aschen (james mcavoy)

Avviso: in questa one shot sarà trattato un tema molto delicato, spero di aver espresso al meglio le emozioni della protagonista e di non risultare banale.
Per la vicenda mi sono ispirata al libro di Laurie Halse Anderson dal titolo Speak, di cui è stato fatto un film con il medesimo nome diretto da Jessica Sharzer che vede nei panni della protagonista Kristen Stewart. Ovviamente vi consiglio sia di leggere il libro che guardare il film, sono entrambi molto toccanti.

* * * * *

Sono passati esattamente 86 giorni ma il senso di nausea che mi attanaglia lo stomaco ogni volta che ripenso a quella sera non è sparito. Quella sera è morta una parte di me, per colpa sua. Non sono più la stessa, il peso di ciò che è successo quella serata mi schiaccia ogni singolo giorno.
Mi hanno abbandonato tutti, persino James che consideravo come un fratello piuttosto che il mio migliore amico.
"Amanda, sbrigati o farai tardi!" La voce di mia mamma giunge alle mie orecchie da dietro la porta di legno lucido. Tiro fuori la testa da sotto le coperte, l'unico posto in cui mi sento davvero al sicuro, e sbuffo.
L'ultimo anno di liceo sta per iniziare ed io non ho voglia di avere gli occhi di tutti i miei compagni di classe addosso, non voglio essere giudicata ancora da loro. Mi sono già bastati tutti gli insulti ricevuti quest'estate per messaggio e sui social network.
La verità è che le persone giudicano gli altri senza sapere la verità, si fermano alle apparenze senza indagare fino in fondo.
Nessuno sa la verità, nessuno sa cosa sia davvero successo quella sera.
Mi alzo controvoglia dal letto e vedo in bagno per lavarmi, il mio riflesso cadaverico mi fissa attraverso lo specchio.
Sono cambiata in questi mesi, ho perso peso e il mio viso è stanco. I miei occhi mi scrutano ma non sono più gli stessi. Non brillano, sono solo due pupille vacue senza vitalità.
Sbuffo ancora e mi spruzzo dell'acqua sul volto per rinfrescarlo, poi torno in camera per vestirmi.
Indosso dei jeans neri ed una felpa grigia, sperando che questi abiti anonimi possano servire a nascondermi dagli sguardi indiscreti degli altri studenti.
Mi strascino fino al piano inferiore, mia mamma è elegante nel suo tailleur rosa antico mentre mio papà è già uscito di casa.
"Tesoro, ti ho preparato la colazione." Indica il piatto sul tavolo. Bacon e uova, una volta mi sarei fiondata sul cibo e lo avrei divorato; adesso no, ho già lo stomaco in subbuglio e non vorrei vomitare sull'autobus della scuola. Scuoto la testa ed esco di casa, salutandola con un flebile ciao.
Mi siedo infondo al vialetto, sul marciapiede, in attesa dal pulmino giallo.
Inevitabilmente i miei pensieri corrono subito a lui, il respiro inizia a mancarmi e sento le mani sudate. Vorrei dimenticare ciò che è successo ma sembra impossibile, conviverò con il dolore per sempre.
Frank, l'autista, arriva strombazzando il clacson.
Ferma il mezzo davanti a me e poi apre le porte. Salgo, sono la prima, così vado a sedermi a metà pulmino.
Chiudo gli occhi ed appoggio la testa contro il finestrino.
Frank parte sgommando e per il resto del viaggio fino a scuola mi escludo dal resto del mondo. Nessuno sembra far caso a me, meglio così.

Le prime ore di lezione passano in fretta, non ho ricevuto insulti ma un sacco di occhiatacce da parte dei miei compagni. Il vero incubo è quando metto piede nella sala mensa.
Ritiro il mio vassoio al bancone delle cuoche e vago tra i tavoli in cerca di un posto libero. Gli occhi sono fissi al suolo e cerco di alzarli il meno possibile, evitando gli sguardi degli altri.
Sento la sua inconfondibile voce che si fa sentire sopra le altre.
Urla "Sfigata!" e altre voci si aggiungono alla sua.
Sfigata. Sfigata. Sfigata.
Questa parola si ripete nella testa come un mantra.
Il vassoio mi cade dalle mani, schiantandosi al suolo e spruzzando purè di patate ovunque.
Corro fuori dalla mensa e mi rifugio in uno stanzino che si affaccia in un corridoio secondario.
Una volta che sono al buio, chiudo gli occhi. La testa mi scoppia e il mio respiro si è fatto irregolare.
Mi sento morire dentro, speravo con tutto il cuore che i miei aguzzini si fossero calmati durante i mesi estivi ma sembra che non ne vogliano sapere di lasciarmi in pace.
Passo il resto della pausa pranzo segregata nello stanzino, con la sola compagnia del mio respiro irregolare.

