Capitolo Tredici - È Natale, sorridi bambina
«Buongiorno!» Brandi entrò in casa mia, lasciando la valigia accanto alla porta. Si tolse la giacca e poi poggiò una scatola di cartone verde chiaro sull'isola della cucina, assieme all'enorme bicchiere d'asporto di Starbucks.
«Ti ho portato la colazione» annunciò, facendomi sorridere e correre verso di lei.
«A che ora parte il tuo volo?» le domandai, mentre sollevavo il coperchio del contenitore e i miei occhi si beavano della vista di quel cinnamon roll ancora fumante.
«Fra quattro ore. Sono ancora in perfetto orario» rispose, mentre io addentavo quel dolce paradisiaco ed emisi un gemito di approvazione quando il sapore di cannella si diffuse in tutta la mia bocca.
Presi anche un sorso del cappuccino al caramello e, mentre bevevo, per un secondo la mia mente tornò indietro di due mesi.
Ricordai il giorno del mio primo incontro con Ashton, quando quel mio cappuccino ci era esploso addosso, a seguito del nostro scontro. Ma non ebbi il tempo di riderci su, perché mi ritrovai a pensare a quanto accaduto pochi giorni prima.
Al nostro bacio.
Un bacio iniziato bene e finito male. Mi ero sbilanciata compiendo quel gesto, perché ero triste e sconvolta per la rottura definitiva con Harold. Lui era stato gentile a raggiungermi su quella spiaggia e provare a consolarmi. Così io mi ero fatta sopraffare dalle emozioni e come una scema l'avevo baciato.
Una scema che poi era stata mollata lì, senza spiegazioni.
«Tu a che ora hai il traghetto?» la domanda di Brandi mi impedii di continuare a rimuginare su quanto accaduto a quella serata di beneficienza. E fu un bene, dato che mi ero già abbondantemente tormentata il sonno con i miei pensieri su Harold e su Ashton.
Non feci in tempo a rispondere, perché il mio telefono prese a squillare improvvisamente. Aggrottai le sopracciglia nel momento in cui lessi il nome sullo schermo.
«Mamma?» risposi, pensando che probabilmente mi stesse chiamando per avvertirmi sul menù del pranzo di Natale e sugli invitati.
«Tesoro mio» rispose lei, con un tono fin troppo melenso. «Ascolta... volevo parlarti a proposito delle vacanze» continuò, insinuando in me qualche sospetto riguardo la vera natura di quella telefonata.
«Dimmi» mi sedetti sul divano in stoffa, accavallando le gambe e preparandomi ad ascoltare. Mia madre era sempre stata una persona poco riflessiva, una a cui piaceva prendere le decisioni su due piedi e buttarsi.
«Tuo fratello andrà dai genitori di sua moglie, così io e papà abbiamo deciso di cambiare un po' i programmi» quel preambolo non mi piaceva molto. «Andiamo a fare un viaggio» rivelò tutto d'un tratto.
Spalancai la bocca e rimasi in silenzio per qualche secondo. Non potevo credere a quello che mi aveva appena detto. I miei genitori mi stavano scaricando il giorno della Vigilia di Natale? Avrei dovuto passare quelle vacanze in casa da sola?
Improvvisamente, per una frazione di secondo, mi pentii di aver chiuso con Harold.
«Stai scherzando?!» le domandai sconvolta, mentre Brandi si avvicinava a me, cercando di capire cosa stesse succedendo.
«Oh, tesoro, no» rispose, come se fosse la cosa più normale del mondo. «Io e papà siamo vecchi ormai e abbiamo finalmente deciso di fare quel viaggio in Sud America di cui parlavamo tanto» spiegò. Riuscii a sentire una voce metallica in sottofondo, stava annunciando un imbarco aereo.
Erano già in aeroporto, pronti per partire. Non potevo credere a quello che stava accadendo. Avevo mandato Harold a quel paese, mi ero umiliata davanti ad Ashton, passando come una disperata e infine mi stavo ritrovando a passare il Natale completamente sola.
