Capitolo 18 - Imparare a perdere

Amami oppure odiami,
entrambe le cose sono a mio favore.
Se mi ami, io sarò sempre nel tuo cuore.
Se mi odi, io sarò sempre nella tua mente.
-Shakespeare

Passato quel weekend, la festa di Halloween sembrava solo un lontano ricordo da cancellare, almeno per quanto riguardava Ember e Carter, perché Kaden e Jodi giuravano di non essersi mai divertiti tanto. Ma era anche vero che loro non avevano passato l'intera notte a litigare.

Una notte che era sembrata infinita, dove il tempo era stato scandito solo dalle loro urla e dai loro silenzi. Fino a che il sole era sorto ed entrambi si erano addormentati nel letto di Ember.

«Possiamo ripartire da zero?» questo gli aveva domandato lei, quando il mattino dopo si era svegliata accanto a lui, che, nel sonno, senza nemmeno accorgersene, l'aveva stretta tra le sue braccia.

«Niente più sesso, solo noi due come prima?» aveva chiesto Carter, accarezzandole i capelli. E lei aveva annuito. Si erano salutati con quel patto, convinti di poter riuscire a rispettarlo. Perché ad entrambi era sembrata la soluzione migliore, quella di tornare ad essere solo amici. Non avevano trovato altra via possibile per evitare di rovinare la loro amicizia.

Ma Ember non era capace a mantenere i suoi buoni propositi e Carter era di carne troppo debole quando si trattava di lei. Ecco perché quella mattina, chiusi in camera del ragazzo, il letto scricchiolava e i gemiti riempivano l'aria.

«Oh... merda!» aveva esclamato, aggrappandosi alla testata di legno, mentre Carter si spingeva dentro di lei. La ragazza mugolò, schiacciando la faccia sul cuscino e spingendo ancora di più il sedere verso di lui.

Lui le poggiò le mani sui fianchi, stringendoli prepotentemente e lasciando il segno del suo passaggio su quella pelle lattea. «Dio, vienimi a svegliare così ogni mattina» parlò, affondando completamente dentro di lei e facendole emettere un gemito più acuto.

Sapeva che le piaceva farlo in quel modo: rude, distaccato, veloce anche. Non che a lui dispiacesse, ma ogni tanto avrebbe voluto riuscire ad essere più... romantico. Si sentiva stupido persino a pensarlo, ma era la verità, a differenza di altri, non riusciva a mentire a se stesso.

«Cazzo...» sospirò lei, sdraiandosi completamente sul materasso dopo che il ragazzo ebbe raggiunto il culmine. Carter uscì da lei, sedendosi sul bordo del letto e passandosi una mano sui capelli.

«Non posso» disse Ember, tirandosi su e facendogli aggrottare la fronte.

«Non puoi cosa?» gli chiese confuso.

«Venire a svegliarti così ogni mattina. Non credo che il tuo compagno di stanza sia propenso ad uscire sempre un'ora prima del suo solito per lasciarci scopare in pace» spiegò, alzandosi dal letto, diretta verso il bagno.

Carter fece scorrere gli occhi su quel corpo nudo e quando gli passò davanti, non resistette ad afferrarla per i fianchi e farla ricadere seduta sopra di lui. Il contatto con la pelle bollente del ragazzo le provocò un fremito nel basso ventre. Sentiva la sua erezione crescere nuovamente e premere contro il suo sedere.

«Non hai lezione?» chiese Ember, voltando appena la testa verso di lui. Avvertì le mani di lui accarezzarle i seni e poi scendere lungo la sua pancia.

«In questo momento non me ne frega un cazzo delle lezioni» le disse per tanto, passando un dito sulla sua apertura ancora umida. Gli occhi fissi in quelli di lei, ammiravano le pupille dilatarsi, mentre un gemito scappava dalle sue labbra gonfie.