L'ultima lezione è quella di algebra, entro in classe per ultima e mi siedo in fondo.
James è in prima fila e mi fissa per qualche secondo, ma poi distoglie lo sguardo ed inizia a parlare con il suo compagno di banco. Ignorandomi come ha fatto dal quel giorno.
La professoressa Evans entra in classe ed inizia a spiegare la lezione del giorno. Non la ascolto, mi limito solo a scarabocchiare sul mio quaderno.
Ogni tanto sento lo sguardo di qualcuno su di me e qualche bisbiglio sommesso, la parola sfigata esce dalle loro bocche come veleno.
La campanella suona prima di quanto mi aspettassi ed è un sollievo. Temporeggio nel mettere le mie cose nella cartella, così potrò uscire per ultima. James mi lancia un'occhiata, è in piedi sulla soglia della classe, sembra quasi intenzionato ad aspettarmi ma poi si volta e raggiunge i suoi amici.
Esco anch'io dalla stanza e decido di tornare a casa a piedi, non ho voglia di stare in mezzo agli altri ragazzi.

*

Il primo mese di scuola passa troppo lentamente, ogni giornata è un incubo.
Ricevo insulti e scherzi di ogni genere ma non mi importa di niente, l'importante è vederlo il meno possibile. Ogni volta che entra nel mio campo visivo, scene di quella sera mi travolgono come un fiume in piena. È doloroso, sento lo stomaco contorcersi su se stesso, la bile risalirmi in gola, gli occhi mi si offuscano e il mio corpo è percorso da brividi e spasmi.
Ma il momento peggiore della giornata è la notte, neanche quando dormo ho pace. È un susseguirsi di immagini strazianti, un incubo. Prima ci sono io che ballo con Michael alla festa di fine anno, poi io e lui usciamo dalla casa casa del suo amico Peter. Ed infine c'è lui che mi trascina in macchina; all'inizio è piacevole ma quando lui cerca di spogliarmi ed io lo respingo, si trasforma tutto in un incubo. Le sue mani mi sfilano la gonna ed in un attimo è dentro di me. Inizio ad urlare, ma nessuno può sentirmi. Lui mi mette una mano davanti alla bocca e spinge con forza. È doloroso e neanche le mie lacrime lo fermano.
Mi sveglio sempre urlando e poi inizio a piangere. Ogni notte questo torna a tormentarmi. E fa male.
Nessuno sa di quello che ha fatto Michael Fassbender.

