🇮🇹 ⊹. CAPITOLO 5. | Stavo Pensando A Te.


───── ⋆ ✮ ⋆ ─────

Che figata tornare tardi
con nessuno che chiede: « Dov'eri ?»

Che figata quando a casa scrivo,
quando poi svuoto il frigo.

Che fastidio sentirti dire:
« Sei pigro, sei infantile, sei piccolo »

───── ⋆ ✮ ⋆ ─────


Il mese di Novembre trascorse lentamente, molto più lentamente di quanto Federico si potesse aspettare. Già si preparava al peggio che sarebbe accaduto da Dicembre in poi con l'arrivo vero e proprio dell'inverno.

L'italiano non avrebbe mai smesso di ripeterlo a se stesso. Odiava quella stagione, compresi i mesi autunnali che l'avevano preceduta. Ogni volta che arrivava l'inverno, si sentiva doppiamente triste e senza speranza rispetto ai mesi della stagione estiva.

Con il tempo aveva perso il conto delle volte in cui aveva avuto delle ricadute e, nonostante i suoi buoni propositi per l'anno che sarebbe venuto, Federico sentiva che non sarebbe mai riuscito a fare di meglio. Era un ciclo infinito in cui sembrava bloccato per tutta la vita.

Nonostante tutto, non ha mai avuto pensieri suicidi. Perché al di là di un certo egoismo che alcuni potrebbero attribuirgli di fronte al suo atteggiamento, Federico non ha voluto infliggere ulteriori pene alla sua famiglia.

Sua madre aveva perso un marito e non meritava di perdere un figlio. Suo fratello e sua sorella avevano perso un padre e non meritavano di perdere un fratello. Loro erano una delle uniche cose che lo tenevano aggrappato alla vita.

E poi, nel profondo di una marea di pensieri cupi, Federico conserva una scintilla di speranza, la speranza di poter un giorno finire l'università, diplomarsi e trovare un lavoro stabile che avrebbe permesso ai suoi cari di essere orgogliosi di lui.

Tuttavia, la prossima stagione non sarebbe stata una stagione di speranza. Perché se Federico era riuscito a sopravvivere a due inverni a Torino, con un breve soggiorno a Genova durante le vacanze di Natale, non sapeva se avrebbe potuto fare altrettanto durante questo terzo anno.

L'obiettivo da raggiungere era verso la fine di Febbraio. Questo importante esame ha dovuto superarlo per poi permettergli di sostenere quello di Giugno e concludere così il suo primo ciclo di studi con il diploma triennale.

Avrebbe potuto poi scegliere di proseguire per altri due anni e ottenere così il diploma finale. Dopodiché forse avrebbe potuto fare lo psicologo, e per il momento questa era l'unica possibilità concreta a cui Federico puntava.

Tuttavia non voleva spingersi troppo oltre. Perché prima di arrivarci avrebbe dovuto superare l'inverno, senza poter tornare a Genova durante le vacanze, a causa di questo esame che doveva preparare.

Il suo primo passo era quindi quello di sopravvivere, e cercare di arrangiarsi da solo prima dell'arrivo della stagione in cui tutto si sarebbe rigenerato, compreso il suo corpo e la sua anima, attualmente ridotti in pessime condizioni.


───── ⋆ ✮ ⋆ ─────

Che fastidio le frasi del tipo:
« Questo cielo mi sembra dipinto »

Le lasagne scaldate nel micro,
che da solo mi sento cattivo.

Vado a letto,
ma cazzo è mattina.

───── ⋆ ✮ ⋆ ─────


Federico non era mai stato così felice che le sue lezioni universitarie finissero presto. In genere preferiva restare lì a studiare, ma quel giorno non aveva molto da fare, e la sera avrebbe potuto dedicarsi un po' a se stesso.

Non appena l'insegnante che guidava la loro classe smise di parlare e fece loro cenno di lasciare l'aula, l'italiano chiuse il suo quaderno dove ovviamente aveva appuntato tutto, sfoggiando uno dei suoi rari sorrisi.