Sapevo che l'universo ce l'aveva con me, ma non pensavo così tanto.
«Non te la prendere, è stata una decisione affrettata. E poi abbiamo pensato che per te sarebbe stato più divertente passare le vacanze con quel tuo bel pilota olandese» mia madre si sentì in dovere di aggiungere quella frase.
Grazie mamma, rigira il coltello nella piaga.
«Certo, certo, avete fatto bene. Ora devo andare, divertitevi» chiusi velocemente quella telefonata e lasciai ricadere il cellulare accanto a me.
«Perfetto, sono appena stata scaricata dai miei genitori» proclamai, voltandomi in direzione della mia amica.
Brandi si portò una mano sulla faccia, scuotendo la testa. «Okay, annullo il mio volo. Chiamerò i miei e gli dirò che tornerò a casa il ventisei» disse, recuperando la borsetta. Prontamente la bloccai, per quanto fossi grata a Brandi di quel gesto stupendo, non potevo permettere che facesse questo per me.
«No!» esclamai. «Tu ora prendi un taxi, vai in quel dannato aeroporto e parti per andare dalla tua famiglia» dissi con tono serio. Non avrei rovinato le vacanze alla mia migliore amica.
«Ma...» Brandi provò a protestare e io le portai una mano davanti alla bocca.
«Zitta, ti accompagno di sotto» recuperai la sua valigia e aprii la porta di casa. «Forza» la esortai, invitandola ad uscire.
Qualche minuto dopo mi ritrovavo sul marciapiede, abbracciata a Brandi, intenta a salutarla. «Farò di tutto per non farti passare questa serata da sola» mi disse, abbassando il finestrino del taxi e sporgendosi appena.
«Vai e non preoccuparti» risposi, mandandole un bacio con la mano.
ꨄꨄꨄ
Siccome avrei dovuto passare uno dei miei giorni preferiti da sola, avevo deciso di impiegarlo al meglio, pensando un po' a me stessa.
Avevo riempito la vasca da bagno, ci avevo buttato dentro dei sali e il bagnoschiuma. Dopo aver acceso delle candele e stappato una delle mie più costose bottiglie di vino bianco, mi ero immersa in quell'acqua calda, beandomi della sensazione di relax che tutto ciò mi infondeva.
Mezza bottiglia di vino e una sigaretta dopo, me ne stavo ancora ammollo, intenta a giocare con la schiuma, quando sentii il campanello suonare. Aggrottai le sopracciglia e arricciai le labbra, infastidita da quell'interruzione.
Chi mai può essere alle dieci di sera della Viglia di Natale?
Ignorai quel fastidioso rumore e chiusi gli occhi. Ma l'universo non aveva intenzione di lasciarmi tranquilla, perché quel qualcuno suonò nuovamente e con più insistenza.
Sbuffai, alzandomi di scatto e facendo fuoriuscire un po' d'acqua. Recuperai l'asciugamano e me l'avvolsi attorno al corpo. Iniziai a camminare più velocemente, nel momento in cui sentii suonare quel campanello per la quinta volta.
«Sto arrivando, dannazione!» esclamai, dirigendomi verso la porta. Afferrai la maniglia e l'aprii. Rimasi alquanto stupita nel rendermi conto di chi avessi davanti.
«Ashton? Ma che ci fai qui?» domandai confusa, squadrandolo da capo a piedi. Se ne stava fermo davanti a me, vestito con dei semplici blu jeans larghi e un giaccone beige per ripararsi dal freddo. Aveva in testa un cappellino nero e i capelli schiacciati sulla fronte gli donavano un'aria quasi dolce.
«Quella pazza della tua migliore amica ha chiamato Benjamin, chiedendogli cosa facessimo per le vacanze. Quando ha scoperto che ero stato l'unico a non aver ottenuto le ferie per tornare dalla mia famiglia e che quindi sarei rimasto qui, l'ha obbligato a darle il mio numero» iniziò, spiegandomi come fossero andate le cose.
