Capitolo 37 - Punti di vista
È nella separazione che si sente
e si capisce la forza con cui si ama.
-Fëdor Dostoevskij
La notte era passata.
Damian aveva evitato abilmente sua moglie.
Quando era uscito da quel bagno, parecchio tempo dopo, lei non era lì, si era già chiusa in camera sua. Così, il professore ne aveva approfittato per fare lo stesso, ritirandosi nel suo studio. Aveva dormito tranquillo, alzandosi di buon mattino il giorno dopo e uscendo di casa ancora prima che potesse vederla.
Stava facendo ciò che Ember faceva sempre, stava evitando il problema.
Non voleva parlare della loro discussione al telefono, a New York. E non voleva rispondere a domande inquisitorie volte e spigare come mai si fosse chiuso in bagno per parlare al cellulare.
Sapeva che il momento sarebbe arrivato, lo stava solo ritardando, sperando di poterlo fare per più tempo possibile.
E non era il solo.
Perché quella notte era passata anche per Ember, che era rimasta a dormire a casa di Damian, per non essere trovata da nessuno. Sarebbe dovuta andare allo Shay, parlare con Carter, come aveva detto alla sua amica, ma non l'aveva fatto.
Entrambi stavano scappando e non avrebbero potuto farlo per sempre. Il momento di mettersi faccia a faccia con la verità sarebbe arrivato, era solo questione di tempo.
Un tempo che iniziava il suo conto alla rovescia esattamente da quel giorno.
Tic... tac... tic... tac...
Damian bussò alla porta della camera di Oliver, attendendo che lui andasse ad aprire. «Sei pronto?» chiese, quando gli comparì davanti.
«Sì» annuì vigorosamente, prima di uscire e dirigersi verso l'ascensore. Scesero fino nei garage e il professore si mise alla guida della sua auto.
Erano diretti verso la location in cui si sarebbero svolte le nozze: il Kew Gardens.
Un complesso di giardini e serre che ospitava piante e fiori di ogni tipologia e specie. Dotato anche di un'orangery dall'architettura raffinata, che permetteva di organizzare numerosi eventi in grande stile.
Era mattina presto, ma il traffico di Londra non si smentiva mai. Mentre avanzavano lentamente in quelle larghe strade, Damian si perse a pensare.
La mattina dopo la telefonata con Ember, quando era uscito di casa ancora prima che la moglie si svegliasse, si era diretto subito in università. Avrebbe dovuto occupare la giornata e chiudersi nel suo vecchio ufficio, leggendo e provando a lavorare su quel libro che cercava di scrivere invano da mesi, gli era sembrata l'opzione migliore.
Si era portato dietro l'intera valigia, perché quando era arrivata la sera, si era cambiato ed era andato subito a prendere Oliver, per portarlo nel locale dove aveva organizzato, assieme ad altri loro amici, il suo addio al celibato.
Aveva optato per uno speakeasy nascosto in piena vista vicino a Baker Street. Per entrare in quel locale si doveva prima passare da una normalissima caffetteria. Lì, davanti a quella che aveva tutta l'aria di essere la porta di un ripostiglio, stazionava un uomo al quale si doveva comunicare la parola in codice.
Una volta ottenuto l'accesso, ci si ritrovava all'interno di una sala composta da pochi tavoli e luci soffuse, che dava tutta l'aria di essere appena stati catapultati indietro nel tempo, negli anni novanta dell'ottocento. Proprio quando le vicende di Sherlock Holmes prendevano vita. Questa cosa era stata il fattore determinate che lo aveva portato ad optare per quel posto.
Sherlock, assieme a Lupin, era uno dei personaggi letterari che Oliver preferiva. Gliene aveva parlato spesso, quando si erano ritrovati a discutere di libri. E nel momento in cui aveva visto l'espressione esaltata del cognato, aveva capito di aver fatto centro.
La serata l'avevano passata tra cocktail sofisticati, uno spettacolo di musica e ballo dal vivo. Si erano divertiti parecchio.
Terminato il tutto, Damian si era finto troppo stanco e brillo per poter rientrare a casa, perciò aveva chiesto ad Oliver di poter dormire da lui. E così, si era ritrovato a quel punto, dove avrebbe rivisto sua moglie direttamente al matrimonio. Ripensandoci, si disse che non era stata una grande idea, date tutte le cose in sospeso di cui dovevano parlare.
Sperò che i suoi problemi non rovinassero il matrimonio del suo amico e continuò a guidare, diretto verso i giardini.
Dall'altra perte dell'oceano, mentre Ember ancora dormiva beata nel letto di Damian. Un ragazzo aveva appena terminato la sua solita corsa mattutina, fermandosi proprio davanti a casa del suo amico.
Quando Kaden aprì la porta, si ritrovò davanti Carter, sudato e in tenuta sportiva. «Sei venuto a scroccare cibo o una doccia?» chiese, incrociando le braccia al petto.
«Entrambi» ammise l'altro, entrando. «Ti ho aspettato mezz'ora stamattina, meno male che: "No, tranquillo. Domani vengo a correre con te. Ho già messo la sveglia alle cinque."» gli fece il verso, imitando malamente la sua voce.
L'amico si grattò la nuca. «Sì... scusa, ma ho preferito dormire allo sport.»
Carter scosse la testa, alzando gli occhi al cielo in modo divertito. «Mi devi una buona colazione» gli disse, puntandogli il dito, prima di entrare in bagno per farsi una doccia. Dopo essersi vestito, con alcune cose che, negli anni, gli era capitato di lasciare a casa di Kaden, lo raggiunse in cucina.
