CAPITOLO 71
Tutta colpa mia
Jennifer
Trattengo a stento le lacrime e mi alzo scusandomi con la mia famiglia, ignorando le loro insistenti domande, per poi rincorrere Matthew, che intanto ha raggiunto la cucina. I suoi passi sono pesanti e arrabbiati contro il pavimento, così tanto da far tremare i quadri e le porte.
«Matt, fammi spiegare, non è come credi», urlo alle sue spalle, ma ignoro la mia gola bruciare come se avessi una fiamma ossidrica puntata in bocca.
Joyce che stava pulendo il bancone si paralizza trovandoci davanti, e sentendosi di troppo esce dalla stanza, chiudendosi la porta alle sue spalle.
Non si volta, permettendomi di vedere il suo corpo irrigidirsi sotto alla camicia, i muscoli scattare e i suoi pugni contrarsi, così tanto da diventare bianchi.
Trattengo il respiro, aspettando che la sua rabbia mi investi, come un parafulmine aspetta quella potente scarica di corrente, per poi rilasciarla a terra.
Ma io non sono forte come un parafulmine, anzi, mi distruggerà spargendo pezzi di me in giro per la cucina.
Lentamente si volta verso di me e il suo sguardo furioso mi lacera il cuore, altro che pugnale.
«Io mi sono fidato di te Jennifer, ti ho aperto il mio cuore, e tu mi tradisci? Con lui?!» urla, e riesco a sentire il suo dolore come un pugno in faccia. Non faccio in tempo a difendermi, che lui mi attacca di nuovo, senza lasciarmi respirare.
«Pensavo fossi diversa, che fossi quella giusta per me, dannazione! E invece sei come tutte le altre donne, alla ricerca di denaro e di fama».
Le sue parole mi colpiscono al petto, come il suo sguardo furioso che ora mi rivolge, una coltellata dopo l'altra si conficcano nel mio petto, all'altezza del cuore .
«Non è vero! È successo, ma io l'ho respinto, mi fa schifo quell'uomo...mi ha baciata lui Matt, e ti posso giurare sulla mia famiglia, che non era ricambiato», mi difendo mentre i brividi di ribrezzo percorrono tutto il mio corpo, dagli arti superiori fino a quelli inferiori.
I ricordi di quel pomeriggio mi tornano in mente, il modo in cui mi sono sentita usata, la nausea che mi aveva accompagnato per tutto il ritorno verso casa di Tess, i sensi di colpa che avevano riempito i miei pensieri, facendomi sentire piccola e colpevole.
Nessuno mi farà mai dimenticare come lui si sia preso qualcosa con forza, qualcosa che io non gli avrei mai dato, qualcosa che mi ha rubato senza il mio permesso.
Però Matt sembra non ascoltarmi, non sembra credermi, cosa che mi ferisce più del gesto di Jonathan.
I suoi occhi vedono solo rosso, vedono solo quell'errore e io sono capro espiatorio perfetto.
«Mi fai schifo Jennifer, oggi ti ho chiesto di ricominciare, volevo stare con te, vivere con te...cazzo ti ho fatto entrare nella mia vita, conoscere mia madre, e invece ora credo che tu sia stata l'errore più grande della mia vita!».
Una pugnalata dopo l'altra, e io non riesco a fermale, mentre mi sembra di perdere tutto, tutto quello che avevamo costruito, sembra cadere come un castello di carte. Mi cade tutto addosso.
Le lacrime scorrono sul mio viso, il fiato mi manca nei polmoni, ma lui non sembra neanche accorgersene.
«Non è andata così Matt, ti prego credimi», lo imploro, mentre i singhiozzi si mischiano alle mie parole.
Scuote la testa e preso dall'ira, fa cadere un tagliere per terra, insieme a delle verdure che erano sopra, provocando un rumore sordo e fastidioso.
«Ora capisco Aiden, Jonathan, il momento di pausa, capisco tutto! Dannazione, pensavo che fossi sincera e invece... l'altro sei uscita, con lui! Per quello hai cercato di far perdere le tue tracce a William», mi accusa, e poi si passa le mani fra i capelli e scuote la testa, mentre il suo viso rosso e contratto mi fa tremare.
