Capitolo 38 - L'inizio della fine
Fate attenzione alla tristezza.
È un vizio.
-Gustave Flaubert
Non ricordava precisamente il momento in cui ogni cosa aveva iniziato a sgretolarsi tra le sue mani.
Come ogni volta in cui era capitato nella sua vita, tutto le sembrava solo una confusa successione di ricordi, molti dei quali nemmeno era in grado di riconoscerli come reali o meno.
Fino ad allora, tre erano state le volte in cui si era resa conto che ormai ogni cosa stava iniziando a scivolare via e lei non avrebbe più potuto fare nulla, se non restare a guardare il modo con il quale la sua vita si annullava, tornando ad un punto di partenza e costringendola a ricominciare tutto. Come in un videogioco al quale, però, lei non voleva giocare affatto.
La prima volta in cui si era resa per davvero conto che ai suoi genitori non fregava niente di lei. Il giorno in cui non si erano presentati a scuola per la giornata delle professioni e l'avevano sgridata per essersi permessa di farglielo notare. Quella notte, mentre se ne stava seduta alla scrivania, a studiare e le lacrime bagnavano le pagine del libro di grammatica, aveva rivissuto ogni momento di indifferenza da parte loro sotto una luce diversa. Una luce che illuminava la verità che non giustificava più il troppo lavoro, ma che le faceva capire che non erano minimamente interessati a lei.
E poi, anni dopo, era successo di nuovo, alla festa per il diploma a casa della sua amica Camille Rodriguez. Quando, in mezzo a quella villa gremita di persone, aveva realizzato che da dopo quell'estate non avrebbe più rivisto nessuno di loro e si era improvvisamente sentita sola. Sola come non si era mai sentita prima, perché la consapevolezza che non avrebbe più dovuto o potuto frequentarli, l'aveva messa davanti alla verità che lei, alla fine, era sempre stata sola. Quelli non erano mai stati suoi amici per davvero, stavano con lei per convenienza e lei se lo faceva andare bene perché era sempre stato più semplice così.
Era stato il secondo episodio, dove si era resa conto che avrebbe dovuto ricominciare, ancora, tutto da capo, all'università.
E infine, c'era stato quel giorno.
Quello che era iniziato come un tranquillo giorno di metà marzo.
Damian era tornato dall'Inghilterra da due settimane ormai e non aveva mai voluto parlarle di come fosse andata. La sera in cui era arrivato a casa sua, Ember lo stava aspettando già dentro il suo appartamento e sin dal momento in cui era entrato, non aveva voluto dire una parola, stendendosi sul divano e poggiando la testa sulle sue gambe. Erano rimasti così per ore, mentre lei gli accarezzava i capelli e si chiedeva perché le nocche della sua mano destra fossero livide.
Gli aveva dato il suo spazio e il giorno dopo aveva provato a chiedergli come fosse andato il matrimonio, ma lui aveva tagliato corto con un: "Bene" per poi cambiare discorso. Gli aveva domandato cosa si fosse fatto alla mano, ma lui aveva mentito, dicendo di aver sbattuto mentre portava la valigia giù dalle scale.
E davanti a quei comportamenti, lei aveva semplicemente smesso di chiedere, ignorando completamente quella situazione. Fino a che, piano piano, entrambi iniziarono a fare finta che quel viaggio in Inghilterra non fosse mai avvenuto.
Le cose tra loro non erano cambiate, continuavano ad essere belle. Continuavano a stare bene insieme. L'unica differenza era che Ember sapeva che lui non le stava dicendo qualcosa, che stava nascondendo un avvenimento importante. E se lo faceva andare bene, perché aveva paura di chiedere, di arrivare a quel punto in cui, alla fine, anche lui se ne sarebbe andato. Perciò faceva finta di niente.
Forse, se avesse insistito, le cose sarebbero potute andare in maniera differente. O forse no, perché lui non era l'unico a non averle detto tutta la verità. Anche lei gli stava nascondendo qualcosa.
La prima era Carter, dal momento in cui, ancora, non ci aveva parlato. Nonostante a Damian avesse fatto credere il contrario. E la seconda, la stava fissando proprio in quel momento sullo schermo del suo computer.