Si sedette all'isola, osservando affamato il cibo che l'altro gli stava mettendo nel piatto «Oggi, chef Johnson offre uova strapazzate e del bacon croccante» parlò e si atteggiò come se fosse un cuoco professionista. E in effetti, cucinare era una cosa che gli riusciva parecchio bene, soprattutto se si trattava di pasticceria.
Iniziarono entrambi a mangiare, godendosi quella colazione assieme a due grosse tazze di caffè. «Lo sai che non vedo Ember da quasi un mese» disse tutto d'un tratto, anche se sapeva benissimo che lui ne fosse a conoscenza.
Kaden fece finta di nulla, perché sentire nominare da lui il nome della ragazza, adesso che sapeva la verità, gli faceva uno strano effetto. «Vorrei proprio capire cosa cazzo le passa per la testa ogni tanto» si lamentò.
«Carter, sai come è fatta. Avrà uno dei suoi momenti, che magari finirà o magari no. Io credo che, appunto per questo, dovresti andare avanti e smetterla di pensare a lei in quel modo» sperava davvero che lo ascoltasse, avrebbe reso ogni cosa più facile. E nel frattempo, maledì la ragazza per non avergli mai parlato chiaro.
«Quello che mi fa incazzare è che, prima di tutto noi siamo amici e non ci si comporta così tra amici. Non vuoi più venire a letto con me? Bene. Ma abbi il coraggio di dirmelo almeno, invece di fare la codarda e sparire in questo modo odioso» aveva ragione, Kaden lo sapeva. Ember poteva anche essere la sua migliore amica, una delle cose più belle che avesse, ciò comunque non significava che dovesse concordare con ogni suo atteggiamento sbagliato verso se stessa e verso gli altri.
Restò in silenzio, annuendo flebilmente e fingendo di perdersi ad osservare una briciola sul marmo dell'isola. Si trovava tra due fuochi. Da una parte aveva Ember e dall'altra Carter, i due suoi migliori amici. E non aveva la minima idea di cosa fare.
Dire la verità al ragazzo sarebbe stata la scelta giusta nei suoi confronti, ma allo stesso tempo la più sbagliata verso Ember. E restarsene zitto, fingendo di non sapere nulla, era una bella pugnalata nella schiena di Carter.
"Quando mai non mi sono fatto i cazzi miei quel giorno con quel maledetto telefono!"
Pensò, arrabbiato con se stesso. «Ho anche conosciuto una ragazza in queste settimane» rivelò, attirando nuovamente tutta la sua attenzione. Kaden alzò la testa di scatto, sgranando gli occhi. «Ma non so come comportarmi, perché non ho idea di cosa voglia fare Ember. Non so se è il caso di iniziare a frequentarla sul serio e vedere cosa succede, indipendentemente dal resto» ragionò ad alta voce, parlando più con se stesso. «Secondo te dovrei-»
«Sì! Sì, devi!» esclamò l'amico, decisamente con troppo entusiasmo e convinzione. Si schiarì la gola, ritornando ad avere un atteggiamento calmo. «Intendo dire, che tra te ed Ember non c'è mai stato nulla più del sesso. So che tu provi qualcosa per lei, ma non puoi andare avanti così» spiegò meglio. «Meriti anche tu qualcuno che ricambi i tuoi sentimenti. Magari sarà questa nuova ragazza, o magari un'altra, ma devi provare per sapere» insistette, passandosi una mano nei capelli e tirandosi nervosamente alcuni riccioli.
«Quindi... dici che dovrei accettare il suo invito a cena di questa sera?» domandò, alzando un sopracciglio e recuperando il suo cellulare.
«Assolutamente sì» rispose convinto, accennando poi un sorrisetto impacciato. Carter ci pensò su qualche secondo, prima di annuire e iniziare a scrivere un messaggio a quella nuova ragazza misteriosa.
Kaden iniziò a sparecchiare, cercando di distrarsi, ma non funzionò molto bene, dal momento in cui la voce dell'amico arrivò nuovamente alle sue orecchie. «Tu secondo me sai qualcosa» il ragazzo si bloccò, pensando bene a cosa rispondere per non fare passi falsi.
«Che intendi dire?» chiese, fingendo di non aver capito.
«Ember sicuro avrà parlato con te. Ti dice tutto, figurati se non ti ha accennato qualcosa sul perché è sparita in questo modo» insistette.
Kaden si mise a ridere, cercando di mascherare ogni sua vera emozione. Mentirgli guardandolo dritto in faccia gli faceva male. Era il suo migliore amico, aveva condiviso tantissimi momenti belli assieme a lui e gli voleva bene. Carter era sempre stato gentile, disponibile e corretto nei suoi confronti. Non era giusto.
Eppure, doveva farlo.
Perché, per quanto fosse importante per lui, Ember lo era di più. E in ogni caso, dirgli la verità avrebbe messo la ragazza in una posizione decisamente pericolosa. Di certo non voleva essere la causa per la quale la relazione con quel professore veniva scoperta da tutta l'università.
"Questa me la paghi, Ember."
Si disse nella mente, prima di rispondere a Carter. «Fidati, mi racconta meno della metà di quello che credi» mentì. «Se sapessi qualcosa, te lo direi» mentì ancora, sentendosi davvero uno schifo.
