🇮🇹 ⊹. CAPITOLO 1. | Oroscopo.


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Sono uscito stasera
ma non ho letto l'oroscopo.

Non è Rio de Janeiro
ma c'è un clima fantastico.

Io ti giuro stasera
che ti cerco nel traffico.

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Federico ha 25 anni e non sa cosa fare della sua vita.

In realtà, ormai ne ha 26, ma non riesce ancora a rendersi conto di essere più vicino ai trent'anni che ai venti. E questo era il giorno il cui aveva oltrepassato il limite.

Il 25 ottobre era da tempo una data che odiava. E non si sforzava nemmeno di nascondere la motivazione che lo aveva portato a detestare in tal modo il giorno del suo compleanno, che puntualmente gli doveva ricordare quanto stesse sprecando i suoi anni di giovinezza.

Il futuro da sogno che immaginava quando era ragazzino ormai non era nient'altro che un vago ricordo, rinchiuso a vita nel suo passato che cercava di dimenticare in un modo o nell'altro.

Perché nonostante gli sforzi della madre per farlo continuare con la sua passione principale, il calcio, il ragazzo aveva preferito abbandonare la sua nascente carriera calcistica per immergersi negli studi, in seguito alla morte del padre che aveva lasciato un vuoto nel suo petto.

La differenza era tanta, ovvio, ma il giovane italiano aveva insistito per avere la possibilità di fare qualcosa che gli permetta di avere un vero scopo nella vita, un obbiettivo da raggiungere.

Perché l'unico che aveva avuto, in giovane età, si era evaporato alla morte del padre. Si trattava di un evento che gli aveva fatto sviluppare un rigetto totale per il calcio, che considerava responsabile della sua perdita.

O almeno, questo era ciò che gli aveva detto lo psicologo da cui Federico era andato per quasi un anno, quando era diventato maggiorenne, alla ricerca di una qualsiasi aiuto per cercare di sormontare questo trauma.

Tuttavia, nulla era sembrato capace di sradicare questa sensazione profondamente sepolta in lui, sotto forma di un cespuglio di rovo i cui rami spinosi si erano allungati per attorcigliarsi intorno al suo cuore.

Il piccolo Federico di 13 anni dell'epoca, che aveva visto suo padre crollare sul campo, aveva automaticamente messo di fronte a lui uno scudo per proteggersi, inconsciamente, da tutto ciò che avrebbe potuto ricordargli quello che aveva perso.

È per questo che, dato che il ragazzo dai capelli castani non aveva trovato una soluzione, aveva deciso di continuare i suoi studi dopo il liceo, in un'università di psicologia, con la speranza di trovare risposte alle domande che lo tormentavano.


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Una cassa che suona,
una casa che brucia.

Tutta la notte,
tutta la notte.

Ma io mi ricordo
una scritta sul muro.

Un rullo, un tamburo,
una danza kuduro.

Tutta la notte,
tutta la notte.

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Erano ormai 3 anni che Federico abitava a Torino, la città più vicina dove aveva trovato una prestigiosa università per gli studi di psicologia in cui si era cimentato.

3 anni che era andato via da Genova, la sua città natale dove abitavano ancora sua madre, suo fratello e sua sorella, mettendo ufficialmente un muro tra lui e tutti i sogni che aveva avuto da ragazzino.

Ormai, Federico non era nient'altro che un giovane uomo che vagava senza uno scopo preciso, dato che le sue ambizioni erano ancora sfocate nonostante avrebbe potuto trovare diverse opportunità una volta finiti gli studi.

La sua routine era sempre la stessa, stancante e monotona. Non ci metteva particolarmente interesse in ciò che faceva, nonostante il fatto che i temi che affrontava all'università lo appassionavano.

Certo, lui aveva le capacità di concentrarsi si questi argomenti complicati, ma lo faceva in modo quasi distaccato, come se non ci trovasse realmente interesse.

