempre tutto nascosto, perché davanti agli altri non bisognava mai mostrare le proprie debolezze.

O almeno, questo era quello che le avevano insegnato i suoi genitori.

Quindi quelle emozioni contrastanti venivano sempre represse e chiuse dentro un'immaginaria gabbia nella sua testa. Ma, puntualmente, nelle situazioni stressanti, esse fuoriuscivano con la stessa potenza di un fiume in piena e la investivano, rendendola incapace di pensare razionalmente.

«Ah sì... è perché l'ho rotto. Stavo camminando e avevo un sacco di cose tra le mani, mi è scivolato a terra, senza che nemmeno me ne accorgessi e ci sono passata sopra» inventò la prima scusa plausibile che le passò per la mente. Dopotutto era sempre stata brava a mentire, era un altro campo nel quale eccelleva e la cosa non le dispiaceva affatto.

«Dobbiamo andare a ricomprarne uno allora» commentò l'amica, legandosi i lunghi capelli castani in una perfetta coda alta. «In serata vado a fare shopping a Boston, vieni con me» propose poi, dando un veloce sguardo ai vestiti che indossava. Un completo abbinato con gonna corta e blazer elegante, ma che però non la soddisfaceva più come il giorno in cui lo aveva comprato.

«No, non credo che per il momento prenderò un altro cellulare. Ho scoperto che sto bene anche senza» confessò, facendo spallucce, mentre gli occhi di Hailey si spalancavano sconvolti.

La verità era che, Ember voleva evitare di ricevere altri possibili messaggi o chiamate dai suoi genitori. Non voleva vederli e soprattutto non voleva sapere il motivo per il quale la stessero cercando, dopo tre anni di distacco. Non era intenzionata a far loro nessun tipo di favore, voleva che il suo passato restasse tale ed evitasse di bussare in continuazione alla sua porta.

Stava bene attorniata solo dai suoi amici, in quell'università lontana da casa, vivendo la nuova vita che si era costruita. Le piaceva il rapporto basato sullo stretto necessario che aveva creato con i suoi genitori, basato solo su qualche messaggio scambiato nei vari mesi, in cui loro si accertavano che lei stesse continuando ad essere la migliore in ciò che faceva e lei li ringraziava per gli assegni mensili che le recapitavano per permetterle di sostenersi.

Quella relazione, quasi professionale, stava bene a tutti e tre. A loro, perché gli permetteva di concentrarsi sul lavoro e su quello che amavano fare nel tempo libero, senza doversi preoccupare di nulla. E a lei, perché evitava di soffrire sentendosi di troppo, come un'intrusa, in quella famiglia mal assortita.

«Giocano i Celtics domani, ci troviamo tutti allo Shay come al solito?» chiese Jodi, alzandosi in piedi e recuperando quei tre libri.

«Certo, bimba. Come da tradizione» le rispose Ember, sistemandosi meglio sulle gambe di Kaden, che avrebbe tanto voluto dirle di alzarsi, perché gli stava schiacciando le cosce. Ma che preferiva restare in silenzio e lasciare che lei si godesse la sua comodità e la strana tranquillità che sembrava possederla quel giorno.

Kaden le voleva davvero bene, come se fosse la sorella che mai aveva avuto e che tanto aveva desiderato. Le aveva detto più volte che sarebbe stato felice di aiutarla in tutti i modi possibili, dopo che lei, anni prima, grazie a quella prima sbronza che si erano presi assieme, gli aveva raccontato ogni cosa del suo passato.

Ma lei gli aveva sempre risposto che non stava cercando la pietà di nessuno, che era perfettamente in grado di cavarsela da sola. E che le bastava averlo vicino, come amico e non come una specie di baby-sitter che si prendeva cura di lei.

«Bene, allora me ne torno a fare la muffa in biblioteca» annunciò la bionda, facendo ondeggiare i lunghi capelli e compiendo, come era solita fare, una teatrale uscita di scena. Jodi amava comportarsi con quei modi vistosi e creare un dramma dal nulla. Lo diceva sempre: se non avesse scelto legge, sarebbe finita a fare l'attrice a Broadway.

