Capitolo 35 - Gelosia
La pazzia, a volte,
non è altro che la ragione
presentata sotto forma diversa.
-Johann Wolfgang von Goethe
Il sole era da poco sorto, colorando il cielo notturno di calde sfumature arancioni.
Damian, seduto in quel bar, osservava il paesaggio che lo circondava. Stava facendo colazione assieme al suo collega e si stava godendo quella mattinata tranquilla prima dell'inizio delle lezioni.
L'odore del caffè di Kaplan gli inebriò le narici, mentre mescolava il suo tè, facendolo amalgamare perfettamente assieme al latte che ci aveva messo dentro. Si sentiva così stranamente calmo, gli sembrava che nulla potesse rovinargli le giornate. Nemmeno il pensiero che, il giorno dopo, sarebbe dovuto salire su un aereo per tornare in Inghilterra.
Non lo turbava, perché Damian era semplicemente felice.
Spensierato e beato in quella sensazione che lo cullava.
Da quando aveva chiarito le cose con Ember, tutto era stato in discesa. La ragazza, durante quelle settimane, aveva passato molto tempo a casa sua. Avevano cucinato, guardato film alla televisione, scopato, letto ai lati opposti del divano. Erano stati bene assieme.
Anche se era difficile mantenere il segreto e potersi comportare senza freni solo quando erano certi che nessuno li vedesse, per entrambi ne valeva la pena di fare qualche sacrificio, se questo significava poter continuare a viversi come stavano facendo.
Con sua moglie si era sentito poco, solo lo stretto necessario. Nessuno dei due aveva più riparlato della loro discussione avvenuta dopo che lei aveva scoperto quelle mutandine. Damian sapeva che, però, sarebbe stato l'argomento principale delle sue giornate sin dal momento in cui l'avrebbe rivista. Evitava di pensarci, aveva ancora ventiquattro ore da vivere lì a Boston, prima della sua partenza, e voleva godersele senza farsi intaccare da pensieri negativi.
«A che ora parti domani mattina?» gli chiese Kaplan, terminando di bere il suo caffè amaro.
«Alle dieci» rispose, facendo poi mente locale e cercando di ricordare se avesse preso tutto il necessario. Quella sera, Ember sarebbe andata da lui e di certo il professore non voleva passare il tempo preparando la valigia. Perciò si era già portato avanti.
Dall'altra parte del campus, il sole iniziò a filtrare sempre più prepotentemente dalle tende bianche che coprivano parte della finestra di quella camera. Ember aveva già gli occhi aperti, sbatteva le palpebre, assonata, mentre teneva lo sguardo sulla sua compagna di stanza, che stava ancora dormendo.
Jodi si trovava a pancia in su, con un braccio sopra la testa e la bocca leggermente aperta. I lunghi capelli biondi erano per la maggior parte sparsi sul cuscino, anche se alcune ciocche le ricoprivano il viso, poggiandosi persino tra le labbra dischiuse.
Ember lanciò un'occhiata alla sveglia, mancavano pochi secondi prima che suonasse. Tenne lo sguardo fisso sul display, aspettando. Il fastidioso rumore acuto si diffuse poi nell'aria, facendo aprire anche gli occhi di Jodi.
La bionda si voltò di scatto, allungando un braccio per poterla spegnere, convinta che l'altra ragazza dormisse. Nel fare ciò, però, quella ciocca di capelli le finì in bocca, facendola iniziare a tossire. Ember scoppiò a ridere di gusto, osservandola mentre si portava una mano al petto e con l'altra si toglieva i capelli dal volto.
«Cosa ridi? Avrei potuto morire soffocata» le disse, fissandola seria e spegnendo finalmente quel suono fastidioso.
«Certo, ogni giorno escono notizie di persone morte soffocate perché gli sono finiti i loro capelli in bocca» la prese in giro, tirandosi a sedere e stiracchiandosi.
«Nessuno dice che non potrei essere la prima» borbottò, alzandosi in piedi. «E visto che ti sei divertita tanto, in bagno ci vado prima io questa mattina» le disse, correndo verso la porta e chiudendosi dentro.
Ember scosse la testa sorridendo, alzandosi a sua volta e camminando fino alla sua scrivania. Recuperò il pacchetto di sigarette che vi era poggiato sopra, per poi piegarsi verso il piccolo frigorifero e prendere un cartone di latte. Si diresse verso la cassettiera, arrampicandosi e sedendosi sopra di essa. Aprì la finestra, ammirando per un attimo la visuale che le regalava.
Nel giardino dei dormitori, alcune persone già camminavano da una parte all'altra, dirette nei vari edifici universitari. Le macchine passavano oltre le ringhiere, provocando un rumore che sovrastava quello delle conversazioni che stavano avvenendo tra gli studenti lì sotto. Il cielo era terso e il sole era ormai alto nel cielo. Ember prese un profondo respiro, sentendosi quieta, esattamente come quel paesaggio.
