CAPITOLO 19

Pasta e cereali

Jennifer

Dopo mezz'ora nella biblioteca, osservo la pila di libri che ho appoggiato sul mobile, con l'idea di leggerli tutti in questa fantastica l'una di miele. Ancora eccitata, scendo le lunghe scale e raggiungo la cucina, trovando Matthew che è dietro ai fornelli, scalzo e con la maglietta bianca tutta sporca di sugo.

«Ehi» sussurro e quando mi vede, sorride imbarazzato, per poi mordersi il labbro. Forse questa è la prima volta che lo trovo così. Con le difese abbassate e in difficoltà con qualcosa.

«Che cosa stai facendo di buono?» gli chiedo con tono un po' titubante mentre osservo la guerra di pomodoro che ha provocato, sopra i fornelli, sul tavolo e addosso a lui.

«Oltre ad aver fatto una scena del crimine...», commento con il sarcasmo che avvolge la mia voce.

Lui mi guarda male, ma senza riuscire a nascondere un sorriso divertito. «Ti farò chiudere quella bocca insolente, con il mio fantastico piatto», sussurra, facendomi sobbalzare e arrossire. Odio quando succede, quanto vorrei imparare a controllare le mie guance per impedire a tutti di comprendere le mie emozioni.

Però lui non sembra nemmeno accorgersene, mentre impacciato gira il sugo, facendone cadere altro sul ripiano.

Il suo sguardo allarmato cerca il mio, mentre io mi mordo il labbro per non ridere, fallendo miseramente.

«Non ridere, la mia pasta al sugo sarà favolosa» commenta fiero di sé, per poi iniziare a fischiettare, come se non ci fosse alcun problema. Cosa che dubito.

Sorrido e scuoto la testa, per poi guardare la pentola piena d'acqua davanti a me, che sembra più calma di quella di uno stagno.

«Hai fatto bollire l'acqua prima di versare la pasta, vero?» gli chiedo e il suo improvviso silenzio mi dà la risposta.

Lo guardo con le lacrime agli occhi per le risate, mentre lui sbuffa lasciando cadere la sua maschera di uomo sicuro.

«Okay io non so cucinare, ma non volevo farti mangiare una pizza surgelata, il tuo primo giorno qui», mi confessa facendomi stringere il cuore in una strana morsa.

Lo guardo sorpresa dalle sue parole. Quando penso che Matt sia il solito stronzo, fa sempre qualcosa che mi fa cambiare idea, creandomi una moltitudine di pensieri che si scontrano nella mia mente. Il fatto che abbia pensato a me è così dolce...ma ancora non riesco a fidarmi di lui, e credo che non riuscirò mai più a farlo.

Faccio il giro della penisola, affiancandolo, poi prendergli il mestolo dalle mani.

«Stai tranquillo, sistemo io» sussurro per poi legarmi i capelli, con la codina che tengo sempre intorno al polso.

Mentre verso il contenuto salvato nei piatti, sento la sua presenza alle mie spalle, però ho paura a voltarmi. Nel frattempo lui aveva apparecchiato la tavola e messo della musica in sottofondo, che riempiva la stanza. Ma ora è tornato qui, a pochi passi da me, riesco a sentirlo, come anche il suo sguardo che sembra bruciarmi la pelle. Devo darmi una calmata.

Svuoto la pentola in sue piatti, per poi metterla a bagno nel lavandino, ci penserò dopo. Mi volto con i piatti in mano e per poco non faccio cadere tutto.

La sua figura longilinea è a pochi passi da me, sovrastandomi totalmente. Sono costretta a sollevare lo sguardo per poter incontrare il suo sguardo. E quello che trovo mi destabilizza, più di quanto non lo sia già. È fuoco quello che vedo? Probabilmente la stanchezza mi sta facendo brutti scherzi.

Prima che possa comprendere le sue mosse, le sue mani afferrano entrambi i piatti e li posa dietro di sé, sul tavolo, senza allontanarsi da me.

