Lo chalet
Jennifer
L'aria fuori è ancora pungente, ma si sente che lentamente sta per arrivare la primavera. Lo noto dagli alberi, dall'erba, e dalle piantine nell'ingresso.
Dovrei sistemarle, dare a loro un aspetto decoroso, e magari aggiungere qualche colore. Mi guardo intorno vedendo possibilità. Quanto mi piacerebbe sistemare questo giardino e fare qualcosa per il vialetto, magari delle siepi o degli alberelli. «Aspettami qui, prendo l'auto», mi avvisa Matt, ma io sono completamente persa nei miei progetti.
Mia madre mi ha passato questa passione e aveva contagiato anche mio padre. Ricordo che tutta la mia infanzia è stata piena di piante, fiori e alberi. Mia madre se ne prendeva cura e m'insegnava tutti i trucchi per evitare di farle morire, per accudirle al meglio.
Mi diceva che anche loro erano forme di vita, che come noi nascevano, vivevano e poi morivano. In un ciclo continuo.
E noi dovevamo aiutarle in questo processo della loro vita.
Poi col tempo questa passione si è un po' affievolita, tra gli studi e poi il lavoro. Ma non ho mai perso la voglia di farlo. E ora che ho momentaneamente questo immenso giardino, potrei davvero fare qualcosa.
Qualche minuto dopo, davanti a me si ferma una grossa Jeep, che mi distoglie dai miei pensieri. Rimango sorpresa a guardare il colore militare dell'automobile. Non sapevo ne avesse una, è fantastica.
Esitante mi avvicino alla portiera del passeggero, apro la portiera e mi accorgo di quanto il sedile sia in alto. La apro e metto un piede sul battitacco, cercando di darmi la spinta necessaria per mettermi seduta, ma quando sto per farcela, sento una mano posarsi sul mio sedere. Dallo spavento salto in aria e perdo la presa con il bordo, cadendo fra le braccia di Matt.
«Ehi, calmati stavo solo cercando di aiutarti» dice, riportandomi in posizione eretta. Ringhio e gli lancio un'occhiataccia «non mi aiuti mettendomi una mano sul culo!».
Lui ride, e cazzo se è contagiosa e bellissima la sua risata.
Una volta assicurato di avermi fatto sedere correttamente, chiude la portiera e raggiunge il posto del guidatore.
«Sei sicuro di voler guidare? Se vuoi lo faccio io», mormoro con tutta l'intenzione di sbeffeggiarlo. So quanto tiene alla sua nomina di maschio alfa, che sa fare tutto. E la cosa è troppo irresistibile, per non usarla contro di lui.
Il suo sguardo corrucciato mi fa sorridere, e la sua voce altezzosa allenta un po' la mia ansia.
«Cosa vorresti dire, che non so guidare?» chiede, cercando di guardarmi serioso, senza riuscirci.
Scoppio a ridere e scuoto la testa «l'ultima volta che ti ho visto guidare mi sei venuto addosso, quindi sì, dubito della tua guida».
Mi guarda, come se fosse rimasto offeso dalla mia accusa e si mette una mano sul petto.
«Mi ferisci così, in quel momento ero scioccato, perché avevo appena ricevuto la notizia che dovevo sposarmi», si china su di me e mi lascia un bacio sulla guancia. Il mio respiro si mozza, e la sua bocca si sposta verso il mio orecchio.
«Forse, è stato il destino a farci incontrare».
Poi lasciandomi con le sue dolci parole nella mente, aziona l'auto uscendo dal cancello principale.
***
Dopo mezz'ora di viaggio, osservo il sole che lentamente sta calando, colorando il cielo di rosso che poi sfuma verso il rosa. «Non stiamo andando verso l'oceano e nemmeno verso il centro, mi vuoi dire dove mi stai portando?».
