chapter 35
Violeta
-Non venire, non venire!- È il mio pensiero fisso da quando Matteo ha telefonato a mamma per trarla in una trappola ben congeniata. Sì, perché quel lurido verme schifoso, vuole rovinare anche la vita di mia mamma; vuole guardarla in faccia mentre tortura me: lui mi considera il suo giocattolo preferito, il suo chiodo fisso, fin da quando mi ha conosciuto in quella dannata discoteca.
Se conosco mamma, sono sicura che verrà subito, lei con le mani in mano non sa stare ma io prego che non venga, starei male se vedesse questo scempio. Sono agitata mentre osservo il mio aguzzino. Noto che è nervoso, che passeggia per tutta la stanza arrabbiato e frustrato.
Ogni tanto accarezza il viso di Nicola con un sorriso beffardo, vorrei tanto scacciarlo via e urlargli contro, ma le parole non mi escono dalla bocca perché sono molto angosciata e ho molta paura di lui. Il cuore mi batte a mille vederlo così calma, perché non lascia presagire niente di buono. Sicuramente sta escogitando qualcosa di terribile, di inquietante e di malvagio, e il non sapere nulla mi fa solo male, anche con il suo silenzio mi tortura fino al midollo. Mentre lo guardo camminare, ritorno con la mente al primo pomeriggio.
Ho finito di lavorare, e avviso mia sorella che devo andare da mio figlio e rimanere a cenare da lui. Lei accetta e mi riferisce che resterà al bar perché non ha voglia di tornare a casa. Si sente triste e stanca, ha bisogno di rimanere sola con se stessa. Sono preoccupata per lei, quasi quasi sto per restare con lei, ma poi penso a Nicola: rimarrebbe deluso se non andassi, così saluto Hiristina e mi dirigo a casa della famiglia che lo tiene ospite. Appena arrivo, Nicola mi viene incontro correndo di gioia e abbracciandomi, rimaniamo così per un po', poi entriamo allegramente a casa, tenendoci per mano.
Ad attenderci c'è Giuseppe: vedendoco così uniti ci sorride senza proferir una parola. Una volta soli, mio figlio mi chiede di dargli una mano con i compiti: sì non sono come quelli scolastici, ma alla scuola materna gli hanno insegnato le tabelline, nuove canzoncine e anche qualche nozione di scrittura molto semplice.
Scopro con gioia che amo stare con Nicola: è intelligente, simpatico e molto dolce. Mi abbraccia, mi coccola e quando nota che sono un po' giù di morale mi stringe forte la mano. Capisco che ho bisogno di lui, più di ogni altra cosa al mondo. Senza di lui sono niente, ma con lui sono me stessa.
Sorrido, perché invece di essere io a tenerlo stretto a me, è lui a stringere forte me. Il nostro è un gioco di sguardi che nasconde un mondo meraviglioso tra madre e figlio. A distoglierci dal nostro scambio di sguardi, è Giuseppe: <<Vado al bar, ma torno tra cinque minuti!>> Ci dice in tono distaccato. Ecco ora siamo completamente soli: lui ed io. È la prima volta che succede. Per non perdere tempo prezioso, decido insieme a lui di preparare la pizza. Sono felice, ho il cuore sollevato nel vedere Nicola che partecipa e pasticcia insieme a me.
Iniziamo prima a impastare, ma ben presto finiamo col giocare a lanciarci la farina addosso, e per un po' ritorno bambina insieme a lui: è una cosa bella e mi piace molto giocare con lui. A volte bisogna ridiventare un po' bambini per riscoprire come siamo fatti. Ben presto siamo bianchi e sporchi, ma non ce ne importa perché dopo tanto tempo abbiamo fatto qualcosa insieme, che ci ha uniti e legati ancora di più.
Stanchi, ci sediamo sul divano, ma non facciamo in tempo a rilassarci perché sentiamo il campanello. Seccata vado a vedere chi è: noto che è Matteo. -Che ci fa qua?- Sbuffo, faccio cenno a mio figlio di nascondersi, lui mi guardo interrogativo ma obbedisce alle mie parole. Una volta accertatemi che è al sicuro, apro.
Lui entra, infuriato, e mi dà uno schiaffo . Mi prende in braccio e mi trascina in una sedia legandomi e sputandomi in faccia. <<Puttana! Allora proprio non vuoi comprendere! Tu con quel deficiente di Gioele non dovevi uscire! Adesso mi costringi a farti più male. Ehi, tu, bamboccio, esci fuori da lì!>> Grida, rivolgendosi a mio figlio. Non posso fare nulla e dire nulla.
Nicola esce dal nascondiglio, guarda me e poi lui, spaventato e sconvolto in faccia. Cerca di raggiungermi ma viene fermato da Matteo che lo blocca e gli da un calcio nello stomaco, facendolo cadere per terra. <<L...lascialo s...stare ti prego, lui non c'entra niente!>> Dico pregando che mi dia retta. Lui si volta verso di me, <<Tu preghi me! No no, non funziona così bambolina mia! Ora telefona a tua mamma! Voglio vedere la sua faccia quando ti torturo davanti a lei!>> Mi dice avvicinandosi e accarezzandomi il viso, facendomi tremare. Rifiuto, ma in tono flebile e alla fine faccio come mi ha ordinato di fare. Così le telefono, le chiedo aiuto; lui mi strappa il telefono dalle mani e manda un messaggio a mia sorella, dicendomi con un sorriso agghiacciante che avrà davanti tutta la famiglia al completo.