Si sentiva leggero, una sensazione quasi insolita. Ma quel giorno, venerdì pomeriggio, sarebbe potuto tornare a casa sereno e godersi il tramonto visibile dietro la Mole Antonelliana.

Oltre a ciò, avrebbe avuto a disposizione i due giorni del fine settimana, prima del passaggio da Novembre a Dicembre, per cercare di riposarsi un po' e ovviamente continuare a studiare nel suo angolo.

Federico infilò le sue penne nell'astuccio prima di chiuderlo e gettarlo senza prestareci particolare attenzione nel suo zaino, insieme al quaderno dai bordi leggermente rovinati.

Appena un anno fa, lo studente teneva con un interesse quasi morboso a che tutte le sue cose fossero riposte e maneggiate alla perfezione, ma ora si concedeva qualche eccezione, soprattutto per dettagli così piccoli e inutili.

L'italiano chiuse lo zaino e se lo mise su una spalla dopo aver indossato la giacca nera, perfettamente abbinata al maglione dello stesso colore, sotto la quale indossava una semplice camicia bianca dal colletto appena visibile.

Tirò fuori dalla tasca le cuffie e le infilatò nelle orecchie, lasciandole collegarsi al telefono, mentre rimetteva la canzone che stava ascoltando prima, durante la pausa pranzo.

Federico si affrettò ad uscire dall'aula a testa bassa, facendosi largo tra i pochi altri universitari presenti che stavano uscendo anch'essi dalla stanza.

Il ragazzo dai capelli castani oltrepassò alcune altre persone lungo i corridoi, prima di scendere le scale per arrivare all'esterno, all'uscita dell'università.

Davanti a lui c'era la solita piazza circondata da poche statue che collegava direttamente alle strade di Torino, con la fermata dell'autobus situata proprio di fronte. Comodo, soprattutto quando usciva ed era già buio.

Non era ancora il caso, ma il cielo cominciava già a scurirsi a causa del cambio di ora effettuato non molto tempo fa, facendo si che la notte iniziasse a calare già alle 17:00.

Federico lasciò che il suo sguardo si soffermasse un attimo sul cielo, prima di concentrarsi un attimo sulla piazza dove c'erano alcune persone in attesa.

Era sempre lo stesso tipo di persone. Amici, parenti o fidanzati degli studenti di questa università di psicologia, venuti ad aspettarli all'uscita per poi trascorrere un po' di tempo insieme.

L'italiano non ci prestò particolarmente attenzione. Una parte di lui invidiava coloro che avevano questo privilegio, ma mise da parte quel senso di gelosia, perché ciò non aveva un impatto enorme sulla sua vita.

Decise quindi di rimettersi a camminare, ignorando come poteva gli studenti che saltavano tra le braccia di chi li aspettava, scambiandosi sorrisi, baci o grida di gioia.

La solitudine in cui si era immerso per proteggersi si avvertiva solo in questi casi, e nelle sere in cui non riusciva a dormire e in cui le lacrime scorrevano sul cuscino senza che lui potesse trattenerle.

Cercò di convincersi che fosse la cosa migliore. Non voleva preoccuparsi di nessuno, né dover scaricare i suoi problemi su qualcuno, che alla fine si sarebbe stancato di lui.

Mentre pensava questo, continuando ad attraversare la piazza con la musica a tutto volume nelle orecchie, Federico alzò la testa per guardare verso la fermata dell'autobus.

Fu in quel momento che vide, sullo spiazzo di fronte a lui, due sagome riunite che si abbracciavano, con le loro risate si mescolavano e i loro capelli dello stesso colore ondeggiavano appena.

L'italiano ovviamente non si fermò, mentre si incamminava tranquillamente verso la sua destinazione che era ancora a pochi metri, ma apparte questo riuscì ad udire qualche parola.

I due, un uomo e una donna, parlavano in una lingua che lui non capiva, con un tono caloroso. Fu nell'istante l'uomo alzò la testa verso di lui che Federico si sentì gelare il sangue nelle vene.