Si portò una sigaretta alle labbra, accendendosela e aspirando a fondo il fumo, che fece poi fuoriuscire per metà dal naso. Prese un sorso di latte, continuando quella sua strana colazione.
«Ma come fai a fumare di prima mattina?» domandò Jodi, assumendo un'espressione alquanto disgustata, mentre usciva dal bagno.
«Abitudine» rispose, facendo spallucce.
L'amica iniziò a vestirsi, mentre l'altra sembrava prendersela come se avesse tutto il tempo del mondo. «Esci con me?» le chiese, infilando alcuni libri nello zaino.
Ember scosse la testa. «No, vai pure tu, che se fai ritardo per colpa mia poi non ho voglia di sentirti.»
Jodi sorrise, avvicinandosi alla porta. «Ti trovo qui stasera?» indagò, dopo aver notato che più della metà delle volte in quella settimana non aveva dormito lì.
«Resto fuori, hai tutta la camera per te» rivelò.
«Ah sì? E dove vai di bello?» la stuzzicò, sistemandosi la camicetta.
La mora assottigliò lo sguardo. «Da Carter» rispose, mentendo spudoratamente.
«Certo, fingerò di crederci» aprì la porta, fissandola seria. «Divertiti, ma non troppo» si raccomandò, uscendo poi da quella stanza.
Jodi non aveva idea di cosa stesse facendo, non le poneva domande perché non voleva immischiarsi in quella situazione. Sapeva benissimo che quando spariva era perché andava con quel professore e sperava davvero che nessuno, al di fuori di loro, scoprisse mai quel segreto.
Non condivideva quella relazione, ma era a conoscenza del fatto che la sua opinione a riguardo, non contasse per Ember. L'aveva capito dal momento in cui l'aveva vista ritornare a in stanza, dopo aver passato la notte da lui, con un sorriso felice che mai pensava di poter vedere adornare il suo volto. L'aveva capito dal momento in cui si era resa conto che la sua amica non era mai stata così bene come da quando aveva iniziato a frequentare quell'uomo.
E allora sapeva che qualsiasi cosa le avesse detto, sarebbe stata vana.
Ember forse non lo ammetteva nemmeno a se stessa, perché aveva una paura fottuta di quella parola. Ma ciò che le faceva provare, era amore. Lei non lo conosceva, nessuno glielo aveva mai spiegato o insegnato, ciò comunque non toglieva che lo fosse.
Inoltre, aveva notato che non parlava con Kaden da un po' di settimane, perché non si vedevano e lei evitava sempre di uscire con loro se c'erano anche lui e Carter. Non aveva chiesto spiegazioni a nessuno dei due però, volendo restare fuori anche da quella situazione.
La ragazza, ancora in camera, terminò di vestirsi. Uscì una decina di minuti dopo, camminando a passo svelto per i corridoi dei dormitori e ritrovandosi presto nel cortile.
«Cazzo» imprecò a bassa voce, quando vide la figura di Carter sbucare da dietro l'angolo dell'edificio principale. Si nascose velocemente dietro il muro, spiaccicandosi con la schiena contro la sua superficie e pregando che non l'avesse vista.
Sì, lo stava evitando.
Lo stava facendo sin da quel giorno a casa di Kaden.
Sapeva che avrebbe dovuto parlargli, che avrebbe dovuto dirgli chiaramente che non ci poteva essere più niente tra di loro. Eppure, continuava a ritardare.
Quando lui le aveva chiesto di vedersi, per poter parlare, lei gli aveva risposto che non era il momento e che aveva bisogno di stare da sola. Questo era successo prima che chiarisse le cose con Damian e ancora, però, non gli aveva parlato.
Stava tirando la corda, forse troppo, forse l'avrebbe fatta spezzare anche. Ma si diceva di stare calma, che glielo avrebbe detto, gli avrebbe parlato. Si diceva che lo avrebbe fatto non appena Damian fosse partito per l'Inghilterra, così da non avere distrazioni e così da non togliere del tempo a loro due.
Improvvisamente si ricordò che il professore sarebbe partito proprio il giorno dopo. Lo aveva rimosso dalla testa, troppo presa da tutto ciò che avevano passato assieme in quelle settimane.
Lanciò un'occhiata dietro di sé, scoprendo che Carter si fosse fermato a parlare con alcuni amici. Sbuffò, sperando che non si trattenesse a lungo, tornò ben nascosta dietro a quel muro, ricominciando a pensare.
Damian sarebbe tornato in Inghilterra per il matrimonio di Oliver, avrebbe rivisto sua moglie, sarebbe stato a casa con lei...
Ember serrò la mandibola, avvertendo una strana sensazione dentro di sé. La stessa sensazione che aveva provato quando, prima che andasse a New York, lo aveva visto passeggiare con Adelaide proprio per quei giardini.
Era infastidita al pensiero che avrebbero trascorso insieme quei cinque giorni.
"Ci andrà a letto, lo sai? E tu sarai qui come una cretina ad aspettarlo, mentre lui se la scopa."