Lui scosta un attimo lo sguardo dalla strada, per osservarmi sconcertato. «Sai cos'è una sorpresa?» sbuffo e appoggio la fronte contro al finestrino.
«Sì, ma magari è tutta una messa in scena per uccidermi, e buttare il mio cadavere in qualche fossa, quindi voglio sapere dove morirò».
La sua risata mi fa girare lo sguardo, e lo osservo mentre ride di me con cipiglio. «Ti ho già detto che i tuoi pensieri, a volte mi fanno paura?» lo guardo male, ma non riesco a trattenere un sorriso.
«Non mi rincuori così!» la sua mano si posa sulla mia coscia, e non posso fare a meno di irrigidirmi.
«Come ti ho già detto, sei troppo importante per me, non potrei mai liberarmi di te» sussurra e mentre il mio cuore si scioglie, lui ritorna a concentrarsi sulla strada, senza però togliere la mano dalla mia coscia.
***
«Jenny», sento il mio nome ripetuto in continuazione, eppure mi costringo a tenere chiusi gli occhi, per continuare a dormire. «Jenny siamo arrivati» dice ancora la voce, ma non demordo e mi volto, sperando che la voce la smetta di tormentarmi.
Ma neanche lui si arrende, sento la portiera aprirsi di fianco a me, e delle braccia mi prendono in braccio. Mi appoggio contro di lui e annuso il suo profumo, con la testa sul suo petto.
Rendendomi conto all'istante di come mi piaccia questa sensazione.
Questo calore al cuore, che lui mi procura e il benessere che provo, solo a stargli accanto. Ormai sono sveglia, eppure tengo gli occhi chiusi e mi godo la sensazione di essere fra le sue braccia e cullata dal suo movimento.
Vorrei stare per sempre tra le sue braccia. È possibile?
Sale un paio di scalini, lo sento ringraziare qualcuno con un sussurro. Ma non ho il coraggio di scoprire di chi si tratti, perché altrimenti dovrei scendere da queste braccia possenti.
Con agilità lo sento salire altri scalini e una volta arrivato al secondo piano, apre una porta con un calcio.
In pochi secondi mi ritrovo sdraiata su un letto freddo. Le sue mani mi tolgono le scarpe e gli spessi jeans, per poi mettermi sotto a delle lenzuola fresche e profumate. Mi accarezza i capelli e poi le sue labbra si posano sulla mia fronte, in un dolce bacio. L'ultima cosa che sento sono i suoi passi allontanarsi, e la porta chiudersi prima di crollare di nuovo nel mondo dei sogni.
Solo dopo un tempo indeterminato mi risveglio di nuovo dal sonno, quando sento il suo corpo abbracciarmi e attirarmi contro al suo, e la sua bocca baciarmi l'angolo della bocca.
«Notte piccola», sussurra e posa la testa accanto alla mia, per poi riaddormentarmi, questa volta tra le braccia del mio dolce diavolo, dagli occhi verdi.
***
Apro gli occhi controvoglia e li sbatto un paio di volte, prima di mettere a fuoco lo spazio che mi circonda.
Sono in una stanza sconosciuta, su un letto che non è il mio e i ricordi confusi della notte precedente, mi riempiono la mente.
Il viaggio, le sue braccia confortanti e il suo corpo contro il mio, prima di addormentarmi.
Mi metto a sedere e osservo il letto vuoto affianco a me perfettamente sistemato, nessun segno mi dà l'impressione che lui abbia dormito affianco a me, a parte il suo profumo.
Senza pensarci sprofondo con il viso contro il morbido tessuto del suo cuscino, godendomi la sensazione. Sono veramente ridicola! Eppure non mi scosto dalla mia postazione, finché un borbottio allo stomaco mi costringe a scendere dal comodo letto.
Ma appena scosto il lenzuolo, mi accorgo di essere senza pantaloni.