Qualche minuto dopo, anche Hailey se ne andò, già in ritardo per il suo, settimanale, appuntamento dall'estetista. Curava in ogni minimo dettaglio il suo corpo, a partire dal laser, per rimuovere qualsiasi possibile pelo, fino ai duri allenamenti in palestra per mantenere il suo fisico perfetto.

Ember, in questo la invidiava molto, avrebbe voluto avere la sua stessa costanza nel fare le cose per prendersi cura di sé. Ma la verità era che lei faceva ciò che doveva fare solo quando le andava, non aveva costanza nell'allenarsi o nello studiare. Così come non aveva costanza con le sue emozioni e con i legami che creava che le persone.

Ogni compito e impegno che aveva, lei si metteva a farlo solo nel momento in cui le andava davvero, rendendole molto difficile il riuscire a rispettare le scadenze. Perché, la maggior parte delle volte, si riduceva a fare tutto all'ultimo.

«Ehi, ma quello non è il professore con cui siamo usciti una settimana fa?» la domanda, posta da Kaden, attirò l'attenzione di Ember, che smise di osservare la forma buffa delle nuvole.

Finalmente alzò la testa dalle gambe del ragazzo, che assunse un'espressione sollevata, andando a massaggiarsi le cosce. Sorreggendo il suo peso sugli avambracci scoperti, lei iniziò a guardarsi intorno.

«Sì, Damian Turner» confermò Carter e fu a quel punto che gli occhi di lei si sgranarono, sorpresa da quell'affermazione inaspettata. Ember portò il suo sguardo sul sentiero che conduceva ai cancelli del campus, ritrovando il suo professore che camminava verso l'uscita.

Quella valigetta in pelle marrone, stretta in una mano, il passo deciso e il corpo coperto da un completo sui toni del marrone. La ragazza presto si perse ad osservare ogni dettaglio di quella figura che tanto la affascinava.

«È la prima volta che lo vedo da quella sera» commentò Kaden, sistemandosi i capelli ricci.

«Ogni giorno, precisamente alle -Carter guardò l'orologio che aveva al polso- quattordici e cinque, va nella caffetteria appena qui fuori a prendersi un latte macchiato e una ciambella al cioccolato» sia Ember che l'altro ragazzo aggrottarono la fronte, stupiti dall'informazione dettagliata che lui aveva fornito.

«Che c'è? Sono stato incaricato di mostrargli l'università e la città, ho passato un po' di tempo con lui» spiegò, notando le loro espressioni confuse.

Ricordò il modo in cui, dopo la serata al pub, lui fosse andato a cercarlo all'interno di quelle aule moderne dell'università. Scusandosi per non avergli spiegato ciò che doveva. E Damian, con la sua solita gentilezza, gli aveva detto di non preoccuparsi, che avrebbe potuto rimediare durante quel pomeriggio.

E così aveva passato qualche ora in sua compagnia, parlandogli di quell'università, portandolo a vedere i luoghi principali del campus e dandogli le informazioni necessarie per vivere e ambientarsi al meglio in quella cittadina.

Non si erano mai sbilanciati su argomenti più personali, come era capitato la sera prima. Ma entrambi, alla fine di quella giornata, poterono confermare le loro reciproche impressioni positive. Damian era certo del fatto che il ragazzo fosse davvero una bella persona, dalla mente brillante e la genuina gentilezza.

E Carter continuava a ritrovare nello sguardo di quell'uomo una velata tristezza, come se dento di sé portasse un peso che lo stava trascinando a fondo, ma contro il quale continuava a lottare. Non sapeva se le sue supposizioni fossero vere, ma sapeva che era un brav'uomo e un bravo professore, innamorato del suo lavoro.

Alla fine era consapevole del fatto che nemmeno lo conoscesse ancora e non sapeva perché, ma in lui, nonostante potesse sembrare strano, vedeva davvero un possibile amico. Una possibile figura quasi paterna, grazie ai suoi sorrisi e ai suoi modi di fare eleganti, che gli ricordavano in tutto e per tutto il suo defunto papà.