"Saremmo onorati di ospitarla qui per conseguire il suo Dottorato."
Quella volta, il mittente era Princeton.
Prima c'era stato Stanford, poi Yale, la Brown e, quella che aveva dato il via alla sfilza di mail che iniziavano tutte recitando tale frase, era stata la Wharton.
Ognuna di quelle prestigiose università le stava offrendo una borsa di studio e altri vantaggi per incitarla a sceglierla come luogo in cui conseguire il dottorato. La sua bravura a scuola non passava mai inosservata e la stessa rettrice di Harvard aveva consigliato il suo nome per far sì che la contattassero. Il successo di Ember avrebbe apportato altro prestigio alla loro università e questa era un'occasione che non potevano farsi scappare. Perciò avevano sempre fatto di tutto per farla conoscere il più possibile nell'ambiente scolastico.
E la ragazza era contenta di tutte quelle proposte, vedeva il suo impegno gratificato e riconosciuto da qualcuno. I suoi genitori non l'avevano mai fatto, non le avevano mai detto di essere fieri e contenti di lei. Ma lo stavano facendo adesso tutte quelle università. Non era la stessa cosa, lo sapeva, però serviva come un cerotto che riusciva comunque a coprire la sua profonda ferita emotiva.
Chiuse il portatile quando vide Damian fare ingresso nel salotto, mentre si infilava una maglia a maniche lunghe. «Buongiorno» le disse, nonostante si fossero svegliati nello stesso letto e si fossero già abbondantemente salutati tra le lenzuola. «Novità?» chiese poi, facendole corrugare la fronte.
«Riguardo a cosa?» domandò di rimando.
«Non lo so, stavi guardando il computer e questo è il periodo in cui si fanno o arrivano le richieste dalle università per i percorsi post laurea. Pensavo che ti fosse arrivato qualcosa» spiegò, dirigendosi in cucina e versandosi una tazza di tè.
«Ah... no» negò subito e non sapeva nemmeno perché, infondo che male ci sarebbe stato a dirgli la verità su quella situazione. Una piccola parte del suo cervello, però, l'aveva portata a pensare che ammettere di essere quasi alla fine di quell'anno scolastico, stava a significare che quello poteva essere anche il loro capolinea. «Ancora niente» si sentì in dovere di aggiungere.
Damian annuì. «Che strano, vedrai che presto te ne arriveranno moltissime di richieste. Una studentessa con i tuoi risultati farà gola a chiunque là fuori» aveva ragione e tutte le mail che aveva già ricevuto confermavano le sue parole.
Nella testa di Ember stava ronzando una domanda, che non resistette a trattenere. «Tu insegnerai ancora qui l'anno prossimo?»
«Non mi hanno detto niente ancora, credo che stiano valutando i risultati del mio lavoro durante questi mesi» rivelò, per poi sorseggiare la sua bevanda calda.
Damian era fiducioso nel fatto che la valutazione risultasse buona e che quindi il suo soggiorno lì ad Harvard potesse prolungarsi. Un po' perché non aveva alcuna fretta di tornare in Inghilterra e un po' perché insegnare ancora qualche anno lì, avrebbe apportato più prestigio al suo nome. E, una volta tornato ad Oxford, avrebbe anche potuto prendere il posto di Pattern, come rettore. Era quello a cui aspirava sin da quando aveva iniziato ad insegnare.
«Avresti già qualche preferenza su dove ti piacerebbe conseguire il dottorato?» le chiese.
Ember rifletté su quella domanda, dicendosi che se Damian fosse rimasto ad insegnare ad Harvard e lei avesse scelto di restare lì per proseguire gli studi, allora avrebbero potuto continuare a vedersi anche dopo la sua laurea.
Il punto però, era che lei non aveva pensato di restare nella stessa università per il dottorato, voleva cambiare, provare un altro ambiente. Esattamente come lui, voleva apportare ancora più prestigio al suo nome, per farsi aprire ancora più strade.
E poi, proprio la rettrice di Harvard la stava spingendo ad accettare la richiesta di un'altra università, di modo che così avrebbe potuto giovare anche alla loro fama.
