CAPITOLO 67

Autocontrollo

Matthew

«Perché te l'ho lasciato fare?» domanda Matt a denti stretti mentre mi fascia la caviglia. Noto le sue mani delicate e attente ad immobilizzare tutto il piede con una fascia elastica. Trattengo un gemito di frustrazione e allungo la mano per accarezzargli dolcemente il viso.

«Non potevi prevederlo e poi volevo farlo davvero», mormoro, sperando di convincerlo e di tranquillizzarlo. 

Sì ho fatto una stupidata, come al solito ovviamente, ma in quel momento mi sembrava una buona idea.

Gale ha tenuto il palo dei pompieri che attraversa il primo piano con quello a terra, e come potevo non provarlo?

Ovviamente appena arrivata a terra ho messo male il piede, prendendomi una storta, tutto sotto lo sguardo preoccupato di Matt e quello sufficiente di Amanda.

«Lo so, eri così elettrizzata, ma avresti dovuto fare più attenzione» mi redarguisce per l'ennesima volta, facendomi alzare gli occhi al cielo.

«Va tutto bene Matt, non è niente di grave, domani starò molto meglio, e poi non dirmi che tu non ci hai mai provato?» lo incalzo facendolo ridacchiare.

Lui annuisce e mi sposta le coperte, per poi posarmele sopra al corpo, attento a coprirmi completamente.

«Ovvio ma dopo uno sfortunato evento a cui ho assistito, mi sono tenuto alla larga da quel palo nell'ultimo anno», mormora senza specificare.

Mi raggiunge sotto alle coperte e mi attira a sé facendo aderire la mia schiena al suo petto, che immediatamente irradia calore a tutto il mio corpo. Come fa ad essere sempre così caldo, mentre io resto fredda come una stalattite in una grotta?

«Sai che ora mi devi raccontare quello sfortunato evento? Non puoi accennarmi una cosa possibilmente spinosa, senza approfondire l'argomento. Non accetto un no come risposta», obiettivo ma mangiandomi alcune parole, colta dalla stanchezza e delle sue dolci carezze sull'addome. Lente e continue.

Lui ridacchia ancora e mi lascia un bacio sulla nuca, strofinando il naso tra i miei capelli.

«Va bene, ma non guarderai più Gale allo stesso modo, dopo che saprai questo», mi avverte e io mi volto verso di lui, pronta ad ascoltare ogni sua parola, improvvisamente interessata.

«Ora sono ancora più curiosa», ammetto aggrappandomi alle sue spalle e intrecciando le gambe con le sue.

«Una sera sono andato a casa sua per cena, ma lui si era completamente dimenticato di me e del nostro appuntamento, e scoprì più tardi che quella sera sarebbe tornata Amanda da uno dei suoi viaggi...».
Perché so già che sarà una cosa estremamente imbarazzante?

«Quindi ha sentito la porta aprirsi, e mentre lo aspettavo nel salotto, lui è sceso dal palo dei pompieri con solo un paio di mutande rosse addosso e una rosa fra i denti».

Una risata fragorosa mi attraversa i polmoni mentre anche lui fa lo stesso. È ironico ma dopo che ho conosciuto Gale, lo trovo molto possibile.

«E poi cos'è successo?» domando con le lacrime agli occhi e i crampi all'addome dallo sforzo.

«Ha cercato di ritornare su dal palo, ma non riuscendoci poi è corso su per le scale completamente rosso in viso, e io sono scoppiato a ridere», confessa con un sorriso ebete sul volto.

«Però non tirare fuori questo argomento con lui, è ancora provato», ridiamo, finché la risata non riempie la stanza per poi scomparire come il sole quando scende la notte, lenta e silenziosa.

«Quando hai imparato a giocare a scacchi? Questa sera sei stata un sorpresa, Gale non si dimenticherà mai questa serata» sussurra e il suo respiro mi lascia dolci carezze sulle guance.

«Mio nonno Stephan, voleva tanto insegnarlo a Chad, mentre io guardavo le partite con le sue spiegazioni, ma a mio fratello non interessava quel gioco "noioso" come lo chiamava lui, perciò ho preso il suo posto e mio nonno mi ha insegnato ogni mossa», mormoro ripensando a quei pomeriggi in qui passavo anche due ore con lui, su quel vecchio tavolino che si affacciava sulla veranda in giardino.

"Non avere fretta di attaccare pasticcino, devi attendere il momento giusto, come in una danza, con i suoi tempi e ritmo".

Oh nonno, tu si che eri saggio.

«Una degna avversaria, non vedo l'ora di sfidarti» sussurra e io ridacchio incrociando la mano con la sua.

«Ti farò il culo, ne sono sicura», mento, provocandogli un'espressione di finto sgomento sul volto. In realtà sono davvero arrugginita, anche se è come andare in bicicletta giusto?

«Vedremo piccola, vedremo».

***

Mi sveglia un calore incessante ma fin troppo piacevole. 