È colpa mia. Tutta colpa mia. Me lo merito...
«Ma con tutte le persone...perché lui Jennifer? La persona che odio più al mondo, la persona che ha fatto soffrire mio la mia famiglia» mi attacca, mentre dei gemiti strozzati escono dalla mia bocca.
«Eravate d'accordo fin dall'inizio? Per cosa Jennifer? Per fregarmi? Cos'è ti ha offerto più soldi di me, ti sei innamorata...ti sei prostituita...» la mia mano viaggia verso la sua guancia, per poi schiantarsi contro la sua pelle in un suono secco.
«È davvero questo che pensi dopo tutto quello che abbiamo passato insieme? Tu mi fai schifo Matt...non ero con lui, c'era Tess e persino Meghan Black, e anche William, se non ci credi chiedi a loro! Ma quando stavo per uscire mi ha fermato e senza avvisarmi mi è saltato addosso, ma io l'ho respinto!» sbotto e la mia voce trema insieme al mio corpo, mentre osservo il suo petto espandersi e i suoi muscoli tendersi sotto alla camicia.
«Sì avrei dovuto dirtelo, ma mi sentivo così sporca... e non volevo farti arrabbiare, non volevo rovinare tutto questo...» sussurro con un filo di voce. Perché fa così male? Perché non gli ho detto subito che quel maiale di suo cugino ha messo la sua bocca sulla mia? Perché ora mi guarda come se fossi feccia?
«Perché dovrei crederti Jennifer?» chiede, con la guancia ancora arrossata, mentre con il dorso della mano, mi tolgo le lacrime che silenziose hanno rigato le mie guance.
L'idea di perderlo si insinua nella mia mente. E mi terrorizza, insieme al fatto di perdere l'unico uomo, che sia riuscito a rubarmi il cuore.
«Potrei dirti perché ti amo, perché mi sono innamorata di te dal primo istante in cui ti ho visto entrare dalla porta di casa mia a sette anni. Ma ti dirò che questi mesi che abbiamo passato insieme, sono stati i più belli della mia vita, con ogni alto e basso e che non riuscirei mai a farti del male. E di certo non questo, non dopo tutto quello che mi hai raccontato su quel pezzo di merda...» gli confesso, pronta a ritornare fra le sue braccia e a dimenticare questo spiacevole contrattempo.
Le sue spalle si rilassano per qualche istante, mentre i suoi occhi feroci non smettono di fissare i miei, ormai annebbiati delle lacrime.
Spero che le mie parole possano fargli credere in me o addirittura, cosa ancora più impossibile, riuscire a farmi ricambiare quelle semplici parole, che lui non riesce a dirmi.
Il silenzio ci avvolge come una bolla troppo stretta e priva di ossigeno attorno a noi, mentre ci osserviamo a vicenda.
Non ci sono più quelli sguardi fin troppo dolci che ci scambiavamo solo qualche ora fa.
Passa qualche attimo, e la speranza svanisce sostituita da una sua risata amara, che provoca una crepa in me, più grande di quanto pensassi. È fa più male di quanto vorrei.
«Sei ancora più meschina di quanto pensassi, usare queste parole, sapendo benissimo quello che provo per te», mormora, senza smettere di guardarlo con disprezzo.
Le ginocchia iniziano a cedere, e le mani iniziano a tremarmi, mentre i singhiozzi minacciano di uscire, stretti in gola.
«No Matt, tu devi credermi, è la verità», sussurro in un illusorio tentativo di difendermi, ancora una volta.
Scuote la testa ed evita il mio sguardo, per poi passarsi una mano fra i capelli, ormai completamente scompigliati dalle sue dita.
«Ti pagherò i soldi che ti spettano in anticipo e ti devi trasferire nella dependance fino alla fine dell'anno, non voglio più vederti», confessa, con voce avvelenata, dandomi il colpo di grazia che arriva come un morso di un serpente, lento ma letale.
Mi accascio a terra, sbattendo gli stinchi sul pavimento duro e freddo e trattenendo un urlo di dolore, mentre lui esce dalla cucina sbattendo la porta.
Poche ore fa mi aveva chiesto una possibilità per stare con me, e ora è tutto finito, per uno stupido bacio che mi è stato rubato.
