CAPITOLO 96

Nuova clausola

Matthew

Susan ha chiamato, e Jenny è uscita dalla porta. So che si sentono ogni giorno, si raccontano quello che devono fare, condividono ricordi e a volte piangono insieme. E anche se non dovrei ascoltare, che dovrei lasciargli i suoi spazi, quando passo davanti alla biblioteca non posso fare a meno di fermarmi ad ascoltare i suoi singhiozzi, o il suo tono sommesso mentre si trattiene. Il mio cuore in quei momenti si spezza, anche se poi lei esce dalla stanza con un sorriso, e con il viso privo di rossore e di lacrime.

Il notaio si schiarisce la voce, attirando la mia attenzione ancora distratta dalla porta appena chiusa alle mie spalle.

«Inizi pure», mormoro anche se l'unica cosa che vorrei fare è uscire da questa stanza, prendere Jennifer e scappare via.

Lui annuisce e mettendosi gli occhiali apre con attenzione la busta sigillata, per poi posare gli occhi su di me, mentre un plico di diverse pagine ondeggia nelle sue mani.

«Suo zio, mi ha fatto scrivere, che esattamente dopo sei mesi dal matrimonio, io gli avrei riferito l'ultima condizione, siamo un po' in ritardo, ma le condizioni non cambieranno».

Annuisco e mi passo una mano fra i capelli, mentre il cuore sembra esplodermi nel petto e le gambe tremare. Devo darmi una regolata.

«Essendo l'ultimo Dallas a parte suo cugino, che è uscito dal testamento dopo le recenti svolte, e visto che alla fine dell'anno possiederà completamente la Dallas Corporation, suo zio voleva essere sicuro che non sarebbe caduta in mani sbagliate, in caso di un suo decesso, ma ad un altro Dallas».

Non mi piace per niente la piega che sta prendendo questo discorso e il sangue nelle vene che prima inondava con una pressione esorbitante, ora sembra congelarsi, come se una bufera di neve mi avvolgesse nel suo abbraccio gelido.

«Suo zio desiderava un erede a cui donare la società da dirigere, quando lei non potrà più farlo, e appena sarà maggiorenne, riceverà cinque milioni di dollari più gli interessi, in questo momento depositati in un conto di suo zio».

Cosa?! Mi alzo in piedi strisciando la vecchia poltrona sul parquet scuro e inizio a fare avanti e indietro per la piccola stanza, mentre l'aria sembra improvvisamente mancarmi nei polmoni e la stanza già piccola stringersi ancora di più.

«È una pazzia, non può esserci davvero scritto questo, e se rifiuto?» lui solleva lo sguardo su di me, lo stesso di otto mesi fa, tra l'impaurito e il turbato.

«Beh, se rifiuta, come per la prima clausola i soldi verranno dati in beneficenza e la società verrà chiusa».

Mi ha fregato. Quello stronzo di mio zio mi ha fregato, ancora una volta. Anzi questa volta mi vuole proprio rovinare. Dovevo immaginarmelo che la cazzata di fare almeno un anno di matrimonio era tutto un suo piano, per fottermi alla fine.

Mi metto la testa fra le mani e trattengo un gemito di frustrazione, mentre l'ansia mi opprime il petto.

Non è il momento, non dopo tutto quello che ci è successo, non dopo quello che stiamo costruendo ora.

«Ci deve essere un modo, io non voglio un figlio, non ora almeno» borbotto con nervosismo, mentre la mia mente inizia a elaborare diverse strategie, tutte fallimentari.

«Non mi importa dei soldi, ma non può chiudermi la società da morto, ci lavorano migliaia di persone in tutto il fottuto mondo, non dovrebbe essere possibile».

Lui mi guarda, senza sapere cosa dire e io ritorno a sedermi sulla poltrona che scricchiola sotto al mio peso e sotto alla mia presa sulle maniglie.

«Suo zio ha voluto questo e se rifiuta, sono costretto a chiudere la società, so che è terribile, ma non si possono aggirare queste clausole».

È morto da quasi un anno e mi sta rovinando la vita, ancora una volta. Un figlio ora? L'idea mi sembra talmente estranea da sembrarmi solo un incubo.

«Quanto tempo? Immagino che come per il matrimonio, mio zio abbia imposto un lasso di tempo» sussurro e il mio tono scoraggiato non sembra far parte di me.

Davvero è questa l'unica via? E mentre la mia vita sembra sul punto di collassare, lui si concentra sul foglio davanti a sé, per poi passare a quello sotto, con la testa che si muove da sinistra a destra.

«Entro due anni dalla lettura dell'eredità, e le condizioni sono che entro due anni la consorte deve rimanere incinta. Solo in caso di complicazioni di tipo medico potrà essere sospesa questa clausola, ma solo con dei certificati medici firmati. Inoltre per essere valido deve essere ancora in corso il matrimonio, in caso di divorzio...lo sa già».