Disperata cerco la mia borsa e i jeans che avevo ieri sera, invano. Analizzo la situazione e senza farmi prendere dal panico tiro giù il maglione, che fortunatamente mi copre le natiche, anche se a malapena. Okay, posso farcela.
Curiosa di sapere dove mi ha portato, mi affaccio alla finestra e rimango incantata a guardare un fitto bosco davanti e intorno alla casa.
La luce filtra tenuemente attraverso i rami alti, rendendo il tutto magico e misterioso. L'odore di terreno e di pino si mischiano con l'odore del camino. Questo posto è affascinante e allo stesso tempo ti lascia senza parole.
Sorrido e chiudo la finestra tirando le tende.
Mi guardo intorno nella piccola camera. Principalmente c'è il letto che domina la stanza, due comodini, delle luci sopra alla testiera del letto e infine una piccola scrivania.
Apro una delle due porte, ritrovandomi davanti a un piccolo corridoio, che porta verso altre stanze, e ad una scala in pietra. Appoggio una mano sulle pietre fredde della parete, e mi lascio accarezzare da loro mentre scendo le scale.
Una volta al piano di sotto, non posso fare a meno di notare l'arredamento, mobili antichi in legno scuro, un camino accesso, delle vecchie poltrone poste davanti e infine diversi quadri appesi alle pareti.
«Buongiorno», l'improvvisa voce mi fa saltare in aria e girandomi noto Matt, appoggiato al tavolo di marmo, in quella che sembra una piccola cucina aperta.
Il suo sguardo cade sulle mie gambe nude e un sorriso gli scappa. Lo sapevo che lo aveva fatto apposta! Ma non voglio dargliela vinta, quindi disinvolta mi avvicino a lui e afferro la tazza che subito mi porge. Annuso il profumo del caffè e sorrido per poi sorseggiarlo.
«Dormito bene?» chiede, mentre mi siedo su uno sgabello, appoggiando i gomiti sul tavolo e continuando a tenere ben stretta la tazza davanti a me.
«Sì e tu?» lui annuisce e mi passa accanto, per poi sedersi affianco a me. La sua gamba si scontra con la mia, ma io non lo allontano.
«Sì, ma avrei dormito anche meglio, se qualcuno non si fosse messo a russare», commenta, per poi osservarmi.
Oltraggiata dalla sua accusa, per poco non mi strozzo con il liquido caldo del caffè. Gli punto l'indice contro al petto e lo guardo male.
«Io non russo!» mi difendo e lui si mette a ridere, baciando la mia mano davanti a lui. Scottata la allontano, senza smettere di osservarlo.
«So che la verità è dura da accettare, ma devi ammettere a te stessa, che durante la notte fai rumori strani e che parli» mi alzo in piedi e lo fronteggio superandolo in altezza di solo qualche centimetro, visto che è seduto.
«Non è la verità! Tu stai mentendo!» mi difendo, ignorando il motivo per cui questa accusa mi importi così tanto. Forse perché mi piace discutere con lui. Questo lo abbiamo già constatato effettivamente.
«Poi senti chi parla, diventi una piovra di notte, continui a muoverti importunandomi», commento, in un vano tentativo di difendermi.
Sorridendo mi circonda con le sue braccia, solleticandomi il naso con il suo, mentre le sue mani si posano sui miei fianchi, a pochi centimetri dalla mia pelle nuda.
Mi immobilizzo colta dal suo tocco e non mi stacco, lasciando che mi tocchi.
«Sei bellissima quando ti arrabbi», ammette ridendo, per poi staccarsi da me, sorridendomi dolcemente.
«Fai colazione e poi vestiti, devo farti vedere una cosa», mi lascia un bacio sulla fronte «la tua borsa è sul divano», sussurra allontanandosi, e pochi secondi dopo, sento la porta sbattere. Ancora scioccata dalle sue parole e dal suo tocco mi siedo e appoggio la faccia contro il marmo freddo, cercando di far abbassare la mia temperatura corporea.
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