CAPITOLO 90

Papà...

Jennifer

«Dove credi di andare?» mi domanda Gale posandosi davanti a me, mentre con un gemito mi siedo su una sedia a rotelle, con una flebo attaccata al braccio. A quanto pare ero alquanto disidratata.

«Non starò qui rinchiusa in questa maledetta camera, mentre Matt è in sala operatoria», rispondo pronta ad uscire dalla stanza, ma le sue gambe lunghe mi bloccano la strada.

Gale mi ha detto che aveva un giubbotto antiproiettile, ma che William ha mirato in un punto non coperto, vicino alla scapola.
Perché lo sapeva quel bastardo. Ed è riuscito a sapere da un chirurgo mentre curavano me, che il proiettile non è uscito e che avrebbero fatto una TAC per capire dove era andato.

Da quel momento non abbiamo saputo più nulla.

«Non m'interessa se ti hanno dato il consenso per questa idiozia, hai due costole incrinate, una ferita profonda nella gamba, per non parlare dei diversi ematomi che non si riescono nemmeno a contare».

Sollevo gli occhi al cielo e sbuffo, pentendomene immediatamente appena sento la fascia al petto stringersi ancora di più contro le costole. Ma il dolore non ha nulla a che vedere con il taglio che ha richiesto cinque punti sulla coscia, che ha detta del dottore, ha rischiato di lacerarmi un tendine.

«Lo so sono un catorcio in questo momento, ma mi hanno sistemato e non sono in fin di vita come Matt, che è da più di tre ore che lo stanno operando», commento infastidita e cercando ancora una volta di superarlo, senza riuscirci.

Si china sulle ginocchia arrivando a guardarmi in volto, faccia a faccia. So che si sta solo preoccupando per me. So che finché Matt non sarà fuori da quella sala, lui si sentirà in dovere di proteggermi, di tenermi al sicuro e lo apprezzo, ma ho bisogno di uscire da qui.

«Jennifer tu non sai quanto eravamo in pensiero per quello che è successo, Matt era distrutto, è arrivato a pensare persino che ci fossi io dietro al tuo rapimento», mormora e le sue parole mi colpiscono, anche se l'ho visto con i miei occhi quanto il suo viso fosse abbattuto.

«Abbiamo fatto di tutto per cercarti, per portarti a casa e non posso permettermi di perderti di vista, lo faccio per Matt».

Mi allungo e gli prendo la mano stringendola forte nella mia, ormai pulita dal sangue mio e di Matt. Il pensiero del suo corpo immobile a terra, ancora mi riverbera nella testa, incessante, e provocandomi dei brividi e dei pensieri, che non dimenticherò tanto presto.

«Grazie Gale, per la tua preoccupazione e apprezzo il tuo senso dell'onore verso Matt, ma ho davvero bisogno di uscire da questa stanza, mi sento mancare l'aria, seguimi, stammi addosso, ma fammi uscire da qua», sussurro e non so se è per il mio tono supplichevole o per qualcosa che legge nei miei occhi, ma si alza e si mette alle mie spalle, spingendo la mia sedia a rotelle e agganciando il carrellino della flebo alla sbarra di ferro in modo da non perderlo per strada.

«Va bene signora Dallas, sarò la sua ombra e il suo personale chauffeur, dove vogliamo andare?».

Dopo che abbiamo passato più di mezz'ora davanti alle porte sigillate delle sale operatorie, senza che nessuno ci abbia detto nulla, nemmeno un'informazione, Gale mi ha convinto ad andare in caffetteria per poter mangiare qualcosa.

E anche se so che non mangio da molte ore, il mio stomaco sembra completamente chiuso.

Ma lo sguardo serio e pronto a farmi una predica di Gale, mi costringe a mandare giù un boccone di torta alle mele e un tè caldo, che il mio corpo intorpidito apprezza immediatamente.

«Amanda come sta?» mi ritrovo a domandare, sorprendendomi del suo sguardo arrabbiato e del suo sussultare? Cosa mi sono persa?

