Capitolo Sette - Vino Rosso

«La casa questa sera offre: maccheroni al formaggio, da scaldare al microonde, o della minestra in busta» dissi, tirando fuori dalla dispensa quei due prodotti e mostrandoli ad Ashton.

So che vi starete chiedendo come mai quel ragazzo fosse a casa mia -di nuovo- e perché gli stessi elencando ciò che avremmo potuto mangiare per cena. Bene, c'è una semplice e lineare spiegazione a tutto questo.

Ricordate quando, mentre eravamo in macchina, me ne sono uscita con la frase sul bel tempo e un secondo dopo aveva iniziato a piovere?
Ecco, quella pioggia si era trasformata in una vera e propria tempesta.

L'acqua scrosciava a secchiate e io ancora non avevo capito come avesse fatto Ashton a guidare fino a casa mia. Dal parabrezza non si vedeva quasi nulla, nonostante i tergicristalli andassero alla massima velocità.

Avevamo appena fatto in tempo a parcheggiare la macchina nei garage sotterranei del palazzo, che la corrente era saltata, azionando il generatore d'emergenza e un tuono aveva squarciato il cielo, rimbombando e provocando un gran rumore.

A quel punto gli avevo detto di fermarsi da me, che non sarebbe potuto tornare a casa con quel temporale. Ma lui aveva rifiutato -come già mi aspettavo- sostenendo che aveva affrontato di peggio di due gocce d'acqua.

Perché ancora non conosci le tempeste di Vancouver.

Ricordo di aver pensato, prima di guardarlo affacciarsi dalle porte massicce, ancora aperte di quei sotterranei, e ritornare indietro qualche secondo più tardi. Era completamente fradicio, dopo che una folata di vento gli aveva sbattuto una significativa quantità d'acqua addosso.

Alla fine non c'era stata altra soluzione, se non quella di fermarsi a casa mia fino a quando la tempesta si fosse placata.

E quindi, in quel momento, mi trovavo dietro l'isola della cucina, con Ashton intento a fissarmi confuso.

«Mi stai dicendo che queste sono le uniche due cose che hai da mangiare?» domandò incredulo, mentre entrava in cucina.

I capelli bagnati gli si erano appiccicati alla fronte e quella divisa zuppa si era incollata alla sua pelle, mettendo in risalto ogni forma del suo corpo.

«Allora, innanzitutto ringrazia che ti abbia offerto un riparo e ti stia anche chiedendo cosa vuoi per cena» gli dissi, puntando nella sua direzione quella scatola di maccheroni precotti. «E poi smettila di muoverti, che mi stai bagnando tutto il pavimento» lo ripresi con tono severo.

Ashton alzò un sopracciglio per poi stendere le braccia lungo i fianchi e mettersi tutto bello dritto. Assumendo la posizione dell'attenti tipica del militare.

Scossi la testa, sorridendo e avvicinandomi a lui. «Vieni» gli dissi, facendogli cenno di seguirmi.

Superai il salotto ed entrai nel corridoio. Aprii una porta, rivelando così camera mia. Le tapparelle ancora abbassate, il letto sfatto e il mio pigiama buttato a terra. Chiari segni che quella mattina non avevo avuto tempo di sistemare nulla, perché, ovviamente, ero in ritardo per il lavoro.

Accesi la luce, entrando poi definitivamente nella stanza. Mi voltai, per controllare se Ashton fosse dietro di me e lo trovai intento ad osservare meticolosamente ogni centimetro della mia camera da letto.

Passò lo sguardo sui muri bianchi, notando le lucine poste come decorazione e le foto, che ritraevano me e le mie amiche o me e la mia famiglia, attaccate a mosaico. Guardò le mensole e ciò che vi era posizionato sopra. Sorrise nel notare la maglietta del mio pigiama, sulla quale vi era stampata la faccia di Bart Simpsons.

E poi incrociò il mio sguardo.