Ed era proprio per questo che sentiva quel precoce affetto verso di lui.

La ragazza, dal canto suo, aveva ancora dipinta in volto quell'espressione confusa. Non si aspettava affatto che Carter conoscesse Damian. Perché quella sera, in quel pub, non aveva fatto minimamente caso a lui.

E allora anche i suoi pensieri iniziarono a confondersi. Lei e Carter non stavano assieme, ma era innegabile che ci fosse qualcosa tra di loro. Anche se, qualsiasi cosa fosse, sembrava non limitare nessuno dei due dal finire, di tanto in tanto, con altre persone. Nonostante ciò, si trovò a chiedersi inevitabilmente se fosse giusto nei suoi confronti il fatto che, ogni tanto, aveva pensato a quell'uomo mentre stava con il ragazzo.

Il fatto che i due sembravano conoscersi rimescolava le carte in tavola e le idee nella sua testa.

Insomma, la sua vita era complicata, la relazione con Carter era complicata, la sua testa era complicata. E lei sentiva solo il disperato bisogno di pace.

Il professore, come avvertito da un sesto senso, sentì gli occhi di quei ragazzi addosso. Voltò leggermente la testa, rallentando il passo e aprendo la bocca in un sorriso genuino. Con un cenno del mento rivolse un saluto nella loro direzione, riconoscendoli tutti, meno una. Perché Ember aveva provveduto immediatamente a girarsi dall'altra parte e nascondersi dietro la figura del suo amico.

«È sempre così gentile» ammise Kaden, ricambiando il saluto con la mano. «Insegna alla divisione Kennedy, per caso ha il tuo corso?» chiese poi, rivolgendosi alla ragazza.

Ma Ember aveva altri pensieri che svolazzavano nella sua testa. E poi non era sicura di voler rispondere a quella domanda, non sapeva perché, ma da quando aveva scoperto che anche i suoi amici sapevano chi fosse, sentiva di voler tenere tutto ciò solo per sé.

«Oh, ma che hai oggi? Sei particolarmente tra le nuvole» si intromise Carter, notando che la ragazza sembrava non aver nemmeno sentito la domanda di Kaden.

«Devo andare» affermò, alzandosi di scatto e recuperando il suo zaino bordeaux. Con una bretella sulla spalla, si incamminò velocemente verso l'uscita del parco, prendendo la strada più lunga e facendo sì che, anche se i due ragazzi la stessero osservando, non potessero capire che la sua meta, in realtà, fosse la medesima del professore.

Entrò in quella caffetteria, dagli arredi color pastello, mettendosi in fila ordinatamente e leggendo il menù appeso in alto, dietro al bancone. Vi erano due persone tra lei e Damian, ma finse di essere lì per puro caso, comportandosi con assoluta nonchalance.

La verità però era un'altra. Ember l'aveva seguito per uno scopo preciso, voleva parlargli e quella recente scoperta le aveva dato la spinta che necessitava per farlo. Da primo giorno di lezione, in cui lei gli aveva rivolto un saluto, non si erano mai più scambiati nemmeno un cenno. Ma nella testa della ragazza, quell'uomo sembrava essere diventato un pensiero fisso.

Non riusciva a capire perché la attraesse così tanto e voleva davvero scoprire se ciò fosse dettato solo dal fatto che gli piacesse fisicamente o dalla sua attrazione per l'infrangere le regole. Voleva scoprire se magari, scambiandoci qualche parola, quel suo interesse sarebbe svanito. Ember era dell'idea che una persona bisognava conoscerla prima di poter esprimere un giudizio con certezza.

Così, quando arrivò il suo turno, ordinò un cappuccino e poi andò a sedersi a quel bancone in legno, posto davanti alle finestre che affacciavano sulla strada. Uno sgabello più in là, poco prima, aveva preso posto lui. Che in quel momento era intento a leggere dei fogli e trascrivere qualcosa sul suo computer.