«Stavo pensando alla Brown, ma anche a restare qui» sapeva che non era la verità, eppure l'aveva detta comunque. Forse per vedere la sua reazione, o forse per illudersi che loro due non avessero una scadenza che continuava ad avvicinarsi sempre di più.
«Se mi riconfermassero e tu restassi qui...» lasciò quella frase in sospeso, avvicinandosi al divano dove era seduta.
"Potremmo restare assieme."
Pensò, accomodandosi accanto a lei e rivolgendole uno sguardo enigmatico. «Sì» confermò semplicemente.
"Ma io non resterò qui. Perciò, che fine faremo noi due?"
Si chiese nella testa, poggiando il portatile sul tavolino in vetro davanti a sé. In realtà non voleva una risposta, la temeva, sia che essa potesse arrivare da lui, sia che potesse fornirgliela la sua mente. L'ignoto, il non sapere, in quel caso era molto più conveniente.
«Ricordi la prima volta che ci siamo trovati su questo divano?» domandò lei, voltandosi e osservandogli il profilo del volto.
«Quando mi hai ingannato facendomi credere che avessi bisogno di recuperare quella lezione su Balzac?» rispose, viaggiando indietro nel tempo con la mente, ritornando fino a quel giorno.
Ember sorrise divertita. «Eri così nervoso» lo schernì, allungando una mano e infilandola nei suoi capelli. Iniziò a giocare con uno dei piccoli ricciolini che ormai si formavano sulle punte, perché troppo lunghe.
«E tu così sfacciata» commentò, avvicinando i loro volti. I respiri iniziavano a farsi irregolari e le pupille ad espandersi sempre di più
«Ma a te piace quando lo sono» non era una domanda, anche se ne aveva tutta l'aria. La ragazza fece sfiorare le loro labbra, salendo poi a cavalcioni su di lui. Non voleva pensare e l'unico modo che conosceva, era proprio quello. Il sesso, l'unica cosa capace di tenerla lontana dalla sua mente. La sua medicina.
«A te piace mettermi in difficoltà invece» le fece notare, mentre sentiva il sangue fluire quasi completamente in un punto preciso del suo corpo.
Ember gli lasciò un bacio sulle labbra, facendo scontrare le loro intimità e trattenendo a fatica un gemito. «Se le cose fossero state diverse...» si fermò per baciarlo nuovamente. Damian si sentiva completamente preso da lei, non riusciva a pensare ad altro se non a quella ragazza. La sua voce era come una melodia ipnotica, che gli fermava ogni tipo di ragionamento e lo rendeva impotente davanti ad ogni sua azione. «Che cosa avresti fatto quella sera?» gli chiese, strusciandosi su di lui.
Damian ripensò al modo in cui lo aveva sedotto e convinto a fare qualsiasi cosa lei volesse. Gli sembrava assurdo, eppure aveva quel potere su di lui. Con un gesto o una parola, alla fine riusciva sempre ad averla vinta.
Allungò una mano, poggiandole il pollice sulle labbra carnose e accarezzandogliele con gentilezza. «Non avevi una lezione questa mattina?» la ragazza fece sfarfallare le ciglia, annuendo a quella domanda. «Non dovresti saltarle» le ricordò.
Lei assunse quell'espressione innocente che era capace di mandarlo completamente fuori di testa. «Vuoi punirmi?» chiese, con un lampo di pura malizia negli occhi.
A quelle parole, il corpo del professore sembrò reagire come se fosse completamente sconnesso dal suo cervello e avesse vita propria. Quello stesso pollice scivolò nella sua bocca «Cristo, Ember» ringhiò, mentre con le altre dita serrava la presa sulla sua mandibola e la costringeva ad avvicinarsi ulteriormente al suo volto.
La ragazza si lasciò scappare un gemito strozzato, intanto che percepiva il suo basso ventre contrarsi. Lo guardò dritto in quegli occhi azzurri, quelle iridi alle quali ormai aveva fatto l'abitudine. Le stesse che erano capaci di rassicurarla, eccitarla, farla arrabbiare e farla ridere. In che intricato guaio di sentimenti si era cacciata.