Immediatamente quell'espressione distesa scomparve e quel piccolo ed impercettibile sorriso tornò ad essere una linea retta. Era come se in meno di un secondo si fosse ricomposto e avesse cacciato via ogni traccia di emozione dal suo corpo.

Non capii il perché di quella reazione. Ipotizzai che forse non voleva che sapessi che anche lui aveva un cuore o semplicemente che potesse essere un tipico atteggiamento di difesa che ti insegnano ai corsi per diventare militare.

Ma, al di là di quelle ipotesi, per la prima volta non vidi solo il suo tipico atteggiamento di sfida e freddezza. Vidi anche una profonda tristezza attraversare i suoi occhi.

Cercai comunque di non dare peso a quanto appena successo, perché volevo evitare discussioni o metterlo in imbarazzo.

«Uhm, vediamo un po' cosa posso darti» dissi, dopo essere entrata nella mia enorme cabina armadio e aver iniziato a frugare tra la miriade di vestiti che si trovavano lì dentro.

«Intanto tieni questo» afferrai un asciugamano e glielo lanciai. Nonostante non mi stesse prestando attenzione, ebbe la prontezza di afferrarlo al volo.

«Cioè, hai un'intera parete tappezzata di scarpe?» domandò, quasi sconvolto, una volta che si fu addentrato in quel magico mondo che era la mia cabina armadio.

«Queste sono solo quelle con il tacco» rivelai, facendogli l'occhiolino.

Sì, oltre alla dipendenza da caffè, avevo anche una dipendenza da shopping.

Recuperai poi una maglietta, aprendola e osservandola.

«A me fa da vestito, quindi potrebbe andarti bene» commentai, passandogliela e prendendo un paio di pantaloncini da basket.

«Questi erano di mio fratello, glieli ho rubati anni fa» spiegai passandoglieli.

«Nonostante siano dei Raptors cercherò di fare uno sforzo e indossarli lo stesso» quella battuta fu abbastanza inaspettata, ma apprezzai che si stesse sforzando ad essere simpatico.

«Allora, il bagno degli ospiti è qui fuori» gli dissi, avviandomi verso l'uscita della mia stanza. «Fatti pure una doccia, sistemati, quello che vuoi. Basta che la smetti di sporcare tutto il pavimento di casa mia» gli dissi, lasciandolo lì e tornando nel salotto.

Presi lo spazzolone e lo straccio dallo sgabuzzino e mi misi ad asciugare il piastrellato in gres. Sistemai meglio quei suoi enormi scarponi beige accanto alla porta d'entrata, rendendomi conto di quanto fossero pesanti.

Mi misi dietro ai fornelli, osservando quelle due scatole piene di squallido cibo precotto e poi optai per riscaldare al microonde i maccheroni al formaggio.

«Fermati» sussultai, la voce di Ashton mi stoppò prima che potessi fare qualsiasi cosa. «Non ho intenzione di mangiare pasta annacquata al formaggio» aggiunse poi.

Mi voltai verso di lui, scoppiando successivamente in una fragorosa risata. Mi portai una mano alla bocca, con fare teatrale, mentre, divertita, osservavo il corpo, tonico e perfettamente scolpito di quell'uomo, stretto in quei vestiti improbabili.

La maglietta, che a me faceva da vestito, a lui arrivava poco sotto l'ombelico, diventando quasi un crop top, colpa della sua altezza e delle sue spalle larghe. I pantaloncini da basket, invece, gli stavano solo un po' stretti in vita.

Evitai di dare troppo nell'occhio e farmi beccare mentre osservavo i suoi addominali e la V che si creava dai suoi fianchi e scompariva sotto quel tessuto tecnico dei pantaloni. Perciò portai subito il mio sguardo altrove.

«Ah, ah, simpatica» alzò gli occhi al cielo e mi raggiunse ai fornelli, mettendosi ad aprire gli sportelli della cucina.