«Avevamo detto di fare i bravi. Di fare le cose per bene» gli ricordò, con tono tremolante, causato dal lieve massaggio che lui stava compiendo sul suo clitoride. Non ci credeva nemmeno lei alla parte da buona che stava cercando di assumere con quel discorso.

«Oh, ma io sto facendo le cose per bene. No?» la provocò, con un sorrisetto beffardo ad increspargli le labbra. Un altro gemito uscì dalla bocca di Ember quando quello stesso dito si insinuò dentro di lei e i denti del ragazzo le morsero la spalla.

«Poi però non dire che sono io quella che ti tenta» disse, prima di avventarsi sulle sue labbra.

E così, Carter perse la lezione di quella mattina, preferendo passare il suo tempo con lei. Dopo un altro orgasmo e una lunga doccia, entrambi avevano deciso che era arrivato il momento di concentrarsi sulle lezioni pomeridiane ed evitare di saltare anche quelle.

Con la consapevolezza che avessero fallito nel mantenere la parola che si erano dati, pensare a mente lucida risultava difficile. Carter si domandava perché non riuscisse ad amare di più se stesso e smetterla di farsi del male con quella relazione. Ed Ember si chiedeva perché non fosse in grado di fare la cosa giusta.

Lei sapeva della cotta che il ragazzo aveva nei suoi confronti, eppure, egoisticamente, preferiva continuare ad illuderlo, per assicurarsi quell'ancora di salvezza sempre pronta ad evitare che potesse affondare del tutto.

E lui semplicemente se lo faceva andare bene. Avrebbe voluto urlarsi contro e prendersi a schiaffi ogni volta che cedeva davanti a quegli occhi da cerbiatta. Credeva davvero che la litigata di Halloween sarebbe stato il pretesto per ritornare ad essere solo amici e smetterla di illudersi. Ma era bastato ritrovarsi nuovamente solo con lei, per farsi sopraffare e saltarle addosso.

Entrambi si chiedevano se quella relazione avrebbe mai potuto davvero vedere la fine, o l'inizio. Ma nessuno dei due sapeva darsi una risposta certa.

«Dio, come odio dover aspettare per essere servita» commentò Hailey, aggrottando le folte sopracciglia in una smorfia di disappunto.

Dopo pranzo, Ember aveva deciso di accompagnarla al centro commerciale, facendosi anche convincere a comprare, finalmente, un nuovo cellulare. Per Hailey era inconcepibile il fatto che avesse scelto di stare senza telefono e soprattutto si era stancata di inviarle email per sentirla.

«Se mi fai arrivare in ritardo alla lezione del pomeriggio, mi incazzo sul serio» disse Ember, osservando preoccupata le due persone in coda prima di loro, che stavano attendendo che un commesso dell'Apple Store li servisse.

«Eppure non mi è sembrato che ti sia dispiaciuto perdere economia e politica estera questa mattina» asserì Hailey, toccandole il braccio con il gomito e sorridendole divertita. «Oh, giusto, in quelle due non c'era Mister Professore sexy, inglese e dall'aria misteriosa» aggiunse, guadagnandosi un'occhiataccia da parte dell'amica.

Erano giorni che Ember non vedeva Damian. Da quando le aveva detto chiaramente che non avrebbe voluto avere più nulla a che fare con lei, non aveva più avuto occasione di incontrarlo. E la lezione di quel pomeriggio sarebbe stata la prima volta in cui si sarebbero rivisti.

Si chiedeva se davvero avrebbe mantenuto le sue parole. Ma in ogni caso era più che determinata a far sì che fosse lei a mettere un punto e non Damian.

Lei non riceveva un "no", un rifiuto o una porta chiusa in faccia. Non era così che era abituata a vivere, non era così che l'avevano cresciuta. Imparare a perdere non era mai stato nelle sue opzioni. Aveva imparato a vincere, a manipolare, a nascondere le proprie emozioni, a fingere, ma non a perdere.