Parlò una vocina nel suo cervello, facendole aggrottare le sopracciglia.
Sarebbe andata così?
Insomma, lui era sposato con quella donna, la situazione era ben diversa di quella tra lei e Carter. Qui non poteva semplicemente dirle: "Ho bisogno di tempo." e poi sparire.
Qualsiasi suo strano comportamento avrebbe destato dei sospetti. Sospetti che non dovevano nemmeno essere lontanamente pensati, perché quel segreto non doveva più essere scoperto da nessuno. Soprattuto da sua moglie.
Non sapeva che abitudini avessero loro due. Era al corrente del fatto che non andassero d'accordo, che le cose non funzionassero. Ma non aveva idea di cosa facessero una volta che si trovavano soli nella stessa casa.
Quindi, si disse che, sì, la possibilità che ci andasse a letto c'era.
E la possibilità che sistemassero le cose? C'era anche quella? Sarebbe potuto tornare e dirle che non si sarebbero più visti?
Strinse le mani a pugno, incazzata con se stessa per quelle paranoie che si stava facendo. Le odiava, odiava quelle sensazioni che le attanagliavano la mente e le mettevano addosso insicurezze che nemmeno aveva mai provato nella vita.
Non le piaceva per niente quella parte della loro relazione, il modo in cui si preoccupava per cose alle quali non aveva mai pensato prima. Era bello stare insieme a lui, la faceva felice. Ma quell'altro aspetto, lo detestava.
«Da chi ti nascondi?» la voce squillante di Hailey, la fece sobbalzare, strappandola ai suoi pensieri.
«Cristo santo, non urlare» le disse, afferrandola per il maglioncino e facendola finire con la schiena al muro, accanto a lei.
«Ma quello è Carter?» chiese, sporgendosi e cercando di capire meglio. «Ti stai nascondendo da lui?» domandò poi, con un'espressione allibita dipinta in volto.
«Vuoi stare ferma» la rimproverò, riportandola con la schiena contro la parete. «E poi smettiamola di fare finta di niente. Tu sai che io so e io so che tu sai» le fece notare, alludendo al fatto che avesse scoperto prima di tutti la sua relazione con il professore. «Scegli da che parte stare, adesso. E se decidi di stare dalla mia, per favore, non farti vedere.»
Hailey abbassò lo sguardo, portandolo sulle sue scarpe eleganti. Sentirglielo dire ad alta voce, l'aveva messa davvero di fronte alla consapevolezza che quella storia tra lei e Damian fosse ormai una cosa seria.
«Okay» rispose semplicemente, acquattandosi di fianco a lei e restando in silenzio. Ember tirò un sospiro di sollievo, appurando che la sua amica avesse scelto di mantenere il segreto e non andarle contro in alcun modo, nemmeno con Carter.
Il ragazzo, qualche minuto dopo, salutò i suoi amici e poi continuò per la sua strada. Finalmente le due poterono abbandonare quel muro.
«Perché non glielo dici?» le chiese, mentre si accertava che Carter fosse ormai lontano.
«Cosa?» rispose, fingendo di non capire dove volesse andare a parare.
«Che non andrete più a letto insieme, che tornerete ad essere solo amici» spiegò, anche se sapeva benissimo che già avesse capito.
«So cosa sto facendo» puntualizzò infastidita, ricominciando a camminare.
«Qualsiasi cosa sia, è quella sbagliata. Perché in nessuna delle opzioni potrebbe essere giusto nascondersi dietro ad un muro per non vedere una persona» le fece notare, fissandola con un sopracciglio alzato.
Ember alzò gli occhi al cielo, sistemandosi lo zaino su una spalla. «Domani sera gli parlo. Tanto sarà sicuramente allo Shay per vedere la partita di football» lo disse più a se stessa che alla sua amica.
«Sarò lì anche io» le ricordò. «Voglio proprio vederti» commentò, guadagnandosi un'occhiataccia.
L'altra la ignorò, non volendo più dare peso a quel discorso. Ci pensava già lei a cercare di capire cosa fare e come incastrare ogni tassello, non aveva bisogno che qualcun altro le incasinasse ancora di più la testa.
Quando arrivarono all'interno dell'edificio che ospitava le loro aule, si resero conto di essere parecchio in anticipo, così Hailey si propose di andare a prendere qualcosa di caldo da bere durante la lezione, mentre lei l'aspettava sulle poltrone che vi erano all'ingresso. Non restò lì per molto però, sgattaiolò via presto, diretta verso l'aula di letteratura.
Mancavano quarantacinque minuti prima che iniziasse quel corso e lei voleva controllare se, per caso, il professore fosse già arrivato. Si affacciò dalla porta, notando subito Damian all'interno di quella stanza. Era al telefono e le stava dando la schiena. Decise di non dare nell'occhio, restando lì sulla soglia e ascoltando quella conversazione.
«Parto domani mattina alle dieci» lo sentì dire. «Prendo un taxi quando arrivo» aggiunse, dopo una piccola pausa. «Cosa te ne frega di quello che ho organizzato per l'addio al celibato di tuo fratello?» chiese poi, lasciando ricadere pesantemente un braccio sul fianco.