Anche se siamo in primavera inoltrata, il caldo non è ancora arrivato nelle strade affollate di New York, e in questo momento sto apprezzando davvero tanto questo calore che mi irradia come un raggio di sole in una giornata fredda e umida.

Il petto di Matt rovente e imponente contro la mia schiena, è come se emettesse energia, mentre le sue braccia mi circondano il busto possessive, e le nostre gambe si ritrovano intrecciate come lana in un gomitolo.

Sorrido e mi crogiolo per qualche istante in quel benessere per poi districarmi dalla sua intricata presa, pronta a scendere per iniziare la giornata. Però due mani possenti mi attirano di nuovo in quell'intreccio di arti, e contro al suo busto. Un urletto esce dalla mia bocca, mentre mi dimeno con poca convinzione tra le sue braccia. 

«Dove credi di andare?» farfuglia una voce roca e fin troppo impastata dal sonno. Ridacchio e mi volto il giusto per potergli vedere il viso.

I suoi capelli mossi in un groviglio di ciuffi neri, i suoi occhi assonati con le palpebre socchiuse, e la sua bocca in un ghigno che conosco fin troppo bene.

«Matt... dobbiamo andare in azienda», mormoro e le sue braccia mi consentono di girarmi completamente verso di lui, per poi serrare nuovamente la stretta, peggio delle cinture di sicurezza. 

«Dobbiamo? No, non credo» mi canzona scuotendo la testa e facendomi un sorriso, uno di quelli che mi ha fatto cedere alle sue idee diverse volte. È sempre una guerra persa con lui.

«Matt ieri non mi hai fatto andare e ho delle cose da finire, scadenze che devo rispettare», spiego, senza trattenere un sorriso.

«Altrimenti cosa succederebbe? Devi convincermi, se vuoi che ti lasci andare», mi avverte, mordicchiandomi il lobo dell'orecchio, per poi iniziare a scendere, lungo la mia mandibola e sul mio collo, leccando e succhiando ogni centimetro di pelle. 

Gemo senza riuscire a controllarmi, mentre con la mente cerco di collegare i miei pensieri alla mia voce, cosa assai difficile quando il tuo corpo ti chiede altro.

«Devo finire di controllare tutti quei vecchi documenti, e poi devo preparare quel viaggio di lavoro e...tantissime altre cose, devo davvero andare o il mio capo poi si arrabbierà per la mia negligenza», farfuglio, mentre il mio corpo si struscia senza ritegno contro il suo.

«E poi devo finire di scrivere un rapporto che devo consegnarti il prima possibile», concludo ormai completamente estasiata dalle sue attenzioni. Bacia, lecca, e morde il mio collo, come se fosse suo, in una lenta e sinuosa tortura. Sarei pronta a dirgli ogni mio segreto, ogni mio pensiero se solo me lo chiedesse in questo momento. 

Si allontana dal mio collo, e un gemito di delusione esce involontario dalle mie labbra. Come si permette a darmi tutto questo piacere e poi negarmelo da un momento all'altro? 

«Credo che il tuo capo si arrabbierebbe se ora lasciassi questo letto, e poi non tollererebbe mai che la sua miglior dipendente si affaticasse così tanto, dopo che ieri si è slogata una caviglia, hai bisogno di riposo», mormora dolcemente. 

«Queste penso che sia nepotismo signor Dallas, e credo che qualsiasi cosa dirò, non le farà cambiare idea», mormoro, mentre le mie labbra vengono prese in ostaggio dalle sue in un bacio profondo. 

E come al solito mi sento come cadere, nel vuoto, incapace di vedere la fine, mentre l'adrenalina e la serotonina riempiono le mie vene, e ogni cellula del corpo.

«Esatto».

Poi con le sue mani si fa strada sotto le mie mutandine, facendomi completamente perdere la ragione e le mie ultime difese.

***

«Sai che riesco a camminare vero? Non mi fa più male» lo avviso cercando di divincolarmi dalla sua presa, ma è come al solito è una guerra persa.

«Bugiarda, ti ho vista prima che hai fatto una smorfia di dolore, perché devi sempre fare la gradassa?» domanda, mentre come un koala ad un albero sono aggrappata su di lui, stringendolo forte per paura di cadere o di destabilizzarlo.

È vero mi fa ancora un po' male, ma nulla di così grave da non riuscire a camminare, è solo un ematoma che presto guarirà.

«E tu perché devi fare il solito tiranno che controlla la situazione? Devi avere sempre tutto sotto controllo?» gli chiedo chinandomi sul suo viso, facendo cadere la cascata dei miei capelli, intorno a noi come una tenda, pronta a difenderci da occhi indiscreti.

«Assolutamente sì, e ora so che stai morendo di fame, perciò ho intenzione di sfamarti e poi ho altri piani molto interessanti» mormora per poi allungarsi a mordermi prima il labbro e poi a lasciarmi un bacio sul naso.