"Ti sedurrò ancora una volta, Damian. E tu cadrai nella mia trappola, perché ci cadono tutti. Sempre. E poi sarò io a smettere di rivolgerti anche solo uno sguardo, perché è così che funziona con me. Che ti piaccia o no."

Pensava, ogni qual volta che i ricordi di quella sera le tornavano in mente. Incolpava lui se le cose erano andate male, anche quando l'evidenza diceva tutto il contrario. Ma lei non poteva dimenticare quello che le aveva fatto provare nell'atrio del suo palazzo, le parole che gli aveva rivolto, l'atteggiamento così simile a quello di suo padre. Non poteva dimenticare e non avrebbe lasciato quella questione in sospeso. Voleva prendersi la sua rivincita.

«Vero, il Professore Turner fa la sua parte nell'accrescere il mio interesse per le sue lezioni. Ma se fossi stata con Carter questo pomeriggio, avrei saltato anche letteratura» lo disse, ma non ci credeva poi tanto. «Lo sai che il sesso con lui è uno dei migliori che abbia mai fatto. È difficile resistere» aggiunse, cercando di perorare la sua causa e sperando che l'amica si convincesse.

Hailey assunse un'espressione pensierosa. «Come: "uno dei migliori?"» chiese, facendo qualche passo avanti mentre la fila scorreva. «Hai sempre detto che Carter era: "Il migliore." Chi è stato in grado di eguagliarlo o di superarlo?» continuò, guardandola curiosa, impaziente di sapere quel gossip.

Ember sgranò gli occhi, rendendosi conto di aver appena lasciato trasparire un piccolo ma importante indizio. Cercò di non farsi vedere troppo sorpresa, non aveva fatto caso alla scelta delle parole e tanto meno si aspettava che l'amica cogliesse quel minuscolo particolare.

«Era per non dargli troppa importanza» si giustificò velocemente, facendo aleggiare una mano, cercando in tutti i modi di nascondere la sua espressione colpevole. «Nessuno l'ha superato, stai tranquilla. Se mai accadrà, sarai la prima a saperlo» aggiunse poi, sapendo quanto Hailey amasse le notizie di quel tipo.

«Quindi, nel paradiso del sesso è tornata la pace?» l'amica aveva saputo della loro lite e di ciò che era successo alla festa di Boston. Ember era stata male per tutto il giorno dopo, colpa dell'alcol e del freddo preso. Il tutto, sommato anche al suo malessere mentale. Non si era mossa dal letto nemmeno quando Kaden le aveva portato una zuppa calda da mangiare, rifiutandosi di sedersi accanto a lui alla scrivania.

Il fatto era che nella mente di Ember le parole e i ricordi si erano affollati, ingarbugliandosi come fili sottili e aveva avuto bisogno del suo tempo prima di riuscire a sistemare quel casino che aveva in testa. Durante la lite avuta con Carter, lui, preso da un'impeto di rabbia, le aveva rivelato ciò che quei due ragazzi della confraternita avevano detto su di lei.

Non si era stupita, l'avevano chiamata troia così tante volte che ormai quella parola aveva perso di significato per lei.

Andrew James era stato il primo a dirglielo, quando si era rifiutata di andare a letto con lui, alla festa di inizio liceo. Camille Rodriguez, quella che considerava come una delle sue migliori amiche, l'aveva chiamata così, quando, dopo il ballo d'inverno aveva saputo che aveva perso la verginità con un ragazzo dell'ultimo anno. Persone di cui nemmeno conosceva il nome avevano usato quell'appellativo, quando l'avevano incrociata fuori da qualche locale, perché indossava un vestito, una gonna o semplicemente perché non aveva alcuna voglia di prestargli attenzione.

E sapeva che tanti continuavano a pensarlo. Persone che incrociava nei corridoi, che conosceva di vista. Magari non avevano il coraggio di dirglielo in faccia, ma lo pensavano. Era una troia perché viveva la sua sessualità in modo libero, perché amava se stessa e il suo corpo e le piaceva usare indumenti che lo mettessero in risalto.