Fu a quel punto che Ember comprese che fosse al telefono con sua moglie. Assunse uno sguardo serio, puntandolo dritto sulla schiena del professore, coperta da un maglione a righe orizzontali sulle sfumature del blu. «Certo, immagino che sia perché ti preoccupi che possa combinare qualche cazzata e tradire Elizabeth» commentò, passandosi una mano nei capelli, che ormai erano diventati più lunghi del solito.
«Oh, ma per favore, saresti solo felice se accadesse una cosa del genere e il matrimonio saltasse» Damian le aveva accennato qualcosa riguardo al fatto che a sua moglie non andasse proprio giù quella relazione tra il fratello ed Elizabeth. Lei sosteneva che si preoccupasse per Oliver, ma lui sapeva che fosse invidiosa del fatto che suo fratello fosse così felice con la sua compagna. Soprattutto perché ci erano voluti davvero pochi mesi per arrivare a compiere quel grande passo.
«Ember, cosa stai facendo?» ancora una volta, la voce di Hailey la sorprese.
«Shh!» la zittì subito, per poi poggiarle le mani sulle spalle e iniziare a muovere qualche passo indietro. «Ascoltami» attirò la sua attenzione. «Manca mezz'ora prima dell'inizio della lezione, nessuno si presenterà qui per ancora venti, venticinque minuti» parlò, facendole assumere un'espressione confusa. «Devi farmi un favore» le disse poi.
Hailey aggrottò le sopracciglia, iniziando a pensare che quella situazione non le piacesse per niente. «Tieni fuori qualsiasi persona che arriva prima del tempo. Dì che il professore è impegnato e aprirà appena avrà finito» Ember la stava fissando seria, mentre lei ricambiava ancora più confusa di prima.
«Che cosa vuoi fare?» le chiese ingenuamente.
«Fai come ti ho detto, ti prego» ribadì, non rispondendo alla sua domanda. Mosse qualche passo indietro, avvicinandosi nuovamente alla porta dell'aula.
A quel punto Hailey iniziò a capire. «No, Ember. No» le disse, andandole incontro e scuotendo la testa. Tra le mani aveva quei due bicchieri d'asporto, colmi di cioccolata calda, perciò non riuscì ad afferrarla per fermarla.
«Hai scelto da che parte stare» le ricordò lei, puntandole il dito. «Assicurati solo che nessuno voglia entrare, niente di più» si raccomandò ancora, prima di chiudersi la porta dell'aula alle spalle, lasciandola lì fuori a gestire quella situazione che andava contro ogni principio nel quale credeva.
Ember girò il chiavistello, chiudendo a chiave la doppia porta in legno. Damian aveva ormai terminato quella telefonata e si era girato di scatto per osservare chi fosse entrato in quel modo.
«Cosa stai facendo?» le chiese, corrugando la fronte.
«Non parlare e soprattutto, non pensare» rispose lei, avvicinandosi a lui con passo felino. Gli prese una mano, trascinandolo dietro di sé, fermandosi davanti alla sedia che era posta dietro la cattedra. Lo fece ricadere sopra di essa, mentre lui continuava a guardarla con occhi sgranati.
Gli diede una spinta, allontanandolo di poco e frapponendosi tra lui e la cattedra. Si mise in ginocchio, poggiandogli le mani sulle cosce. «Ember...» lanciò un'occhiata alla porta, con sguardo preoccupato.
«Tranquillo, non entrerà nessuno» lo rassicurò, allungando le dita verso la patta dei jeans che stava indossando.
«Ember, se ci dovessero scoprire saremmo in un mare di guai» le disse, provando ad alzarsi, ma lei lo tenne prontamente fermo.
«Non ci scoprirà nessuno» gli slacciò il bottone, facendo poi scivolare la cerniera verso il basso. Iniziò a massaggiarlo da sopra quegli indumenti, alzandosi di poco e piegandosi verso le sue labbra.
«Non dirmi che non ci hai mai pensato, a fare una cosa così nell'aula dell'università?» gli chiese, lasciandogli un bacio sulla bocca. «Non hai mai fantasticato di scoparmi anche su questa cattedra?» parlò ancora, sentendolo sospirare pesantemente mentre la sua lunghezza si induriva sotto il suo tocco. «Non hai mai pensato di vedermi qui, in ginocchio mentre te lo prendo in bocca?» rincarò la dose, baciandolo poi con passione.
Era rischioso, molto. Ne era al corrente anche Ember, ma non aveva resistito. Il giorno dopo sarebbe partito, non sopportava l'idea di saperlo assieme alla moglie e sentirlo parlare al telefono con lei aveva aumentato ancora di più il suo fastidio.
Forse quella era stata una scelta azzardata, non ci aveva pensato su abbastanza. Ma ormai era tardi per tornare indietro.