Lasciò che la lingua scivolasse sul dito del professore, che le labbra ne cingessero la pelle un po' ruvida, godendosi il modo in cui le sue sopracciglia si aggrottavano leggermente mentre cercava di tenere a bada ogni suo istinto. Lo sfilò lentamente dalla bocca, con un piccolo rivolo di saliva che si ruppe quasi subito.
«Tu mi farai davvero impazzire un giorno di questi» ammise, avvertendo più se stesso che lei. Si alzò in piedi, trascinandola con lui. Ember allacciò le gambe dietro il suo busto, mentre le mani di Damian la sorreggevano da sotto il sedere. Camminò con passo veloce fino a raggiungere la camera da letto, adagiandola poi sul materasso.
Le sfilò i pantaloni a righe che stava indossando e la liberò anche di quel top, lasciandola con indosso solo uno dei tanti paia di striminzite mutandine in pizzo che possedeva. Non perse tempo, liberandosi anche lui dei suoi vestiti, gettandoli in un angolo della stanza. Si piegò su di lei, iniziando a baciarla con foga ed Ember lo lasciò fare.
Lo lasciò fare anche per tutto il resto del tempo, perché percepiva che ne avesse bisogno. L'aveva intuito durante tutti quei giorni di quanto avesse bisogno di sentirsi libero e di sfogarsi. E alla fine, serviva anche a lei, per non pensare. Si stavano facendo del bene in ogni senso.
La voltò, facendola mettere in ginocchio rivolta verso quelle ante a specchio. Lo aveva fatto apposta, ricordando quando nella telefonata lei aveva detto di apprezzarle parecchio. Incontrò il suo sguardo nel riflesso, mentre con il palmo della mano poggiato alla sua schiena scoperta applicava una leggera pressione, spingendola verso il basso, lasciando che però le gambe restassero perfettamente piegate e che il sedere fosse completamente rivolto verso l'alto.
Ember si sostenne con gli avambracci, alzando poi la testa e gettando alcuni ciuffi di capelli all'indietro, così da avere una perfetta visuale di loro due. Lo vide abbassarsi i boxer e poi tirare il tessuto delle sue mutandine, spostandolo su di un lato. Con una mano accarezzò la sua intimità ora scoperta, dischiudendone piano le pieghe e inumidendosi i polpastrelli dei suoi già abbondanti umori.
Pochi secondi dopo scivolò dentro di lei con una spinta decisa e non ci mise molto prima di iniziare a muoversi da subito con un ritmo sostenuto, portandola a gemere in modo incontrollato. La ragazza alzò gli occhi al cielo dal piacere, quando sentì che l'indice le stava sfiorando delicatamente il clitoride.
Osservarsi in quegli specchi, rese per entrambi il tutto ancora più intimo ed eccitante. Damian amava vedere il viso della ragazza contratto da quelle espressioni di piacere, che la rendevano ancora più bella e sexy. Ed Ember non riusciva a staccare gli occhi dalla sua figura, osservando come quel ciuffo di capelli gli ricadesse sulla fronte imperlata di sudore e il modo in cui le sue anche si muovevano ritmicamente donandole piacere.
E ancora prima che potesse rendersene conto, venne travolta dall'orgasmo. I muscoli delle sue gambe si contrassero e il battito cardiaco accelerò, fino a che quelle sensazioni decisamente più amplificate si calmarono. Il professore ritrasse il dito, poggiando poi la mano sul suo sedere e stringendolo avidamente. «Hai fatto presto» commentò, con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra.
«Cazzo...» disse flebilmente, rendendosi conto che non le era mai successo di arrivare al culmine in così poco tempo. Ma tutti quegli stimoli l'avevano messa decisamente a dura prova. Damian riprese a muoversi più velocemente nel momento in cui avvertì il respiro di lei tornare ad essere cadenzato e non più irregolare.
Uno schiaffo sulla natica destra la fece sussultare e genere decisamente più forte, mentre il professore guardava la sua pelle lattea colorarsi di quella leggera sfumatura rossa.
Quei momenti di intimità con lei, anche un po' rudi, lo facevano sentire così vivo. Guardarla negli occhi gli faceva scordare tutto ciò che aveva passato in Inghilterra.
