Prologo - Il Buongiorno si vede dal Mattino

Erano le cinque di mattina.

I miei occhi spalancati erano puntati sul soffitto. Fissavo intensamente quelle travi di legno bianco ormai da troppo tempo.

Stavo aspettando che la sveglia suonasse. Il jet-lag e il mio essermi dimenticata di prendere le gocce non mi avevano permesso di dormire oltre quell'ora.

E poi, eccolo lì, quel suono acuto e tanto fastidioso. Allungai la mano verso il comodino, così da poterlo fermare e poi mi stiracchiai per bene.

Nonostante fossi già sveglia, la mia voglia di alzarmi continuava a essere sepolta, assieme a me, sotto quel piumone bianco.

Non avevo una routine vera e propria, la mia giornata era sempre imprevedibile e questo grazie anche al mio lavoro.

Ad esempio, quel giorno mi sarei dovuta alzare molto presto, prepararmi, correre in aeroporto e partire per Miami.

Fare l'assistente di volo per una delle compagnie aeree più importanti del mercato era una cosa che non avevo mai messo in conto. Da bambina non sognavo questo lavoro e nemmeno quando, al college, avevo scelto di seguire scienze politiche mi sarei mai immaginata di finire lì.

Ma si sa, la vita è imprevedibile. E così, dopo diverse scelte fortunate, mi ero ritrovata a far parte dell'enorme team della Emirates Airline.

Decisi di darmi una scossa, alzandomi velocemente dal mio comodo letto e buttandomi sotto la doccia. L'acqua tiepida servì per svegliarmi, quel che bastava per non accasciarmi a terra e riaddormentarmi.

Dovevo smetterla di dare ascolto a Brandi e seguirla per tutti i locali di Vancouver in cerca di drink e uomini sexy.

Quella ragazza era davvero una forza della natura, non si stancava mai, era sempre carica di energia e voglia di fare. Io proprio non mi capacitavo di come riuscisse ad essere così.

Brandi era una mia collega, nonché grande amica. Lavoravamo assieme, da anni ormai e quindi condividevamo anche tutto lo stress e le frustrazioni che i nostri amati clienti ci regalavano ogni giorno.

Con ancora l'asciugamano avvolto attorno al corpo, mi diressi in cucina. I piedi scalzi si appiccicavano al parquet e dietro di me, senza nemmeno rendermene conto, stavo lasciando una scia di goccioline d'acqua.

Arrivata nel salottino ad open space, notai da subito come quella mattina ci fosse una strana mancanza di luce. Portai il mio sguardo fuori dalla finestra, rendendomi conto che il cielo era plumbeo e la pioggia fitta cadeva incessantemente, schiantandosi al suolo.

Oh benissimo, proprio quello che ci vuole per recarsi tranquillamente al lavoro.

Pensai, abbastanza irritata.

Presi una tazza dal mobiletto bianco, posizionato sopra il lavello, poi accesi il bollitore. Durante l'attesa mi ritrovai a fissare la mia immagine riflessa sul vetro scuro del forno.

I capelli spettinati erano raccolti in modo approssimativo in uno chignon. Avevo deciso di tagliarli un po' più corti, sperando che così sarei finalmente riuscita a tenerli in ordine, senza dover impazzire con mille prodotti diversi. Ma così non era stato. Evidentemente avevano deciso di non essere collaborativi.

Come ogni altro aspetto della mia via d'altronde.

I miei occhi verdi, invece, stranamente non erano contornati da occhiaie e risultavano più svegli del solito. Un evento, oserei dire, raro, date tutte le ore di sonno arretrate.

Recuperai il mio cellulare dall'isola della cucina e controllai un po' le notifiche. Avevo un paio di mail e qualche messaggio da leggere.

"Quella stronza di Lacy oggi è di turno con noi" questa era la prima cosa che Brandi mi aveva scritto quella mattina.

"Cerca di arrivare in orario, non ho proprio voglia di sentirla" seguita da questa.

"Ti aspetto davanti al parcheggio dove quel nuovo e bellissimo pilota di Lufthansa lascia la macchina" e per finire questo.

Sorrisi e scossi la testa, mentre sorseggiavo un po' del mio caffè amaro.

Brandi era incorreggibile, sempre in cerca di qualche nuova preda da portarsi sotto le lenzuola. Amava gli uomini e gli uomini amavano lei.
Con i suoi lineamenti esotici e quegli occhioni marroni da cerbiatta, riusciva sempre a fare colpo su chiunque.
E poi la sua personalità, così solare e amichevole, la aiutava molto.

Per me invece era un po' più complicato, perché con il mio caratterino e il mio sarcasmo, tendevo sempre a farmi fraintendete e quindi litigare. Spesso il mio essere così estroversa e senza peli sulla lingua mi faceva passare per antipatica o troppo civettuola.