Sentì l'altra mano della ragazza poggiarsi sulla sua. Le dita si soffermarono sull'anulare, afferrando quella fede e sfilandogliela velocemente. La poggiò dietro di lei, sulla superficie liscia della cattedra.
«Tu sei completamente pazza» commentò, quando la ragazza si staccò dalle sue labbra.
«È l'unica certezza che ho» rispose, sorridendogli maliziosa, per poi tornare in ginocchio davanti a lui.
Gli abbassò velocemente i pantaloni, assieme alle mutande, liberando la sua erezione già imperlata di liquido preiaculatorio. Gli accarezzò il glande con il pollice, facendolo gemere sommessamente, provocandogli una scossa di piacere che fece vibrare ogni terminazione nervosa. Lo avvolse con la mano, iniziando a donargli soddisfazione in quel modo. Lo sentì pulsare sotto il suo palmo, mentre lo ammirava, rapito dalle sensazioni paradisiache che lei gli stava procurando.
Il professore aveva una tale confusione in testa, era successo tutto così in fretta che il suo cervello ancora non aveva avuto il tempo di metabolizzare. Mai si sarebbe aspettato di finire in quella situazione, chiuso nella sua aula universitaria, con la ragazza in ginocchio ai suoi piedi. Era folle, non c'era altra spiegazione. Ember forse non aveva ancora compreso appieno a quali conseguenze sarebbero andati incontro nel caso in cui qualcuno li avesse scoperti. Ma, forse, era proprio quello il bello.
Il suo modo di fregarsene delle regole lo trascinava nella sua spirale di perdizione. Un modo pericoloso, che, però, gli faceva vivere appieno ogni attimo. Ogni sensazione era amplificata con lei, aiutata anche da quel proibito che orbitava attorno a tutta la loro frequentazione. Ecco perché, mentre la guardava posare le labbra sulla punta della sua erezione, si sentiva eccitato come mai prima.
La sua mente gli stava urlando che tutto ciò fosse pericoloso, ma il suo corpo pregava che lei non si fermasse.
Ember schiuse la bocca, facendo scivolare al suo interno la sua lunghezza. Damian non riuscì a trattenere un gemito, preso completamente dal calore che le labbra di lei sprigionavano sulla sua parte più sensibile. La osservò, mentre iniziava a muoversi in modo lento e strinse i braccioli della sedia quando avvertì anche la sua lingua accarezzarlo con cura.
La ragazza pose poi una mano alla base della sua erezione, aiutandosi a continuare con quei movimenti cadenzati. Era grosso e in quei momenti se ne rendeva davvero conto. Lanciò una veloce occhiata all'orologio appeso alla parete dietro di loro, appurando che mancassero esattamente tredici minuti all'inizio della lezione. Riportò poi lo sguardo nelle sue iridi, incavando le guance e continuando a succhiare imperterrita.
«Oh... cazzo, Ember» si lasciò sfuggire dalle labbra, quando sentì la lingua di lei lambirgli la punta, mentre le labbra scendevano ancora una volta verso il basso. Portò una mano nei suoi capelli, guardandola come per chiederle il consenso. Un consenso che gli diede silenziosamente, con un battito di ciglia. Damian prese quindi a dettare il ritmo di quei movimenti, aumentandone la velocità.
Spinse più a fondo e la ragazza dovette portare tutta la sua concentrazione su quel momento per evitare di esserne sopraffatta.
Pensò a quanto fosse bello, con parte della schiena che poggiava alla seduta e la testa reclinata di poco all'indietro. La bocca schiusa in una smorfia di piacere e il respiro irregolare per colpa di quest'ultimo. Alcune ciocche di capelli gli ricadevano sulla fronte, spettinate, dandogli quell'aria disordinata, in netto contrasto con la sua personalità.
«Sto per...» lasciò in sospeso quella frase, venendo interrotto da un gemito che dovette forzarsi a trattenere. L'orologio segnava cinque minuti prima dell'inizio di quella lezione, quando Damian raggiunse il culmine, svuotandosi all'interno della sua bocca. Ember sentì quel liquido caldo colpirle il palato e senza pensarci troppo, ingoiò velocemente.
Si staccò da lui, pulendosi il labbro con il pollice e alzandosi in piedi, mantenendo sempre lo sguardo fisso nel suo. Damian ricambiava, ma i suoi occhi azzurri erano stanchi e ancora confusi da quello che era successo. La ragazza poggiò le mani sui braccioli della sedia, piegandosi verso di lui. «Buongiorno comunque» gli disse, sorridendo mentre gli lasciava un bacio sulle labbra.
Si allontanò poi, lasciando che si alzasse e si sistemasse i pantaloni. Riprese l'anello che aveva precedentemente poggiato sulla cattedra, facendoselo rigirare tra le dita. Glielo porse, fissandolo con quello sguardo furbo di chi nella mente sta architettando mille modi diversi per mettersi nei guai. «Queste cose con tua moglie non potresti mai farle» commentò, facendogli assumere un'espressione interrogativa.