«Vero, tu non sai nulla. Ehm la mia ormai ex compagna, ha rubato tutti i soldi sul mio conto, per poi scappare via dagli Stati Uniti, anche se l'ho già rintracciata», m'informa per poi pulirsi la faccia con un tovagliolo bianco, togliendosi dalle labbra una macchia di cioccolato.

«Ho sempre saputo che era una stronza» farfuglio per poi mandare giù un altro sorso di liquido caldo, rendendomi conto troppo tardi di ciò che ho detto.

Sollevo gli occhi su di lui che mi sta guardando, per poi scoppiare a ridere, facendomi tirare un sospiro di sollievo.

«Hai ragione è ha sempre avuto ragione anche Matt, per anni mi ha messo in guardia con lei e nemmeno la conosceva bene, eppure io ero troppo innamorato forse. Ma era un amore non corrisposto», farfuglia e mi sembra di sentire tutta la sua sofferenza nella voce. Quella manipolatrice, ha sempre fatto la moralista, ma era solo una facciata anche quel comportamento.

Però sono felice che ora Gale abbia visto davvero la sua vera faccia.

«Mi dispiace tanto Gale» sussurro, e lui mi accenna un sorriso, per poi spostare lo sguardo sul tramonto che inizia a scendere su di noi.

Matt manca da ore e ancora nessuno ci ha detto nulla, inizio davvero a credere che sia in pericolo. Altrimenti sarebbe già fuori giusto?

Una lacrima silenziosa scende lungo la mia guancia ma la tolgo con la mano prima che Gale possa accorgersene, anche se il velo di tristezza che passa nei suoi occhi per qualche istante, mi fa intuire che mi abbia visto.

«Jennifer!» il mio nome urlato nella stanza abbastanza silenziosa, fa girare tutti e soprattutto me, verso la direzione della voce.

Alzo lo sguardo sorpresa e trovo mia madre a qualche passo da me.

Il suo sguardo verso di me mi fa capire tutto, felicità e tristezza che si mischiano, con la bocca che si serra per trattenere un singhiozzo e gli occhi che diventano lucidi come due pozze piene d'acqua.

«Mamma» sussurro e senza preoccuparmi di Gale o della flebo che con uno strattone si stacca dal mio braccio, la raggiungo in due passi doloranti, mentre anche lei fa lo stesso, attirandomi in un caldo abbraccio.

Non mi sono resa conto che mi mancasse così tanto il suo calore, finché non ho più potuto averlo.

«Che bello vederti piccola, non sai quanto mi sei mancata, quanto sono stata in pensiero...» mormora singhiozzando sulla mia spalla mentre con le mani mi accarezza la schiena.

«Anche tu mamma, mi sei mancata molto» mormoro, mentre le lacrime mi salano le labbra e il mio corpo trema.

Lei si allontana il giusto per potermi prendere il viso fra le mani e osservarmi.

«Stai bene? Ti hanno fatto qualcosa? Oddio guarda questi lividi...» mormora e riesco a sentire la paura nella sua voce, mentre osserva il mio viso malconcio e poi i lividi sui polsi lasciati dalla spessa corda.

Sto per dirgli che sto bene, o meglio, che con il tempo riuscirò a guarire sia le ferite esterne, che quelle interne, quando dietro di lei vedo Chad e Aria, che hanno un aspetto orribile, ma che sorridono appena i loro occhi si posano su di me, sorpresi e sollevati.

Aria mi viene incontro e prende il posto di mia madre, «oh mi dio tesoro, ho avuto così tanta paura», mormora mentre mi abbraccia dolcemente.

«Stai bene? Ne vuoi parlare?» mi chiede, con il suo tono da sorella, quello di quando mi deve chiedere qualcosa, oppure di quando si deve far perdonare qualcosa.

Scuoto la testa, so che dovrei farlo, ma l'ultima cosa che voglio fare ora, è rivivere quei momenti.

Anche Chad si avvicina e abbraccia entrambe, per poi baciarmi la testa.

«Che bello vederti, sei al sicuro ora Jenny» mi confida Chad, stringendomi forte e facendomi mancare il respiro.

Mi allontano di un passo e li guardo tutti e tre, mentre mi mordo il labbro per trattenere un singhiozzo.