L'amico, però, ci credette, fidandosi di una persona che non gli aveva mai dato modo di fare il contrario. «Piuttosto, parliamo del fatto che mi hai tenuto nascosta questa nuova ragazza con cui ti frequenti» Kaden cambiò discorso, spostando l'attenzione su altro e sperando di distrarlo del tutto.
Funzionò, Carter si mise a raccontare per filo e per segno come l'aveva conosciuta e tutto ciò che era accaduto fino ad allora.
Kaden non era l'unico in difficoltà in quel momento. Anche Oliver si sentiva parecchio sotto pressione. Certo, per motivi totalmente differenti, che non avevano nulla a che fare tra loro. Ma che rendevano entrambi estremamente nervosi.
Dentro Temperate House, una delle serre di quei giardini londinesi, alla fine della navata, sotto l'arco decorato da fiori, Oliver stava attendendo l'arrivo di Elizabeth. Damian era al suo fianco e di tanto in tanto gli regalava qualche sorriso rassicurante. Decisamente diversi dagli sguardi carichi di rabbia che Adelaide stava riservando ad entrambi.
Seduta in prima fila, accanto ai genitori, la donna stava cercando di mantenere la calma, mentre vedeva tutto ciò che aveva duramente costruito andare in pezzi, perché il fratello, ancora una volta, la stava superando.
Non ricordava nemmeno quando fosse iniziata tutta quella competizione nella sua testa. Forse era stato quando, a scuola, Oliver prendeva sempre voti più alti dei suoi e i professori tendevano a compararli, chiedendole come mai non fosse intelligente come il fratello. O forse, quando la sua migliore amica del tempo aveva smesso di uscire con lei perché si era presa una bella cotta per Oliver ed aveva iniziato a frequentare lui. Oppure, era stato quando, a casa dei suoi nonni, mentre stava facendo i capricci perché non aveva alcuna voglia di andare con loro al centro commerciale, aveva rotto per sbaglio un prezioso vaso e sua nonna gli aveva chiesto come mai non potesse essere brava come Oliver.
E poi, suo padre aveva scelto lui come successore per prendere in mano le aziende di famiglia. Non solo perché fosse il maggiore, ma perché principalmente lo reputava più capace. Era una decisione che aveva preso quando erano degli adolescenti, perciò nessuno dei due aveva ancora avuto la possibilità di dimostrare chi lo meritasse di più
I suoi genitori erano sempre stati così tradizionalisti. Osannavano in tutto e per tutto i valori di una famiglia, l'amore e il rispetto reciproco. Non erano cattive persone, però non sopportavano l'idea che i loro figli non si creassero un futuro. Sin da piccoli, li avevano cresciuti con l'ideale di doversi sposare, un giorno e di dover avere dei figli. Per loro la felicità poteva derivare solo da quello.
E quando Oliver si era dimostrato restio a tale prospettiva di vita, Adelaide aveva finalmente visto la sua opportunità per poterlo superare in qualcosa, per essere meglio di lui. Perciò aveva portato avanti quella relazione con Damian, perciò aveva voluto sposarlo così presto e perciò, ora, si ritrovava in quella situazione.
Ma se fosse tornata indietro, avrebbe comunque rifatto tutto allo stesso modo. Perché la sensazione che aveva provato nel momento in cui Paul e Gemma erano stati fieri di lei per aver trovato un marito, che per di più loro adoravano, era stata così appagante. E lo era stato ancora di più lo sguardo deluso e le parole di sconforto che avevano poi rivolto al fratello per il suo continuo voler saltare da una ragazza all'altra.
Adesso, però, si ritrovava ancora una volta messa in ombra da lui. L'aveva raggiunta, trovandosi una partner fissa e decidendo di sposarla. E la cosa che più odiava era che sembravano amarsi davvero. Lei era incastrata in un matrimonio che non funzionava, con un uomo che non amava più, mentre a suo fratello la vita sembrava sorridere anche in quel caso.
Erano pari.
Ma per quanto lo sarebbero stati?
Lei non poteva avere figli, non avrebbe mai potuto dare dei nipotini ai suoi genitori. Elizabeth sì invece. Sarebbe accaduto?
Non poteva permetterlo. Farsi superare ancora, anche nel campo in cui Oliver era sempre stato un disastro, non era proprio contemplato.
Come poteva impedirlo? Come poteva impedire che quei due avessero un figlio?
Se non altro, lei avrebbe sempre avuto Damian come asso nella manica. Damian, l'uomo che suo padre stimava più di chiunque altro. L'uomo a cui sua madre rivolgeva così tante attenzioni, trattandolo come un figlio. Questo, Elizabeth e Oliver, non avrebbero mai potuto cambiarlo. Ecco perché, in qualsiasi caso, lei non avrebbe mai permesso a suo marito di lasciarla.
Dovette abbandonare la sua mente, quando la sposa fece la sua apparizione all'entrata di quella sala, posizionandosi all'inizio della navata coperta dal lungo tappeto color carta da zucchero. La bocca di Oliver si aprì in un sorriso felice e i suoi occhi si illuminarono nell'esatto momento in cui la vide. Anche Elizabeth non distolse mai lo sguardo dal suo, nemmeno per una frazione di secondo durante quella camminata accompagnata dal padre.
Damian li osservò e fu più che certo che quello fosse amore. Ricordò il giorno del suo matrimonio, lui non aveva guardato così Adelaide e lei, mentre percorreva la navata era sempre stata impegnata ad osservare gli invitati. Non si erano mai rivolti uno sguardo del genere, nemmeno quando le cose sembravano andare per il meglio, nemmeno quando erano convinti di amarsi.