Prima, preso dal momento, non aveva dato il minimo peso al suo gesto di sfilargli la fede. Ma dopo quella frase, iniziò a rimuginarci sopra.
Perché aveva sentito il bisogno di fare tale puntualizzazione?
In tanti mesi non aveva mai tirato fuori la questione di sua moglie in quel modo, perché proprio in quel momento le era venuto in mente di dire una cosa del genere?
Erano domande che avrebbe voluto porle, ma ormai non c'era più tempo.
Ember si posizionò alla destra della porta di quell'aula, proprio dove essa finiva e iniziava la parete. Damian capì cosa intendesse fare e perciò si affrettò a controllare che ogni cosa nel suo abbigliamento fosse al suo posto, si passò una mano nei capelli, rimettendoli in ordine, infilò nuovamente l'anello e poi andò ad aprire quella porta in legno.
«Scusate ragazzi per averi fatto attendere fuori, ma stavo facendo un'importante telefonata di lavoro» disse, non appena si ritrovò al di là alcuni dei suoi studenti. Si scostò per lasciarli entrare ed Ember, con naturalezza, saltò in mezzo ad un gruppetto, confondendosi con loro e facendo sembrare che fosse appena entrata anche lei.
Rivolse un'ultima occhiata al professore, prima di andare a prendere posto accanto alla sua amica.
La lezione cominciò con Damian che ancora era scosso dalla velocità con cui tutto era successo, mentre Ember non riusciva a togliersi quel sorrisetto compiaciuto dalle labbra. Hailey, dal canto suo, per quelle due ore non riuscì nemmeno una volta a guardare in faccia il professore ed evitò di rivolgere parola alla sua amica.
Il resto della giornata la passarono divisi. La ragazza aveva altri corsi da seguire e lui alcune riunioni alle quali doveva presenziare. Ember dovette subirsi una lunga ramanzina da parte di Hailey, in cui la rimproverava per averla messa in quella situazione e le diceva che era stata completamente matta a fare una cosa del genere in un luogo così esposto.
Le aveva chiesto più volte se non avesse paura delle conseguenze e se credesse che quella fosse davvero la cosa giusta da fare. La ragazza l'aveva ascoltata, annuendo semplicemente e non rispondendole mai. Sperando che così quel discorso avrebbe visto presto la sua fine. Sapeva che la sua amica aveva ragione, ogni cosa che le aveva detto aveva senso, eppure, lei, se fosse tornata indietro, lo avrebbe rifatto altre mille volte.
La sera calò velocemente, avvolgendo la cittadina di Cambridge in un cielo scuro, decorato da qualche stella e un piccolo spicchio di luna chiara. Per le strade non c'era quasi nessuno, mentre Ember camminava con lo zaino in spalla. Uno zaino dentro al quale si era portata anche delle cose per poter passare la notte fuori. Imboccò quella via che ormai conosceva fin troppo bene e presto si ritrovò davanti alle porte del palazzo che ospitava l'appartamento in cui abitava Damian.
Suonò il campanello, sentendo poi il rumore del portone che si apriva. Velocemente sgattaiolò dentro, salendo poi fino al suo piano e facendo ingresso nella casa del professore. Lo trovò intento a infornare una pizza. Si era fatto una doccia e aveva già provveduto ad indossare degli abiti più comodi per stare in casa, essendo lì ormai da qualche ora.
Ember si tolse la giacca, buttandola disordinatamente sullo schienale del divano e lasciando lo zaino a terra. Camminò verso di lui, sbirciando cos'avesse preparato per cena. «Ciao» lo salutò poi, sorridendogli, mentre rubava un pezzo di formaggio da un piatto.
Il professore si voltò verso di lei, assottigliando lo sguardo. «Cos'era quello di stamattina?» le chiese, incrociando le braccia al petto.
La ragazza aggrottò le sopracciglia. «Sei il primo uomo che sento lamentarsi per un pompino» commentò, scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo.
«Non mi sto lamentando» puntualizzò lui. «Sto dicendo che se vuoi farmi un pompino, devi farlo perché lo vuoi tu e non per qualche strana gelosia che ti è venuta negli ultimi tempi» aveva avuto modo di rifletterci per tutto il giorno e aveva capito come mai gli avesse rivolto quell'ultima frase, prima che la lezione cominciasse. Ember era infastidita dal fatto che il giorno dopo sarebbe tornato a casa e avrebbe quindi passato del tempo con Adelaide.
La ragazza non rispose, fissandolo in modo quasi annoiato. Come sempre, quando si metteva sulla difensiva, fingeva che ciò che le veniva detto fosse inutile da sentire.
«Credi che mi serva questo per tenermi lontano da mia moglie o per ricordarmi di te mentre sono in Inghilterra?» le domandò, avvicinandosi a lei, che in quel momento si trovava con la schiena poggiata all'isola della cucina. La sovrastò con la sua altezza, intrappolandola tra il suo corpo e quella superficie marmorea. «Beh, sappi che non è così. Perché io di te mi ricordo. E non perché scopiamo in modo spettacolare, ma perché mi sei entrata in testa» rivelò, fissandola estremamente serio.
