ᝰ. prologo. | ita.

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ㅤ❝ and in the middle of my chaos,
there was you.

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Federico aveva sempre desiderato di poter diventare un calciatore, un giorno. A livello professionale, ovviamente, facendosi un nome in quell'universo magico e seducente che era il mondo del pallone.

Ma non era solo un sogno infantile, come quello che avevano tutti i ragazzini italiani, nella sua città e in quasi tutta la penisola. Lui voleva davvero fare di tutto per raggiungere questo obiettivo.

Fin da piccolo si era avvicinato a questo sport grazie al padre Enrico, colui che per primo gli aveva permesso di legarsi a questo mondo, grazie alla sua esperienza di calciatore professionista.

Grazie a lui, fin da giovanissimo, il piccolo Federico aveva imparato a dribblare, tirare e rincorrere il pallone bianco e nero, iniziando a giocare nel ruolo di attaccante sotto le indicazioni del padre premuroso ed incoraggiante.

Ogni volta, era stato Enrico a dare al piccolo dai capelli castani la voglia di uscire ed andarsi ad allenare sui campi della città di Genova, dove lui era nato e dove suo padre aveva giocato a lungo con i colori della Sampdoria.

E ovviamente, quando la squadra giocava in casa, Federico non perdeva l'occasione di andare a vederla giocare, in quello stadio in riva al mare, sognando un giorno di poter camminare anche lui su uno dei campi di Serie A, sotto lo sguardo fiero di suo padre.

Ecco perché la morte di quest'ultimo, avvenuta sul campo a causa di un attacco cardiaco, aveva completamente stravolto la vita del giovane sognatore, appena tredicenne, spingendolo a smettere immediatamente di giocare a calcio.

Chiunque avrebbe continuato quella carriera nascente nella speranza di rendere orgoglioso il proprio padre defunto, ma Federico no. Non aveva semplicemente trovato il coraggio di continuare.

Questa cosa lo aveva colpito a tal punto che da quel momento in poi ogni allusione al calcio gli faceva ripensare alla sua incompetenza e alla debolezza che lo avevano portato a rinunciare a tutto, oltre ai ricordi del momento in cui aveva nuovamente visto le immagini di suo padre crollare sul campo.

Aveva perso ogni motivo per ricominciare a inseguire una pallone, dal momento che suo padre non sarebbe più stato lì per vederlo evolvere. Aveva chiuso le scarpe da calcio una scatola il giorno del funerale di suo padre, con la promessa di non tirarli mai più fuori.

O almeno, questo è quello che pensava prima di incontrare Dušan, in una notte buia e senza stelle, a Torino.

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