Tutto ciò che faceva in generale, era unicamente per sfuggire a questo sogno da ragazzino che era quello di diventare un calciatore, e che era ancora ben presente in un angolo della sua testa. Perché, nonostante i suoi tentativi, non era riuscito a seppellirlo totalmente.

La prima squadra della città di Torino, la Juventus, era come una maledizione. Tutti ne parlavano ovunque, nella sua università, intorno a lui, ricordandogli costantemente che il calcio esisteva e che sfortunatamente era lo sport più famoso al mondo.

Il ragazzo dai capelli castani si ritrovava spesso a far cambiare i canali della televisione nel suo piccolo appartamento la sera, quando capitava spesso su una di quelle maledette partite da calcio che gli ricordavano perché era arrivato a questo punto.

Fortunatamente, i suoi studi occupavano quasi tutto il suo tempo, e ne era in parte felice. Dato che ciò gli permetteva di distrarsi senza riflettere troppo, una cosa che gli riusciva piuttosto bene.

Non aveva più tanto il tempo di pensare a cosa avrebbe potuto somigliare la sua vita se avesse cercato di perseverare, di aggrapparsi a questo sogno. Se non avesse mollato tutto. Se suo padre non fosse morto.


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Si muovono i gatti
fra secchioni e vetri rotti.

E la gente prende i mezzi
fra i batteri e fra i ritardi.

Provi a prendermi la mano
ma non sono lì vicino.

Puoi specchiarti nel mio lago
mentre osservi il mio respiro.

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Quella sera, mentre tutti erano o allo stadio di Torino, l'Allianz Stadium, o in casa per assistere alla partita tra la Juventus e il Milan, Federico si ritrovava a dover subire un lungo tragitto in bus per tornare al suo piccolo appartamento.

Era la routine, da quando studiava all'università. Quest'ultima si trovava a 40 minuti in bus da dove abitava, e la sua unica opzione era quella di utilizzare i mezzi, sia per l'andata che per il ritorno.

Passava già la maggior parte del suo tempo all'università, nella biblioteca e nei dintorni, e tornava sempre abbastanza tardi, anche quando le sue lezioni finivano in tardo pomeriggio.

Era già notte, e l'italiano era seduto su uno degli scomodi sedili del bus, diretto verso la sua destinazione, ancora abbastanza lontana. Gli mancavano ancora circa dodici fermate prima di arrivare a quella che era la sua casa da qualche anno.

Con i suoi auricolari infilati nelle orecchie e i suoi quaderni di appunti appoggiati sulle ginocchia, Federico cercava di concentrarsi su ciò che non aveva fatto durante il pomeriggio, in modo da poter andare a dormire ad un'ora ragionevole.

Socchiuse leggermente gli occhi, cercando di decifrare ciò che aveva scritto. Di solito la sua calligrafia era decente, ma questa volta aveva scritto troppo in fretta ed i suoi appunti erano troppo confusi e quasi illeggibili.

In più, le curve e le irregolarità sulla strada non aiutavano di certo, ed il ragazzo dai capelli castani si ritrovava ad imprecare a bassa voce quando perdeva il segno della riga che stava leggendo.

Ma fortunatamente, il tragitto era diretto, visto che era l'unico passeggero del bus a quest'ora dove tutti i torinesi erano allo stadio o di fronte alla loro televisione per assistere a questo scontro tra due giganti di Serie A.

È per questo che, quando il bus si fermò, Federico rimase abbastanza sorpreso. Tolse gli auricolari dalle sue orecchie, girando la testa per guardare verso il conducente e l'entrata principale del veicolo.

Con gli occhi rivolti sulla porta anteriore dell'autobus, vide un uomo salire senza fare un cenno nei confronti dell'anziano conducente, che sospirò con rassegnazione mentre aspettava che il nuovo arrivato andasse a timbrare il suo biglietto prima di far ripartire il veicolo.