Sebbene le sue gambe continuassero a spingerlo in avanti, il suo cuore smise completamente di battere nel suo petto. Quegli occhi, quello sguardo penetrante. Questo viso snello, questi lineamenti. Il suo accento serbo. L'italiano non poteva crederci.

Lo aveva riconosciuto nel momento in cui i loro occhi si erano incrociati, per un attimo, mentre lui camminava senza fermarsi. Un mese dopo, rivedeva questo misterioso sconosciuto che aveva incontrato, il giorno del suo compleanno, sull'autobus mentre tornava a casa.

Quest'uomo che aveva tormentato i suoi pensieri senza lasciarlo andare, per trenta giorni, e che lo aveva fatto proprio quella mattina quando alcuni studenti universitari avevano iniziato a parlare della partita della Juventus che si sarebbe giocata quella sera.

Da allora Federico non aveva più rivisto quest'uomo, e questo avvenimento doveva giustamente accadere nel momento in cui se lo aspettava di meno. Prima che facesse buio, in un venerdì pomeriggio qualunque.

Ora poteva vederlo ancora meglio, sotto il cielo coperto di nuvole limpide che lasciavano filtrare qualche raggio di sole. Ed era ancora più affascinante che con il cappuccio calato in testa, nelle ore buie della notte.

Era molto più alto di quanto Federico si aspettasse, e doveva essere almeno di una ventina di centimetri più alto di lui. I suoi capelli scuri questa volta erano ordinati e pettinati, e la pelle del viso sembrava piuttosto lisci, segno che doveva essersi rasato quella mattina.

Indossava pantaloni neri con scarpe bianche, perfettamente abbinati alla sua maglia leggera dove era visibile l'inconfondibile ed impossibile confondersi del logo della Juventus.

Per un attimo Federico si ritrovò a credere che non fosse proprio lui, l'uomo che aveva incrociato a mezzanotte sull'autobus per le strade di Torino. Tuttavia, il suo istinto lo aveva guidato a identificarlo nel momento in cui i loro occhi si erano incontrati.

E a quanto pare anche lui lo aveva riconosciuto. Perché girò la testa verso di lui con uno sguardo sorpreso, lasciando andare per un attimo la ragazza che stava abbracciando.

Quest'ultima, più piccola e snella, con lunghi capelli scuri come quelli del giovane, si voltò verso di lui, mormorando qualche parola incomprensibile, prima di lasciare cadere lo sguardo su Federico.

Quest'ultimo tenne gli occhi fissi in quelli dell'uomo fino all'ultimo momento, prima di dover girare la testa per guardare davanti a sé e attraversare la strada. Non si era fermato. Perché avrebbe dovuto ?

Una parte del suo cuore gli stava gridando di tornare indietro, di parlare con l'uomo che occupava costantemente i suoi pensieri, così da poter finalmente smettere di rimuginare su quella situazione.

Però, l'autobus era arrivato, e Federico vi salì subito senza voltarsi, verso i due che probabilmente non gli avevano staccato gli occhi di dosso.

Si sentiva un codardo, come se avesse tentato di scappare senza una buona ragione. E il suo cuore aveva ripreso a battere normalmente, se non addirittura più forte, mentre le farfalle adesso sembravano vorticargli nello stomaco.

L'italiano ebbe adesso una voglia matta di mettersi a piangere, mentre si sedeva sul primo posto libero dell'autobus, molto più pieno rispetto a quando tornava più tardi la sera.

Una parte di lui era arrabbiata con se stesso per non essersi fermato, perché l'uomo che aveva incrociato un mese prima sembrava quasi felice di vederlo.

Forse se Federico non fosse scappato, quello sarebbe venuto a parlargli, a dirgli che era felice di rivederlo, che voleva restare in contatto o chissà quale altro delirio stava accadendo in quel preciso momento, sviluppandosi nella testa dell'italiano.

