Capitolo Diciannove - Sorpresa?

«Aspetta, aspetta, aspetta» dissi velocemente, staccandomi dalle labbra umide di Ashton.

Avevo dovuto interrompere il nostro bacio passionale, che si stava consumando sul divano di casa mia, perché avevo iniziato a sentire uno strano dolore.

E quando lui si allontanò da me, con un'espressione confusa, togliendo la mano dalla mia testa, capii immediatamente da cosa quel fastidio fosse causato.

I miei capelli si erano impigliati nel bottoncino posto sulla manica di quella giacca mimetica.

Ashton si lasciò sfuggire una risata, mentre cercavo di districare quel nodo che si era creato. Volevo evitare di strapparmi qualche ciocca e soprattutto di provocarmi ulteriore dolore.

«Invece di ridere, aiutami, no?» lo incitai, sbuffando frustrata.

«Non so quanto io possa essere utile, ma vediamo cosa riesco a fare» mi disse, iniziando a darmi una mano.

Da quando eravamo tornati da Parigi, il nostro rapporto era totalmente cambiato.

No, niente cose da piccioncini. Nessun regalo, cena a lume di candela o uscite in coppia. Eravamo semplicemente diventati più intimi.

Anche se con questo non intendo che ci raccontassimo ogni cosa che ci capitava o che facessimo sesso come conigli. Anzi, Ashton era sempre ben attento a non lasciarsi sfuggire nulla sul suo passato o sulle sue emozioni. E il sesso, beh... diciamo che per il momento non era proprio al centro della nostra pseudorelazione.

In effetti, a pensarci bene, dopo la nostra prima volta a Parigi, Ashton non era sembrato così propenso a rifarlo. Non avevo idea del perché, ma ogni volta che la situazione iniziava a scaldarsi un po', lui trovava una scusa per spostare l'attenzione su altro. Oppure si affrettava a rendere il luogo in cui ci trovavamo il più buio possibile.

Avevo persino pensato che gli facesse schifo la mia faccia. O che comunque non fossero di suo gradimento le espressioni che facevo quando venivo. Il che mi aveva fatto venire qualche complesso in proposito.

Non era mai stata una cosa della quale mi ero preoccupata, ma dati quesi suoi strani comportamenti avevo iniziato a pensarle tutte.

Poi il mio cervello aveva deciso di tornare sulla retta via, evitando di regalarmi inutili insicurezze. Dopotutto eravamo stati bene a Parigi e anche quelle due settimane passate a Vancouver continuavano ad essere piacevoli.

Una volta dopo essere tornati a casa, Brandi aveva deciso di rientrare a far parte della mia vita, abbandonando la sua scappatella con il francesino. Durante il viaggio di ritorno, sull'aereo, avevamo avuto modo di raccontarci tutto, dato che Ashton si era beccato un posto lontano dal nostro.

Quando avevo rivelato alla mia migliore amica che io e lui eravamo andati a letto insieme, per poco gli occhi non le uscirono dalle orbite e la mandibola non le toccò terra.

Ad ogni modo, una volta che fummo tornate a Vancouver, Brandi non aveva mai smesso di farmi domande sulla relazione che avevo intrapreso con Ashton. Ma, soprattutto, non aveva smesso nemmeno per un secondo di torturami ricordandomi che aveva sempre avuto ragione su noi due.

«Ecco fatto» proclamò lui, dopo qualche minuto passato ad armeggiare con i miei capelli. «Chi mai avrebbe detto che imparare a disinnescare le bombe dei terroristi iraniani mi sarebbe tornato utile anche nella vita di tutti i giorni» aggiunse poi, sfilandosi quella giacca e abbandonandola sul divano.

E non ero proprio sicura che fosse un'informazione che volesse rilasciare ad alta voce. Credo che l'avesse solo pensata nella sua testa, ma, dimenticandosi del contesto, l'avesse poi ripetuta parlando.

Perché subito dopo quelle parole si rabbuiò, perdendosi con lo sguardo in un punto indefinito del mio salotto e aggrottando la fronte.