Nonostante avesse imparato a non farsi più turbare da quella parola, c'erano delle volte in cui era più debole ed essa aveva la meglio. Volte come quella, nella quale il termine si era sommato a tutte le altre cose che le avevano sputato addosso, Damian, Carter, Jason. E per un po' non era più riuscita controllare i suoi pensieri, dicendosi che forse avevano ragione tutti gli altri. Aveva una relazione di sesso con Carter, andava a letto con altre persone ed era finita anche con un uomo sposato. Come poteva definire se stessa?

Il suo sguardo si era posato su quel vestito in latex, appeso alla maniglia dell'armadio. Presa da un impeto di rabbia, aveva afferrato quell'abito e il paio di forbici che stavano sulla scrivania di Jodi. L'aveva fatto a pezzi. Aveva distrutto un vestito da migliaia di dollari, perché era caduta tra le grinfie dei demoni che occupavano le parti buie della sua mente.

«Così pare» rispose.

«Sono felice. Ho sempre tifato per voi due, anche se tu dici che è solo sesso» rivelò Hailey, facendole abbassare lo sguardo. Ember lo sapeva, come sapeva che probabilmente Carter sarebbe stato il ragazzo perfetto per lei.

Era gentile, premuroso, l'amava, metteva lei anche prima di se stesso. Sarebbe potuta essere la persona con la quale costruire un futuro concreto. Eppure, non riusciva a lasciarsi andare. Voleva bene a Carter, gli era grata per così tante cose e le piaceva passare il tempo con lui. Ma non poteva comandare al suo cuore, quello non era ancora riuscita ad impararlo. Non poteva imporgli di smetterla di dare ascolto alla sua voglia di fare cose stupide e iniziare a ricambiare i sentimenti del ragazzo. Magari un giorno l'avrebbe fatto, però il momento non era quello.

«Avanti il prossimo» proclamò l'uomo che stava accanto alle porte di quel negozio, stoppando la loro conversazione e facendole tirare un sospiro di sollievo.

«Oh, sì, eccoci!» esclamò Hailey, correndo verso uno dei commessi e trascinandosi dietro Ember. «La mia amica ha estremamente bisogno di un telefono. E non badiamo a spese» disse poi, mentre quel ragazzo dall'aria gentile e gli occhiali tondi poggiati sul setto nasale, la osservava annuendo.

Dopo che le furono mostrati diversi modelli di smartphone, anche in più colori, Ember decise di optare per lo stesso che aveva Hailey ma, invece che prenderlo bianco come lei, scelse il grigio scuro. Dopo essersi fatta convincere a comprare anche una cover, delle cuffiette e un caricatore in più, riuscì finalmente ad uscire da quel negozio.

Sorprendentemente, quando l'auto di Hailey parcheggiò fuori dall'edificio, erano in anticipo di ben dieci minuti e quando fecero il loro ingresso in aula, scoprirono che il professore non era ancora arrivato.

Presero posto ai banchi, sistemando sulla superficie di essi le loro cose. Ember teneva lo sguardo fisso sull'orologio appeso al muro davanti a lei, osservando la piccola lancetta dei secondi, girare e scandire il tempo. Spostava i suoi occhi da quell'oggetto alla porta d'entrata, attendendo impazientemente di vedere quell'uomo fare il suo ingresso.

Durante i giorni precedenti, si era ritrovata a pensare a lui più spesso di quanto avrebbe voluto. Perciò era curiosa di vederlo, per cercare di comprendere se anche Damian avesse fatto lo stesso. E soprattutto per capire se poteva esserci una possibilità che abbracciasse nuovamente l'incoerenza, cadendo nei suoi tranelli, per permetterle di prendersi la sua rivincita.

