🇮🇹 ⊹. CAPITOLO 3. | Notti In Bianco.


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Sai che sono marcio,
giorno dopo giorno.

Godiamoci 'sto viaggio,
metti che sia l'ultimo.

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« Biiiiip. Biiiiip. Biiiiip. »

Federico borbottò nel sonno, uscendo con la mano dalle lenzuola calde per tastare il comodino dove era appoggiato il telefono con la sveglia.

E che idea quella di cambiare la suoneria di quest'ultima in un suono sgradevole che lo avrebbe costretto ad alzarsi dal letto in uno stato d'animo ancora peggiore rispetto a quando si svegliava con la musica.

Federico non capiva mai perché ogni mattina si svegliava ancora più stanco rispetto a quando era andato a letto il giorno prima. E dormiva anche più o meno 5 o 6 ore ogni notte.

Il ragazzo dai capelli castani sentiva che le sue palpebre pesanti si rifiutavano di aprirsi, e non poteva nemmeno incolpare cose banali come gli incubi, poiché ciascuna delle sue notti era pacifica e senza sogni, solo un nero crepuscolo che apparentemente non gli permetteva nemmeno di rigenerare le sue forze.

Anche se non era ancora sceso dal suo letto caldo e accogliente, lo studente italiano si era già alzato con il piede sbagliato. E la sua giornata non si preannunciava delle più allegre.

Poteva già sentire il suono insistente della pioggia fuori dal suo appartamento, producendo un mormorio incessante che gli faceva non gli dava voglia di lasciare le sue lenzuola calde per andare all'università.

Soprattutto perché, con l'arrivo dell'inverno, il freddo sarebbe entrato in ogni spazio, aggiungendo un velo di freddezza e tristezza sul suo cuore. Come per ogni arrivo di questa orribile stagione.

Federico odiava l'inverno, quasi quanto odiava il calcio. Ma almeno dal primo poteva proteggersi coprendosi adeguatamente, mentre contro il secondo non aveva alcun rimedio.

« Biiiiip. Biiiiip. Biiiiip. »

Il ragazzo dai capelli castani emise un sospiro rassegnato, uscendo nuovamente dal caldo piumone per afferrare il telefono e spegnere quella terribile sveglia che suonava ogni giorno alle 5:30 del mattino. Rimase per un attimo a fissare la schermata di blocco del suo cellulare, con gli occhi socchiusi.

Era una foto in cui era insieme a suo padre, con un pallone sotto il piede e una maglia da calcio della squadra in cui giocava all'epoca Enrico Chiesa. Era felice, e lo era anche suo padre, la sua mano posata sulla spalla del figlio con uno sguardo fiero.

Era l'unico ricordo che Federico voleva conservare nella sua vita. Non sapeva esattamente il motivo, perché ogni volta che accendeva il cellulare sentiva il cuore spezzarsi. Ma aveva solo bisogno di rivedere suo padre, ogni mattina, ogni volta che accendeva il telefono.

L'italiano sospirò di nuovo. Il contatore del numero di sospiri che aveva emesso era già alto, anche se si era appena svegliato. E sarebbe sicuramente aumentato durante il giorno.

Lentamente Federico si alzò dal materasso, infilando i piedi nelle ciabatte poste ai piedi del letto. La sua giornata cominciava ufficialmente, decretata dalla stessa routine monotona e incessante.

L'italiano prese il telefono e si diresse nella sua cucina, debolmente illuminata dall'alba appena visibile fuori dalla finestra nonostante le spesse nuvole di pioggia che coprivano il cielo piovoso.

Prese una ciotola, la riempì di cereali, vi mise il latte e si sedette a mangiare a tavola, dove era costantemente solo. Terminò velocemente la sua magra colazione, con Instagram aperto.

Rifiutò le richieste di sconosciuti di seguire il suo profilo privato, e passò qualche minuto a scorrere le storie delle persone che seguiva su Instagram.

Studenti della sua università, amici che non vedeva più, vecchie conoscenze... tutti avevano pubblicato la stessa cosa: il post del risultato finale di 4 - 2 della partita del giorno prima, tra Juventus e Milan, e che era stata brillantemente vinta dai torinesi.

Lo studente universitario si ritrovò a pensare all'uomo che aveva conosciuto sull'autobus il giorno prima, quel ragazzo serbo apparentemente molto interessato al calcio e a quanto pare grande tifoso della Juventus.