A parte quel breve racconto degli occhi di quella bambina, tanto simili ai miei, era sempre stato ben attento dal rivelarmi altro riguardo il suo lavoro.

Ma grazie a quella frase, avevo scoperto qualcosina in più. E il fatto che sapesse disinnescare bombe terroristiche, mi fece finalmente capire qualcosa sul suo carattere così lunatico e schivo.

Decisi di non dare peso a quella frase, perché non volevo forzarlo nel raccontarmi qualsiasi cosa brutta gli fosse potuta capitare durante quegli anni. Se mai avesse voluto parlarmene, lo avrebbe fatto di sua spontanea volontà, senza pressione.

Sapeva che lo avrei ascoltato.

Lo osservai di sottecchi, scrutando ogni linea del suo volto. I capelli castani erano perfettamente pettinati, se non per quei ciuffi corti che gli ricadevano morbidamente sulla fronte. Colpa del fatto che glieli avessi scompigliati poco prima.

Il naso dritto era proporzionato al suo viso dai lineamenti pronunciati. E per la prima volta, da quella prospettiva, riuscii a notare un particolare al quale non avevo mai fatto caso.

Stando di profilo, il suo setto nasale risultava leggermente deviato e con una piccola, ma tenera, gobbetta all'altezza degli occhi.

Ipotizzai che probabilmente doveva esserselo rotto facendo a pugni con qualcuno da ragazzo, durante uno scontro con un nemico o in una missione.

Notai come le sue labbra carnose, con l'arco di cupido pronunciato, si schiusero leggermente. E il modo in cui il suo petto si alzasse e abbassasse con una cadenza quasi ritmata, come se stesse seguendo uno schema di respirazione.

«A che ora inizi a lavorare oggi?» gli domandai, cercando di cambiare discorso. Ashton si riprese da quel momentaneo stato di trance e tornò a concentrare la sua attenzione su di me.

«Alle nove, mi tocca il turno di notte oggi» rispose, distendendo mano a mano i nervi e rilassando l'espressione del viso. «Tu per quale meta partirai questa volta?» mi chiese di rimando, sistemandosi meglio sul mio divano in stoffa.

«Singapore» rivelai, avvicinandomi di qualche centimetro a lui. «Starò lì due giorni» aggiunsi, ricordandogli che per le tratte così lunghe era sempre previsto un riposo di almeno quarantotto ore.

«Oh... già» commentò semplicemente, con un tono che lasciava trasparire un'emozione che mai ancora agli avevo visto provare prima.

Era forse dispiaciuto di sapermi dall'altra parte del mondo?

O semplicemente non si aspettava che sarei stata via per tutto quel tempo dopo quella che era una normale giornata di lavoro per me?

«Arriverò qui a Vancouver verso le sette di sera, se non sei di turno potresti venire a prendermi tu» gli proposi timidamente, guardandolo dal basso, con la testa poggiata alla sua spalla. «Potremmo ordinare qualcosa d'asporto e... magari... potresti fermarti qui a dormire poi» avevo usato sempre il condizionale, perché non avevo idea di come avrebbe potuto prendere quella proposta.

Mi ero sentita di chiederglielo perché, anche se non stavamo insieme ufficialmente, avevo voglia di iniziare a fare con lui tutto ciò che era normale fare quando si sta in coppia. Per provare, sperimentare e capire se effettivamente potevamo avere un domani noi due assieme. O se era solo la foga del momento, il rimasuglio di una vacanza prematura nella città dell'amore.

Data l'espressione sorpresa, mi aspettavo un suo rifiuto. Ma l'indice che si posò sotto il mio mento, costringendomi ad alzare il volto e guardarlo negli occhi, mi rassicurò.

«Credo sia un'ottima idea» disse semplicemente, prima di posare le sue labbra sulle mie. E quel bacio casto non ci mise molto a riprendere da dove si era interrotto qualche minuto prima, diventando presto passionale.