Il professore entrò in perfetto orario, chiudendosi le porte dell'aula alle spalle e stoppando il brusio generale. Camminò a grosse falcate verso la cattedra e vi poggiò sopra la sua valigetta in pelle marrone. Indossava un pullover grigio chiaro e un paio di pantaloni blu navy dal taglio elegante.

«Buongiorno, ragazzi» salutò la classe, voltandosi verso di loro e incrociando le braccia al petto. Non indossava una giacca, perciò i muscoli sulle sue braccia risaltarono attraverso quel tessuto. Fece scorrere gli occhi sugli alunni, ma si fermò prima che potesse incontrare quelli di Ember.

«Oggi volevo fare un ripasso di tutti gli argomenti che abbiamo trattato fino ad ora. Darò spazio alle vostre domande, così da chiarirvi ogni dubbio, prima di proseguire» annunciò, aprendo il suo portatile e collegandolo velocemente al proiettore.

All'inizio, la ragazza credeva che fosse solo una sua impressione, il fatto che lui non le rivolgesse uno sguardo nemmeno sbaglio. Ma poi, mano a mano che quelle due ore di lezione scorrevano, Ember ebbe la certezza che lui stesse facendo di tutto per ignorarla. Specialmente quando alzò la mano per rispondere ad una domanda e lui le lanciò una veloce occhiata seria, prima di chiamare il nome di un altra alunna e lasciare che fosse lei a parlare.

Tutto ciò, invece che abbatterla o farla sentire in colpa per la situazione che aveva creato, non fece altro che far insidiare dentro di lei un'ulteriore voglia di sfida. Così, attese buona buona il termine di quella lezione, ignorandolo a sua volta e non alzando mai lo sguardo dal suo computer. Almeno fino a quando lui pronunciò quelle parole.

«Prima di lasciarvi andare, volevo comunicarvi che l'università ha organizzato, per il vostro corso, un piccolo viaggio, durante le prime due settimane di dicembre. Che vi permetterà di visitare e scoprire dei luoghi di interesse per i vostri studi e soprattutto di incontrare chi gestisce queste aziende, il che potrebbe essere per voi una grande opportunità» spiegò, sedendosi sopra quella cattedra.

E, forse per la prima volta in vita sua, Hailey era interessata per davvero ad una parte di lezione, tanto che alzò una mano per porre una domanda. «Quale dovrebbe essere la meta di questo viaggio?» chiese, dopo che il professore le ebbe dato la parola.

Damian attese qualche secondo prima di rispondere, alternando lo sguardo da lei all'amica che le sedeva accanto. «Londra» ammise poi, sospirando, mentre la bocca di Ember si apriva in un sorriso furbo. Aveva appena trovato un possibile modo per farlo cedere e conquistare la sua vendetta.

«Andremo nella sua città, professore!» esclamò una ragazza, usando un tono fin troppo esaltato.

Lui sorrise, annuendo, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa venne fermato da un'altra domanda. «Ci accompagnerà lei, giusto?» il ragazzo che aveva aperto la questione, si ritrovò presto supportato da molti altri alunni, tutti concordi sul fatto che sarebbe stata la cosa migliore.

«A dire il vero avevamo pensato che il professore Kaplan sarebbe stata la persona più adatta» dopo la rivelazione di quel particolare, l'entusiasmo venne un po' smorzato e così anche il piano di Ember. «Visiterete aziende e sedi di società che contribuiscono all'economia sia europea che mondiale. Io non ho studiato questi argomenti, non sarei la persona più adatta ad accompagnarvi» aggiunse, sperando di far capire la scelta presa dal consiglio.

La verità era che lui non si sentiva dispiaciuto, anzi, gli andava più che bene di non dover portare parte di quegli alunni a Londra. Anche se era la sua città, la amava e gli mancava, restava comunque il luogo dove viveva sua moglie. Non sarebbe potuto tornare in Inghilterra senza avvisare lei o la famiglia e non aveva alcuna voglia di vederla. Perciò, alla riunione, aveva proposto subito il nome di Gabriel come accompagnatore.

