chapter 88

Interrogazione parte due

Matteo

Come il mio scagnozzo ha parlato? com’è possibile? Ora mi tocca dire tutto. Ormai sono con le mani legate, non posso fare altro che parlare. Non è giusto, ho sognato una vita col lusso e invece ora mi tocca stare in carcere perché non ho altra scelta.

Così rassegnato e con i pugni chiusi, racconto tutto. Purtroppo non sono riuscito nel mio intento di tenermi tutto e riuscire a scappare da qui. Leggo negli occhi del tenente gioia e rivincita nei miei confronti. Vorrei fargli eliminare quel sorrisino dal viso, ma non posso farlo, ormai ha vinto lui mentre io ho perso.

Inizio a dirgli tutto, da come ho iniziato la mia carriera da malvivente sino a oggi. Il bastardo mi guarda con i pugni serrati, si vede che è arrabbiato e che mi vorrebbe spaccare la faccia; ma non può farlo perché la sua stupida legge non glielo permette. Io abbozzo un sorriso nervoso, però capisco che sono ormai nei casini.

Concludo il mio racconto, dicendo che i crimini da me commessi, sono frutto della mia pazzia e del fatto che non me ne pento affatto. Lui mi guarda male, come se mi volesse uccidere seduta stante. Sorrido compiaciuto. Almeno mi sono tolto la soddisfazione di sbeffeggiarlo con le mie parole taglienti. Dopo aver confessato, il mio interlocutore chiama un suo collega, che in meno di cinque minuti è dentro.

Mi ammanetta e mi porta fuori. Mi avvisa sin da subito che verrò portato in isolamento, come anche il mio scagnozzo. I crimini sono troppo cruenti per essere inseriti con gli altri carcerati. A me poco importa, perché tanto solo ero prima e solo rimarrò anche ora. Mi porta alla macchina, abbasso lo sguardo dalla vergogna quando vedo i giornalisti che cercano di  accaparrarsi le notizie più succulente.

Per mia fortuna, il carabiniere li allontana dicendo che non ha niente da dichiarare. Delusi, vanno via lasciandoci finalmente respirare. Salgo nell'autovettura e vengo portato in carcere. Una volta dentro, una guardia mi fruga tra nei vestiti come se volesse cercare qualcosa di compromettente per me.

Sbuffa quando nota che non ho niente né nelle tasche del pantalone e né in quello del giubbotto. Quando vengo trascinato dentro, i carcerati iniziano a urlarmi delle parole veramente brutte, come se fossi l'orco del momento.

Ora capisco il perché dell’isolamento: se fossi stato con loro, sarei morto quasi subito. Certo, qualcuno ne sarebbe stato felice, ma io no. Amo troppo la vita e di certo non mi farò ammazzare da loro. Del mio scagnozzo non so più niente, se non il fatto che pure lui è in isolamento quanto me.

A me poco importa, perché è soltanto un lurido traditore. Ed ecco, sono arrivato alla mia cella. È piccola, ha un letto e un lavandino. È poco confortevole, ma stranamente mi piace. Sono un duro e quindi non mi spaventa tutto ciò. <<Ti porterò il cibo a mezzogiorno, e alle diciannove. Chiaro?>> mi chiede la guardia prima di andare via.

Non riesco neanche a dire di si, che mi ha già chiuso lì. Sono solo, avrò tempo per ragionare e forse non capirò i miei errori. Non so se ci riuscirò, ma vorrei tanto provarci. I giorni trascorrono molto lentamente. L’unica cosa che posso fare è lavarmi, vestirmi.

Non vedo mai nessuno, o meglio, solo la guardia che mi porta il pranzo e la cena. Ho perso la cognizione del tempo. Non so l'ora e che giorno sia. Però resisto, perché se cedo sono perduto. Vorrei tanto fumare, mi manca molto, ma non posso fare niente devo stare qui dentro senza poter fare nulla.

Dopo lunghe settimane, capisco che ho commesso tantissimi errori, non so che mi prenda, ma ho come una gran voglia di cambiare il mio modo di essere. Forse è grazie al libro di religione che mi sono fatto dare dalla guardia e che leggo tutti i giorni senza sosta.

Forse riuscirò a cambiare, non del tutto. Avrò bisogno di tempo e costanza, ma penso proprio che dentro di me avrò una mutazione. Credo finalmente che diventerò una persona migliore. Decido persino di scrivere una lettera alla famiglia di Violeta: non per chiedere scusa, perché non ho scusanti, ma perché sento il bisogno di far capire loro che ho capito i miei sbagli e che prometto che non li disturberò più.

Il giorno dopo, chiedo alla guardia carta e penna, che mi viene date dopo cinque minuti. Una volta avuto l'occorrente, mi siedo e cerco di riordinare le idee. Chiudo gli occhi e penso a tutte le cattiverie che ho commesso e le parole escono come niente:

~Cara Violeta e famiglia,
strano che vi scriva, dopo tutto il danno che vi ho recato. Non voglio le vostre scuse no, perché non le merito, ma vorrei dirvi che non vi disturberò più, perché ho trovato la mia vocazione.

