CAPITOLO 92
Non è un'addio
Jennifer
È passata una settimana. Una settimana in cui ho avuto paura anche a restare a casa. In cui i miei incubi erano talmente realistici da confondermi, e da farmi svegliare urlando, con il cuore in gola e con una sensazione di ansia nel petto.
E Gale che resta nella stanza degli ospiti per tenermi sotto controllo, anche contro il mio giudizio, ogni notte si mette a bussare alla porta chiedendomi se sto bene, prima di tornare a dormire.
Poi la mattina mi obbliga a mangiare e mi accompagna all'ospedale, senza farmi obbiettare e resta tutto il tempo che ho bisogno, prima di riaccompagnarmi a casa.
Ha messo la sua vita in stand-by per me, per noi, e credo che questo non lo scorderò mai.
Matthew sfortunatamente è ancora in ospedale, sono riuscita ad estorcere al suo chirurgo cos'è successo in quella sala operatoria, e la sua diagnosi, visto che Matt ogni volta cambiava il discorso. E ora so il perché. Il proiettile non era uscito dall'altra parte e aveva reciso una vena, per poi affondarsi in prossimità del cuore, mi ha spiegato che ci sono volute un sacco di sacche di sangue e un cardiochirurgo ma alla fine sono riusciti ad estrarre il proiettile e a riparare i danni che aveva causato.
Se l'ambulanza fosse arrivata anche solo dieci minuti dopo, probabilmente non ce l'avrebbe fatta.
Però la sua diagnosi perlomeno è positiva, ha bisogno solo di riposo, l'antibiotico per una settimana, l'eparina post intervento e alla fine una riabilitazione per il movimento alla spalla.
Però sta bene, lui è vivo e sta bene.
Cosa che non posso dire di mio padre. Dopo aver salutato Matt, ogni giorno vado nella sua stanza e sto con lui per un po' di tempo. Gli racconto dei nostri ricordi insieme, di tutte le volte che abbiamo pianto insieme guardando i vecchi film, mentre mia madre ci guardava divertita.
Di quando mi ha insegnato ad andare in bici, anche se avevo paura e continuavo a cadere, lui non si è mai arreso, finché non sono riuscita a fare il giro dell'isolato completamente da sola.
Del mio matrimonio, quando mentre ballavamo mi ha detto di essere orgoglioso di me, di essere felice come non mai, dicendomi che ha sempre saputo che un giorno io Matthew ci saremmo rincontrati.
Ma mentre io parlo da sola al suo corpo, non ricevo una sua risposta, se non il suo petto che si alza e si abbassa grazie alla macchina.
Solo ieri per un attimo mi è sembrato mi stringesse la mano, mentre stavo piangendo, ma era stato così veloce, che per ore ho dubitato di essermelo dimenticato.
Ormai i medici credono che non si sveglierà più, sebbene io rifiuto di accettare la realtà che mi si para davanti, come una doccia ghiacciata.
«Vado a prendere un caffè vuoi qualcosa?» chiede Gale, lasciandomi davanti alla porta chiusa di Matt. «No grazie, ti aspetto dentro», mormoro afferrando la maniglia.
Ma appena entro in camera di Matthew, noto Chad, in lacrime davanti a lui e con il viso paonazzo.
Sto per chiedergli cosa è successo, ma il mio cuore lo sa già.
Si ferma, e mi poso una mano sul petto, mentre combatto contro al mio corpo che vorrebbe frantumarsi a terra.
Sapevo che sarebbe arrivato presto questo giorno.
Eppure c'era una piccola speranza in me, che continuava a pensare che lui si sarebbe ripreso, che avrei potuto salutarlo.
«Jenny mi dispiace tanto, vieni qui» chiede Matthew, anche lui con gli occhi lucidi, ma le mie gambe non rispondono, mentre mi appoggio contro al muro con le lacrime ad offuscarmi la vista.
«Quando?» chiedo, senza smettere di piangere.
«Stanotte» risponde Chad, che mi viene incontro appoggiandomi una mano sulla schiena e lasciandomi dolci carezze, cercando di confortarmi, senza nessun risultato.
***
ITre giorni. Sono passati tre giorni. In cui il giorno si confondeva con la notte, in cui mi sono concentrata sull'organizzare il funerale per occupare la mia mente, perché altrimenti dubito mi sarei alzata dal letto. E sarebbe stato egoistico da parte mia, non sono l'unica che ha perso il padre e non sono mia madre, che ha perso la sua metà e l'unico che riusciva a farla sorridere sempre. Il mio mondo mi è crollato addosso un'altra volta e questa volta credo che ci vorrà molto più tempo a rinascere dalle ceneri.