«Comunque, c'è un limite di venti posti per questo viaggio. Abbiamo selezionato di comune accordo gli studenti che secondo noi sarebbero più adatti e più meritevoli» disse poi, facendo alzare subito un brusio generale. «Vi arriverà inviata una mail, in serata, in cui sarà spiegato tutto l'itinerario del viaggio e alla quale dovrete rispondere con la vostra conferma o rinuncia. Mi raccomando di farlo entro domani sera, perché, in caso di rinunce, l'opportunità verrà data a qualcun altro» aggiunse, prendendo un foglio dalla sua valigetta.

«Vi leggo i nomi degli studenti selezionati, così che vi possiate già tenere pronti a controllare la posta elettronica» annunciò, facendo tacere tutti immediatamente. Ember non sapeva su quali criteri si erano basati i professori per selezionale gli studenti, ma era già certa del fatto che il suo nome sarebbe stato su quella lista.

«Hailey Bennett» pronunciò Damian, dando un'ulteriore conferma che quella ragazza, grazie all'enorme quantità di soldi che i suoi genitori donavano ogni anno all'università, potesse arrivare ovunque, anche se non aveva mai aperto nemmeno un libro da quando era lì.

«Ember Cooper» disse poi e senza nemmeno rendersene conto gli venne spontaneo stringere maggiormente quel foglio di carta. La ragazza alzò un angolo della bocca, fissandolo con la testa leggermente piegata su di un lato.

Per il professore era stato complicato ignorarla in quel modo, però sapeva che era la cosa giusta da fare, dopo quello che aveva scoperto. Lei aveva una relazione con Carter, proprio il ragazzo con cui aveva instaurato un bellissimo rapporto sin dal suo primo giorno ad Harvard. Lo stesso che si era confidato con lui e gli aveva chiesto consiglio su come gestire i suoi sentimenti per lei.

Tutto ciò che avevano fatto con Ember, dopo quella rivelazione era diventato ancora più sbagliato. Ma forse era stato un bene venire a conoscenza di quel particolare sulla vita privata della ragazza, perché almeno ora aveva una ragione in più per evitarla a tutti i costi. Non importava quanto fosse attraente e provocatoria, non poteva continuare a lasciarsi abbindolare e finirci a letto. Aveva già rischiato abbastanza a livello lavorativo, non avrebbe permesso che qualcuno potesse scoprire quel piccolo segreto, soprattutto Carter.

Ecco perché si era guardato allo specchio quella mattina, ed era rimasto con lo sguardo fisso nelle sue pupille per qualche minuto, ripetendosi nella testa che non sarebbe mai più successo. Non importava cosa avrebbe potuto architettare quella ragazza, lui non ci sarebbe più cascato. Era stato categorico con se stesso.

«Scusi, professore, dato che siamo in venti, possiamo avere diritto ad un secondo accompagnatore» un altro ragazzo saltò su con quella frase, strappandolo ai suoi pensieri.

«Ragazzi io...» venne interrotto prima che potesse proseguire, da una voce che ormai conosceva fin troppo bene.

«Sì, sarebbe assurdo se il nostro professore, originario dell'Inghilterra e proveniente proprio da Londra, non ci accompagnasse» Ember aveva pronunciato quelle parole con un tono di sfida, fissando prima lui e poi voltandosi verso gli altri compagni.

«E poi, se non sbaglio, in quel periodo viene organizzato sempre il festival della letteratura. Sa che quest'anno cade proprio in concomitanza con l'anniversario dei quattrocento anni dalla morte di Shakespeare» aggiunse, tornando a guardarlo con un sorrisetto. «Potremmo fare una tappa anche lì e chi meglio di lei per accompagnarci in luoghi così?» domandò retoricamente, mentre il resto degli alunni concordava con ciò che aveva appena detto.