Un pesante velo di tristezza gli avvolse il cuore, rendendogli difficile concentrarsi sulla cerimonia. Si riprese solo quando fu il suo turno di passare le fedi e poter così completare il rito. Oliver baciò Elizabeth e tutti gli invitati li applaudirono, alzandosi in piedi. Tutti, meno Adelaide, che non mosse un muscolo.
L'occhiata carica di disapprovazione, che il padre le lanciò non potè lasciarla indifferente. «Ero soprappensiero» provò a giustificarsi, mentre uscivano da quella serra. Paul non le rispose, continuando a guardare davanti a sé, mentre la moglie spingeva la sua carrozzina.
«Gemma!» la richiamò Damian, andandole incontro, non appena si ritrovarono fuori. «Lascia che ti aiuti» disse, prendendo il suo posto. Fuori, il sentiero era composto da sassolini quindi spingere quella carrozzina risultava complicato.
«Grazie, tesoro» gli rispose, lasciandogli una carezza sulla guancia.
Adelaide allora colse l'occasione per affiancarsi alla madre e prenderla sottobraccio. Camminarono fino a raggiungere l'entrata dell'orangery, dove si sarebbe tenuto il ricevimento. Paul e Damian conversarono per tutto il tempo, a differenza delle due donne.
I genitori sapevano di questo complesso di inferiorità che la loro figlia provava verso il fratello. Non l'avevano mai capito però, perché loro non le avevano fatto mancare nulla e le ricompense che Oliver aveva avuto, se le era guadagnate tutte. Quando anche lei aveva raggiunto dei traguardi, era successa la stessa cosa.
Non avevano mai compreso cosa volesse per davvero. O forse sì, ma l'avevano ignorata, perché non era giusto che pretendesse tutte le attenzioni di ogni persona che provava a relazionarsi con lei e il fratello. Il loro errore era stato quello di non parlarne, per evitare litigi e per preservare sempre l'immagine della loro perfetta famiglia felice.
Se, sin da piccola, glielo avessero spiegato, magari le cose sarebbero state diverse per tutti. E, magari, in quel momento, durante quel giorno tanto importante, non sarebbero dovuti stare sempre sull'attenti per evitare una possibile scenata.
La sala del ricevimento era caratterizzata da continue vetrate ad arco che donavano una splendida vista dell'ambiente esterno ricco di piante e fiori. I tavoli, tutti rotondi e apparecchiati di bianco, erano disposti ordinatamente, di modo da lasciare una parte centrale libera per ballare. Presero posto al tavolo di famiglia, accanto a quello degli sposi, sul fondo della sala.
Piano piano, il salone iniziò a riempirsi. Avevano optato per una cerimonia piccola, senza troppi invitati, solo i parenti e qualche amico. Nonostante ciò, Paul e Gemma decisero, mentre aspettavano l'arrivo degli sposi, di andare a salutare tutti i presenti. Lasciando così Damian e Adelaide da soli.
Ci fu silenzio per i primi minuti, mentre entrambi fingevano di interessarsi a particolari effimeri. Poi arrivò un cameriere, porgendo loro dei calici di champagne e lei ne prese due. «Sei un codardo» gli disse di botto, dopo aver bevuto fino all'ultima goccia del suo primo bicchiere.
«Come prego?» chiese, aggrottando le sopracciglia.
«Mi stai evitando perché hai paura del confronto. E quindi sei un codardo» spiegò il suo punto di vista, iniziando a bere anche il secondo bicchiere. «Dall'alto della tua doppia laurea dovresti sapere cosa significa questa parola» lo schernì.
«Innanzitutto, vacci piano con questi» allontanò i bicchieri ormai vuoti. «E poi, so bene cosa significa, solo che è la parola sbagliata per la situazione in cui ci troviamo. Io non ti sto evitando perché ho paura del confronto, lo sto facendo perché non ho alcuna voglia di sentirti farneticare. È ben diverso, non credi?»
La moglie lo fulminò con lo sguardo. Per anni si era approfittata della sua bontà, trattandolo male e comportandosi come più le piaceva. E ora, le cose sembravano cambiate. Non le piaceva quell'improvvisa perdita di potere, il fatto che le tenesse testa e le rendesse le cose difficili. Era vero che il coltello dalla parte del manico ce l'aveva ancora lei, ma adesso a Damian sembrava non importare farsi qualche taglio per far valere anche la sua voce.
«Hai una bella faccia tosta a comportarti così, dopo tutto quello che la mia famiglia ha fatto e continua a fare per te» gli rinfacciò, afferrando anche il suo calice di champagne.
«Sarò sempre grato per ciò che i tuoi genitori hanno fatto per me. Infatti voglio bene a Paul e Gemma. Ma tu, tu per me non hai fatto nulla, se non rendermi la vita infelice» come si sentiva bene a lasciar finalmente uscire tutte quelle parole che per anni gli avevano fatto ammalare l'anima. Se solo avesse aperto gli occhi prima, si sarebbe risparmiato tanti silenzi inutili e sofferenze ingiustificate.
«Adesso smettiamola, non è il luogo adatto per parlare di queste cose» l'ammonì, quando vide gli sposi fare il loro ingresso nella sala e i genitori ritornare verso il tavolo.