Mi stringo le braccia contro al petto, sperando di bloccare il tremolio, mentre ormai le lacrime mi hanno offuscato la vista e scendono lungo le mie guance, il collo e infilandosi sotto al tessuto.
Non so quanto tempo sia passato, quando vedo una figura fermarsi davanti a me, la possibilità che sia Matthew sparisce, appena vedo i lunghi capelli di Aria.
«Jen oddio, stai bene? Cosa è successo?» chiede preoccupata chinandosi davanti a me e afferrandomi per le spalle.
Mi ritrovo a scuotere la testa e ad asciugarmi il viso con le mani maldestramente. Non ho per niente voglia di spiegare a mia sorella la verità.
«Ho combinato un casino, e abbiamo litigato» mormoro con voce spezzata, come qualcos'altro dentro di me.
Le sue mani mi spostano i capelli dal viso e con gentilezza mi tolgono altre le lacrime che nel frattempo hanno raggiunto le guance.
«Avete discusso Jen, è normale siete una coppia», sussurra lei cercando di consolarmi, se solo sapesse.
«No Aria, non credo di riuscire a sistemare le cose questa volta...», sussurro, ma le mie parole vengono mangiate dai miei singhiozzi.
Lei mi abbraccia, scaldandomi la schiena con la sua mano, che in modo ripetitivo passa la mano su e giù. «Vuoi che lo vado a prendere a botte? Ho scoperto di avere un gancio destro niente male» commenta con tono sarcastico, e anche se so che sta provando a tirarmi su il morale, io non riesco nemmeno a fargli un sorriso.
«No, ma puoi farmi un altro favore, non dire agli altri di questa storia o almeno per adesso, digli soltanto che siamo dovuti uscire urgentemente per lavoro...per favore» sussurro togliendomi i tacchi e alzandomi in piedi, anche se con gambe tremanti.
«Puoi farlo per me?» gli chiedo, guardandola negli occhi.
Lei annuisce e mi abbraccia forte «certo, ma sicura che non vuoi venire con noi, o andare a casa di Chad?».
Scuoto energeticamente la testa e mi chino ad abbracciarla forte. «No, devo cercare di sistemare le cose, e non proferire parola con Chad sai che non va molto d'accordo con Matt. Di a mamma e papà che domani mattina li chiamo».
Annuisce e mi abbraccia ancora, lasciandomi un bacio sulla guancia, prima di lasciarmi di nuovo da sola.
Con passo lento e silenzioso, salgo le scale di servizio e raggiungo il piano di sopra.
Osservo la stanza di Matt chiusa e trattengo la voglia di bussare, entrando nella mia vecchia camera. Senza un cambio vestiti afferro un plaid dall'armadio e mi butto sul letto sfatto, lasciandomi andare in un altro pianto liberatorio, prima di addormentarmi.
Matthew
Quando apro gli occhi e noto l'altra parte del letto vuota, ci metto qualche secondo a ricordarmi della sera precedente, la cena, la scatola e quella maledetta foto che è ancora stropicciata dentro alla mia giacca.
La mia coscienza continua a ripetermi che lei non farebbe mai una cosa del genere, che lei prova quello che provo io, ma le prove sono reali. E se è come dice lei, perché non dirmelo? Perché nascondermelo?
Non so se mi spezza il cuore di più il fatto che mi abbia tradito o che guardandomi negli occhi mi abbia risposto sì a ricominciare con me, dopo avermi pugnalato alle spalle.
Prendo un bel respiro e con velocità mi vesto per poi uscire dalla stanza, voglio evitare di vederla. C'è già la mia camera impregnata del suo profumo e piena dei suoi vestiti, delle sue scarpe e di falconi a me sconosciuti che riempiono il bagno.
Le cose che gli ho detto ieri sera...che bastardo. Come ho fatto a dirgli tutto quello, con lei che piangeva davanti a me?
Ma quel bacio continua a perseguitarmi nel cervello, non riesco a smettere di vederlo come un popup sul computer, chiudi una schermata ma si apre un'altra, all'infinito. Mi è entrato come un virus e ero non riesco ad eliminarlo.