Damian serrò la mandibola, fissandola severo. Si chiedeva perché avesse deciso di intervenire, sapeva che era sposato e anche se non avevano mai parlato della sua vita privata, sapeva che sua moglie viveva a Londra. Cosa le diceva la testa per insistere ad accompagnarli?

«La prego, professore» davanti all'ennesima richiesta della classe, resosi conto di quanto i suoi alunni ci tenessero che andasse con loro, si vide costretto a cedere.

«Va bene, vedrò se è possibile farmi aggiungere come accompagnatore» si arrese, facendo scaturire applausi ed espressioni di felicità. Era contento di sapere che quei ragazzi lo avessero preso in simpatia. Era lì da poco, eppure era riuscito comunque a creare un bel legame con tutti.

«Adesso potete andare» proclamò, scendendo dalla cattedra e aggirandola per poter ritirare le sue cose nella valigetta.

«Signorina Cooper, lei si fermi un attimo» l'avvisò poi, indicandola e bloccando i suoi passi mentre scendeva i gradini che portavano ai vari livelli dei banchi. Quando si fu assicurato che non vi fosse più nessuno lì dentro, oltre a loro, si avvicinò alla ragazza.

«A che gioco stai giocando?» le domandò, con un'espressione arrabbiata che gli dominava il viso.

«Io?» chiese lei, assumendo un tono stupito.

«Smettila di recitare la parte della ragazzina ingenua» la riprese, fissandola dritta negli occhi e facendola sorridere furbamente. «Che cosa ti dice la testa? Hai per caso deciso di mandare all'aria la carriera di entrambi e anche la mia vita privata?» insistette.

«Ma che film si è fatto? Ho solo pensato che fosse una buona idea quella di aggiungere il festival della letteratura e di far venire anche lei» si giustificò. «É uno dei migliori professori che abbia mai avuto, sarebbe stato uno spreco non avere l'opportunità di accompagnarci in questo viaggio» lo adulò. Le labbra di Damian si tirarono leggermente in un sorriso, stava quasi per farsi distrarre da quelle parole, dimenticandosi tutti i motivi per i quali era furioso con lei.

«Certo e io dovrei credere a questa scusa» disse, ricomponendosi. Ogni tanto si scordava che con lei bisognava sempre stare attenti, perché l'inganno e i secondi fini erano dietro l'angolo.

«Senta, io l'ho fatto in buona fede» fece spallucce. «Credo che sarà divertente, per tutti» aggiunse, con un sorrisetto sulle labbra. «E poi avrà la possibilità di rivedere sua moglie, non è contento?» concluse, accennando qualche passo in avanti, per dirigersi verso la porta.

Damian serrò la mandibola, sentendo quella sensazione di rabbia prendergli lo stomaco. Se c'era una cosa capace di farlo davvero incazzare, era proprio quella di nominare la sua vita privata, di fare supposizioni sul rapporto tra lui e sua moglie. Non voleva pensare alla sua infelice situazione sentimentale e quando qualcuno gliela ricordava, era difficile per lui controllarsi.

La fermò prima che potesse scendere un altro gradino, afferrandola per un braccio e facendola voltare. Lo sguardo che le stava rivolgendo era severo e la stretta sulla sua pelle scoperta sembrava quasi bruciare. «Ascoltami bene, ero serio quando ho detto che hai finito di giocare con me. Qualsiasi cosa tu stia architettando, toglitela dalla testa» l'avvisò.

Forse era pazza, ma in quel momento le piaceva quella sensazione di essere sgridata da lui. Eppure, quando era successo la sera di Halloween, l'aveva fatta così incazzare che per tutta la festa non era riuscita a controllarsi. Ma ora era stata lei ad architettare quella situazione, a scegliere le parole adatta per far sì che arrivassero proprio lì. Le cose non erano successe di sorpresa, perciò, il fatto di sentirsi così piccola in confronto a quell'uomo adulto e affascinante, la eccitava.