Le nostre lingue si cercavano e i nostri respiri si fondevano, mentre assaporavamo a vicenda la nostra crescente eccitazione.

Mi lasciai scappare un gemito un po' più acuto, quando Ashton mi morse il labbro inferiore, tirandolo leggermente. E mi venne spontaneo salire a cavalcioni su di lui.

Le sue mani vagavano sul mio corpo, soffermandosi sui fianchi, ancora coperti da quei blu jeans a vita alta. Si insidiarono sotto quella stoffa, stringendo con forza la carne tra i suoi polpastrelli.

Dei brividi percorsero la mia colonna vertebrale, provocati dal contatto tra la mia pelle calda e quegli anelli freddi che portava alle dita.

Ashton mi sfilò la maglietta con foga, facendomi intendere che, per quella volta, non ero l'unica a voler fare sesso. Ciò mi diede la sicurezza che mi bastava per prendere in mano la situazione.

Iniziai a baciargli la mandibola, percorrendola nella sua totalità e sentendo sotto le mie labbra la morbidezza della sua pelle, mischiata con la ruvidità di quei piccoli peletti della barba, che stavano iniziando a spuntare.

Scesi poi sul collo, mordendolo dolcemente e provocandogli un gemito gutturale. Le mie mani scesero sul suo busto, sentendo sotto le dita quei muscoli scolpiti che lo adornavano.

Afferrai il bordo di quella maglia bianca, volendo togliergliela, così da poterlo sentire contro la mia pelle. Ma venni bloccata subito da lui. Le sue mani grandi si posarono sulle mie, spostandole velocemente da quel punto.

Non era la prima volta che lo faceva. Aveva sempre fatto sesso con me con indosso la maglietta, non aveva mai voluto togliersela.
E io ancora non sapevo il perché.

Ipotizzavo che magari si vergognasse di qualcosa, che ci fosse qualche punto del suo corpo che faticava ad accettare. Che non volesse mostrarsi in modo così esposto e vulnerabile davanti a me.

Cercai di non fargli notare i miei dubbi e il mio leggero fastidio verso quel suo voler sempre nascondersi nei suoi segreti.
Ma non ci riuscii molto bene quella volta.

Con lui nulla era facile.
Bisognava sempre camminare in punta dei piedi e soppesare qualsiasi parola. Ogni gesto andava valutato, cercando di capire se avesse potuto turbarlo o meno.

Era difficile riuscire a stare dietro a tutto ciò, ai suoi mille cambi d'umore e alle sue paure. Soprattutto perché lui non sembrava voler venirmi in contro in alcun modo.

Come sempre cercò di sviare la cosa, distraendomi e facendo scivolare le sue dita sotto il pizzo nero del mio reggiseno.

Ciò bastò per portare la mia attenzione su altro, perché in poco tempo i miei jeans caddero sul pavimento e con essi anche gli slip.

«Ti sta squillando il telefono» mi avvertì Ashton, facendomi riportare la mia attenzione alla realtà, proprio un secondo prima che potessi scivolare dentro di lui.

Ero talmente presa dal momento che nemmeno avevo sentito il mio cellulare iniziare a squillare all'impazzata.

«Chiunque sia, lascerà un messaggio nella segreteria» gli dissi.

Il sesso già non sembra essere il punto forte della nostra relazione, non lascerò sfumare questa occasione per una stupida chiamata.

«Non pensavo avessi la suoneria di Star Wars» commentò, sorridendo in modo spontaneo, la musica della colonna sonora di quella saga, che aveva preso a diffondersi per la casa.

«Shh... ti prego, ora sta zitto» mi poggiai sulle sue labbra, scivolando velocemente dentro di lui e gemendo in modo sommesso.

Ashton sospirò pesantemente, lasciando ricadere la sua testa all'indietro, nel momento in cui iniziai a muovermi.

Movimenti lenti e cadenzati, che mi permettevano di percepire ogni sensazione e ogni centimetro del suo membro.