*

Un pomeriggio di maggio trovo James davanti a casa mia. I miei genitori non ci sono e lui sembra aspettare me. Il mio ex migliore amico mi fissa con i suoi occhi color cielo. Mi ferisce il suo sguardo, mi ferisce il fatto che sia qui. Mi ha ignorata per tutto questo tempo, non so se riuscirò mai a perdonarlo, ma soprattutto non so se lui ha perdonato me.
"Cosa vuoi?" Gli sussurro quando sono a pochi passi da lui.
"Parlarti." Risponde semplicemente guardandomi negli occhi, mi mette in soggezione. Sento i suoi pensieri crudeli nei miei confronti, anche lui mi giudica senza sapere la verità.
"Non ho niente da dirti, James. Vattene." Sibilo, vorrei urlargli contro tutto l'odio che provo per lui ma non lo faccio.
Lo sorpasso e tiro fuori le chiavi di casa dalla tasca dello zaino.
Si mette davanti a me e dice: "Ti prego, ascoltami."
Lo fisso negli occhi per qualche secondo, poi annuisco ed apro la porta.
Lui entra subito dopo di me.
"Ecco, ti do due minuti e poi vattene." Nella mia voce c'è freddezza, vorrei dirgli tutto quello che ho provato in questi lunghissimi 86 giorni.
"Volevo chiederti scusa per averti ignorato per tutto questo tempo, so che non mi merito il tuo perdono. Dimmi solo cosa è successo la sera della festa a casa di Peter, sei cambiata da quel giorno, poi me ne andrò." Sussurra, ha le lacrime agli occhi e non mi è mai sembrato così sincero ma una voce nella mia testa mi dice di non fidarmi, mi ha tradito una volta e sono sicura che lo farà ancora.
"Vorrei tanto dirtelo ma non mi fido più di te, non dopo che mi hai abbandonata nel momento in cui avrei avuto più bisogno di te." Le lacrime scendono copiosamente anche dai miei occhi.
James è stato un amico perfetto, sincero e leale ma ha preferito abbandonarmi perché avrebbero etichettato anche lui come uno sfigato. E questo fa male perché avrebbe dovuto supportarmi e non sostituirmi alla prima occasione.
"Perché hai chiamato la polizia? Quella sera hanno arrestato un sacco di ragazzi." Mi chiede.
Chiamare la polizia quella sera sarebbe dovuta essere la mia salvezza, avrei potuto dire quello che mi aveva fatto Michael ma sono scappata, non ce la facevo a stare lì un secondo di più.
Hanno arrestato dei ragazzi e da allora ricevo insulti perché mi ritengono responsabile di quello che è successo. Se solo sapessero.
"Non capiresti." Singhiozzo. Poi lo spingo verso la porta, sono arrabbiata. "Vattene adesso, perché ti sei presentato dopo avermi ignorato per tutto questo tempo? Vattene."
Il sangue mi ribolle nelle vene e le lacrime mi rigano calde le guance.
"Amanda, so di aver sbagliato e mi pento ogni giorno di quello che ti ho fatto. Sarei dovuto stare accanto a te invece che voltarti le spalle come hanno fatto gli altri." Abbassa gli occhi e si avvicina alla porta.
All'improvviso sento la voglia di buttare fuori tutto.
"Aspetta!" Gli dico e lui si volta di scatto. "Ho chiamato la polizia perché..." La mia voce si incrina, sento la sicurezza scemare via velocemente.
"Dimmelo, per favore. Potrebbe aiutarti. Non tenere tutto dentro." Sussurra dolce e mi rivolge un'occhiata che mi scalda debolmente il cuore.
"Un ragazzo mi ha..." Esito, sento le parola che vorrei dire sulla punta della lingua ma fa ancora fatica ad uscire. "...stuprata."
Chiudo gli occhi e cado in ginocchio sul pavimento freddo di legno.
Le lacrime scendono convulsamente e sento la testa scoppiare. Fa così male dirlo ad alta voce ma non ce la facevo più a tenermi tutto dentro.
James s'inginocchia accanto al mio corpo e mi appoggia un braccio sulle spalle.
"Ne hai parlato con qualcuno?" Mi stringe al suo petto ed io nego con la testa.
"È terribile, Amanda. Perché non me lo hai detto prima? Avresti dovuto almeno parlarne con i tuoi genitori." Mi lascia un bacio sui capelli e poi mi prende il viso tra le mani.
"Chi è stato?" Mi chiede preoccupato. Dai suoi occhi capisco che non mi sta giudicando, per la prima volta dopo mesi rivedo in lui il mio migliore amico.
"Michael Fassbender." Sussurro e poi abbasso gli occhi. È suo amico, me lo ha presentato lui quella sera.
"Mi dispiace, non pensavo che potesse farti una cosa del genere." Mi stringe a lui e ci lasciamo andare in un pianto consolatorio.
È un piccolo passo, ma sento che se condividerò con gli altri il mio dolore forse lentamente potrà affievolirsi.
Rimaniamo in quella posizione per più di mezz'ora, poi i miei genitori tornano a casa.
Gli racconto dello stupro, tra i singhiozzi di mia madre e lo sguardo preoccupato di mio padre. James rimane accanto a me per tutto il tempo, stringendomi dolcemente la mano.

Il giorno dopo, mi sento un po' meglio. Non sono guarita del tutto, per quello ci vorrà ancora molto tempo ma so che con accanto la mia famiglia, James e gli aiuti adeguati sarà più semplice. Rinascerò dalle mie ceneri e Michael sarà solo un brutto ricordo.

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