Adelaide strinse il bicchiere nella mano, fino a farsi venire le nocche bianche. Non sapeva se fosse più arrabbiata con lui o nel vedere suo fratello entrare mano nella mano con quella donna. Osservò Elizabeth, si era cambiata d'abito, togliendosi quello ampio in stile principesco, che aveva indossato per la cerimonia e indossandone uno a sirena, decisamente più sexy. I capelli rossi erano ancora raccolti in quel perfetto chignon alto e continuava ad aver stampato sul volto quel sorriso felice che la irritava.
I due, dopo aver salutato tutti, si avvicinarono a loro. «Ancora congratulazioni» Gemma lasciò un bacio sulla guancia a suo figlio, stringendolo in un abbraccio. E Damian notò il modo furioso con cui sua moglie li stava fissando. Adelaide era una bomba ad orologeria pronta ad esplodere, alimentata anche dalla quantità di alcol che stava buttando giù. Sperava che riuscisse a trattenersi, non voleva che rovinasse il matrimonio del suo amico. Ma era tutto una grande incognita.
«Elizabeth, con questo vestito sei davvero stupenda» la madre si complimentò poi con lei, facendola sorridere.
«Sì, è davvero stupendo che tu abbia scelto un abito con così tante trasparenze. Ci vuole molta audacia da parte di una sposa per indossarlo» parlò Adelaide, lanciandole quella frecciatina. L'altra donna aggrottò le sopracciglia, fissandola confusa. Quando aveva invitato anche lei a scegliere i suoi abiti, era stata la prima a spingere perché comprasse quello, dicendole addirittura che avrebbe dovuto metterlo per la cerimonia. E adesso la stava criticando.
Le era sempre sembrata una persona un po' complicata da comprendere, ma credeva che fosse perché ci tenesse a suo fratello e stesse cercando di capire se lei lo amava davvero. O che fosse perché il suo carattere la rendeva diffidente per natura. Però, più andava avanti e più le risultava semplicemente cattiva.
Oliver la guardò male, così come Paul, mentre Gemma continuava a fare finta di nulla. La madre odiava le litigate, le aveva sempre evitate, ignorandole o allontanandosi quando iniziava a sentire che il clima si faceva teso. Mantenne il suo sorriso rassicurante sulla faccia, fingendo di sistemarsi i capelli bianchi e poi concentrandosi sulla gonna del suo abito lilla, distenendo delle pieghe immaginarie.
«Dai, andate a sedervi. Starete morendo anche voi di fame» li incitò Damian, provando a cambiare completamente discorso. Gli sposi seguirono il suo consiglio, dando il via ai camerieri per iniziare a servire le portate. Avevano optato per un menù di pesce, che comprendeva un antipasto, un primo o un secondo e un dolce, che poi consisteva nella torta nuziale, commissionata ad una delle più famose pasticcerie di Londra. Niente sprechi per il troppo cibo come spesso succedeva.
Le persone ai vari tavoli sembravano divertirsi, così come gli sposi. Al tavolo di famiglia, invece, l'atmosfera pesante. Solo Damian e Paul si scambiavano qualche battuta, mentre Gemma si limitava a mangiare in silenzio e Adelaide continuava a riempirsi il bicchiere con del vino. Il professore le vedeva le occhiate che il padre rivolgeva alla figlia, anche mentre parlava con lui. L'alcol che stava buttando giù poteva solo peggiorare il suo stato d'animo.
Era nervosa, arrabbiata e voleva distarsi. Ma così facendo, stava solo alimentando i suoi fastidi. I genitori sapevano quanto fosse importante per lei non deluderli e non infrangere mai quella convinzione di perfetta famiglia che davano a chiunque. Che poi, alla fine, lo erano anche, tolto quel complesso di inferiorità che Adelaide nutriva nei confronti di Oliver. Nonostante ciò, non erano certi che quel giorno la figlia non combinasse nessun guaio.
Non deluderli era importante, ma la rabbia avrebbe potuto superare questa convinzione.
Presto Paul si sarebbe ritirato, andando in pensione e le aziende sarebbero ufficialmente passate in mano ad Oliver, che quindi sarebbe diventato il suo capo. Damian aveva smesso di renderle la vita facile, allontanandosi, andandole contro e tradendola. Perché, sì, ormai aveva intuito che non doveva essere stata solo una notte, c'erano state tante avvisaglie e il fatto che due giorni prima si fosse nascosto in bagno per parlare al telefono era stata la conferma. Il suo amante aveva chiuso la loro storia proprio poco dopo la partenza del marito, quindi ogni sua distrazione era andata in fumo. E a mettere la ciliegina sulla torta, ci pensava il matrimonio di suo fratello.
Contenere tutto non sarebbe di certo stato semplice per lei.
Il pranzo volse al termine e giunse il momento dei discorsi. Alcuni amici di Oliver raccontarono aneddoti divertenti su di lui, mentre alcune amiche di Elizabeth le avevano preparato un video con le parti più belle della sua vita. Fu poi il turno di Damian, che parlò sinceramente di quanto fosse felice di avere un cognato come lui e soprattutto del fatto che con il tempo fosse diventato il suo migliore amico.
E nell'esatto momento in cui il professore terminò il suo discorso, Adelaide gli strappò il microfono dalle mani. Non era preventivato che parlasse, perché Oliver glielo aveva chiesto e lei aveva sempre detto che non era brava in quelle cose e tutto ciò che avrebbe potuto dire, lui già lo sapeva.
A quanto pareva, però, aveva cambiato idea.