Volevo solo godermi il momento, non pensando a niente e concentrandomi solo su di noi.
Tutto nella nostra relazione era ancora in corso d'opera, non avevamo molta confidenza e stavamo imparando a conoscerci.

Perciò quei rari momenti di intimità erano una buona occasione per cercare di relazionarci in modo più profondo.

L'unico rumore che spezzava il silenzio erano i nostri gemiti, che si confondevano e si armonizzavano, creando una musica nuova e sensuale.

E poi, tutto d'un tratto, qualcosa si intromise tra di noi, in modo totalmente inaspettato.

«Sorpresa!» una sola parola, gridata da due persone ed enfatizzata allungando di poco l'ultima vocale.

Io e Ashton sussultammo, colti alla sprovvista da quelle voci. Alzai lo sguardo, portandolo verso la porta e trovandovi i miei genitori, con un'espressione sorridente, sulla soglia.

Immediatamente mi staccai da Ashton, rannicchiandomi accanto a lui e afferrando i miei vestiti in tutta fretta.

«Mamma, papà, che cosa ci fate qui?!» domandai, scioccata da quella visita inattesa, mentre mi infilavo la maglietta e le mutandine.

Ashton era rimasto immobile, seduto su quel divano, con gli occhi spalancati.

Dio mio, dopo questa esperienza sì che non vorrà mai più venire a letto con me.

«Tesoro, io e papà abbiamo pensato di passare a trovarti, dato che non ci vedevamo da parecchio tempo» rispose mia madre, frugando nella sua borsetta e tirando fuori un pacchetto di sigarette.

«E non potevate avvisare?» chiesi, mentre Ashton aveva provveduto a riallacciarsi i pantaloni e tirarsi in piedi.

«L'abbiamo fatto, ma non hai risposto al telefono. Così abbiamo chiamato Brandi, ci ha detto che eri a casa e quindi eccoci qua» spiegò lei, accendendosi una sigaretta e aspirando il fumo.

In quel momento avrei solo voluto poter sparire, diventare come polvere e volare via. Esattamente come metà della popolazione in Avengers: Infinity War.

E proprio quando pensavo che non sarebbe potuta andare peggio, ecco che ci si metteva anche mio padre. «Me lo ricordavo diverso Harold» disse, indicando il ragazzo che si trovava accanto a me.

Sul viso di Ashton si dipinse un'espressione a metà tra l'imbarazzo e l'incredulità. Si grattò la nuca, osservando prima me e poi il pavimento.

«Papà, lui è Ashton, il mio...» mi bloccai a metà di quella frase, rendendomi conto che non sapevo come potevo definirlo per me.

Cosa siamo io e lui alla fine?

«Sentite, lasciamo stare quanto è appena successo» ordinai, ormai spazientita.

«Ehm... forse è meglio che io vi lasci soli» Ashton finalmente decise di riprendersi, quel che bastava per riuscire a parlare e muovere qualche passo verso la porta.

«Oh, no, no, caro. Non devi sentirti in imbarazzo, il sesso è una cosa più che naturale e ormai sappiamo bene che nostra figlia non è estranea ad esso, anzi» mia madre fece fuoriuscire del fumo dalla sua bocca, assieme a quelle parole.

Sgranai gli occhi e spalancai la bocca, completamente allibita da ciò che aveva appena detto.

I miei genitori non erano proprio quel genere di persone normali che vorresti presentare ai tuoi amici. Ero cresciuta a Victoria, in un quartiere della comunità hippie. Nella mia infanzia non c'erano mai state regole o tabù.

Mamma e papà mi avevano sempre insegnato cosa significava amare liberamente, messo in imbarazzo con molteplici miei fidanzati e invitato i miei amici a fumarsi qualche canna assieme.

E chi non era abituato a loro, durante un primo incontro, o scappava a gambe levate o li amava alla follia.

Non avevo idea di quello che avrebbe potuto fare Ashton, ma ero seriamente preoccupata.

«Mamma, ti prego!» esclamai, avvicinandomi subito a lei.