Ma poco mi importava, io ero così. E se ti piacevo bene, sennò quella era la porta.

Il mio sguardo si posò poi sull'orologio, appeso al muro del salotto, spalancai gli occhi quando mi resi conto di essere già in ritardo.

Abbandonai la tazza sporca nel lavello, ripromettendomi che l'avrei lavata quella sera stessa, poi corsi nella mia stanza. Recuperai l'uniforme nell'armadio e la indossai il più velocemente possibile, rischiando anche di cadere mentre mi infilavo i collant.

Mi misi le scarpe mentre camminavo verso il divano, recuperai la mia pochette e la valigia che, furbamente, avevo già lasciato pronta accanto alla porta.

Ormai mi conoscevo fin troppo bene. La mia vita era sempre tutto un corri di qua e corri di là e io la prendevo fin troppo con calma per potermi permettere di essere in orario. Perciò ogni sera cercavo di preparare tutto quello che mi sarebbe servito per il giorno dopo, così da non impazzire.

«Aspetti!» esclamai, cercando di chiudere la porta di casa mia, mentre il mio vicino, il Signor. Bellamy, stava entrando nell'ascensore.

«Vorrei ricordarle che abita sempre in un palazzo e che quando si diletta a uscire e tornare a casa ubriaca, alle due di mattina, dovrebbe pensare che altra gente abita vicino a lei. Non voglio essere disturbato da strani rumori nel cuore della notte» questo fu il suo buongiorno.

Sì, il Signor. Bellamy mi odiava.

Ci tengo a precisare che quegli "strani rumori" provenivano semplicemente dal fatto che non riuscissi a trovare la serratura della porta e che, quando finalmente riuscii a entrare in casa mia, mi scontrai contro il tavolo da pranzo, facendomi un male cane alla gamba e urtando un vaso, che si sfracellò poi al suolo.

Prima di rispondergli, osservai il suo viso, parecchie rughe campeggiavano su di esso e quello sguardo arrabbiato lo faceva sembrare esattamente come Scrooge. Mi ricordai anche che ormai aveva una certa età e mettermi a litigare con lui non sarebbe stata una grande idea.

«Ha ragione, la prossima volta vedrò di trovare un altro posto per smaltire la mia sbronza e prepararmi per il lavoro» purtroppo il mio carattere schietto emergeva sempre, facendo sì che il mio tono di voce sembrasse più ironico e aggressivo di quello che in realtà avrei voluto.

«Arrivederci» lo salutai quando, finalmente, le porte di quell'ascensore si aprirono. Ma, nell'esatto momento in cui misi piede sull'asfalto della strada, mi resi conto di aver dimenticato l'ombrello nel pub della sera prima.

E con dimenticato intendo perso.

«Merda» imprecai, mentre le grosse gocce d'acqua colpivano la mia testa, iniziando a bagnarmi vestiti e capelli.

Corsi verso il ciglio della strada, agitando la mano come una pazza e sperando che uno dei tanti taxi si fermasse. E, per una volta, la fortuna fu dalla mia parte. Una macchina accostò quasi subito e io non persi tempo per buttarmi al suo interno.

«All'aeroporto, per favore» dissi semplicemente, per poi recuperare specchietto ed eye-liner dalla mia borsetta. Non avevo avuto tempo di truccarmi a casa e così mi sarebbe toccato farlo durante il tragitto.

Un'impresa quasi impossibile, dato che, per colpa del traffico, il tassista continuava a frenare e ripartire bruscamente. Ma, alla fine, in qualche modo, riuscii a sistemarmi. Quel che bastava almeno per rientrare nelle regole della mia uniforme e non farmi licenziare.

Arrivati all'aeroporto era sempre la stessa storia. Una miriade di gente che si accingeva a entrare al suo interno e tanti altri che invece ne stavano uscendo. Per non parlare degli addetti al traffico, sicurezza, pulizia e parcheggi, che occupavano sempre buona parte del marciapiede.

Entrai dalle porte automatiche e poi andai diretta verso le scale mobili, che mi avrebbero portata al piano superiore. Osservai l'ora, avevo ancora sette minuti precisi.

Giusto il tempo per prendermi un cappuccino da Starbucks.

Sì, avevo una dipendenza da caffè.

Ordinai al bancone e poi attesi. Nel mentre scrissi un messaggio di risposta a Brandi.

"Ci vediamo direttamente al D-23. Sono in ritardo"

Lo inviai, nell'esatto momento in cui uno dei ragazzi chiamò il mio nome.