Gli occhi di ogni invitato si puntarono su di lei, mentre si alzava dalla sedia, con un po' di fatica, dato che l'alcol nel suo corpo aveva iniziato a fare effetto e da parecchio anche. Il fratello la fissò serio, intimandole con l'espressione del viso di non dire nulla che avrebbe potuto rovinare l'atmosfera piacevole. Damian si lasciò ricadere sulla sedia, passandosi una mano sul volto e preparandosi al peggio.
«Anche io vorrei dire due parole su Oliver» esordì, sistemandosi la spallina dell'elegante vestito blu che stava indossando. «Mio fratello, il bambino prodigio, la superstar della famiglia, uno dei migliori dirigenti del settore economico inglese» un sorriso amaro tirò le sue labbra alla fine di quella frase. «Voi direte: "Sarà stato difficile crescere all'ombra di un fratello così."» scosse la testa. «No! E perché mai? Vero, mamma?» chiese a Gemma, ma la donna ignorò completamente la domanda, continuando a guardare dritta davanti a sé.
«Sapete, Oliver non è sempre stato così perfetto. Gli piace farvelo credere, però penso che in un'occasione come questa sia giusto raccontare ciò che sta dietro alle apparenze» bevve un altro sorso di vino bianco, terminando il bicchiere e poggiandolo pesantemente sul tavolo. I presenti nella sala si stavano guardando confusi tra loro e l'atmosfera piacevole che si respirava fino ad un attimo prima, ormai aveva lasciato spazio all'imbarazzo.
«Non molto tempo fa, Oliver si divertiva a saltare da un letto all'altro. E dico sul serio, avrà portato tra le sue lenzuola qualsiasi ingenua ragazza che si trovasse dentro un bar di Londra. Finché, una di quelle ingenue ragazze si è rivelata più furba del previsto e ha trovato il modo per accaparrarselo» puntò il suo sguardo su Elizabeth. «E chiamatela scema, si è presa lo scapolo più desiderato della città e l'ha rigirato talmente per bene da riuscire a farsi mettere anche un anello al dito. Dopotutto, l'eredità di mio padre farebbe gola a chiunque, dico bene?» rise, come se trovasse davvero divertente ciò che aveva detto. Ma nessuno l'assecondò.
«Adelaide, finiscila!» esclamò Oliver, alzandosi in piedi di scatto. «Non stanno così le cose, lo sai tu e lo sanno tutti» puntualizzò, indicando i presenti in sala.
«Rilassati, fratellino. Sto solo scherzando, è un po' di buon vecchio umorismo inglese» lo prese in giro. «Dov'ero rimasta?» domandò retoricamente, portandosi un dito alle labbra. «Ah, sì, stavo parlando di come quella faccia da angioletto con i capelli rossi abbia finalmente convinto mio fratello a tenerselo nei pantaloni. Con le altre almeno» rise ancora di gusto.
Paul poggiò una mano sul braccio di Damian, attirando la sua attenzione. «Fermala, per favore» il professore annuì, alzandosi subito in piedi. Mise un braccio attorno alle spalle della moglie, ponendo una mano sulla sua, che ancora stringeva il microfono. Adelaide lo fissò furiosa, serrando la mandibola.
«Okay, amore. Hai reso l'idea» disse a denti stretti, cercando di toglierle quel microfono, ma lei intensificò la presa.
«C'è un'ultima cosa che voglio dire» insistette. «Oliver, Elizabeth, vi auguro tanta, tanta, tanta felicità. Come quella che abbiamo io e mio marito» si voltò ancora a guardarlo, regalandogli un sorriso falso. «Spero che siate fortunati come noi e che possiate amarvi come io e lui facciamo ogni giorno» gli invitati non potevano saperlo e nemmeno i suoi genitori, ma con quelle parole, che all'apparenza sembravano la prima cosa bella che stava dicendo, in realtà gli stava augurando tutto l'opposto.
Stava sperando che entrambi si ritrovassero presto in una relazione forzata, senza amore e difficile da mantenere. Sperava che si lasciassero in poco tempo. Lo stava sperando sin dal primo momento in cui il fratello le aveva presentato quella ragazza.
«Tu questo non gliel'hai augurato» fece notare a Damian, piegando la testa su di un lato. «Perché, amore?» scandì bene le lettere di quell'ultima parola, che pronunciata da lei sembrava non aver più alcun significato.
"Perché l'ultima cosa che vorrei sarebbe vederli infelici come lo siamo noi."
Pensò, ma non lo disse.
Adelaide finalmente lasciò il microfono nelle mani del marito, allontanandosi poi dal tavolo e dirigendosi fuori da quella sala, verso le toilette.
Elizabeth aveva una mano sul volto e stava scuotendo la testa in modo sconsolato, mentre Oliver le parlava vicino all'orecchio. Damian avrebbe davvero voluto fregarsene e ignorare dove fosse andata sua moglie, ma non poteva farlo, doveva mantenere le apparenze, soprattuto in quel momento, dove un'altro problema proprio non serviva. Si scusò con Paul e Gemma, avvisandoli che sarebbe andato a cercarla per capire cosa le fosse preso.
Uscì velocemente da quella sala, girando subito a destra, raggiungendo così i bagni. Entrò in quello delle donne, richiudendosi la porta alle spalle e trovando sua moglie intenta a rifarsi il trucco davanti allo specchio. «Mi spieghi come cazzo ti è venuto in mente di dire quelle cose?!» le chiese, lasciandosi ricadere le braccia sui fianchi.
