CAPITOLO 69

Cena improvvisata

Jennifer

«Questo non l'avevi considerato, vero?» gli chiedo divertita osservando la pioggia atterrare arrabbiata e frenetica contro i vetri dell'auto, talmente forte da rimbombare il loro suono nell'abitacolo.

I nostri vestiti sono zuppi e appiccicati alla nostra pelle, i capelli sono completamente bagnati, dove piccole gocce mi cadano lungo il viso e sento le ossa completamente raffreddate e dolenti.

«Ho controllato, dicevano nuvoloso, ma di certo non mi aspettavo questo», mi confessa, abbandonandosi contro il sedile per guardarmi meglio.

Abbiamo corso come dannati per raggiungere la metro e poi il parcheggio sotterraneo, trovandoci completamente intrisi d'acqua. Non vedo l'ora di farmi una doccia calda e ristoratrice.

Oggi credo di aver passato una delle più belle giornate della mia vita. Abbiamo mangiato street food, fatto un giro allo zoo, al Conservatory Garden, dove erano appena sbocciati migliaia di tulipani. Da quelli rossi, gialli e rosa, era una distesa magnifica che mi ha lasciato senza fiato, come un mare pieno di colori.

E poi un giro in generale e veloce al giardino di Shakespeare, al castello di Belvedere, al Bethesda Terrace con la sua famosissima fontana. E poi un bacio romantico sul Bow Bridge, con sotto il The Lake che rispecchiava il tramonto, con le nuvole dipinte d'arancione.

Non mi vergogno, abbiamo fatto i turisti, fino in fondo, e mi sono divertita e ho riso come non ho mai fatto.

Oggi non eravamo i signori Dallas, la coppia finta e di facciata, eravamo solo io e Matthew, completamente veri e senza maschere tra di noi.

E New York in sottofondo non poteva essere più azzeccata, e meravigliosa, soprattutto in primavera. Soprattutto per quei fantastici ciliegi in piena fioritura.

E poi ho fatto un sacco di foto, soprattutto quando a Matt è caduto il gelato per terra. Credo di aver colto proprio la sua espressione di sconforto, mentre scoppiavo a ridere ma allo stesso tempo cercavo di non far cadere il mio di gelato.

«È stato incredibile oggi Matt, grazie per questa giornata, credo di non aver mai riso così tanto», sussurro e lui sorride per poi allungare una mano per accarezzarmi il viso.

«Anche per me è stata una giornata da non dimenticare, Jenny...», sussurra e si china sul mio viso, occhi negli occhi, respiro contro respiro.

«Voglio un'opportunità vera Jenny, questa volta veramente, non voglio perderti, un giorno mi è bastato, fidati», mormora con voce calda e melensa.

Non so se mettermi a piangere o se saltare dalla gioia, per le parole che ho sempre voluto e desiderato che mi dicesse.

Perciò faccio l'unica cosa sensata, alzo la testa verso di lui e lo bacio, un bacio dolce e ricambiato che mi provoca un calore piacevole al cuore, soprattutto con questo freddo.

«Va bene», gli rispondo, mentre il suo sorriso rispecchia il mio.

Mi accarezza il viso e le sue mani si perdono fra i miei capelli sciolti. «So che abbiamo iniziato tutto al contrario, ma voglio fare le cose fatte bene», mi confessa, rivelandomi la verità dietro a questa giornata. Era un appuntamento, una prova, ed è andata bene, o almeno credo.

«Va bene Matt, anche se...» mi irrigidisco e lui lo percepisce.

Mi appoggia le mani intorno al viso, perdendo le dita fra i miei capelli e obbligandomi a guardarlo negli occhi.

«Parlami», mi chiede, con tono deciso e facendomi sussultare. Abbasso lo sguardo e sospiro profondamente, giocando nervosamente con i lacci della sua felpa.

«Tu scapperai», sussurro debolmente e con un pizzico di paura.

Colpita dall'assordante silenzio, sollevo lo sguardo e noto il suo sorriso riempirmi il cuore.

«Non sono più un ragazzino Jenny, ora sono pronto, prima non ti meritavo, tu eri troppo per me», mi confessa e la sua rivelazione mi fa spalancare gli occhi dalla sorpresa.

Mi chino su di lui lasciandogli un bacio leggero sulle labbra, per poi strofinare il naso contro il suo.

«Davvero credevi questo? Ero io che non ti meritavo, eri il ragazzo più famoso della scuola e io la sorellina rompiscatole del tuo migliore amico», sussurro imbarazzata, appoggiando la fronte contro la sua.

Lui ridacchia e mi accarezza la schiena dolcemente, facendo trapelare un leggero calore.

«Oh piccola, tu non sai quanto mi piacevi, soprattutto quando ti facevi quelle treccine e indossavi quelle orribili calze rosse con i pois neri».

Gli tiro un pugno leggero contro il petto e lo guardo male, mentre lui scoppia a ridere.

«Non offendere le mie calze a pois, erano bellissime» pronuncio sarcastica, ma con un pizzico di serietà, per poi scoppiare a ridere accompagnata da lui.

«Se solo avessi aperto gli occhi prima», sussurra per poi accarezzarmi la guancia e sfiorandomi con il pollice il labbro inferiore.

I suoi occhi prendono il possesso dei miei, impedendomi di staccare lo sguardo, fino a quando la sua bocca non si appropria della mia, questa volta in un bacio famelico e possessivo.

I problemi passano in secondo piano, e lascio che l'eccitazione mi travolga.

«Che ne dici di attraversare insieme questa tempesta e di andare sotto alla doccia?» mi domanda tra un bacio e l'altro.