A distogliermi dai miei pensieri è il pianto molto intenso di mio figlio, mi si stringe il cuore, perché non posso fare nulla per lui; sono bloccata, ho paura, e mi sento una codarda. Vedo lui che lo riprende per i capelli e poi lo zittisce, scocciato. A quella scena urlo: <<Basta! È solo un bambino!>> Lui si gira verso di me e mi dice: <<Non importa un cazzo! Deve stare zitto! E che facciano in fretta la tua mammina e la tua cara sorellina! Trepido dalla voglia di divertirmi con te davanti a loro! Voglio leggere il terrore nei loro vol...>> Si interrompe perché sentiamo qualcuno entrare e raggiungere la cucina dove siamo noi.
Ci giriamo ed è Giuseppe impaurito a causa di quello che vede succedere. Sta per parlare ma Matteo lo zittisce immediatamente e lo obbliga a sedersi. Noi ci guardiamo in faccia: ma non posso spiegargli nulla, possiamo solo sperare che qualcuno venga a salvarci da questa situazione. Non temo per me, ma per mio figlio: il mio piccolino è più forte di quanto io pensassi, pissiede una freddezza che mi colpisce e ogni volta è una nuova scoperta.
Matteo ci osserva impaziente: so che aspetta con ansia l'arrivo mia sorella e mia madre. Nel mio cuore nutro ancora una debole speranza che non vengano, ma purtroppo anche quella svanisce nel momento esatto in cui sento la porta aprirsi di botto. Un sorriso trionfante illumina il mio viso: a entrare è Gioele, con Hiristina e mia madre. Matteo è furioso, non si aspettava l'arrivo del carabiniere. <<Tu, merdoso, che ci fai qui?>> Gioele non lo degna di uno sguardo: <<Sei in arresto!>> Lo dice con tono rabbioso, ma non fa in tempo a tirare fuori le manette, perché Matteo gli da' un pugno sullo stomaco per poi dire: <<Avete vinto una battaglia ma non la guerra! Ci vediamo presto>> Dice per poi sparire nel buio. L'incubo per ora è finito, ma so che tornerà presto, molto presto. Una volta liberati dalla dua presenza, mamma mi scioglie e mi abbraccia forte forte. Anche Hiristina si avvicina e mi abbraccia: in quel loro abbraccio mi rendo conto di tutta la tensione ed apprensione che hanno accumulato per amor mio.
Mi sfogo con un pianto liberatorio, poi mi stacco e corro da mio figlio, che mi dice: <<Mamma ho avuto tanta pura! Non per me ma per te!>> Rimango sbalordita dalla sue parole, lui ha pensato a me come io ho pensato a lui. È in quel preciso momento che comprendo quanto paura ho avuto di perderlo. Vedermeli lì accanto mi rasserena, anche se sono consapevole che sarà sempre in pericolo. Dovrò stargli più vicino e proteggerlo ad ogni costo.
Giuseppe non si capacita di quello che è successo, ma comunque è gentile con noi: ci offre qualcosa da bere e si preoccupa di vedere come sta il nostro salvatore. Con tutta questa confusione mi sono dimenticata di Gioele, che ogni tanto mi osserva come a chiedermi se sto bene. <<Per fortuna che l'ho avvisato! È venuto di corsa, grazie Gioele.>> Dice Hiristina sopraffatta dell'emozione. Gioele risponde.in modo sbrigativo ma conciso: <<E meno male, ma adesso stiamo in guardia tutti! E voi confidatevi con vostro padre!>> Ha ragione, ora però bisogna andare a casa, saluto mio figlio, promettendogli che tornerò presto a trovarlo. Lui è triste e sconsolato, ma crede alla mia promessa. Mi dà un bacio fugace sulla guancia e poi va verso Giuseppe.
Li osservo per un attimo e noto quanto sia affettuoso lui con mio figlio, ne sono felice e estasiata. Una volta salutato e ringraziato Gioele per l'aiuto, torniamo a casa, sfinite. <<Mamma! Dobbiamo dire tutto a papà! Non possiamo fare tutto da sole, abbiamo bisogno anche di lui!>> Lei si gira verso di me, felice: forse si aspettava questa mia presa di posizione, <<Sono d'accordo con te>> dice sollevata. Una volta arrivate, ci accorgiamo che papà è fuori di casa e ha un espressione preoccupata. <<Dove siete state? Ero in ansia per voi! Avete idea di come mi sono sentito quando non vi ho visto nei vostri letti?>> Noi abbiamo lo sguardo abbassato e ci sentiamo in colpa per lui. <<Entriamo e poi ti raccontiamo tutto!>> Dice mamma, guardandolo dritto negli occhi. Una volta in cucina, papà attende con ansia la nostra storia. Gli diciamo tutto senza omettere alcunché.
Una volta conclusa la nostra narrazione, papà si mette le mani in faccia e piange: è un pianto ansioso, disperato, di un uomo che non trova una via d'uscita. Non ci diciamo nulla, ma rimaniamo lì insieme, a stringerci la mano, consapevoli che siamo ora tutti coinvolti. Ma adesso c'è anche lui, papà, l'uomo della famiglia: lui ci aiuterà, non siamo più sole, perché adesso ci unisce un legame forte e indistruttibile. Quella notte decidemmo di dormire tutti nello stesso lettone a parve che le nostre anime si fossero unite, quasi a formare un tutt'uno. E forse proprio per quello mia madre, quella notte non ebbe nessun incubo.
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