«Io sì, ma Matt è in sala operatoria, da ore ormai e ho paura per lui», ammetto, con l'ansia che ancora mi opprime il petto.

Ancora una volta, le sue parole mi ritornano in mente "ti amo anch'io". È riuscito a dirmi le parole che tanto aspettavo, e ora è sotto i ferri.

Mia madre mi prende la mano, guardandomi preoccupata «vedrai che sta bene tesoro, Matt è forte» annuisco e stringo le mani, in dei pugni ferrei, per evitare di tremare.

«Papà come sta? È a casa?» chiedo di colpo sembrano congelarsi sul posto, e intuisco che c'è qualcosa che non va.

I loro sguardi, non erano distrutti solo per me. Loro non erano qui per me.

«Dov'è papà?» chiedo di nuovo, guardandoli negli occhi con la preoccupazione che mi acceca per qualche istante.

Chad mi prende fra le braccia, come se sentisse che potrei cedere da un momento all'altro e mi toglie le lacrime dalle guance con i suoi pollici.

«Jen...Jen guardami» alzo lo sguardo, incrociando i suoi occhi scuri «hai appena passato un bruttissimo momento, riprenditi, non ricaderne in un altro, pensa solo a te stessa e a Matthew», mormora ma il mio cuore sembra cadere in un precipizio senza fine.

Scuoto la testa meravigliata dalle sue parole e stringo le sue spalle nella mia presa.

«Portatemi da papà! O giuro che lo trovo io».

Trovo Gale alle mie spalle con uno sguardo preoccupato e con la sedia a rotelle pronto ad usarla, mentre indico a loro di farmi strada.

Non dicono più niente e mi accompagnano, fino al quarto piano dell'ospedale, dove leggo Terapia Intensiva, scritta a caratteri cubitali. Questo vuol dire che è attaccato a una macchina?

Attraversiamo in assoluto silenzio, un lungo corridoio con luci basse, e con le porte tutte chiuse, fino a che ci fermiamo davanti all'ennesima porta grigia.

Non ci penso due volte ad aprirla e ad entrarci.

So che Gale vorrebbe obbligarmi ad entrare con la sedia, ma si trattiene e io mi avvicino zoppicante al centro della stanza.

Ci sono tre letti molto distanziati l'uno dall'altro, con l'odore acre dell'antisettico che impregna l'aria e il rumore incessante ma lieve delle macchine in azione.

Individuo mio padre, sdraiato su un lettino molto grande, che lo fa sembrare così piccolo e debole.

Ha perso ormai tutti i capelli dalla chemio e un mucchio di tubi e fili, coprono il suo corpo.

Mi avvicino esitante e gli prendo la mano fredda, stringendola fra le mie, mentre non potendolo evitare osservo il grosso tubo che gli esce dalla bocca, e lo collega a una macchina che respira al posto suo.

«È in coma farmacologico da ieri» mi avvisa la voce spezzata di Aria, che mi fa sobbalzare, anche lei sta piangendo come me.

Mi chino su di lui, lasciandogli un dolce bacio sulla guancia e posandogli la mano sul petto, sentendo il cuore battere e i polmoni sollevarsi in modo ritmico e continuo.

«Perché gli hanno indotto il coma?» chiedo in un sussurro, serrando gli occhi per cercare di non piangere, non davanti a lui.

«Non riusciva più a respirare, i polmoni erano pieni di liquido e una volta aspirato hanno deciso di attaccarlo al respiratore. Ma puoi parlargli Jennifer, noi lo facciamo».

Annuisco e mi siedo sulla sedia affianco a me, continuando a stringere la mano affusolata e piena di rughe.

«Sto bene papà, sono salva, sono a casa. Ma quanto vorrei che in questo momento tu mi abbracciassi, sussurrandomi che sono stata coraggiosa, perché io sono tornata anche per te».

«Da quando sappiamo del cancro, mi sono sempre promessa di non piangere davanti a te, non meritavi di sapere il dolore che mi affliggeva, non quando tu dovevi lottare contro un mostro che non potevi vedere, ma credo che ora infrangerò questa promessa, spero che mi perdonerai...» sussurro e dei singhiozzi mi escono dalla gola, accompagnando le lacrime, mentre appoggio la testa sul suo braccio.