O forse niente di tutto questo sarebbe potuto accadere. Forse il serbo era semplicemente in compagnia della sua fidanzata, e che in effetti non l'aveva riconosciuto. Era anche possibile che non si ricordasse più di lui e che si fosse immaginato tutto.

Federico tenne le cuffie nelle orecchie, con il cuore a mille, mentre fissava le sue mani appoggiate sulle cosce mentre l'autobus decollava e cominciava ad attraversare le strade di Torino.

Aveva fatto saltare tutto ancora una volta. Fuggendo come un codardo da un'opportunità che avrebbe potuto cogliere, se solamente in un'altra vita avesse avuto la capacità di agire in modo da non avere rimpianti. Sì, se solamente.


───── ⋆ ✮ ⋆ ─────

Però alla fine, vedi,
è tutto a posto.

Si vede che non
era il nostro corso.

Si dice: « Tutto fumo e niente arrosto »,
però il profumo mi è rimasto addosso.

Vedi mi sentivo strano, sai perché ?
Stavo pensando a te.

Stavo pensando che,
non avremmo mai dovuto incontrarci.

───── ⋆ ✮ ⋆ ─────


Questo pensiero persisteva nella sua testa come una maledizione, l'ennesima peraltro, anche quando scese dall'autobus con lo zaino in spalla, alla fermata che era a pochi metri da casa sua.

Camminava in silenzio, mentre la musica era diventata niente più che un rumore di sottofondo per i suoi pensieri che sembrava non riuscire a trattenere e che avrebbero potuto fargli esplodere la testa da un momento all'altro.

Appena entrato nel suo appartamento, Federico gettò la borsa sul divanetto che aveva nel soggiorno collegato alla cucina, e si tolse le scarpe per correre in bagno.

Questa ossessione gli aveva rivoltato lo stomaco al punto che il ragazzo dai capelli castani si fermò davanti al water, cadendo in ginocchio con la mano davanti alla bocca e gli occhi chiusi sotto le sopracciglia leggermente aggrottate.

Il poco che aveva mangiato durante la pausa pranzo, però, non dava segno di voler lasciare il suo corpo, e Federico si rialzò qualche minuto, cercando come meglio poteva di scacciare quell'abominevole nausea.

Fece una doccia rigorosamente calda, infilandosi il pigiama prima di uscire dal bagno, senza dare importanza al fatto che era decisamente troppo presto per andare a letto rispetto alle sue abitudini.

L'italiano scacciò subito l'idea che aveva di accendere la tv. Perché ogni volta che lo faceva, accadeva sempre la stessa cosa, senza che lui potesse evitarla.

Sicuramente si sarebbe imbattuto in una partita di calcio. E quella notte, con quella della Juventus, non poteva permettersi di rischiare di innescare un'altra volta un vortice di pensieri incontrollabili.

E l'unico modo che aveva per non esserne invaso, quando la musica non funzionava, era andare a letto e sperare che il sonno se lo portasse via il più presto possibile.

Questo è ciò che Federico decise di fare. Alle 18:30 chiuse le tende della sua stanza e si infilò nelle sue coperte calde, in questo letto che la maggior parte delle volte sembrava essere l'unico ad essere veramente lì per lui.

Il ragazzo dai capelli castani chiuse gli occhi, seppellendo il viso nel cuscino. Andando a dormire così presto, sarebbe potuto essere in grado di recuperare un po' di sonno e dormire fino a tardi, quel sabato mattina.

E così sarebbe riuscito anche a mettere a tacere i suoi pensieri incessanti, quel turbinio e quel ronzio confuso che di tanto in tanto sembrava essere l'unica cosa a fargli credere di essere ancora vivo.


───── ⋆ ✮ ⋆ ─────

Mi copro perché è già inverno,
e non mi va mai di partire.

In queste parole mi perdo,
ti volevo soltanto dire.

Vedi mi sentivo strano, sai perché?
Stavo pensando a te.

Stavo pensando che,
non avremmo mai dovuto incontrarci.

───── ⋆ ✮ ⋆ ─────

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top