Epilogo
La stanza era illuminata solo dalla flebile luce di alcune candele, poste ordinatamente sulla scrivania di legno massiccio, sulla quale erano poggiate due foto e il contenitore per l'inchiostro, usato per intingere uno di quei pennini fatti con le piume d'oca.
L'uomo guardava le lettere che aveva davanti, tutte scritte dalla stessa persona e in lingua tedesca, o meglio, in dialetto viennese.
La carta portava il suo indimenticabile e intenso profumo.
Il silenzio era disturbato solo dal frusciare della carta, dal russare dell'Angora Turco che dormiva beatamente sulla poltrona poco in avanti e da dei passi. Leggeri passi di una persona che portava dei tacchi bassi.
«(NM), eh? Chissà perché mi aspettavo che scegliessi proprio questo nome.» disse, rivolgendosi alla bella donna che fece capolino dalla porta.
Magdalena Gruber entrò nella stanza e si diresse saltellante verso la poltrona dell'uomo, sedendosi poi sulle sua gambe in un gesto dolce.
«Il solito stupido. Lo sai che l'ho sempre amato, mica sono stata condizionata da te!» gli disse, mettendo il broncio.
Lui le accarezzò i capelli (CC), quella volta sciolti, e le sorrise. Liquidò la questione con un "Certo, certo", quasi a prenderla in giro la piccola Magdalena. Lei lasciò cadere la testa sulla sua spalla, lasciandosi andare in un momento di dolcezza.
Suo marito era morto. Le dispiacque, certo, ma d'altro canto era libera di vivere la sua vita nella sua Vienna.
Era libera.
Si sentiva come se finalmente potesse respirare dopo anni.
«La prima volta che la vidi aveva tre anni, dubito che si ricordi di me. Eravate venute a Vienna per una vacanza, no? Peccato fosse l'ultima volta.» disse l'uomo, accarezzando la testa dell'amante, la quale si stava godendo ogni secondo.
Erano passati anni, da quando aveva preso le coccole in quel modo. Erano passati anni da quando qualcuno l'aveva coccolata, in realtà, perché il marito queste attenzioni non pensava neanche di dargliele.
«Ora sono qui, no? È questo che conta.» disse, in un momento di pura beatitudine.
Dire che non si stava godendo a pieno quella situazione era una bugia. Era il suo sogno nel cassetto, stare con lui, nonostante all'inizio non lo cercò. Credeva si fosse rifatto una vita e, a dirla tutta, lo sperava, perché voleva solamente che fosse felice.
«Andremo a prenderla? Intendo, secondo te è la cosa giusta.» chiese l'uomo, continuando ad accarezzare il capo dell'amata.
Lei era sul punto di addormentarsi, di assopirsi tra le due braccia, quindi più di un sussurro non poté dire.
Amava quel momento, tanto che voleva durasse in eterno, ma ovviamente il tempo scorreva e non c'era modo di fare nulla contro il muoversi delle lancette.
«Secondo me sì. Dovrebbe conoscere di più sulle sue origini, sulla nostra Austria, anche perché più della lingua non le ho potuto insegnare.»
•••
26 Settembre.
Probabilmente Vanitas avrebbe segnato quella data sul calendario, aveva sempre fatto una gran confusione con le date e o compleanni, ma quello era l'ultimo dei suoi problemi in quel momento.
Stava andando in iperventilazione, quella sera, tanto che fu obbligato ad appoggiarsi alla finestra e fare respiri profondi. Lui non perdeva la calma, ma avrebbe fatto volentieri un'eccezione quella sera, date le urla disumane che provenivano dalla stanza davanti a lui.
Iniziava a credere che stessero scuoiando un gatto, anziché far nascere un bambino.
Era sentendo quelle grida che si rese conto di che fortuna colossale aveva avuto nascendo maschio. Lui non sopportava molto il dolore, quel pezzo di carne in più tra le gambe era una benedizione.
Il tempo sembrava non passare più e si ritrovò a guardare sempre l'orologio da taschino che aveva -per l'appunto- in tasca.
Venne riportato alla realtà da una domestica, che uscì dalla porta con in mano un qualcosa avvolto dalle coperte.
«La signora sta riposando.» disse porgendoglielo. «É un maschio.» aggiunse velocemente.
E a Vanitas si illuminarono gli occhi, guardando suo figlio tra le sue braccia. Era così piccolo e fragile, sembrava potersi rompere con un nonnulla.
Il Duca non seppe cosa dire, in preda all'emozione, se non una parola.
«Viktor.»
-•-•-•-•
Questo era l'epilogo.
Non so quando -se mi sbrigo domani- esce il secondo libro.
Vorrei ringraziare tutti coloro che sono giunti fin qui e che mi hanno sostenuta con voti e commenti, che mi hanno spronata a scrivere, anche perché senza di voi avrei cancellato la storia a capitolo tre lol.
Vi ringrazio davvero e vi lascio con una domanda. Secondo voi, cosa succederà nel prossimo libro?
Come al solito, vi chiedo di lasciare un parere sul capitolo -in realtà epilogo, ma vebbe'- e sulla storia in generale, che ci tengo davvero tanto.
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