Realmente mio zio voleva farmi sposare con qualcuno che se non avessi rincontrato Jennifer, sarebbe stata una sconosciuta e anche farmi fare un figlio con questa ipotetica persona? E se fosse successo qualcosa, se il matrimonio non avesse funzionato? Tutte quelle persone si sarebbero trovate senza un lavoro, e una azienda quasi miliardaria e internazionale, completamente chiusa.

E se tutto questo fosse una prova? Una specie di problem solving da parte di mio zio. Lui era un criptico e amava i giochi di astuzia e riusciva sempre ad indovinare chi era l'assassino nei film gialli.

Forse pensava che sarebbe stato divertente per me uscire da questo dannato casino, mentre il mio mondo trema.

E poi l'illuminazione.

«A dicembre l'azienda sarà mia, ci sarà il mio nome e la mia firma su ogni foglio di proprietà. E se io passassi l'azienda a mia moglie? In quel caso sarebbe sua e non più mia, il suo nome non è citato nelle clausole perciò non è obbligata».

Il suo viso si scurisce mentre lui ci pensa su e si china a leggere il testamento. Resta in silenzio a leggere ogni foglio per attimi che mi sembrano infiniti, poi alla fine solleva lo sguardo su di me.

«Suo zio non dice niente in merito a questo, perciò sì, sarebbe fattibile, e la condizione non varrebbe più» sospiro di sollievo e torno a sedermi, con il cuore più leggero e le gambe che non tremano più.

«A dicembre farò così, e mia moglie non dovrà sapere nulla di questa storia, tutto rimarrà tra queste quattro mura», ci manca solo che dopo tutto quello che ha passato e che deve ancora metabolizzare, aggiunga anche questa idiozia ai suoi problemi.

Lui annuisce e si toglie gli occhiali appoggiandoli sopra alla scrivania, per poi stropicciarsi gli occhi con le mani chiuse in due pugni.

«Voglio solo dirle che suo zio non avrebbe voluto questo, quando è stato qua ha detto che aveva creato l'azienda per sé, ma che quando ha iniziato a prendersi cura di lei signore...ha detto che ha fatto tutto per lei, l'espandersi nel mondo, il cambiare la sua vita...solo per lei, per lasciare l'azienda nelle sue mani, e non gli piacerebbe sapere questa sua scelta».

Le sue parole hanno l'effetto di mille spilli affilati conficcati nel petto che poi sembrano viaggiare in ogni mia terminazione nervosa. Cazzo fa male. Anche perché so che è tutto vero, so che lui non vorrebbe questo, ma è l'unica via percorribile.

«Lo so, ne sono consapevole, ma al momento non posso fare altrimenti».

Si ritrova ad annuire e si rimette gli occhiali, facendoli scivolare sul suo naso.

Fa un lungo sospiro e mi sorride debolmente «allora aspetto per gennaio i documenti della sua rinuncia all'azienda e quelli firmati da sua moglie, così chiuderemo questa pratica».

Annuisco e sto per ringraziarlo, quando in quel momento Jennifer entra nella stanza.

«Tutto a posto?» chiede guardando me e poi il notaio con sguardo confuso e in cerca di risposte.

«Sì dovevo firmare solo dei documenti, nessuna sorpresa...» mento e poi mi alzo, raggiungendola e afferrandogli il braccio.

Com'è possibile che mi basta solo un suo tocco per tranquillizzare la tempesta che stava divampando in me?

***

Entrati in macchina non riesco a togliermi dalla testa quel dannato testamento, e quella clausola improponibile.

«Dimmi la verità, è successo qualcosa in quell'ufficio? Sei un po' pallido» domanda lei, e noto nei suoi occhi quella curiosità che molte volte si accende nei suoi occhi come un raggio di sole.

Cosa sarebbe successo se lei fosse rimasta, se non fosse uscita da quella stanza? Anche questo problema sarebbe caduto sulle sue spalle.

Gli accarezzo la gamba intrufolandomi sotto al suo vestito, pronto a marchiare la sua pelle con il mio tocco, ma lei me la toglie e ridacchia.

«Non distrarmi, sto guidando la tua Allie e non mi perdoneresti mai se gli facessi un graffio» ordina lei elettrizzata, ma con un tono sarcastico. Tutto sbagliato, riuscirei a perdonargli ogni cosa, anche uno sfregio sull'auto. Non me ne fregherebbe nulla.

«Sto bene piccola, ho solo bisogno di te» lei si volta e mi guarda incantata, arrossisce e poi torna a guardare davanti a sé, con un sorriso che gli illumina il viso.

Sento il mio cuore alleggerirsi mentre la guardoe la convinzione che tutto andrà per il meglio che si insinua nella mia mente. O almeno spero.

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