«Grazie, per aver salvato la cena» sussurra, allungando la mano per scostarmi una ciocca di capelli, che ribelle è sfuggita dalla coda, posandola dietro l'orecchio.

«Tranquillo, non c'è problema» bofonchio, sperando di aver terminato la conversazione, ma lui non si allontana da me.

Vorrei tanto eludere la sua presenza, sarebbe così facile, un semplice passo. Ma qualcosa nel suo sguardo mi imprigiona le gambe al pavimento, come delle catene dalle quali non riesco a liberarmi.

«Ho sempre voluto chiederti una cosa, ma non ho mai avuto il coraggio di farlo» ammette, mentre appoggia una mano sulla mia spalla, provocandomi uno strano calore, che si irradia in tutto il mio corpo

«Cosa?» chiedo, sperando di non tradirmi con la voce agitata da gallina.

Sospira profondamente, per poi mordersi il labbro in modo nervoso. Mi sta preoccupando.

«Perché al liceo sei andata via? Chad mi ha detto che c'era qualcuno a scuola che ti dava fastidio, ma io non ci ho mai creduto».

Davvero vuole parlare di questo ora? Sta scherzando spero.

Il mio labbro inizia a tremare, ma lo prendo tra i denti, cercando di fermarlo. Devo solo dire la finta verità che mi sono raccontata per anni.

«Mia nonna non stava bene, ed ero andata ad aiutarla», rispondo, spostando lo sguardo su Romeo, che nel mentre si era avvicinato, guardandoci dal basso e cercando di attirare la nostra attenzione. Ancora concentrata sul gatto, lui mi prende il mento fra le dita e fissa gli occhi nei miei.

«Quindi non era per quello che è successo fra di noi? Giusto? No perché...» si passa una mano fra i capelli, imbarazzato e visibilmente nervoso. Non credo che sia davvero il momento per parlare di questo, anzi non lo sarà mai.

Deglutisco guardandolo confusa.

«Di cosa stai parlando?» gli chiedo, cercando di fargli credere, che non ricordo nulla. Come quel giorno, prima di partire per l'Ohio.

Lui mi aveva chiesto scusa per quella notte, che era stato un errore. E io, come la solita codarda quale sono, avevo fatto l'ingenua, facendogli credere che avevo un blackout di quella notte, e che non ricordavo assolutamente nulla.

Lui sospira profondamente e mi volta le spalle, «niente, mangiamo».

***

Ho passato la mia notte di nozze insonne, e non per il motivo comune, che tutte le coppie sposate fanno appena sposate. Ma perché, non ho fatto altro che pensare alla notte di otto anni fa. Perché l'avevo incoraggiato a continuare? Perché con tutte le persone a cui potevo chiedere un passaggio a casa, l'avevo chiesto soltanto a lui? E perché l'avevo scongiurato di non portarmi a casa mia? Praticamente, me l'ero cercata.

Mi poso un cuscino sul viso e sbuffo, mentre la stanchezza della notte insonne si fa sentire. Effettivamente sono in luna di miele, in ferie, e potrei benissimo poltrire qui in queste lenzuola così morbide, per ore. Mi volto, arricciando le lenzuola intorno al mio corpo, trasformandomi in un'enorme bozzolo. Afferro il telefono, leggendo i messaggi apprensivi di Tess e mia madre, inviando una semplice risposta ad entrambe. Non sono ancora abbastanza sveglia e mentalmente pronta a parlare con una delle due in questo momento. E credo che lo sarò per la prossima settimana.

Dopo un'ora, a leggere con la fioca luce che filtrava dalle tapparelle, decido di alzarmi. Afferro la prima cosa nell'armadio, ed esco dalla stanza, più silenziosamente possibile.

Il mio occhio cade sulla porta di Matthew. Non ci sono ancora entrata, ma ieri ho visto che ci entrava, mentre io mi richiudevo nella mia.

Sospiro profondamente, per poi scendere le scale, a punta di piedi, forse sta dormendo e vorrei evitare di svegliarlo.