«Mi ha chiamato, praticamente minacciandomi che se non fossi venuto qui da te me ne sarei pentito amaramente, perché mi avrebbe perseguitato» continuò, mantenendo un tono atono. «Inizialmente credevo stesse scherzando, quindi le ho detto di no e ho riattaccato. Le successive dieci chiamate sono bastate per convincermi» concluse, facendo spallucce.
Mi ritrovai a sorridere nel sentire quella storia. Brandi aveva promesso che non mi avrebbe lasciata sola quella sera e, nonostante fosse dall'altra parte del paese, era riuscita a mantenere quanto detto.
Avevo la migliore amica al mondo.
In quel momento ringraziai di non averle raccontato nulla di quel bacio avvenuto tra me e Ashton e di come lui fosse scappato subito dopo. Probabilmente se l'avesse saputo l'avrebbe preso a parole e quella sera sarei finita col restare davvero sola assieme al vino.
Quindi, sì, nonostante il fatto che io e Ashton non fossimo propriamente in buona, ero contenta che fosse lì. Sapere di non essere l'unica ad aver bisogno di compagnia la sera della la vigilia, mi rincuorava.
«Beh... a questo punto entra pure» gli dissi, scostandomi dalla porta e lasciandolo passare. Solo in quel momento mi resi conto che teneva un sacchetto in mano e che io ero vestita solo di quell'asciugamano bianca, che a malapena arrivava a coprirmi sopra le ginocchia.
«Oddio» sussurrai, rendendomi conto che anche lui aveva notato quel mio abbigliamento piuttosto... casual e che era stato parecchio bravo a non farmelo ricordare. Non so se avesse fatto finta di nulla per evitare l'imbarazzo o perché preferiva godersi la vista.
«Torno subito» annunciai, correndo verso camera mia. Decisi di indossare qualcosa di più consono, recuperando un paio di jeans a vita alta e una maglietta grigia a maniche corte. Feci anche una capatina in bagno, prendendo la bottiglia di vino e tornando poi nel salone.
Notai come Ashton fosse rimasto fermo esattamente dove l'avevo lasciato. E lui notò subito quel particolare stretto nella mia mano sinistra.
«Fino a un secondo fa ero convinta di dover passare questa serata da sola. Non giudicare» lo precedetti, prima che potesse dire qualsiasi cosa. Lui scosse la testa e accennò un sorriso. «Cos'hai lì?» gli domandai poi curiosa, indicando il sacchetto di plastica.
«La cena. So che in casa tua non c'è cibo e che nessuno dei due è un gran cuoco, perciò, mentre tornavo dal lavoro ho pensato di passare a prendere qualcosa dal ristorante cinese» rispose. Non capivo se fosse nervoso o semplicemente annoiato di essere lì, perché il suo tono restava privo di qualsiasi emozione.
«Ah, grazie» dissi, prendendogli quel sacchetto dalle mani e aprendolo. Nell'esatto momento in cui lo feci, un odore di verdure e spaghetti di riso si diffuse in tutta la casa. Dio solo sa quanto amavo il cibo cinese. Ma, soprattutto, Dio solo sa quanto amavo mangiare untissimo cibo cinese sul divano, davanti alla televisione.
E fu proprio quello che feci. «Forza, hai per caso dimenticato la tradizione di casa mia?» domandai retoricamente, invitandolo a recuperare il cibo e seguirmi sul divano.
Osservai come fosse vestito in modo diverso dal solito. Indossava una felpa azzurro pastello, un colore che non avrei mai associato alla sua persona, ma che gli stava parecchio bene.
«Niente Sex and the City questa volta?» mi chiese, aprendo la scatola degli spaghetti e iniziando a mangiare con le bacchette in legno.
«Ah, ti sei appassionato allora» commentai ridendo e versando del vino in entrambi i bicchieri. Sì, mi stava più simpatico -anche se dopo il nostro ultimo incontro alla serata di beneficenza avrebbe dovuto farsi perdonare- ma non per questo avrei potuto sopportare un'intera serata in sua compagnia senza l'aiuto del vino.