Mi soffermo sulla porta scura davanti a me, e il respiro si mozza nei polmoni. Il suo pianto ieri sera era un'agonia, che avrei voluto alleviare con un bacio. Era come se qualcuno mi lacerasse da dentro, senza lasciarmi il respiro.
Ma l'orgoglio e la dignità, mi hanno impedito di alzarmi e raggiungerla.
Ignoro la fitta nel petto e silenziosamente scendo le scale, sperando di non incontrarla, sarebbe troppo difficile guardarla negli occhi. Saluto Joyce, che mi chiede se voglio fare colazione, ma respingo la richiesta ed esco di casa.
Entro nel palazzo della Dallas Corp. ignorando i saluti delle centraliniste e di alcuni impiegati che mi passano accanto, perché nella mia mente continuo a rivedere quella foto, e l'unica cosa che ora mi fa respirare e il pensiero di prendere a pugni quel coglione. Perciò, senza pensarci troppo schiaccio il pulsante per il trentaduesimo piano, mentre con lo sguardo osservo i numeri avanzare, stringo i pugni e prendo un bel respiro. So che quello che sto per fare è spregevole e anche un po' illegale.
Ma quello che ha fatto lui è ancora peggio. Non solo ha baciato mia moglie, ma ha pure mandato la foto alla stampa, e scoprirlo poco prima di entrare nel palazzo, ha alimentato quella rabbia aggressiva e tormentata, che ha accompagnato tutta la mia notte.
Le porte si aprono e attraverso la sala relax, catturando qualche sguardo di alcuni dei dipendenti che subito mi fissano sorpresi. Non tanto perché non scendo mai su questo piano, ma più per il mio sguardo incazzato, che sembra turbarli molto. Posso solo immaginare.
Li ignoro tutti, e con passo deciso mi fiondo verso il suo ufficio, da responsabile del "marketing online". Ovvero l'unico stupido lavoro che ho deciso di lasciargli, come da regole sulla mia eredità. C'era scritto di lasciargli un lavoro, non quale e con che stipendio.
Lui come se mi sentisse arrivare alza lo sguardo, e oltre alla vetrata incontra il mio, sbianca e si raddrizza sulla sedia. Trattengo un sorriso di soddisfazione e mi avvicino senza smettere di osservarlo.
Apro la porta, per poi chiudermela bruscamente alle spalle, mentre si alza in piedi quasi saltellando. Ha i nervi a fior di pelle, bene.
«Matthew, quale piacevole sorpresa, cosa ti porta qui ai piani bassi?» chiede, facendo finta di sistemare alcune cose sulla scrivania, ed evitando il mio sguardo arrabbiato.
Gli faccio il mio miglior sorriso tagliente e allungo la mano verso le due veneziane alzate che danno la vista su tutto l'ufficio, e in pochi secondi le tiro giù entrambe, facendo cadere una certa oscurità nella stanza.
Lui sussulta e indietreggia, continuando a guardare verso le finestre, dove solo degli spiragli di luce si intravedono tra le fessure. Ha paura, molto bene.
Mi tolgo la giacca nera e la appoggio sulla maniglia della porta, per poi arrotolarmi le maniche della camicia fino ai gomiti.
«Che stai facendo?» chiede squadrandomi, con il panico che ingloba ogni sua parola.
Sorrido a denti stretti e gli faccio un occhiolino, «non voglio sporcarla».
Lui indietreggia ancora di un passo, andando a sbattere contro allo schedario, con un tonfo. In pochi passi lo raggiungo e senza lasciargli via di scampo, con fermezza gli afferro il colletto della camicia e lo spingo contro al muro, facendo tremare il quadro sopra alla sua testa.
«Ehi cugino, calmati, che ti prende?» senza rispondergli, con forza gli tiro un pugno sulla guancia, tenendolo fermo con l'altra mano, per impedirgli di cadere.
«Matthew, che diavolo succede?! Parliamone» urla con il viso arrossato, non contento sfogo di nuovo la mia rabbia sull'uomo che l'ha creata, sull'altra guancia questa volta.
«Questo è per Jenny brutto stronzo» dico per poi passare al suo stomaco, provocandogli una tosse insistente e un gemito di dolore.