Annuisco e sorrido, per poi staccarmi da lui, pronta ad aprire la portiera, mentre la pioggia continua a scendere impietosa, come se volesse essere la protagonista del nostro momento.

«Aspettami ad uscire, ti prendo in braccio, hai già affaticato prima la tua caviglia per correre, ho notato come zoppicavi, hai capito?» mi avvisa lanciandomi un'occhiata seriosa.

Sbuffo sonoramente, facendolo ridere, prima di vederlo scendere dall'auto per venire verso di me.

Mi prende in braccio facendo scontrare i nostri petti, per poi mettermi le mani sotto alle cosce, stringendo forte.

Sale velocemente le scale, attento a non scivolare e proteggendomi la testa con le sua mano.

Spalanchiamo la porta d'ingresso e ci ritroviamo all'ingresso, con il pavimento in cotto antico bagnato dalle nostre scarpe e dalle gocce che cadono dai nostri vestiti. Mi lascia scendere dal suo corpo, per poi spostarmi i capelli incollati al viso, lasciandomi una dolce carezza.

Osservo i suoi capelli mossi cadergli sulla fronte, che lasciano scivolare dalle punte, dolci e lente gocce che gli dipingono il viso invisibili e silenziose.

Rido e non so per quale motivo, forse perché sono felice oppure perché la mia parte razionale e analitica per una volta si è fatta da parte, oppure è tutto questa ossitocina che sta producendo il mio cervello ad annebbiare con come un fumogeno rosa la mia mente e i miei pensieri.

Lui ride con me tirandomi contro al suo petto e dondolandosi con me. «Mi fai impazzire», sussurra e poi appoggia la fronte contro la mia, senza staccare il contatto visivo.

Un profumo forte di spezie e carne aleggia nell'aria e inonda il nostro olfatto, prepotente e autoritario.

«Joyce sta cucinando il suo arrosto! Credo di amare quella donna e la sua cucina, devi dargli un aumento» gli confesso facendolo ridacchiare, mentre lui fa un passo verso di me e di riflesso indietreggio, facendomi scontrare con la parete.

«Hai perfettamente ragione, ma ora andiamo a farci una doccia calda», sussurra con un sorriso vittorioso per poi afferrarmi il bordo della mia felpa umidiccia e appiccicata come una seconda pelle.

«Non vorrai bagnare tutte le scale e il piano di sopra...» mormora mentre è già arrivato all'altezza del seno, ma io non alzo le braccia, impedendogli di togliermela.

«A me sembra che quello più bagnato sia tu, non credi?» un verso strozzato gli esce dalle labbra, e i suoi occhi divertiti sono pungenti come dei cactus, carini e innocui, fino a che non decidi di avvicinarti un po' troppo.

«Perché non ho ancora controllato in mezzo alle tue gambe», obbietta, per poi addentarsi il suo labbro inferiore così tanto che le la sua pelle diventa bianca per qualche istante.

Accuso il colpo, come un'ondata di piacere che percorre la mia colonna vertebrale, troppo veloce per poterla godere appieno.

Se continua a guardarmi così, in qualche modo andrò in auto combustione, ad iniziare dalle guance, che sembrano già pronte a cuocere un hamburger.

«Dovresti davvero controllare, potresti rimanere deluso...» farfuglio, a quanto pare non a pieno delle mie capacità mentali.

Ma ormai quand'è, che con Matt ragiono con la mia mente? Mai.

Lui afferra a pieno la mia frecciatina, o meglio un freccia abbastanza grossa, intrisa di testardaggine, un quintale di audacia, due spuzzate di orgoglio e un pizzico di arroganza.

Con una mano mi afferra per il mento, costringendomi ad incontrare il suo sguardo ravvicinato.

«Sono d'accordo, dovrei controllare con attenzione, e voglio che non smetti di guardarmi negli occhi mentre faccio questa accurata ispezione», chiarisce con sguardo serio, mentre con l'altra mano libera vaga verso i miei jeans lentamente, passando sulla mia pancia scoperta e cosparsa dalla pelle d'oca.

In due semplici mosse slaccia il bottone e poi fa scendere la cerniera, per poi addentrarsi dentro.

«Occhi nei miei...» mi rimprovera, mentre sussulto dal piacere per il suo contatto, anche se ancora separato da un sottile strato di stoffa.

Le sue dita scendono e scendono, sono pronte a scostare le mutandine ma un suono trillante e molto vicino, ci fa sobbalzare e allontanare.

«Maledizione...» mormora in un sussurro che percepisco a malapena.

C'è qualcuno alla porta, ed è strano per un mercoledì, be sinceramente sarebbe strano anche in un altro giorno. Anche perché vuol dire che qualcuno ha attraversato il cancello, e anche i controlli di William. Potrebbe essere lui, visto che Joyce è quasi sicuramente in cucina.

Mi sistemo velocemente la felpa e i pantaloni, mentre Matthew si avvicina alla porta con una certa titubanza. Probabilmente ha fatto i miei stessi ragionamenti.

Apre la porta e davanti mi ritrovo le ultime persone che mi sarei aspettata di vedere, la mia famiglia. Ci sono tutti, mamma, papà, Aria e Chad.

«E voi cosa ci fate qua?» chiedo curiosa mentre i loro sguardi ci osservano pieni di domande. Be effettivamente sembra che New York ci abbia mangiato per poi risputarci fuori con un odore discutibile e con un aspetto disastroso.

«Signori Dallas, vedo che sono arrivati gli ospiti per la cena, li faccio accomodare?» chiede Joyce, che come una ninja silenziosa, è arrivate alle nostre spalle, senza fare un minimo rumore. Ecco perché l'arrosto.

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