Trascorsero così il resto della mattinata, ancora un altro po' tra quelle lenzuola e poi di nuovo sotto la doccia. Fino a quando furono costretti a salutarsi, perché Damian doveva tenere una lezione. Ember era quindi ritornata al campus, con l'intenzione di restare in camera sua a studiare. Ma quando era arrivata davanti alla porta, vi aveva trovato appesa quella piccola lavagnetta che lei e Jodi utilizzavano quando avevano bisogno della stanza in totale privacy.
"Non disturbare" ci aveva scritto sopra con un pennarello rosso, facendole intendere perfettamente che fosse in buona compagnia. Rimase per qualche secondo lì fuori, chiedendosi con chi potesse essere e poi, non trovando alcuna risposta valida, decise di andarsene.
Chiamò Hailey, che rispose al primo squillo. «Volevo studiare, ma Jodi sta occupando la nostra stanza» le disse subito.
«Vai in biblioteca» rispose l'amica, con tono decisamente ovvio.
«No, ormai mi è passata la voglia. Ci sei per bere qualcosa alla caffetteria?» chiese, lanciando un'occhiata alle vetrate di quel bar.
«Te l'ho detto che con te non ci esco finché non ti prendi le tue responsabilità e non parli con chi sai tu» le ricordò. Ember alzò gli occhi al cielo, piegando leggermente la testa all'indietro.
«Fai sul serio?» gliel'aveva detto, dopo che quella sera non si era presentata allo Shay, ma non pensava che lo avrebbe fatto per davvero.
«Sì. E poi tra poco mi inizia il corso di spinning» ammise, per poi salutarla e chiudere quella telefonata. La ragazza si guardò attorno, osservando i giardini dell'università illuminati dal sole. La primavera era ormai giunta anche lì, nonostante facesse ancora un po' freddo, ma era del tutto normale in uno stato così a nord. Vedere però gli alberi iniziare a colorarsi nuovamente di quel verde acceso e i fiori spuntare qua e là, le mise un senso di malinconia addosso,
Solitamente la bella stagione portava gioia nelle persone, ma ad Ember non piaceva affatto. Il ritorno del sole nel cielo come maggiore protagonista e il conseguente innalzamento delle temperature, significavano che l'anno accademico stava quasi per giungere al termine e lei non aveva mai amato le vacanze estive. Stare lontano dai libri e dalle lezioni significava avere tanto, troppo tempo, per perdersi a pensare. In più, tutti tornavano a casa dalle loro famiglie, svuotando i dormitori e lei si ritrovava l'unica senza un posto dove poter andare.
Perciò restava lì, al campus. Ci passava anche l'estate, consolandosi del fatto di avere almeno Kaden vicino e contando i giorni che la separavano dall'inizio del nuovo anno accademico. Certo, qua e là, faceva dei viaggi con i suoi amici, ad esempio, l'anno prima erano andati a Miami per una settimana, nella casa delle vacanze di Hailey. E poi erano stati a San Francisco per una settimana. Ma quelle rimanevano comunque solo piccole finestre che si aprivano temporaneamente sulla sua opprimente solitudine e che, come la maggior parte delle cose della sua vita, avevano una data di scadenza.
In più, quell'anno, l'estate avrebbe portato un problema in più. Si sarebbe laureata e, viaggi a parte, si sarebbe dovuta occupare di portare via tutte le sue cose dalla camera che ora condivideva con Jodi, per trasferirsi in un'altra università. La sua compagna di stanza sarebbe rimasta lì ancora per un altro anno, così come Hailey. Mentre Carter era già stato assunto per andare a lavorare in quell'azienda nella Silicon Valley. Restava fuori solo il suo migliore amico, che, come lei, ancora non aveva deciso in quale università conseguire il suo dottorato.
Segretamente, Ember sperava che riuscissero a ritrovarsi nella stessa. Perché, era vero che non avrebbe avuto problemi a farsi dei nuovi amici, ma loro restavano comunque le prime persone che le avevano voluto bene per davvero, non voleva perdere i rapporti e lasciare che ogni cosa che avevano vissuto si aggiungesse alla collezione di foto bloccate nel tempo che rappresentavano il suo passato.