Non so dirvi bene il perché di tutto ciò, ma penso che il carcere sia un posto dove si ragiona e si comprendono gli errori commessi. Sapete, penso che voglia fare del bene, quando uscirò da qui se mai mi accadrà una cosa del genere.

Ma che dico? Non lo so neppure io, ma una cosa la so: è il mio cuore a parlare e non la mia testa. No, non vi chiederò scusa, perché non è giusto, ma vi dico che spero che il mio confessare e la voglia di stare qui bastino a pulirmi la coscienza. Strano che io parli, così vero?

Eppure sono sempre io che cerco in qualche modo di migliorarmi. Come farò non lo so, non mi è ben chiaro ancora, ma penso che ci riuscirò. Sapete? Ho capito che scrivervi mi fa stare meglio, perché così esce tutto il dolore che ho dentro di me.

Potete anche non leggerla questa lettera, e vi comprenderò se la distruggerete. Io però, spero che non lo farete e che magari tutti insieme starete lì ad aprirla e cerchiate di comprendere le mie parole. Sapete? Io sono una persona malvagia, senza cuore e me ne rendo conto. Si, lo so da sempre che ho questo lato oscuro che non riesco a cancellare.

Ho provato a cambiare ma inutilmente, si si ho davvero cercato ma a quanto pare non è possibile per me trovare la luce in fondo al tunnel. Almeno così credevo. Invece, non so come, ci sto riuscendo.

Cosa vi chiedo? Niente, perché non merito niente. Ma una cosa si, vo le chiedo: vorrei tanto che vi dimenticaste di me;  non credo che rimarrò nei vostri pensieri per sempre.

Credo che voi serberete rancore nei miei confronti. Forse ho detto anche troppo. Non voglio annoiarvi e quindi concludo qui la mia lettera. Vi saluto con la speranza di non vedervi mai più e non sentire i vostri nomi per molto tempo. Addio, Matteo.~

Conclusa, la piego senza nemmeno rileggerla. Attendo la guardia per dargliela e poi finalmente potrò vivere serenamente. L'ora di cena arriva molto velocemente.

Finalmente prendo in mano la carta e la consegno alla guardia. <<Ehi, tu! Potresti darla a Violeta e famiglia?>> chiedo indispettito. <<Si, certo lo farò domani stesso. Ho una notizia da darle. Ha presente Samuele? Beh, stamattina un mio collega è andato per dargli il pranzo. Non ricevendo risposta è entrato nella cella. L'ha trovato morto.>> a quelle parole rimango di sasso. Evidentemente la prigione l'ha reso un debole.

Lo ringrazio della notizia e poi rimango solo. Ceno e poi mi metto nel letto. Penso a mister X e alla sua sfacciataggine, al suo essere arrogante con tutti. Ora invece è lassù nel cielo, mentre io sono qui e per un strano destino, la vita mi deve serbare qualcosa di particolare anche se non so cosa. Questa notte le lacrime mi rigano il viso e, per uno strano motivo mi sento solo, triste e abbattuto.

Forse finalmente troverò me stesso e spero che un domani potrò riscoprire la mia vera natura. Istintivamente scendo dal letto, metto le mani incrociate guardo in alto, come se potessi vedere il cielo; sempre piangendo mi metto a pregare, come se volessi chiedere aiuto a qualcuno ma non so bene a chi.

D’improvviso vedo una luce: intravedo un volto, è quello di mia madre. È felice, serena e sembra che in pace con se stessa. Non mi parla, mi sfiora solo la guancia. Un brivido percorre tutto il corpo. Lei, mi sorride per poi sparire, lasciandomi solo. Sono triste e malinconico, non credevo che mi sarebbe mancata così tanto.

Certo, non posso cambiare da oggi al domani, ma sono sicuro che se ci metto la buona volontà posso fare qualcosa di buono per me stesso.  Forse ritroverò la pace e la serenità nel cuore. Mentre sono ancora inginocchiato, penso a Violeta e a quando aprirà la lettera. La leggerà? Oppure la butterà?

Qualunque cosa farà, spero solo che si farà una sua vita e che possa essere felice. Io non lo sarò mai, ma almeno ne sono consapevole. Con questo triste pensiero riesco ad addormentarmi, rannicchiato nel pavimento  duro e freddo di una cella buia e molto cupa. La mattina mi sveglio più sereno, con la consapevolezza che qui dentro ci sto bene e che forse dovrei rimanerci per sempre.

Dedico questo capitolo a : Stef_98_Ania, BeCkM2000, rossomando(grazie per la lettura e i commenti) uomoindivenire e Follia1303 a vuoi tutti grazie infinite.















































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