Ember alzò lo sguardo, puntandolo dritto nel suo, ma non riuscì a mantenere quel contatto visivo per molto tempo, ritrovandosi ben presto a fissare altrove. Provò a spostarsi da lui, ma Damian la bloccò. «Pensavi davvero che fosse solo il tuo corpo ad interessarmi? Che mi servisse quello per tenermi vicino a te?» insistette, cominciando ad avere il dubbio che fosse davvero una sua convinzione e non poteva essere andata più fuori strada di così con lui.
La ragazza rimase in silenzio, non era intenzionata a rispondere a quelle domande, perché dargli una spiegazione avrebbe comportato raccontagli dettagli del suo passato che preferiva restassero in qualche angolino buio e dimenticato della sua mente. «Va bene» si rassegnò. «Quando vorrai parlare, da adulta, fammelo sapere» le disse, allontanandosi da lei e continuando a preparare la cena.
Per il resto del tempo, si ignorarono completamente. Mangiarono uno di fronte all'altro, senza scambiarsi nemmeno una parola. Damian andò poi in camera, mentre lei rimase nel salotto, seduta sul divano. Aveva recuperato un libro dal suo zaino, facendo ciò che le riusciva meglio per distrarsi quando era da sola e si trovava in una situazione complicata per le sue emozioni. Si mise a studiare per il prossimo esame che l'aspettava.
Quella volta però, la sua mente sembrava non collaborare, facendola distrarre molto spesso. Di tanto in tanto, lanciava occhiate verso la porta della camera da letto, notando che la luce fosse accesa ma non sentendo alcun rumore. Alla fine si arrese, sbuffando e chiudendo il libro con un certo nervosismo. Si alzò di scatto, dirigendosi da lui, arrabbiata per il modo in cui ormai riusciva sempre a farla cedere.
«Ember» pronunciò il suo nome, quando la vide entrare a passo deciso in camera e posizionarsi davanti a lui, che se ne stava seduto sul letto con gli occhi puntati sullo schermo del suo computer.
«No, zitto. Fammi parlare» lo avvertì da subito, cercando di placare la rabbia dentro di lei. Damian annuì impercettibilmente, chiudendo il portatile e preparandosi ad ascoltarla.
«Quando ero al liceo, ho iniziato a notare come fosse facile per me farmi degli amici. Tanti ragazzi, anche più grandi, si avvicinavano a me, volevano conoscermi, uscire assieme. E ciò faceva sì che anche molte ragazze fossero interessate ad avermi come amica» iniziò a spiegare, ricordando un'altra parte triste del suo passato. «Al ballo d'inverno del primo anno, il mio accompagnatore era un ragazzo dell'ultimo anno. Thomas Williams, si chiamava, era il quarterback della squadra di football. Bello, talentoso e popolare. Praticamente qualsiasi ragazza puntava a lui. E il fatto che avesse scelto di invitare me, una del primo anno, aveva fatto cadere parecchi occhi su entrambi quella sera» fece una pausa, prendendo un lungo respiro.
«Dopo il ballo, Thomas mi aveva invitata ad una festa a casa di un suo amico» Damian iniziò a ipotizzare come potesse finire quella storia e pensò che non gli piacesse per niente. «Non ero mai stata ad una festa del genere prima, non avevo mai bevuto» la interruppe.
«Ember, non devi dirlo per forza se non...» anche lei, a sua volta, non lo lasciò finire.
«Ti ho detto di lasciarmi parlare» gli ricordò, per poi riprendere a raccontare. «Era quindi bastato poco per ubriacarmi e Thomas non ci mise tanto per convincermi a salire con lui in una delle camere» sorrise tristemente. «Non mi ero mai fatta molte aspettative sulla mia prima volta, ma non mi ero nemmeno mai immaginata che accadesse così, nella stanza di una casa di cui non conoscevo nemmeno il proprietario e con un ragazzo del genere» si sedette sul bordo del letto. «Non aveva avuto la minima premura, anche se lo sapeva che fossi ancora vergine. E io, per non farmi trovare sprovveduta rispetto alle ragazze che era abituato a frequentare, avevo finto che non mi facesse male, che mi stesse piacendo» rivelò, evitando di dar peso allo sguardo compassionevole con cui lui la stava osservando.
Da lì, sin dalla sua prima volta, era iniziato il suo modo sbagliato di vivere il sesso. Aveva finto in quel frangente e si era convinta che allora dovesse farlo sempre. Aveva usato il suo corpo per far sì che le persone le stessero accanto e si era convinta che per lei fosse l'unico modo per tenersi stretto qualcuno.