E poi, c'era anche il problema Damian.
Erano decisamente troppi pensieri, che risvegliavano quella malefica vocina nella sua mente. Quella che non perdeva occasione per buttarla giù e sminuirla.
Decise di andare a cercare Kaden, l'unica persona che in quel momento avrebbe potuto distrarla da ogni cosa e rassicurarla senza nemmeno che lei dovesse spigargli cosa stava accadendo. Non ci mise molto tempo a trovarlo, aveva appena terminato una lezione di psicologia cognitiva e stava uscendo dal suo dipartimento assieme ad alcuni compagni.
Nel momento in cui la vide, li salutò velocemente, raggiungendola e stringendola in un abbraccio veloce. «Meno male che sei venuta a salvarmi» le disse, lanciando un'occhiata dietro di sé. «Mi avevano invitato ad un dibattito sulle ideologie di Freud e non sapevo proprio cosa inventarmi per scappare» aggiunse, mettendole un braccio attorno alle spalle e iniziando a camminare per quel giardino.
Ember rise divertita. «Ho necessariamente bisogno di distrarmi dalle continue mail che mi arrivano per la scelta dell'università dove andare a fare il dottorato» confessò, con un tono alquanto tragico.
«Non dirlo a me. C'è mio padre che continua a dirmi di andare a Yale, dove è stato lui, che è fantastica, che ha passato degli anni stupendi lì e bla, bla, bla» spiegò, imboccando la strada che portava verso la biblioteca. «Io non ho idea di cosa scegliere, perché sembrano tutte delle ottime opzioni e questo mi manda in crisi» aggiunse, sbuffando sonoramente.
«La rettrice mi ha detto di scartare tutte le proposte che mi arrivano da università che non fanno parte della Ivy League» parlò Ember, sedendosi sulle scalinate bianche di quella biblioteca. «Stavo pensando che forse, la Brown potesse essere la scelta migliore» lo guardò, cercando di captare un qualsiasi segnale nei suoi occhi. «Insomma, è più che rinomata, offre corsi di alto livello, ha ottimi spazi e vantaggi. E, in più, dista solo un'ora di auto da qui, sarebbe un'opportunità per continuare a stare vicino a voi.»
Kaden le sorrise. «Ci stavo pensando anche io ieri notte» rivelò, mordicchiandosi il labbro inferiore. «Il tuo professore cosa dice?» le chiese, alzando un sopracciglio, stuzzicandola.
La ragazza tentennò, distogliendo lo sguardo dal suo. «Non ne ho parlato con lui» ammise infine, scrollando le spalle.
«Chissà perché la cosa non mi stupisce» commentò l'amico, riferendosi alle molteplici volte in cui lei aveva preferito tenere tutto per sé e creare poi problemi che invece si sarebbero potuti risolvere con una semplice discussione. «Quindi... non avete programmato nulla di duraturo?» indagò.
Ember prese un profondo respiro. «Per un attimo ho sognato che le cose potessero andare così, che io e lui potessimo durare. Ma il tempo ci rema contro» disse.
«Sai, quando qualche giorno fa sono venuto a prenderti fuori dall'aula e vi ho visti salutarvi, mentre cercavate di fare i discreti e non dare a nessuno l'impressione di avere una storia. Io però ho notato lo sguardo che vi siete rivolti, il modo in cui i tuoi occhi gli hanno sorriso, illuminandosi mentre incontravano i suoi. E di come lui abbia continuato a seguirti con lo sguardo, anche dopo che gli avevi dato le spalle» Ember non capiva dove volesse arrivare con tutto quel discorso, ma continuò lo stesso ad ascoltarlo.
«Per una frazione di secondo, vi ho visti insieme, anche al di fuori di questo contesto che vi costringe a stare nell'ombra» Kaden si era davvero immaginato quei due assieme in un futuro ipotetico, nel quale nulla li avrebbe relegati tra le sole quattro, sicure, mura di casa. L'aveva vista davvero felice con lui, ed era bastato quel singolo sguardo per farglielo capire. Magari non ci erano ancora arrivati, o magari stavano solo fingendo di non voler vedere la realtà dei fatti nella sua pienezza, ma quei due erano innamorati.
