Racconto breve - genere horror

«Nutrimi.»

Sara si svegliò in un bagno di sudore. Le mancava l'aria, la camicia da notte era un tutt'uno con la pelle. Un senso di vertigine l'avvolse. Cercò con la mano l'uomo che giaceva al suo fianco, lo sguardo fisso sulle assi del soffitto. Udì un passo, poi un altro. Sopra la sua testa una trave si curvò appena. Del pulviscolo scivolò tra le fessure e lo vide danzare nella luce artificiale che filtrava dalla finestra.

Un sussurro roco tornò a turbare il silenzio della casa.

«Ho fame, nutrimi.»

Sara deglutì, non riusciva a staccare gli occhi dal tetto. Serrò le dita sulla spalla dell'uomo e lo scosse. «Marco. Marco, svegliati, ti prego.»

«Uhm? Che succede?»

«C'è qualcuno in soffitta.»

Marco si stropicciò gli occhi e li volse alla sveglia sul comodino. Sbadigliò stirandosi la schiena, poi tirò su i boxer mezzi calati. «Non c'è nessuno in soffitta. Torna a dormire, è notte fonda.»

«Ti dico che ho sentito qualcosa. Vai a controllare!»

L'uomo si girò su un fianco dandole le spalle. «Sarà un topo. Controllerò domani.»

La donna fremette. Conosceva Marco da meno di un mese, era più giovane di lei e aveva l'aria del classico bravo ragazzo un po' ingenuo. Lo aveva puntato proprio per questo. L'ingenuità porta a fidarsi, a non fare domande. Lo abbracciò da dietro e sperò di convincerlo, non poteva trascinarlo lassù con la forza.

«Ti prego, devi dare solo un'occhiata veloce. Ho paura, sto tremando.»

Marco sbuffò, si mise a sedere, e la guardò con occhi ancora socchiusi dal sonno. I ricci neri gli scivolavano sulle spalle come spirali di seta.

«E va bene.»

Lo vide sparire oltre la porta e rimase in silenzio, in attesa. Ascoltò il rumore di passi lungo il corridoio, sulle scale, fino alla soffitta.

La voce impastata di Marco le fece sollevare lo sguardo sulle travi.

«Dev'essersi rotta la lampadina. L'interruttore non...»

Sara strinse le ginocchia al petto. Udì un verso animalesco che si mescolò all'urlo di terrore dell'uomo. Ci fu un tonfo, le assi vibrarono. Altra polvere precipitò dal soffitto insieme a un liquido denso e scuro. Aprì un palmo e ne raccolse una goccia, lacrime amare le scivolavano sulle guance. Percepì l'ultimo spasmo di vita di Marco: una richiesta d'aiuto soffocata dallo stesso sangue che adesso colava come pioggia sul letto.

Un conato di vomito le salì in gola. Fino a pochi mesi prima avrebbe urlato, sarebbe svenuta, ma ormai aveva imparato a controllarsi. La stessa scena si ripeteva più volte l'anno con soggetti diversi. Luigi, Emanuele, Carlo. Gli uomini che erano saliti in soffitta erano stati così tanti che aveva perso il conto, ma non riusciva a dimenticarli. Sentiva i loro sguardi accusatori addosso, come se non l'avessero mai lasciata. Come se fossero rimasti imprigionati in quella casa, dove il male si espandeva inesorabile dalle pareti ai mobili, rendendoli vecchi, ammuffiti.

Un nuovo sussurro le riempì la testa.

«Madre, liberami.»

Sara si tappò la bocca con una mano per soffocare i singhiozzi, l'altra accarezzava il ventre. Non era colpa sua. Lei voleva solo un figlio. Lo aveva chiesto a Dio pregando ogni ora del giorno e della notte. Non poteva sapere che avrebbe risposto il diavolo.

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