Prima che me ne rendessi conto, quella bottiglia di vino finì velocemente e così anche la seconda che portai nel salotto. Stavo stappando la terza, quando Ashton decise di appropriarsi del mio telecomando e cambiare canale.
«Certo, fa come se fossi a casa tua» lo presi in giro. Iniziavo a sentire l'alcol fare il suo effetto e speravo che anche per lui fosse lo stesso, perché preferivo la versione più sciolta di Ashton, piuttosto che quella incazzosa e inibente.
«C'è la replica della partita dei Bulls. Me la sono persa perché ero al lavoro» rispose, con un sopracciglio alzato mentre mi fissava. Riempii i nostri bicchieri e mi sistemai meglio sul divano, adeguandomi e iniziando a vedere la partita.
Non capivo molto di quello sport, ero più una tipa da hockey. Perciò, complice la noia e il troppo vino, decisi di sbilanciarmi e chiedergli l'unica cosa che avrebbe potuto rovinare quella serata.
«Perché dopo che ti ho baciato te ne sei andato via come se ti facessi schifo?» chiesi, voltando la testa verso di lui e osservandolo curiosa. Sapevo che non avrebbe mai voluto parlarne, ma la parte sobria di me aveva bisogno di risposte e quella sbronza aveva avuto il coraggio di chiedere.
Ashton rimase in silenzio, con lo sguardo fisso sullo schermo della televisione. Sembrava come se non mi avesse sentita, ma in realtà stava solo rimuginando sulla risposta da darmi. Stava cercando di capire se fosse abbastanza brillo da esporsi dicendomi la verità o se la cosa migliore fosse mentire.
Trangugiò, tutto d'un sorso, il vino presente nel suo bicchiere e poi decise di rivolgermi il suo solito sguardo enigmatico. Proprio quando pensavo che non mi avrebbe più risposto, lui decise di parlare.
«Non sono abituato a regalare baci o altre effusioni» disse, rigirandosi il telecomando tra le mani. «Non me ne sono andato perché mi ha fatto schifo, non volevo offenderti» aggiunse e finalmente il suo tono iniziò ad esprimere qualche emozione.
Non aveva più gli occhi puntati sullo schermo della televisione, in quel momento erano fissi sul tappeto morbido, che ricopriva il pavimento del mio salotto. C'era un velo di tristezza nei suoi gesti, era come se quel bacio gli avesse scaturito una specie di tempesta dentro di sé.
Sapevo che teneva nascosto qualcosa nel profondo della sua mente. L'avevo capito da quella serata passata assieme a lui, sempre su quel divano, quando si era lasciato andare a quel ricordo della sua vita in Iran.
Non avevo scordato la storia degli occhi di quella bambina e non potevo dimenticare il fatto che fossi stata proprio io a ricordagli quel triste evento.
«No, scusami tu» mi sentii in dovere di dirgli quelle parole, improvvisamente mi sentivo in colpa per quello che avevo fatto. Ormai era chiaro che lui non reagisse ai mei gesti o alle mie parole allo stesso modo delle altre persone alle quali ero abituata. Nonostante non lo conoscessi bene, ero certa del fatto che quei suoi comportamenti fossero scaturiti dal suo vissuto passato.
«Non volevo farti sentire in imbarazzo o altro. Ero... ero solo triste per Harold e mi sono lasciata sopraffare dalle emozioni» cercai di spiegarmi come meglio potevo, sperando che potesse capire le mie ragioni.
«Avevo immaginato. Insomma, te ne stavi su una spiaggia a piangere, di notte e al freddo, che non fossi propriamente in te era facilmente intuibile» rise verso la fine della frase e risi anche io ricordando quell'immagine.
«Ehi! Così sembro una disperata» lo rimbeccai, tirandogli una pacca sul braccio e spingendolo di poco. Ci fu qualche secondo di silenzio, in cui lui tornò a guardare la partita e io il mio bicchiere di vino.