«Come fai a sapere che ho fame, mi leggi anche nella mente ora? No perché sarebbe un problema...», sussurro sarcastica, immaginandomi un'impossibile scenario in cui lui potrebbe leggermi la mente. Assolutamente no, saprebbe troppe cose che penso su di lui, che non avrei mai il coraggio di confessare ad alta voce, super imbarazzanti. 

Quando nei libri fantasy, la coppia principale riesce a leggersi nella mente e a comunicare, lo fanno sembrare così interessante e speciale, perché dire che non avrai mai la più la tua privacy e troppo realistico e demotivante.

«Ho sentito il tuo stomaco brontolare... e perché sarebbe un problema? Che pensieri sconci mi nascondi signora Dallas?» mi domanda, mentre con passo attento e lento scende gradino per gradino.

«Molti e sono davvero troppo sporchi per le tue povere orecchie», mormoro, mentre il mio corpo sobbalza ad ogni gradino e passo. Ride e mi lascia un dolce morso sul profilo della mandibola. Un urletto di sorpresa esce dalla mia bocca e sobbalzo attorno al suo corpo stringendolo ancora di più. Le sue mani sulle mie cosce si adattano e si spostano verso l'alto, inglobando i miei glutei nel suo palmo. Sussulto ancora e gli lancio un'occhiataccia, che lui schiva con un suo occhiolino.

Entra nella sala da pranzo che ogni mattina è imbandita per la colazione. Una volta ho detto a Joyce che non serve tutta questa formalità per la colazione, infondo mangiamo quasi sempre le solite cose, ma lei si è rifiutata di ascoltarmi. Ha detto che la giornata inizia da una buona colazione e questo a quanto pare comprende la tovaglia di lino e il servizio buono di piatti. 

«Scoprirò ogni tuo segreto Jenny», mormora Matt facendomi tornare al presente, per poi farmi sedere sul tavolo, attento a non scombinare niente, «è una promessa». 

Poi afferra una fragola dalla ciotola e me la porta alle labbra sfiorandole appena. 

«Apri la bocca...» mi chiede, ma io esito, sfidandolo con gli occhi. 

«Altrimenti?» chiedo con voce smielata, anche fin troppo per me. 

Lo osservo mentre si morde il labbro ed i suoi occhi si muovono dalla mia bocca ai miei occhi attenti e calcolatori.

Cazzo se è bello.

«Piccola tentatrice...» sussurra per poi portarsi la fragola alle sue labbra mordendo la punta.
Osservo un rivolo di succo uscire fuori dal labbro e scivolare lento sul suo mento.
Senza controllarmi mi allungo verso di lui e gli lecco la goccia per poi percorrere la strada fino alla sua bocca.
«Pensavo fosse mia», sussurro, senza staccare il contatto visivo con lui.
Un ringhio percorre la sua gola che sembra tremare sotto al mio sguardo, mentre la sua mano con il restante della fragola torna sulla mie labbra, che questa volta l'accolgono con un morso.
Il sapore dolce del frutto scoppia sulle mie papille gustative, accontentando anche se lievemente la fame che aveva risvegliato un'oretta fa il mio stomaco.

Deglutisco e mi lecco il labbro inferiore, mentre i suoi occhi che non mi avevano lasciato, si socchiudono.
«Per quanto in questo momento vorrei farti togliere quel sorriso beffardo sul viso, mettendoti a novanta su questo tavolo, ho molti impegni con te oggi, e non possiamo ritardare», m' informa, per poi afferrami di nuovo dalle cosce per farmi scendere dal tavolo. Sorrido soddisfatta e gli poso le mani sul petto, mi ha impedito di andare al lavoro? Beh non gli renderò la giornata così facile.
«Quanto autocontrollo signor Dallas, peccato, mi sarebbe piaciuto sperimentare quanto è stabile questo tavolo, sarà per la prossima volta...» .

Un altro ringhio riempie la stanza e  prima che me ne renda conto, la sua bocca cade sulla mia feroce e bisognosa, come un'onda che s'infrange contro uno scoglio.
Le sue mani vagano sotto alla maglietta grigia che gli ho rubato come mio solito, ed indugiano sul mio fianco per poi salire verso i miei seni nudi.
Ma all'improvviso si stacca e le sue mani mi abbandonano, risistemando il tessuto sul corpo.

«Tu...tu piccola peccatrice, ora mangia e poi vestiti, dobbiamo uscire tra circa mezz'ora» mormora per poi spostarmi la sedia per farmi sedere. Rido ma mi siedo, senza smettere di guardarlo.
«Tu dove vai? Non mangi?» gli chiedo afferrando lo yogurt e un cucchiaio dal tavolo.
«A cercare il mio autocontrollo» mormora per poi sparire nel corridoio, con i pantaloni della tuta rigonfi tra le sue gambe.
1-0 per me. Sarà una giornata molto lunga.

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