Si rammaricava di non avergli chiesto il suo nome né alcuna informazione su di lui, per poterlo almeno ritrovare in qualche modo. In ogni caso non gli sarebbe servito a molto.

Federico scacciò questo pensiero con un immaginario gesto della mano, riponendo la ciotola nel lavandino non appena ebbe finito. Avrebbe lavato i piatti una volta tornato a casa dall'università, anche se sarebbe stato tardi.

Il giorno prima era andato a dormire all'1:30 del mattino, perché aveva finito di rileggere i suoi appunti una volta arrivato a casa, e che l'uomo che aveva incontrato il giorno prima sull'autobus non era uscito dai suoi pensieri.

Il ragazzo dai capelli castani si affrettò verso il bagno dove aveva già messo le sue cose preparate il giorno prima. Jeans neri e un semplice maglione color crema, niente di troppo stravagante, e che rispecchiava perfettamente la sua personalità e la sua voglia di confondersi tra la folla.

Si fece una doccia e si vestì prima di uscire di casa con lo zaino in spalla, l'ombrello pronto da aprire e il telefono in mano per controllare l'arrivo dell'autobus che lo avrebbe portato all'università.

Quando il bus arrivò, Federico salì e prese posto tra le poche persone che si erano alzate presto per prendere i mezzi pubblici, mentre si preparava ancora una volta a vivere lo stesso giorno che viveva da tre anni.


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Notti in bianco,
sto tutto sfasato.

Ancora qua, in camera,
a scrivere fino all'alba.

Notti in bianco,
sembro uno schizzato.

E mando tutto a puttane,
poi buco la notte.

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La sua giornata andò come tutte le altre. Con un ritmo tranquillo ma stancante, e sopportando la vista di tanti studenti che indossavano maglie o felpe della Juventus in onore della vittoria del giorno precedente.

Federico trascorse l'intera giornata tra l'università e la biblioteca, una cosa che si permetteva di fare quando le lezioni finivano piuttosto presto.

La sua casa non poteva propriamente essere chiamata così. Non aveva mai niente di speciale da fare da lui, per questo motivo restava il più a lungo possibile lontano dalla sua abitazione, che fungeva solo da luogo per dormire e mangiare qualcosa.

L'affitto non era motivo di preoccupazione, dato che l'unica cosa che Federico aveva promesso a sua madre era di concentrarsi sugli studi. Lui e il mondo del lavoro erano sempre stati due universi paralleli.

La madre, il fratello e la sorella lavoravano e lo aiutavano economicamente, al punto che l'italiano si ritrovava spesso a rimproverarsi perché era lontano da casa e le rare volte che si vedevano erano durante le vacanze, o durante le poche videochiamate che accettava di fare.

Aveva perso anche il conto delle volte in cui aveva pensato di mollare tutto, lasciando Torino per tornare a Genova, trovare un lavoro banale e finire così la sua vita, consumato dai rimpianti ancora più di quanto lo fosse qui.

Ma almeno con gli studi aveva una distrazione, qualcosa che lo teneva a galla mentre si aggrappava ad un salvaggente mezzo bucato.


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Sopra quel balcone,
ci ho passato l'estate.

E ho strappato mille pagine, bebe,
per descriver le tue lacrime.

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Federico uscì dalla biblioteca all'orario previsto, come il giorno prima, già diretto verso la fermata dell'autobus dove doveva passare il veicolo che si fermava vicino a casa sua. Era notte e alcune stelle appena visibili brillavano come cucite su un arazzo nero.

Anche questa volta Federico prese l'autobus poco prima di mezzanotte. Era l'ora più buia, quella che segnava il passaggio da un giorno a quello successivo, e in cui tutti gli orologi segnavano quattro zeri di seguito.

L'italiano non aveva paura di quest'ora qua. Al contrario, la notte oscura era in qualche modo per lui qualcosa di calmante. Era il suo momento preferito della giornata, quando prendeva l'autobus per tornare a casa con le cuffie nelle orecchie.

Torino era meravigliosa di notte. Le luci della città erano come stelle cadute sulle loro teste per venire a brillare in mezzo a loro, perdendo però un po' della loro magia.