«Dimmi un po', di solito ti nutri di aria?» mi chiese, notando che dentro i mobiletti non vi era praticamente nulla.

«No, di solito mangio al ristorante, sugli aerei o d'asporto» gli risposi, sottolineando il fatto che odiassi cucinare e nemmeno fossi capace.

«Uh, del riso, facciamo passi in avanti» commentò, afferrandolo e poggiandolo sul marmo bianco dell'isola. «Scherzi? Hai il curry ma non un paio di hamburger?» domandò retoricamente, continuando a frugare nella dispensa.

Smisi di ascoltarlo e andai verso la cantinetta dei vini. Per sopportarlo un'intera serata, avrei avuto bisogno di un aiuto. Afferrai la bottiglia di Barbera, un pregiato vino italiano, e la stappai con l'apposito cavatappi.

Mi misi sulle punte dei piedi e recuperai due calici dal mobiletto in alto. Poi, vedendo l'espressione spaesata di Ashton, gli indicai l'anta dove avrebbe potuto trovare le pentole.

Versai una buona quantità di vino nei bicchieri e recuperai due piatti piani. «Mangiamo sul divano, ho voglia di vedermi una puntata di Sex and the City» avvisai.

«Sex and the...» la voce di Ashton si bloccò, dandomi adito di capire che non avesse idea di cosa stessi parlando.

«Sei serio? Fai lo sconvolto perché non ho il frigorifero che straborda di cibo e poi non sai cos'è Sex and the City» commentai divertita, prendendomi la mia piccola rivincita sui suoi giudizi precedenti.

Ashton fece spallucce e poi accese i fornelli, mettendo a bollire l'acqua per il riso. «Non ho vissuto molto nel vostro mondo negli ultimi anni. In Iran non avevamo la televisione e nemmeno il tempo per guardarla» mi rispose con estrema tranquillità e un tono della voce atono.

Mi sentii quasi stupida per averlo messo nella situazione di dovermi spiegare una cosa ovvia come quella. Ma io non avevo idea di cosa facesse prima di finire a lavorare all'aeroporto e avevo semplicemente parlato senza pensare.

«No, non guardarmi così, con quella velata compassione di circostanza. Questo è il lavoro che ho scelto e non ho bisogno di gente che mi venga a dire: "Oh poverino, chissà cos'avrai passato"» spiegò con tono serio, mettendo bene in chiaro la sua posizione.

Intuii immediatamente che quella reazione dura fosse una semplice difesa, un mettere le mani avanti, per ripararsi da possibili domande che avrebbero portato a far riaffiorare dei ricordi, magari anche spiacevoli.

Perciò feci finta di nulla e ignorai completamente quanto successo. Ogni secondo che passavo con lui mi faceva sentire sempre più scomoda e fuori luogo, nonostante ci trovassimo nel posto a me più famigliare, casa mia.

Mi sembrava sempre di dover fare tutto in punta dei piedi, di dover calibrare ogni mia parola e ogni mio gesto. Perché ormai mi era ben chiaro il fatto che le sue reazioni, ad eventi assolutamente normali per chiunque altro, erano totalmente l'opposto di quello che uno si aspettava.

Ashton era una di quelle persone che non rideva alle battute, ma si faceva scappare un sorriso sincero davanti a cose normali come delle foto attaccate ad una parete o il disordine di una stanza vissuta.

E quella poca psicologia che avevo studiato all'università, in quel contesto, mi bastò per capire che sotto quello spesso strato d'impatto vi era una profonda tristezza, che gli impediva di esporsi in maniera diversa dal gelo con cui si presentava.

«La cena è servita» Ashton arrivò nel salotto, porgendomi uno dei due piatti contenente del riso al curry.

«Però, complimenti, dopo anni la mia cucina ha visto qualcuno riuscire a preparare qualcosa di decente» rivelai divertita, sedendomi a gambe incrociate sul divano.