«Avevi ragione quando mi hai detto che non potevo farti la predica su questa storia con lui, perché non sapevo nulla» ricordò il giorno in cui aveva scoperto che lei e quel professore andavano a letto assieme. «Per quel che vale, credo davvero che lui sia la persona giusta per te» concluse, facendo spallucce.
«Peccato che questo sia il momento sbagliato» rispose Ember, guardandosi gli stivaletti neri che indossava ai piedi.
La vita, ancora una volta, si era divertita a prenderla in giro, mettendole davanti un'opportunità di essere felice per molto, molto tempo. Strappandogliela poi dalle mani ancora prima che lei potesse riuscire a goderne appieno. Le aveva fatto trovare un uomo buono, premuroso, che le aveva fatto capire come anche lei meritasse di essere amata da qualcuno. E ora glielo stava portando via con prepotenza, ponendole davanti agli occhi il problema del tempo.
Perché era proprio quello che gli mancava, il tempo.
«Magari no. Magari il destino ha in serbo una piccola svolta per questa storia» provò a rassicurarla Kaden, spostandosi un ricciolino che gli era ricaduto sulla fronte.
«Damian è il mio professore, è sposato, ha già realizzato i suoi obbiettivi nella vita. Mentre io sono una sua studentessa, che ancora deve finire gli studi e iniziare la sua carriera. Lui non può rinunciare al suo lavoro per seguirmi ovunque io decida di andare. E io non posso rinunciare ai miei sogni per restare accanto a lui. E anche se questa nostra storia va avanti da mesi, comunque le cose non cambiano» era la prima volta che quel ragionamento prendeva vita anche al di fuori della sua testa, uscendo sotto forma di parole. Non le piacque, perché la mise ancora di più davanti alla realtà dei fatti.
L'amico stava cercando qualcosa da dirle, ma prima ancora che la sua mente potesse elaborare una frase compiuta, udirono degli applausi alle loro spalle. Si voltarono simultaneamente, volendo capire da chi provenisse quel suono e perché soprattutto. Quando però si ritrovarono davanti quella figura, desiderarono di non averlo mai scoperto.
Carter era dietro di loro, qualche gradino più in su, se ne stava in piedi, con lo zaino sulle spalle e un'espressione arrabbiata in volto. Aveva smesso di battere le mani e li stava fissando con delusione. Si avvicinò a loro, che nel frattempo si erano alzati in piedi, realizzando a poco a poco il fatto che lui avesse sentito tutta la loro conversazione.
«È per questo che sei sparita quindi, perché eri impegnata a scoparti quell'uomo» appurò, sorridendo amaramente. «Te la facevi con tutti e due. E io che come un coglione andavo proprio da lui a confidarmi e a chiedergli consigli su come comportarmi con te» scosse la testa, incredulo davanti a quella verità dolorosa. «Ci vuole tanto coraggio a fregarsene così dei sentimenti di una persona. Soprattutto dal momento in cui sei sempre stata a conoscenza di quello che provavo per te» sputò, con disprezzo.
Gli tornarono in mente tutte le bugie che gli aveva rifilato, il modo in cui lo aveva ingiustamente trattato e come lui ci fosse sempre cascato, accecato dall'amore. Si ricordò di ogni volta in cui aveva parlato di lei con quel professore, aprendosi e chiedendogli consigli. E lui, gli aveva mentito guardandolo dritto negli occhi.
Ma realizzò che non era stato il solo. «E tu, non sapevi niente, vero?» si rivolse a Kaden, alzando gli occhi al cielo.
«Carter, io non-» lo interruppe subito, non volendo sentire altro.
«Mi fate schifo, tutti e due» gli puntò un dito contro, allontanandosi.
«Carter, dai, aspetta» provò a richiamarlo Ember, scendendo velocemente quegli scalini e andandogli dietro. «Sono stata una stronza, è vero» ammise, ma lui non sembrava ascoltarla. «Però ti ho sempre detto che non poteva esserci nulla di più tra di noi» aggiunse.