«Ma sta nevicando» spezzai il silenzio, accorgendomi di quel piccolo particolare.
Mi alzai e camminai, con il bicchiere di vino in mano, fino alla finestra più vicina a me. Mi piegai con la schiena, poggiandomi con i gomiti al davanzale in legno e guardai quei soffici fiocchi di neve cadere dal cielo e attaccarsi a terra.
«Non pensavo che avrei mai potuto dirlo, ma mi mancava la neve» Ashton mi aveva raggiunto, affiancandomi e beandosi di quella vista sulla città, che lentamente si stava imbiancando.
Vancouver era stranamente deserta, tutti erano chiusi nelle loro case a festeggiare quel giorno speciale e io mi sentivo estremamente fortunata, nonostante non fossi assieme alla mia famiglia.
Mi sentivo fortunata a poter ammirare la città ai miei piedi da quell'elegante palazzo che ospitava il mio appartamento. E mi sentivo fortunata ad essere lì con Ashton, perché altrimenti anche lui avrebbe passato quella serata da solo e sarebbe stato alquanto triste per entrambi.
«Erano anni che non assistevo a questo spettacolo» aggiunse poi, ingoiando, nuovamente, tutto il contenuto del suo bicchiere. Ormai il vino aveva fatto il suo lavoro, Ashton era finalmente più disteso e quasi a suo agio.
«Ah, è già mezzanotte» annunciò poi, dando un'occhiata al grosso orologio che teneva sul polso sinistro. Se ne stava tutto composto, come sempre, ma a tradirlo era la sua voce un po' biascicata, per via del troppo alcol.
Ci voltammo nello stesso momento, trovandoci a guardarci dritti negli occhi. Deglutii rumorosamente, cercando di mantenere quel contatto visivo. Non so perché, ma in quel momento mi risultava alquanto difficile guardarlo dritto in quei suoi occhi scuri e seriosi.
«Beh, è Natale» annunciai io, contenta come una bambina davanti ai regali, mentre la mia mente si riempiva di tutti i ricordi della mia infanzia felice.
«È Natale, sorridi bambina» sussurrai poi, guardando il cielo.
«Come?» domandò Ashton. Credevo che non mi avesse sentita, mi ero, per un attimo, dimenticata della sua abilità di notare qualsiasi dettaglio.
«È Natale, sorridi bambina» ripetei quella frase, con un tono malinconico. «Me lo diceva sempre mio nonno. Ogni Vigilia, a mezzanotte, mi raggiungeva vicino all'albero e mi diceva questa frase. Voleva ricordarmi di essere sempre felice» spiegai, raccontandogli un pezzo dei miei ricordi. Uno dei più belli, ma anche uno dei più dolorosi da quando mio nonno non c'era più.
Ashton mi sorrise, poggiandomi una mano sulla spalla, un gesto che mai mi sarei aspettata da lui.
«Beh, allora sarà meglio sorridere anche questa volta» mi disse, facendo battere il bordo del suo bicchiere vuoto con il mio pieno.
🌟🌟🌟
Eccomi qui, come ogni giovedì!
Innanzitutto, quanto è stata carina Brandi a organizzare la serata, nonostante fosse in viaggio e avesse altre mille cose a cui pensare.
Chi non vorrebbe un'amica così?
Poi, che ne pensate di questo incontro avvenuto tra i nostri due protagonisti dopo quel bacio alla cena di gala?
Diciamo che il vino ha aiutato Ashton a sciogliersi un po' e i due pare proprio che si stiano iniziando ad avvicinare in modo sempre più evidente.
Tra quanto si accorgeranno di piacersi a vicenda?
Per scoprirlo dovrete solo continuare a leggere.
Lasciate una stellina nel caso il capitolo dovesse esservi piaciuto e non dimenticatevi di commentare facendomi sapere cosa ne pensate.
Per qualsiasi cosa non esitate a contattarmi.
Ricordatevi di seguirmi su Instagram: _madgeneration_ se non volete perdervi nessuna novità.
XOXO, Allison 💕
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