Ashton si posizionò accanto a me, portandosi subito una forchettata alla bocca. «Beh, ho mangiato di peggio. Per fortuna che a casa ci pensa Benjamin a cucinare» commentò divertito, deglutendo quel boccone un po' stopposo.

Assaggiai anche io. Non avendo avuto nulla con cui diluire la polvere di curry, il riso risultava molto asciutto e difficile da mandare giù. Sorseggiai una buona quantità di vino, ringraziando il cielo che, almeno quello, non mancava mai in casa mia.

Dopo aver afferrato il telecomando, cambiai canale e misi su quella che era, per me, la serie comica amorosa per eccellenza. Spostai il mio sguardo su Ashton, seduto compostamente sul divano e intento a mangiare con gli occhi bassi sul piatto.

Gli passai il suo calice di vino. Essendo stanca di vederlo tutto impostato e rigido come un pezzo di legno, decisi che l'unica cosa da fare era provare a smuoverlo un po'.

«Oh, no grazie. Devo pur sempre guidare per tornare a casa» rifiutò la mia offerta e di conseguenza portai lo sguardo fuori dalle finestre. L'acqua continuava a scrosciare imperterrita e una fitta nebbia si era impossessata dello skyline della città, nascondendo ogni cosa e rendendo visibili solo le luci dei grattacieli, che riuscivano a filtrarla.

Lo guardai con un sopracciglio alzato. «Ne sei davvero sicuro?» gli domandai, alludendo al fatto che sarebbe passato ancora un bel po' di tempo prima che quella tempesta si fosse placata.
Ashton alla fine cedette e prese quel calice.

Dopo tre puntate, una bottiglia di vino e qualche cucchiaiata di gelato alla vaniglia, io mi ritrovai ad essere abbastanza brilla, aiutata anche dal fatto che avessi deciso di mischiare quel vino con gli antidolorifici prescritti da Simon.

«Fammi capire, quindi questa Carrie è innamorata di... com'è chi si chiama?» mi chiese Ashton, visibilmente interessato a quella vicenda.

«Mister Big, Carrie è innamorata di Big e lui è innamorato di lei. Ma nessuno dei due riesce a capirlo e quindi lei adesso sta con Aidan» cercai di riassumergli velocemente quanto successo nella stagione precedente.

Quella serata non stava andando poi tanto male, Ashton si stava rivelando anche una piacevole compagnia, senza dubbio aiutato dal vino.

Una volta dopo aver finito di cenare, ero andata a recuperare il gelato nel congelatore -un'altra cosa che in casa mia non sarebbe mai mancata- e ci eravamo spostati sul soffice tappeto.

Con le schiene poggiate ai piedi del divano e le gambe sotto il tavolino da caffè, stavamo mangiando quel gelato direttamente dalla vaschetta.

«Ma non concentrarti su Carrie, il personaggio più forte della serie è Samantha» gli feci notare, mentre versavo l'ultimo rimasuglio di vino rosso in entrambi i calici.

«La bionda che dopo anni è riuscita a innamorarsi ma l'ha lasciato perché aveva il pene troppo piccolo?» a quella constatazione scoppiamo a ridere assieme. Ashton sorseggiò un po' di quel liquido dal colore rosso intenso e poi si voltò verso di me, puntando i suoi occhi marroni dritti nei miei.

«Ti focalizzi sulle cose sbagliate. Samantha è uno spirito libero, molto fluida nella sua sessualità, all'apparenza incapace di innamorarsi davvero. Ma poi, quando lo fa, dà tutta se stessa e puntualmente ne rimane delusa» spiegai, elogiando quello che era il mio personaggio preferito. «Il punto è che ha sempre la forza di rialzarsi» conclusi.

La verità, era che amavo tanto Samantha perché Samantha ero io. La mia disastrosa vita sentimentale era esattamente come la sua, solo che io non riuscivo ad andare avanti. Spinta dalla paura di un'altra delusione, evitavo di imbarcarmi in una nuova relazione e stavo comodamente aggrappata a un qualcosa che ormai era finito.