«Un caramel macchiato per Willow»

Afferrai il mio cappuccino al caramello e poi iniziai a correre. Trascinandomi dietro la valigia, cercavo di schivare abilmente le altre persone che si aggiravano nell'aeroporto, mentre provavo a non rovesciarmi addosso quella che sarebbe dovuta essere la mia colazione.

Intravidi il gate dal quale sarebbe dovuto partire il mio volo di quel giorno. E stavo per tirare un sospiro di sollievo, ce l'avevo quasi fatta, sarei arrivata in perfetto orario.

Ma, ovviamente, la mia vita doveva rimanere coerente con quanto fatto fin ora. Per questo, quando sorpassai una coppia, con lo sguardo sempre fisso verso quell'enorme scritta: "Gate D-23", non mi accorsi che davanti a me vi era un ostacolo.

Mi scontrai contro qualcosa.
O per meglio dire, qualcuno.

L'urto fu abbastanza forte, tanto da farmi praticamente esplodere il tappo del bicchiere di carta, così che quel cappuccino finisse ovunque sulla mia uniforme, macchiandomi completamente giacca e camicetta, e bruciandomi anche un po'.

Alzai lo sguardo, scioccata e arrabbiata. Ma quando vidi chi avevo davanti, ebbi un secondo di esitazione.

Il miei occhi salirono dalle sue scarpe, dei pesanti stivali alti e di pelle nera, alle sue gambe toniche, strette in dei pantaloni da divisa militare. Passai poi al petto e alle spalle, che, per quanto fossero coperte da quella giacca, riuscivano a risaltare lo stesso, tanto erano larghe.

Notai il suo collo, non so perché, ma mi affascinò molto quel punto. La pelle chiara era perfettamente abbinata con quella divisa. Osservai le sue labbra, sottili ma definite e infine incrociai i suoi occhi.

Due iridi scure, talmente scure da sembrare quasi nere, che mi fissavano infastidite.

«Cazzo... guarda dove vai» e fu proprio quella frase, detta a mezza bocca, che mi riportò alla realtà.

Smisi di pensare a quanto quell'uomo fosse sexy e a quanto quella mascella squadrata e quel naso dritto mi facessero venir voglia di saltargli addosso e gli risposi a tono.

«Potrei dirti la stessa cosa, cafone!» esclamai, gettando quel bicchiere, ormai vuoto, nel cestino e recuperando dei fazzoletti dalla mia borsetta.

«Quella era la mia colazione e non era proprio questo il modo in cui avevo immaginato di consumarla» aggiunsi, mentre cercavo di togliere la schiuma del latte dalla giacca beige.

«Non ero io quello che correva senza guardare chi avesse davanti» rispose, osservando dapprima me e poi la sua uniforme, macchiata tanto quanto la mia.

«Dio...» dissi frustrata, capendo che ormai non c'era più nulla da fare, se non salire su quell'aereo e cambiarmi nella toilette.

«Potrei avere un fazzoletto?» mi domandò, mentre si sistemava il mitra sulla spalla, di modo che, almeno quello, non si sporcasse. Ma il suo tono rimase comunque duro e i suoi occhi non smettevano di guardarmi con disprezzo.
Perciò sulle mie labbra si formò un sorriso furbo, mentre mi allungavo nuovamente verso il cestino e lasciavo cadere al suo interno il pacchetto di fazzolettini.

«Certo, prenditeli pure» gli risposi, afferrando nuovamente il mio bagaglio a mano e sorpassandolo. Continuai verso la mia strada, consapevole del fatto che ormai fossi in ritardo e che mi sarei sorbita la ramazina di Lacy.

Non lo vedevo, ma percepivo il suo sguardo bruciarmi sulla schiena e potevo immaginare il suo viso avvolto da una smorfia arrabbiata.

Poco mi importava però. Insomma, mi dispiaceva di averlo sporcato -non quanto aver sprecato quel buonissimo cappuccino al caramello, ma in ogni caso ero comunque dispiaciuta- e lui si era comportato davvero da maleducato.

Insomma, alla fine era solo una macchia di caffè e probabilmente non l'avrei nemmeno più rivisto.

🌟🌟🌟

Ecco a voi il prologo.

Non c'è niente di meglio che una figuraccia per cominciare una storia. Siete d'accordo?

Allora, iniziamo a conoscere un po' la nostra protagonista: Willow.
Veniamo da subito catapultati nella sua frenetica vita e accolti dal suo carattere alquanto frizzantino.

Cosa ne pensate di lei?
Vi piace come donna e come protagonista?

Lasciate una stellina nel caso il capitolo dovesse esservi piaciuto e non dimenticatevi di commentare, facendomi sapere cosa ne pensate.
Per qualsiasi cosa non esitate a scrivermi, sono sempre disponibile.

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XOXO, Allison  💕

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