«Che scema che ero, pensavo che, alla fine, ciò che era successo tra me e lui fosse un bene. Insomma, era il ragazzo più popolare e ambito della scuola e io avevo solo quattordici anni» scosse la testa amaramente. «Ero una ragazzina che era cresciuta in una casa in cui nessuno aveva mai tempo per lei, con dei genitori che erano impossibili da soddisfare, perché qualsiasi cosa facessi, per loro non bastava mai. E da quell'anno, invece, mi ero ritrovata circondata da amici che non vedevano l'ora di uscire con me o sentire cosa avessi da raccontare» nonostante potesse sembrare una cosa bella all'apparenza, nella realtà non lo era affatto.
«Peccato però che la maggior parte di loro stessero con me solo perché potevo dargli qualcosa. Per i ragazzi era il mio corpo e per le ragazze era la popolarità» alzò lo sguardo verso di lui. «Ero convinta di aver trovato il modo per far sì che nessuno mi abbandonasse più, ed era proprio questo» si indicò. «Usare il mio corpo, anche se non mi andava, anche se infondo lo sapevo che quei ragazzi continuavano a starmi vicino solo per quello e non perché fossero davvero interessati. Però, almeno fuori dalle mura di casa mia, potevo fingere che a qualcuno fregasse qualcosa di me» le veniva voglia di prendersi a schiaffi ripensando a quanto fosse stata stupida e debole negli anni passati.
«E non faceva niente se giravano alcune voci poco carine sul mio conto, se qualcuno mi chiamava: "troia". Perché era meglio così, avere delle persone attorno che mi permettevano di stare il più possibile lontano da casa mia, piuttosto che dover tornare sempre tra quelle quattro mura e dover sopportare il silenzio e l'indifferenza dei miei genitori» concluse, mordicchiandosi l'interno guancia.
Si aspettava che Damian la guardasse con disgusto, che magari le ridesse anche in faccia, prima di chiederle di andarsene. E invece, il professore si avvicinò a lei, spostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Grazie per averne parlato con me» le disse, felice del fatto che avesse trovato in lui la fiducia per sentirsi libera di raccontagli quelle cose.
«Eri una bambina e sei stata costretta a crescere troppo in fretta. Ti eri solo convinta che le persone potessero restarti accanto unicamente per il tuo corpo e non è così, Ember» le mise due dita sotto il mento, costringendola ad alzare lo sguardo su di lui. «Per favore, non pensare mai più che io sia qui con te solo perché vieni a letto con me.»
Era estremamente serio ed Ember lo capì anche dai suoi occhi concentrarti su di lei. «Potremmo passare tutto il tempo a parlare, senza nemmeno sfiorarci e per me andrebbe benissimo così» rivelò, vedendola trattenere un sorriso. «E se ti fa stare meglio, questa -indicò la fede che aveva al dito- quando siamo assieme, posso anche toglierla» la sfilò, mostrandogliela. «Sono qui con te, non con lei. Non credi che questo significhi qualcosa?» le chiese. Una domanda che non aveva bisogno di alcuna risposta.
Per quanti anni aveva pensato che nessuno potesse apprezzarla per quello che era, se non c'era il suo corpo di mezzo. Per quanto tempo aveva creduto che nel sesso non potesse provare piacere. Damian non era l'unico ad aver sprecato tanto tempo nella sua vita, anche lei aveva preso parecchie scelte sbagliate che l'avevano tenuta lontano dalla felicità.
Ember non disse una parola, limitandosi a baciarlo sulle labbra. «Quindi, sei gelosa di me?» le chiese, assumendo un'espressione divertita e smorzando il tono di quella conversazione.
«Smettila, era da un po' che non facevo qualcosa fuori dalle regole e ho voluto rimediare» mentì, non volendo dargli la soddisfazione di ammettere che avesse ragione. Non volendo darla nemmeno alla sua coscienza.
«Oh, sì che sei gelosa invece» la prese in giro ancora, attirandola a sé e facendola ricadere sul letto.
Rise, mentre lei cercava ancora di protestare. E la baciò poi, per farla stare zitta.
Ember si sentiva davvero fregata. Aveva dato a quell'uomo il potere di controllare le sue emozioni e sapeva che ormai sarebbe stato troppo tardi per tornare indietro. Si era messa in quella situazione con le sue stesse mani e adesso, l'unica cosa che poteva fare, era continuare a camminare su quella via, fino a scoprire dove l'avrebbe portata.
🌟🌟🌟
Non dimenticatevi di lasciare una stellina🙏🏻
Direi che il titolo del capitolo si spiega davvero da solo.
Finalmente anche lei si è aperta con il professore, raccontandogli un episodio del suo passato e facendo chiarezza su alcuni suoi modi di comportarsi.
Ci sono ancora tante cose da scoprire e arriveranno tutte a tempo debito.
Nel frattempo, Ember deve ancora parlare con Carter, credete che lo farà presto? O che prima arriverà qualche altro drama?
Parlando invece di ciò che è successo in aula, sicuramente è stata una pazzia. Ma una pazzia proprio in stile Ember😏
La partenza di Damian è ormai imminente, cosa credere che accadrà in Inghilterra?
Per scoprirlo non dovrete fare altro che continuare a leggere😈
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XOXO, Allison💕
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