«Non puoi lasciarmi così, senza salutarmi, senza nemmeno un tuo ultimo abbraccio o sorriso» la mia voce ormai è flebile e strozzata dai singhiozzi, mentre la consapevolezza di non rivederlo più sveglio, entra dentro di me formando radici nelle mie fondamenta.

«Ti prego svegliati e salutami, come solo tu sai fare».

Sorrido e mi passo la manica della felpa prestata dall'ospedale sul viso.

«Mi diresti: ciao piccola, mi sei mancata; e poi mi faresti quel sorriso dolce e caldo che mai nulla è riuscito a scalfiggere».

Ma più il tempo passa più la speranza di vederlo svegliarsi si affievolisce come la fiamma di una candela in una notte fredda.

***

Dopo non so quanto tempo, mia madre mi tocca la spalla e io alzo lo sguardo verso di lei.

«Tesoro» mi lascia un bacio sulla fronte e toglie le mie lacrime dalle guance donandomi un sorriso sincero.

«Non volevo che affrontassi anche questo, ma tu, puoi farcela, dopotutto sei testarda e forte come lui».

Per qualche secondo gli manca il fiato e solleva lo sguardo al soffitto per non piangere.

«E tu sai che lui odierebbe che noi stessimo a piangere per lui, vorrebbe che andassimo avanti, anche se è impossibile».

Mi lascia un tenero bacio, mentre la verità nelle sue parole mi fanno sussultare. È vero, lui odierebbe tutto questo.

Ce l'ha detto quando abbiamo scoperto del cancro, quando ancora c'era una speranza. Quando ancora l'idea di perderlo era così vana che non volevo nemmeno pensarci.

Ma lui invece sapeva già come sarebbero andate le cose, e ci aveva scritto una lettera a ciascuno di noi, della quale non abbiamo mai parlato con lui.
Però ci siamo confrontati tra di noi, senza dirglielo.

Ognuna delle lettere diceva che lui voleva essere pianto, ma il giusto.

Voleva che andassimo avanti con le nostre vite, senza l'ancora del passato ad appesantirci.

Voleva che in caso di arresto, non lo rianimassimo, perché l'idea di essere attaccato a una macchina per il resto della vita, era impensabile per lui.

Voleva che la casa rimanesse dei Miller.

Ma poi per ognuno aveva scritto delle cose personali, che non ho mai rivelato.

Jennifer, la mia bellissima figlia, la più intelligente e più premurosa di tutti e tre, io da te voglio tre cose. E sì sono tuo padre posso pretendere delle cose, soprattutto se potrò non esserci tra qualche anno.

Voglio che tu viva Jennifer, perché nella tua vita ti ho vista scappare dalla felicità. Ti ho vista perderti nei nostri problemi, che una figlia non avrebbe dovuto sorbirsi. Invece devi provare a prenderti cura di te stessa e lasciarti andare, se la felicità bussa alla tua porta.

Voglio che tu trova qualcuno per te. Uomo, donna, non m'interessa, basta che possa restarti accanto, che possa riempire la tua vita, come la mamma fa con me. Non sarà facile, la strada sarà molto ripida e piena di ostacoli, ma tu sei tenace e forte.

Voglio che trovi un lavoro che ti piaccia, so che odi quello stupido lavoro che tua madre adora per te. Hai una dote per il giardinaggio, sfruttala per creare qualcosa, per trovarti un posto nel mondo. Un mondo che non ti renda infelice.
Oppure finalmente deciditi a pubblicare quel manoscritto che è ancora in camera tua imboscato sotto al letto, sì l'ho trovato e l'ho letto e l'ho trovato fantastico tesoro. Promettimi che ci proverai.

Ti voglio un bene dell'anima pulce, non dimenticarlo mai.

Faccio un bel respiro e annuisco mentre il naso mi cola e gli occhi mi bruciano per le troppe lacrime.

«Sono venuta a dirti che Matt è sveglio, e chiede di te».

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