A quel punto, il ragazzo si voltò, furioso. «L'hai detto, ma poi con i tuoi comportamenti mi dimostravi tutt'altro. Mi hai illuso, mi hai mentito e tutto senza nemmeno sentirti un minimo in colpa» aveva ragione e lo sapeva anche lei. «Hai voluto giocare in modo scorretto con chiunque, pensando solo e unicamente a te stessa, come fai sempre. E adesso ti prendi le conseguenze di quello che accadrà» l'avvertì, con un tono che aveva tutta l'aria di essere una minaccia.
Se ne andò, allungando il passo e lasciandola lì. Ember rifletté su quelle ultime parole, cercando di capire cosa volesse intendere. E poi, una sensazione di panico la stritolò completamente.
Carter avrebbe potuto dirlo a qualcuno?
Era quello che intendeva? Che sarebbe andato a rivelare a tutti della loro relazione?
"Cosa ho combinato..."
Pensò, mentre il respiro diventava sempre più corto.
«Cazzo, Ember!» esclamò Kaden, che nel frattempo l'aveva raggiunta. «Te l'avevamo detto tutti che dovevi parlargli da subito» le ricordò, arrabbiato.
La ragazza rimase ferma, osservando anche l'amico andarsene e provare a raggiungere Carter.
Stava provando a pensare, a cercare una soluzione, a capire cosa avrebbe potuto fare. Ma non le veniva in mente niente. Nulla che avrebbe potuto cambiare ciò che ormai era già successo.
E quella, fu la terza volta in cui percepì che ogni cosa le stava scivolando via dalle mani.
Il ragazzo era deluso e arrabbiato. Il suo migliore amico gli aveva mentito, la sua amica gli aveva mentito, il professore gli aveva mentito.
Nessuno si era preoccupato di lui.
Tutti sapevano e nemmeno uno aveva scelto di prendersi la responsabilità e pensare anche ai suoi sentimenti.
Non se lo sarebbe mai aspettato, da nessuno di loro.
La testa sembrava esplodergli dai troppi pensieri.
Si stava chiedendo cosa avrebbe dovuto fare.
Comportarsi come se nulla fosse successo, lasciando tutto in secondo piano?
O fare a sua volta un torto a tutti quelli che lo avevano preso in giro?
Entrambe le cose sembravano sbagliate e giuste allo stesso tempo.
Camminò per quei giardini, seminando Kaden e svoltando poi in una via trafficata fuori dall'università. Era confuso, eppure, il suo corpo sembrava sapere esattamente quale sarebbe stata la sua prossima meta.
Damian era rientrato a casa da poco, dopo alcune ore di lezione e una lunga telefonata con il rettore di Oxford. Si stava cambiando, indossando qualcosa di più comodo, quando udì il campanello suonare.
Pensò che fosse Ember, dato che quella sera avrebbero cenato da lui, come ormai accadeva da molto tempo. Perciò aprì senza nemmeno accertarsi che la sua teoria fosse esatta. Continuò ad infilarsi quella tuta, mentre attendeva che la ragazza salisse.
Sentì bussare alla porta e prontamente la raggiunse. Ma davanti ai suoi occhi non vi era Ember.
Lì fuori, in quel corridoio, si trovava una persona che proprio non si aspettava di vedere in quel contesto. Aggrottò le sopracciglia, osservando quegli occhi che lo stavano fissando in modo serio e la mandibola completamente contratta.
«Carter, cosa ci fai qui?»
🌟🌟🌟
Non dimenticatevi di lasciare una stellina🙏🏻
All'appello delle persone che sapevano della relazione tra Ember e Damian, mancava solo Carter. Ed eccolo qui infatti, perché i problemi non erano ancora abbastanza, giusto?
E adesso, le domande senza risposta sono ancora più di prima.
Cosa pensate che accadrà?
Qualcun altro verrà a sapere della loro relazione oppure no?
Ma soprattutto, perché Carter si è presentato a casa del professore?
Per scoprirlo, non dovrete fare altro che continuare a leggere😈
Commentate facendomi sapere cosa ne pensate e per qualsiasi cosa non esitate a scrivermi.
Seguitemi su Instagram: _madgeneration_ per non perdervi nessuna novità!
XOXO, Allison💕
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top