«Scusi, potrebbe passarmi lo zucchero?» gli chiese gentilmente, interrompendo il suo lavoro e facendogli alzare la testa, portando lo sguardo nella sua direzione. «Ah, professore, non l'avevo riconosciuta» mentì, aprendo la bocca in un sorriso furbo.

Si prese il suo tempo per osservare, più da vicino, quegli occhi chiari. Erano talmente profondi ed espressivi, che persino per una ragazza sicura come lei, sostenerne lo sguardo risultava difficile. Sembravano capaci di leggerti dentro e a lei non piaceva quella sensazione, quel sentirsi emotivamente esposta.

«Signorina Cooper, anche lei qui?» le domandò retoricamente, giusto per evitare qualche silenzio imbarazzante. Pentendosene immediatamente dopo per la stupidità di tale questione. Recuperò il contenitore dello zucchero accanto a lui e glielo porse, senza perdere altro tempo.

Fu a quel punto che Ember si ritrovò a indugiare per qualche secondo di troppo. Aveva notato un particolare che, fino ad allora, le era sempre sfuggito.

Sull'anulare di quella stessa mano che le stava passando lo zucchero, campeggiava, in bella vista, una fede d'oro. La ragazza si morse l'interno guancia, rimproverandosi mentalmente per non aver mai notato quel dettaglio tanto importante e così esposto alla vista di tutti.

L'uomo che, da una settimana a quella parte, era protagonista delle sue spinte fantasie sessuali, oltre a essere molto più grande di lei e il suo professore, era anche sposato.

"Che cazzo stai facendo?"

Si chiese inevitabilmente.
Finché erano solo fantasie andava bene, ma lei era andata lì con uno scopo preciso: capire se quelle fantasie sarebbero potute diventare realtà.
Quella volta, però, non avrebbe potuto usare il sesso come sua cura personale, non avrebbe potuto usare quell'uomo solo per soddisfare i suoi bisogni di evasione e ribellione.

Perché sarebbe stato sbagliato.
Sbagliato sotto ogni punto di vista.

Prese quello zucchero, ringraziandolo. Abbassò lo sguardo e lo versò nel suo cappuccino. L'unica fortuna di quel momento, era l'aver ordinato quella bevanda calda in un bicchiere d'asporto, così avrebbe evitato di doversene stare seduta accanto a lui per troppo tempo.

Si congedò, forse con un po' troppa fretta, perché Damian notò il suo repentino cambio d'umore, come se avesse appena visto un fantasma dietro di lui. Ma cercò di non farci troppo caso, dicendosi di smetterla di rivolgere i suoi pensieri a quella sua studentessa.

Mentre Ember era ormai già fuori dalla caffetteria, con lo zaino tenuto su una sola spalla e il cappuccino in una mano, si stava rimproverando in continuazione per aver permesso che la sua attenzione si rivolgesse, per l'ennesima volta, verso l'uomo sbagliato.

Aveva avuto la conferma che cercava. Damian non era altro che il suo professore e le fantasie su di lui dovevano rimanere ciò che erano, solo semplici fantasie. E sarebbe stato meglio se non fossero state più nemmeno quelle.

"Una sigaretta, ho dannatamente bisogno di una sigaretta."

Pensò, scuotendo la testa e dirigendosi verso il centro della cittadina.

🌟🌟🌟

Non dimenticate di lasciare una stellina🙏🏻

Eccomi con il nuovo capitolo!

Vi ho fatto conoscere un po' meglio il gruppo di amici di Ember, ma fidatevi, c'è ancora tanto da scoprire, su ognuno di loro.
Per ora chi di loro vi sta più simpatico? C'è qualcuno che non vi convince?

Intanto, la nostra protagonista si è finalmente accorta della fede che Damian porta al dito. E sembra proprio decisa a non fare nessuna mossa per avvicinarsi a lui.
Credete che ce la farà?

Per scoprirlo non dovrete fare altro che continuare a leggere😈

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XOXO, Allison💕

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