Era difficile capirsi, non ci riusciva nemmeno sforzandosi. Perché si metteva sempre in quelle situazioni che potevano essere fatali per la sua già precaria situazione emotiva?

Giocava con le persone, non riuscendo a provare senso di colpa. E quando riceveva una risposta diversa da quella che avrebbe voluto sentire, non lo accettava.
Si annoiava facilmente di tutto, ma se qualcosa sembrava perdere interesse per lei, allora ecco che tornava in prima linea.
Perché era lei che doveva vincere, che doveva avere l'ultima parola, fare la mossa finale.

Ad Ember piaceva essere il giudice, la giuria e il boia.
Era l'unico modo che conosceva per uscirne indenne, almeno all'apparenza.

«Non sto pensando a niente» mentì, accorgendosi solo in quel momento della reale vicinanza dei loro corpi. «Lei a cosa sta pensando?» gli chiese, alzando un sopracciglio.

Damian aveva tante cose che gli passavano per la testa in quel momento.
Gli occhi gentili di Carter, che gli avevano regalato la sua fiducia.
Le labbra di quella ragazza che scorrevano sulla sua lunghezza eccitata.
Le sue mani che le donavano piacere.
La loro discussione avvenuta nell'atrio del palazzo.
Tutte le volte che si era lasciato raggirare e prendere in giro.

Manteneva salda la presa sul suo braccio e il contatto visivo. E nonostante fosse arrabbiato con lei, il suo corpo sembrava starlo pregando di prenderla lì, in quell'aula.

"Vedi di ritornare in te."

La sua coscienza si intromise, quando Ember gli rivolse uno sguardo carico di desiderio. Aumentò la stretta sulla sua pelle, facendole schiudere le labbra e sospirare pesantemente.

Erano sempre più vicini e Damian stava per abbracciare nuovamente la sua incoerenza, dando ascolto alla sua irrazionalità. Quando, però, dopo un movimento del corpo di Ember, una piccola parte di pelle della spalla si scoprì.

Il segno di un morso, adornato da una sfumatura rossastra, che in alcuni punti virava al viola, marchiava la sua pelle chiara.

Tutta la realtà di quella situazione tornò a colpirlo come un camion in corsa. Chiuse gli occhi, prendendo un respiro profondo. «Non parlare mai più della mia vita privata» le disse, lasciando bruscamente la presa che aveva su di lei. La oltrepassò, scendendo quei gradini. «E ricorda di non sottovalutare le mie parole, se non vuoi vedermi davvero incazzato» aggiunse, alludendo a ciò di cui l'aveva avvisata.

Era determinato a chiudere quella storia. Perché era la cosa giusta da fare. Non poteva lasciarsi abbindolare da una ragazzina, nemmeno per quanto fosse attraente e determinata.
Era un adulto e doveva comportarsi da tale. Lei avrebbe fatto meglio a capirlo.

Non le rivolse più nemmeno uno sguardo, recuperando la sua valigetta dalla cattedra e uscendo da quell'aula.

Ember aveva appena perso quella mano, doveva accettarlo. Ma, da abile giocatrice, sapeva quando arrivava il momento di fare una pausa, di portare a casa ciò che si era guadagnato ed evitare di restare a mani vuote.

Il tempo per tornare a giocare sarebbe nuovamente arrivato, le acque necessitavano di calmarsi però.

🌟🌟🌟

Non dimenticatevi di lasciare una stellina🙏🏻

Facciamo un applauso a Ember e Carter per averci almeno provato a smetterla di fare sesso🤡
Damian sembra molto più determinato del ragazzo invece, ma ce la farà per davvero? Sono aperte le scommesse...

Ve lo aspettavate questo annuncio del viaggio?
Nel prossimo capitolo si vola in Inghilterra✈️
Quanti drammi prevedete?

Per scoprirlo non dovrete fare altro che continuare a leggere😈

Commentate facendomi sapere cosa ne pensate e per qualsiasi cosa non esitate a scrivermi.

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XOXO, Allison💕

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