«Oh, ma smettila. Le stavano pensando tutti, io ho solo avuto il coraggio di dirle ad alta voce» rispose, smettendo per un attimo di mettersi il mascara sulle ciglia.
Damian strabuzzò gli occhi, incredulo difronte al fatto che non sembrasse minimamente pentita. «Hai rovinato il matrimonio a tuo fratello» le fece notare.
Adelaide poggiò una mano sul bordo dei lavabi, guardandolo attraverso quello specchio. «E chi se frega» commentò per tanto, recuperando poi il lucida labbra brillantinato. «Per una volta nella vita le cose possono essere brutte anche per lui, o tocca sempre solo a me?» alzò la voce, riponendo violentemente i trucchi nella borsetta.
Parlava come se avesse vissuto una brutta infanzia, come se fosse stata sempre dimenticata. Quando in realtà esisteva tutto solo nella sua testa. Il fatto che suo fratello avesse raggiunto dei traguardi non aveva mai determinato la considerazione che gli altri avevano di lei. I suoi genitori amavano entrambi allo stesso modo, tutto ciò che nella sua vita non andava, era perché lei l'aveva portato a rompersi irreparabilmente.
«Smettila! Smettila di parlare come se nulla fosse mai stato bello per te» la rimproverò, pensando a chi davvero aveva dovuto passare e superare una brutta infanzia. Come Ember, che aveva dovuto sempre fare tutto da sola. Sua moglie, invece, era lì a lamentarsi perché il fratello prendeva voti più alti dei suoi a scuola. Lo trovava ridicolo da parte sua. «E comunque, il fatto che a noi sia andata male, non determina che anche loro due dovranno avere la stessa sorte» le ricordò.
Adelaide sorrise, scuotendo la testa, per poi lavarsi le mani. «Piantala con queste prediche. Fino a ieri sembravi un fantasma che si aggirava per i corridoi della sua amata università, rimpolpandosi l'ego perché, grazie alla mia famiglia, tutti conoscono il tuo nome in quel noioso e polveroso ambiente» parlò con disprezzo. «E adesso che sei riuscito a trovare la prima puttana che ti è caduta ai piedi, che deve essere evidentemente più disperata di te, ti senti così forte da iniziare a tenermi testa» alzò gli occhi al cielo, avvicinandosi a lui.
«Tappati quella bocca, Adelaide. Stai diventando davvero patetica» provò a zittirla, mentre cercava di tenere a freno la sua rabbia. Aveva sempre usato quel genere di parole cattive, per colpirlo e umiliarlo. Lui glielo aveva permesso, in passato. Ma ormai aveva imparato a non stare più zitto.
«Dio, deve essere davvero una brava puttana per averti fatto tirare fuori tutto questo coraggio» commentò divertita.
Dopo che la sentì pronunciare nuovamente quel termine nei confronti di Ember, non ci vide più. Serrò la mandibola, inchiodandola con uno sguardo severo e furioso. «Non chiamarla così» ringhiò a pochi centimetri dal suo volto, costringendola ad indietreggiare.
«Ah, allora ho ragione io, c'è una puttana» solo in quel momento, Damian si rese conto di averle dato esattamente ciò che voleva. Aveva ammesso di avere una relazione con un'altra donna. E il modo in cui l'aveva difesa, senza nemmeno che sua moglie sapesse davvero chi fosse, dimostrava quanto ci tenesse a lei.
Il professore chiuse gli occhi per un secondo, sospirando, ora arrabbiato con se stesso per essersi fatto fregare così facilmente. «Non c'è nessuno» provò a negare, anche se ormai non serviva più a nulla.
«Certo, è per questo che ti sei nascosto in bagno per parlare al telefono» gli ricordò. «Era stata solo una scopata di una notte, vero, Damian?» si riferì alla scusa che le aveva propinato quando aveva trovato quelle mutandine in pizzo nel suo comodino. «Quanto mi fai pena, ti sei innamorato della prima che è stata così stupida a finire nel tuo letto. Sei proprio un debole, ti sono bastate due attenzioni in più per farti cadere completamente ai suoi piedi» continuò su quella linea, volendo ferirlo nel profondo.
«Qui, l'unica a fare pena, sei tu» la indicò. «Dici tutte queste cose, poi però continui a restare accanto a me. Dici che sono un debole, ma tu sei peggio. Hai così poca considerazione di te stessa da voler continuare questa relazione, nonostante tutto. E perché? Perché così potrai sempre essere al pari con tuo fratello sotto questo aspetto. Ti rendi conto di quanto tu sia ridicola?» ormai non era più l'unica a saper colpire con le parole, aveva imparato anche lui a farlo, capendo che con certe persone la gentilezza doveva per forza essere messa da parte.
Adelaide rimase in silenzio per qualche secondo, stringendo la gonna del suo vestito in una mano. «Hai ragione» ammise, recuperando la sua borsetta. «Ma allora perché non poni tu fine a questo matrimonio distrutto?» gli chiese, sfidandolo con lo sguardo.
«Forse è arrivato il momento di farlo» rispose lui, sentendosi improvvisamente pieno di qualsiasi tipo di sicurezza in se stesso.
«Sì? Allora adesso vai là fuori. Esci da questo bagno e dì a tutti che mi hai appena lasciata. Fallo, ma sappi che subito dopo di te uscirò io e dirò che la mia scenata di prima è stata la risposta al fatto che avessi appena scoperto che mio marito mi tradiva e che mi stai lasciando per la prima donna che hai conosciuto in America» incrociò le braccia al petto, alzando la testa in modo fiero.