Federico fissò per un istante il nuovo passeggero, che gli dava le spalle con il cappuccio della sua felpa sulla testa, prima di girarsi per riprendere ad esaminare i suoi appunti presi all'università.

Fu nuovamente distratto, questa volta dal suono dell'obliteratrice che rifiutò il biglietto inserito dal nuovo arrivato. Quest'ultimo mormorò qualcosa mentre provava un'altra volta, prima di mollare di fronte ad un ennesimo rifiutò della macchinetta.

« Non funziona questo coso. » Disse con un'aria scettica, girandosi verso il conducente, che sospirò nuovamente con un'aria infastidita, sfinito anche lui a causa della lunga giornata di lavoro.

L'accento del nuovo passeggero lasciava sottointendere che non fosse originario della penisola italiana. Federico suppose che venisse dai Balcani, o da quelle zone là.

« Il suo biglietto non deve più essere valido, signore. » Rispose l'autista, voltandosi verso di lui, sorprendendo Federico che si era nuovamente voltato a guardare la scena.

Il nuovo arrivato avvicinò il biglietto agli occhi per leggere meglio, e poi lo mollò mormorando qualche altra parola in quella che doveva essere la sua lingua madre.

Provò ad inserire nuovamente il biglietto nell'obliteratrice, ma questa continuò a produrre un fastidioso segnale acustico che esprimeva il rifiuto del biglietto, ed il conducente dell'autobus finì per interrompere l'uomo che persisteva con la povera macchinetta.

« Va bene, fermati. Farò un'eccezione per te. Vai a sederti. » Disse l'autista con voce rassegnata, facendo un cenno quasi stanco in direzione del nuovo arrivato.

Quest'ultimo gli rivolse uno sguardo che Federico non riuscì ad intercettare, e si voltò in direzione del ragazzo dai capelli castani, cogliendone lo sguardo curioso. L'italiano abbassò subito la testa, imbarazzato di essere stato smascherato mentre origliava la loro conversazione.

« Grazie. » Mormorò infine il nuovo passeggero rivolto all'autista, prima di mettersi a camminare tra i sedili mentre il vecchio conducente rimetteva in moto l'autobus.

« Se non sai come funzionano le cose qui in Italia, puoi tranquillamente tornartene nel tuo paese. » Sussurrò l'uomo alla guida del veicolo, senza nemmeno provare a parlare a bassa voce.

Federico si accigliò appena. Aveva sentito troppo spesso questa frase pronunciata non solo dagli anziani, ma anche dai giovani della sua generazione, che dimostrava il tipo di mentalità prevalente nel loro Paese.

Tuttavia, il nuovo arrivato non sembrava averlo sentito. O se lo avesse fatto, fece finta di nulla mentre camminava lentamente tra i sedili per trovare un posto.

Pur avendo l'imbarazzo della scelta, il nuovo arrivato venne a sedersi di fronte a Federico, costringendo quest'ultimo a concentrarsi velocemente sul suo quaderno, mentre l'uomo tirava fuori il cellulare senza dire una parola.

L'italiano cercò di non guardare lo sconosciuto che aveva di fronte, nonostante il desiderio pressante che aveva di sapere che aspetto avesse quest'uomo che, come lui, sarebbe sicuramente tornato a casa tardi.

Tenne però lo sguardo incollato agli appunti e si rimise le cuffie, cercando di concentrarsi per poter finire di rileggere ciò che aveva scritto prima di arrivare a casa.

Il viaggio era ancora lungo, ma Federico ormai aveva preso l'abitudine di isolarsi con successo, costruendosi intorno una sorta di bolla che gli permetteva di evadere dalla realtà e da tutto ciò che aveva attorno.

E così fece, lasciando che la musica si insinuasse poco a poco nei suoi pensieri, mescolando la melodia con le parole che aveva scritto quella mattina, seduto tra le file di una delle sue classi universitarie.


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Tutta la notte,
tutta la notte.

Hai qualcosa di brutto alle spalle
lasciato in un film.

Certamente fai così.

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