E questo era il motivo per cui, in un modo o nell'altro, finivo sempre tra le braccia di Harold.

Non ho idea del perché, ma gli occhi di Ashton erano ancora incastonati nei miei. Osservai quelle iridi scure, adornate da alcune pagliuzze dorate, che contornavano la pupilla dilatata dall'alcol.
Le ciglia lunghe risaltavano ogni volta che il ragazzo sbatteva gli occhi. E quel suo sguardo indagatore, enigmatico e curioso risultava più difficile del previsto da sostenere.

«L'ultima volta che ho visto degli occhi così, del tuo stesso colore, è stato quattro anni fa» se ne uscì con quella frase e la sua voce bassa e roca riuscì ad attirare tutta la mia attenzione.

«Era il mio primo giorno in Iran e durante un giro di pattuglia, tra quelle rovine della città, ormai devastata dalla guerra, ho incontrato una bambina» ero completamente rapita dalla sua voce e ancora oggi non so dire se fosse colpa dello stordimento provocato da quel mix di vino e antidolorifici o semplicemente una reazione naturale della mia mente.

«Coperta da un velo nero, che rendeva visibile solo il suo volto, teneva in mano un tozzo di pane, sporco di polvere. E lo stringeva come se fosse la sua unica ragione di vita. Ricordo che mi ha guardato con quegli occhi verdi, contornati da un leggero bordo nero e sporcati, verso la pupilla, da quel colore azzurro come il cielo» credo che, per lasciarsi andare a quel ricordo, si sentisse completamente a suo agio in quel momento.

«Con un solo sguardo quegli occhi sono stati capaci di comunicarmi ogni cosa. Tutta la paura e il dolore di dover vivere in un paese in guerra. Non sono mai riuscito a togliermeli dalla testa, sono rimasti un'immagine fissa nella mia mente» concluse quel racconto e anche se non si era fatto scappare commenti personali e il suo tono di voce era rimasto sempre lo stesso, non permettendo di far trapelare alcuna emozione, riuscii comunque a intuire quanta tristezza ci fosse dietro.

E mi venne istintivo poggiargli la mia mano sulla sua. Un gesto senza alcun secondo fine, compiuto senza averci riflettuto nemmeno per un secondo. Attraverso quel brevissimo contatto, avvertii il calore che il dorso della sua mano emanava, in netto contrasto con il mio palmo freddo.

Ma prima che potessi dire o fare qualsiasi altra cosa, lui ritrasse velocemente il braccio, interrompendo quel contatto fisico e tornando a sedersi compostamente. Si schiarì la voce e riportò tutta la sua attenzione sullo schermo della televisione.

Evitando, per tutto il resto del tempo che passò in casa mia, qualsiasi contatto visivo, non incrociando più, nemmeno per sbaglio, i miei occhi.

🌟🌟🌟

Eccomi qui con il nuovo capitolo!
La mia puntualità inizia a spaventarmi 😂

In ogni caso, una serie di fortunati eventi -o sfortunati- ha fatto sì che Ashton sia finito nuovamente nell'appartamento di Willow. Questa volta però entrambi sobri (più o meno) e bloccati in casa dalla tempesta.

Il nostro Ashton si è lasciato scappare qualche sorriso e anche qualche ricordo. Nulla di troppo, come sempre resta molto distaccato e riservato, ma è già un inizio, no?

I due hanno comunque trascorso una bella serata, tra cibo scadente, buon vino e una gran serie tv. Secondo voi come si evolverà il loro rapporto dopo questo episodio?

Lasciate una stellina nel caso il capitolo dovesse esservi piaciuto e non dimenticatevi di commentare facendomi sapere cosa ne pensate.
Per qualsiasi cosa non esitate a scrivermi.

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XOXO, Allison💕

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