L'unica nota positiva in questo pentagramma con note stonate e fin troppo tristi, e che Matt è tornato a casa prima. E sebbene il suo stato di salute, non lascia un secondo il mio fianco.
Mi abbraccia quando ne ho il bisogno, cerca in ogni modo a farmi mangiare, anche quando ho lo stomaco chiuso e mi ha aiutato in ogni modo possibile con l'organizzazione, quando per me era un po' troppo.
E oggi che è il giorno di salutarlo, anche il cielo sembra grigio, per poterlo piangere.
E mentre il prete dice cose belle su mio padre, io non riesco a staccare gli occhi dalla bara, la bara che non ho avuto il coraggio di scegliere. Lì dentro c'è mio padre.
Trattengo un singhiozzo e sbatto gli occhi, non posso piangere ora. Anche se la pressione al petto mi sembra quasi insostenibile. Matthew dietro di me mi accarezza il braccio, cercando di darmi un certo conforto e notando il mio viso che se non è cambiato da stamattina, è l'immagine della mia anima in questo momento. Straziata dal dolore, pallida e spenta.
Lo guardo negli occhi, scorgendo il suo dolore e gli afferro la mano libera, stringendola forte e intrecciandola alla sua, accettando il suo lieve calore.
Chad nel frattempo si avvicina al piccolo piedistallo in mezzo al prato verde. Ho immaginato che lui avrebbe voluto salutarci così, all'aperto, con gli uccellini in sottofondo e un cielo ad illuminarci. Ascolto i suoi racconti su mio padre, di quando eravamo piccoli, e io non posso non sorridere a quei dolci pensieri.
Ma quando sposto lo sguardo su mia madre ho una fitta al cuore e un brivido freddo mi percorre la schiena.
É distrutta, l'amore della sua vita l'ha lasciata, e questo mi fa tornare in mente quello che ho provato, quando Matthew è caduto per terra.
Quando gli hanno sparato davanti ai miei occhi, mi sono sentita come se una parte di me si fosse spezzata e separata, come se quella pallottola avesse colpito anche me. È così che si sento ora? Come se avesse perso davvero una parte di se stessa?
Chad finisce tornado al suo posto e Matthew mi mette una mano sulla spalla, baciandomi la guancia. «Tocca te, sicura di volerlo fare?».
Lo osservo, nel suo completo nero, con il braccio destro piegato dentro il tutore e il suo splendido sorriso, appena accennato.
«Sì, credo di sì».
Quando raggiungo la postazione, osservo tutta la gente che è venuta qui per mio padre, e non posso non essere che commossa. Mi guardo intorno, gli alberi, il prato illuminato da un timido sole nascosto da una nuvola, un leggero venticello che scompiglia i capelli. Ma infine guardo il buco nel terreno e la bara sospesa sopra.
Di colpo la mia gola diventa secca e le parole che avevo in mente si cancellano, come su una lavagna, con il cancelletto.
Perciò mi schiarisco la gola e mi concentro su Matthew, che mi guarda preoccupato.
«Mio padre...» mormoro, ma la mia voce è solo un lieve sussurro, perciò la schiarisco «mio padre mi ha sempre detto che dovevo inseguire i miei sogni, e anche se si trattava di fare cose assurde, lui mi diceva che potevo farcela, che ero abbastanza forte per affrontare tutto nella vita».
Un singhiozzo mi smorza il respiro, ma non mi faccio sopraffare, «Lui ha sempre creduto in me e mi ha sempre aiutato, anche quando ero pronta a mollare. Mio padre, Victor Miller è stato il miglior padre del mondo. E sono sicura, che in questo momento ci sta guardando, e starà pensando che sono troppo melodrammatica».
Una risata nervosa si propaga fra la gente, ma il mio sguardo si sposta su Matthew e noto che mi sta guardando con ammirazione. «Odiava gli addi, perciò non è un addio papà, è un arrivederci».
Ritorno da Matt che subito mi accoglie fra le sue braccia e mi bacia tra i capelli.
«Sei stata coraggiosa piccola» non rispondo, e mi lascio coccolare fra le sue braccia, perché è solo questo quello di cui ho bisogno adesso.
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