Damian schiuse la bocca, allibito difronte a quelle parole. Sapeva che ne sarebbe stata capace, lo avrebbe fatto senza pensarci su nemmeno per un secondo.
«Come credi che la prenderebbero i miei genitori? Pensi che questa notizia non avrà ripercussioni sulla tua vita lavorativa? Che se dovessi dire una cosa del genere a Paul e Gemma, loro permetterebbero ancora che il tuo bel nome rimanga associato all'università di Oxford? O che Harvard voglia ancora averti con loro?» erano domande retoriche, perché entrambi già conoscevano la risposta.
Sarebbe stata la fine della sua carriera. Non avrebbe più insegnato da nessuna parte e si sarebbe presto ritrovato senza un tetto sotto cui stare e senza soldi che gli permettevano di sostenersi. Non poteva permetterselo. Non poteva proprio buttare via così ogni cosa. Aveva realizzato quello che probabilmente era il sogno di ogni professore. Ed era ad un passo dal raggiungere l'apice della sua carriera. Non avrebbe rinunciato a tutto ciò.
Senza contare che il suo lavoro era la cosa alla quale teneva di più. Tutto quello per cui aveva studiato, si era impegnato e aveva sacrificato la sua felicità nella vita. «Tu sei una povera pazza» si rassegnò, passandosi una mano nei capelli in modo decisamente frustrato.
«No, te l'ho già detto quella sera a casa tua, voglio solo ciò che mi spetta. E tu sei il mio jolly per poterlo sempre avere. Quindi, non ti lascerò andare, Damian. Anche se questo significa continuare a vivere una schifosa vita privata» lo oltrepassò, dirigendosi verso la porta d'uscita di quei bagni. «Dobbiamo fare tutti dei sacrifici. Il nostro, per poterci tenere stretto ciò che ci è più caro, è questo» lo lasciò solo, andandosene via.
Il professore osservò la sua immagine nello specchio, il corpo stretto in quello smoking elegante e la rabbia dipinta con ogni sfumatura possibile sul suo volto. Tirò un pugno sulla superficie in granito bianco di quei lavabi, cercando di scaricare ogni sua emozione. E per una frazione di secondò funzionò anche, ma poi arrivò il dolore per il gesto troppo avventato appena compiuto. E fu tutto vano. Strinse e allargò le dita con fatica, mettendole subito sotto l'acqua fredda, per provare a limitare il danno.
Intanto, in sala, gli invitati sembravano aver dimenticato quello che era successo, iniziando a ballare e continuando a divertirsi. Lì, in mezzo a quelle persone, però, mancava qualcuno.
Oliver se ne stava da solo, seduto al bancone del bar, con un bicchiere di whisky tra le mani e la testa piena di pensieri. La sua coscienza gli aveva detto di farsi gli affari suoi, di continuare a godersi il suo matrimonio. Ma, l'istino l'aveva spinto ad andare a controllare che fosse tutto a posto. Di andare a cercare Damian, per poter trovare poi sua sorella e chiederle cosa diavolo le fosse saltato in mente.
Sarebbe dovuto restare seduto invece, perché ciò che aveva sentito era qualcosa che non poteva lasciarlo indifferente. Fuori dalla porta di quel bagno, aveva udito le parole che Damian e Adelaide si erano detti. Insomma, sapeva che le cose tra loro non dovevano andare bene, ma non pensava così.
Lui l'aveva tradita e allora, tutti quegli indizi, dopo tale confessione, avevano preso un nuovo senso nella sua mente. Il secondo telefono sul tavolino di casa sua, quei biscotti e la bottiglia di vino terminata. Il modo in cui sorrideva mentre scriveva i messaggi due giorni prima in auto.
Damian aveva un'altra.
E la cosa assurda, era che non fosse quello il problema.
Il problema era che aveva ragione. E non aveva mai voluto averla su quella situazione. Mai.
Eppure, come pensava, quei due si erano incastrati per sempre dentro un qualcosa che andava oltre il loro semplice volere. Qualcosa di più grande di entrambi, che gli avrebbe negato di essere felici per davvero per il resto della loro vita.
Erano dentro ad un gioco al massacro.
Lui avrebbe forse potuto fare qualcosa? Sì, ma gli sarebbe costato tanto, troppo.
E probabilmente non ne sarebbe valsa nemmeno la pena.
🌟🌟🌟
Non dimenticatevi di lasciare una stellina🙏🏻
Che dire, capitolo intenso, non trovate?
Il matrimonio di Oliver, come tuttə pensavate, ha portato con sé un po' di drama e con esso sono venute a galla parecchie cose.
Adelaide ha fatto proprio una bella scenata con quel discorso e poi ha dato il peggio di sé faccia a faccia con Damian.
La situazione sembra sempre più complicata per i nostri due protagonisti...
Chissà se il tempo sarà clemente con loro🤷🏻♀️
Intanto anche Kaden sì è messo in una brutta posizione, mentendo al suo amico.
Chissà Carter come potrebbe prenderla nel caso in cui dovesse venirne a conoscenza.
Beh, per scoprire tutte queste cose, non dovrete fare altro che continuare a leggere😈
Commentate facendomi sapere cosa ne pensate e per qualsiasi cosa non esitate a scrivermi.
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XOXO, Allison💕
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