Federico lasciò riposare il viso sulla mano mentre rileggeva gli appunti presi quella mattina, molto più ordinati rispetto a quelli del giorno prima, mentre lasciava susseguirsi in successione le canzoni attraverso le cuffie.

Era di nuovo solo sull'autobus, e non riusciva a trattenersi dal sollevare lo sguardo di tanto in tanto verso la porta principale del veicolo, nella speranza di vedere apparire l'uomo con cui aveva parlato la sera prima.

Era stato nei suoi pensieri tutto il giorno, e non era certo pronto ad abbandonarlo subito. Ogni dettaglio restava impresso nella mente di Federico, tra nozioni di filosofia e domande di psicologia.

La sua mascella definita, i suoi lisci capelli castani sotto il cappuccio, il suo accento serbo quando gli aveva parlato in italiano e i suoi occhi neri come l'oscurità del cielo di Torino a mezzanotte.

Alzando la testa verso il cielo che riusciva a vedere attraverso il finestrino dell'autobus, il ragazzo dai capelli castani ebbe l'impressione di ritrovarsi immerso ancora una volta nelle iridi scure di quest'uomo.

Tuttavia quest'ultimo non si presentò. Al punto che Federico pensò di aver fatto un sogno ad occhi aperti, cosa che non credeva fosse possibile, visto che in quel momento non aveva ancora perso la testa.

Eppure, in un angolo della sua mente, il ricordo dell'uomo dagli occhi scuri persisteva, anche quando arrivò a casa esausto come se avesse appena corso una maratona.

Nonostante i suoi pensieri vagassero dove volevano, lo studente era riuscito a rileggere completamente tutti gli appunti presi durante le lezioni universitarie, e sarebbe potuto andare direttamente a letto.

Come quasi tutte le sere, Federico non mangiò altro che uno di quei ramen preparati solo con acqua bollente, un pasto che gli era più che sufficiente prima di andare a letto.

Naturalmente si fece anche una doccia, lasciando che l'acqua calda gli scivolasse sulla pelle ghiacciata, e restando sotto il getto per un tempo incalcolabile prima di trovare il coraggio di uscire, vestirsi e andare a letto.

Una volta preparati i vestiti per il giorno successivo, Federico riuscì finalmente a infilarsi sul materasso, rannicchiandosi tra le coperte dopo aver impostato la sveglia alle 5:30 della mattina stessa.

Era andato a letto un po' prima del solito, ma nonostante la stanchezza non riusciva ad addormentarsi, crollando in uno dei suoi sonni bui e senza sogni.

Perché non appena chiuse gli occhi e lasciò scivolare un velo di oscurità sulle sue palpebre, ebbe l'impressione di essere catapultato negli avvenimenti del giorno prima, dove il suo sguardo si era tuffato in quello di quest'uomo che aveva incontrato sul autobus.

Era una maledizione, un pensiero costante che lo seguiva, così come lo era stata e lo era tuttora la morte di suo padre, con tutto il rimorso che ne derivava e che non lo lasciava andare per un secondo.

Tuttavia, questa sensazione era più piacevole che dolorosa. Perché nel profondo degli occhi di quest'uomo, il ragazzo dai capelli castani aveva pensato di vedere qualcosa di più, quando si era rivolto a lui scusandosi e chiedendogli di aspettare un attimo prima di andarsene.

Federico non si era mai innamorato. Aveva avuto delle relazioni, certo, ma con ragazze alle quali non aveva osato dire di no da piccolo, prima di lasciare Genova. Prima che suo padre morisse.

Ma non si era mai trovato a pensare in questo modo ad un uomo, con le farfalle nello stomaco e il cuore che batteva. Era un sentimento che non aveva mai provato prima per una donna.

Il ragazzo dai capelli castani avrebbe voluto avere la forza di schiaffeggiarsi. Non aveva tempo per pensare a cose del genere, soprattutto perché la sua famiglia stava facendo enormi sacrifici affinché potesse ottenere il massimo dai suoi studi.

Federico riuscì finalmente ad addormentarsi con questo pensiero fisso in testa. Con le responsabilità che si era assunto e la convinzione che, col tempo, sarebbe riuscito a lasciarsi alle spalle questo pensiero totalmente folle.


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Notti in bianco,
sto tutto sfasato.

Ancora qua, in camera,
a scrivere fino all'alba.

Notti in bianco,
sembro uno schizzato.

E mando tutto a puttane,
poi buco la notte.

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