«Cos'avrò mai detto?» si chiese, non capendo davvero dove avesse sbagliato. «Sai, mia figlia è sempre stata un po' così, dice che la mettiamo in imbarazzo» spiegò, rivolgendosi ad Ashton.

Voglio morire.

Sul viso del ragazzo, però, contro ogni aspettativa, si formò un sorrisetto divertito. Le mani scivolarono nelle tasche dei jeans neri e il peso si spostò dalle punte ai talloni dei piedi, dondolando appena.

Li trova simpatici, davvero?

«Eppure non è una ragazza che si imbarazza facilmente» commentò Ashton, dando corda ai discorsi folli di mia madre.

È un incubo, non c'è altra spiegazione.

Non potevo credere al fatto che lui, proprio lui, il lunatico, freddo e schivo Ashton Miller, stesse stando al gioco dei miei genitori.

«Dimmi un po' di te, da dove vieni? Cosa fai nella vita?» gli domandò mio padre, togliendosi la giacca pesante nera e gettandola sullo schienale del divano.

«Sono un militare, lavoro nella sicurezza dell'aeroporto. Ma vengo da Calgary» rispose lui, senza la minima esitazione.
Com'era possibile che si trovasse così a suo agio in loro presenza?

«Uh, siamo andati a sciare lì una volta» saltò su mia madre. «Ti ricordi, amore? Io e te, sulla neve, come due ragazzini» aggiunse poi, avvicinando il volto a quello di mio padre e scontrando i loro nasi in un bacio all'eschimese.

«Io ricordo che durante quella vacanza abbiamo fatto tutto tranne che sciare» rivelò papà, scoccandole un bacio sulle labbra.

«Oh mio Dio!» esclamai, afferrando giacca e scarpe di Ashton e passandoglieli. Mi posizionai dietro di lui, premendogli poi i palmi delle mani sulla schiena possente. «Purtroppo lui tra poco deve andare a lavorare. Quindi, mamma, papà, salutate Ashton» mentii, cominciando a spingerlo sempre più verso la porta.

Nel frattempo i miei si erano accomodati come se fossero a casa loro, lasciando tutte le loro cose in giro e creando, in meno di pochi secondi, un disordine assurdo.

«Ma non è-» gli pizzicai la pelle della schiena, facendolo sussultare e gemere dal dolore. Ma soprattutto facendogli capire di non provarci nemmeno a contraddirmi, perché ormai avevo capito che la situazione gli piaceva solo per il fatto che, per una volta, fossi in quella nervosa e in estremo imbarazzo.

«Okay, okay. Io devo proprio andare adesso, arrivederci signori Young, è stato un piacere conoscervi» gli aprii la porta, mentre stava ancora pronunciando quelle parole.

«Spero di rivedervi presto» aggiunse infine, una volta aver superato la soglia, guadagnandosi uno sguardo severo da parte mia.

Richiusi la porta e ci poggiai la schiena sopra, sbattendo leggermente la testa contro quel materiale duro.

«Sei stata molto scortese» mi riprese mia madre, puntandomi il dito contro, come se fossi ancora una ragazzina.

Sarebbe stata una lunga, lunghissima giornata.

🌟🌟🌟

Eccomi qui con il nuovo capitolo!

Due settimane dopo Parigi, il rapporto tra i nostri protagonisti sembra davvero essere cambiato.
Anche se hanno ancora qualche problemino, dite che riusciranno a risolverli?

Ashton riuscirà a lasciarsi andare e uscire dal suo guscio?
E Willow sarà in grado di stargli accanto, nonostante tutti i suoi timori?

Ma parliamo dei genitori, che hanno fatto irruzione in casa sorprendendoli sul più bello.
Io direi che sono proprio due persone singolari, non trovate?

Lasciate una stellina nel caso il capitolo dovesse esservi piaciuto e non dimenticatevi di commentare facendomi sapere cosa ne pensate.
Per qualsiasi cosa non esitate a scrivermi.

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XOXO, Allison 💕

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