«Ehi bello, era solo un bacio...» farfuglia piegandosi a metà.
Ma io lo tiro di nuovo su e lo spingo contro alla parete, facendogli sbattere la testa e strizzare gli occhi dal dolore. «E questo e per Richard», gli urlo a pochi centimetri dal suo viso.
Lui deglutisce e con la faccia ammaccata incontra i miei occhi.
«Prova di nuovo ad avvicinarti a lei e giuro che ti renderò la vita un inferno qui dentro, e non mi importa se non posso licenziarti, ti farò pulire i cessi se devo», lo minaccio con tono serio. Non m'importa delle conseguenze, non mi importa di una sua possibile denuncia, ma almeno dopo tanto tempo gli ho dato una lezione che non si scorderà tanto facilmente. Avrei dovuto faro prima.
Annuisce e appena allento la presa attorno alla sua camicia, coglie l'opportunità per fuggire da me. «Hai capito?» chiedo con voce decisa, mentre si sistema la giacca evitando il mio sguardo «si ho capito, non la toccherò mai più», sussurra per poi fare una smorfia di dolore toccandosi l'addome. Riprendo la mia giacca ed esco dalla piccola stanza, catturando gli sguardo di tutti.
Salgo le scale con in mano una spremuta d'arancia e un muffin ai mirtilli, i suoi preferiti. Probabilmente non riuscirà a mangiarlo, ma sarà felice del mio gesto.
Sono dovuto uscire dalla sua stanza, prendermi una pausa, respirare aria pulita, e per piangere senza farmi vedere da lui.
So che è questione di settimane, o forse addirittura di giorni, ma non riesco ad accettare l'idea che presto non ci sarà, che sarò ufficialmente da solo. E che l'unica figura paterna che ho mai avuto, presto mi abbandonerà, per un fottuto cancro.
L'avevano ricoverato in ospedale, ma il suo ultimo desiderio era passare i suoi ultimi giorni nella sua casa, la nostra casa. E così l'ho accontentato, come potevo fare altrimenti.
Faccio per aprire la porta ma una voce fin troppo familiare mi ferma. Di nuovo lui.
«Io sono tu figlio razza di bastardo! Ho bisogno di questi soldi! Tanto tu presto te ne andrai, cosa può importarti darmi cento mila dollari ora?» urla con rabbia dentro la stanza, facendo avanti e indietro.
«No...» sussurra zio Richard, così lievemente che il mio cuore salta un battito.
Come fa ad urlargli contro? È un uomo che presto non ci sarà più, collegato a delle macchine e lui...vuole solo i suoi soldi.
Come è sempre stato d'altronde. Ha sempre chiesto soldi, e li ha sempre ricevuti, fino a che Richard non ha detto basta.
Ha scoperto che giocava tutto d'azzardo, in prostitute e in siti illegali, per comprare droga e chissà cos'altro.
E da allora non fa che pressarlo, insultandolo e chiedendogli soldi. E io so che lui soffre, lo vedo nei suoi occhi, si chiede dove ha sbagliato con lui, si chiede come ha fatto a meritarsi un figlio del genere. Però è sempre suo figlio.
«E cosa succede se ora stacco una di queste macchine? Vediamo, tipo quella dell'ossigeno...smetteresti di respirare bene, e i tuoi polmoni collasserebbero per il poco ossigeno. Povero Matty, ti troverebbe morto al suo ritorno. Vuoi questo, pezzo di merda? O mi firmi l'assegno?».
Spengo la registrazione che avevo avviato nel cellulare ed entro nella stanza spalancando la porta. Jonathan s'immobilizza colto dal panico e si volta a guardarmi «cuginetto, ma che bello vederti».
«Vattene da questa casa, ora! E non provare a tornarci mai più, perché ora manderò l'audio delle tue minacce in questura e riceverai un allontanamento da Richard Dallas e dalla villa di Westchester».
Noto il suo sguardo oscurarsi e avvicinarsi a me, per poi uscire dalla stanza sbattendo la porta. Sposto lo sguardo su zio Richard...
Mi sveglio di soprassalto e con il fiato pesante, allungo la mano verso sinistra, cercando il calore di Jennifer con cui confortarmi, ma trovo solo gelo.
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