Entro in cucina e apro il frigorifero, pronta prendermi del latte, quando una voce alta alle mie spalle, mi fa sobbalzare.

«Che cosa sta facendo?!» mi volto e vedo sulla soglia un uomo, vestito con un completo nero e una camicia bianca.

Il suo viso è vecchio, e viene accentuato anche dai capelli bianchi e stempiati. «Stavo prendendo del latte» rispondo, sentendomi in dovere di giustificarmi, mentre lui mi osserva altezzoso.

«Veda di non sporcare nulla, ho finito ora di pulire il disastro, che avete fatto ieri sera!» borbotta in tono arrogante, per poi andarsene, con passo svelto e irritato.

Deduco che quello sia Frederick, molto simpatico e gentile a quanto ho potuto vedere.

Ignoro la breve conversazione, o sarebbe meglio dire l'intimazione da parte di uno squilibrato, e mi verso il latte in una tazza. Dopo il quarto tentativo con gli sportelli, finalmente trovo qualcosa e prendo gli unici cereali nel ripiano.

«Quelli sono miei!» un braccio dietro di me, afferra la scatola che ho in mano e me la tira via come un fulmine, rapido e deciso, senza lasciarmi il tempo di reagire.

Mi volto e lo guardo furiosa «non ti azzardare, li ho presi prima io!» protesto, mentre lui si gode la mia reazione, tendo fuori dalla mia portata la scatola dal colore rosso.

«Vorrà dire, che te li dovrai guadagnare!» esclama alzando un sopracciglio divertito. Sbuffo irritata e cerco di afferrare la scatola, ma lui la alza sopra alla testa, impedendomelo.

«Matt non ho voglia di giocare, dammi quei cereali!» per non parlare della mia pancia che brontola dalla fame.

Lui ride e solo ora mi accorgo, che indossa soltanto dei pantaloni della tuta neri e tutto il suo busto è nudo.

Mostrandomi così i suoi addominali perfetti, i suoi bicipiti con le vene in rialzo, le fossette addominali che poi spariscono sotto all'elastico, per non parlare della sua pelle, ancora ambrata dall'abbronzatura dell'estate passata.

Lo so che ha fatto apposta, sa di sicuro che effetto può farmi. E cazzo se ha ragione.

«Sono i miei cereali preferiti», ammette lamentoso, senza smettere di sorridere con fare beffardo. Me li devo guadagnare? Bene.

Con velocità appoggio le mie mani sui suoi fianchi, iniziando a fargli il solletico. Urla il mio nome pregandomi di smettere, mentre abbassa le mani, colto dal ridere. Approfittando del momento saltello afferrando la scatola, per poi iniziare a correre, sparpagliando le palline al cioccolato su tutto il pavimento. «Jennifer!» urla. Ma io lo ignoro e corro. Sento i suoi passi dietro di me, mentre decido di salire su per le scale, con l'adrenalina a mille e con il cuore frenetico che rimbomba nelle orecchie.

Colta dal gioco, entro nella prima porta che vedo, senza far particolare attenzione a quale sia.

Le finestre della stanza sono aperte, facendo entrare una leggera brezza invernale, insieme ai raggi del sole che illuminano un letto sfatto. È la stanza di Matt. Cazzo.

Mi permetto qualche secondo per notare, le pareti scure e vari quadri le occupano, una scrivania in mogano, piena di fogli, per non parlare del letto gigantesco che domina la stanza.

Ma quello che mi colpisce di più, è il suo profumo, che tuttora aleggia nell'aria. Ancora con il fiatone che fa sobbalzare il mio petto, mi fiondo in una delle due porte della stanza, che scopro essere il guardaroba. Mi sistemo dietro a dei completi appesi, mentre cerco di calmare, il mio respiro agitato ed il cuore che batte al massimo. Ma all'improvviso, sento la porta aprirsi con un insolito cigolio, e poi dei passi riempire la stanza.

«Jenny» la sua voce nella stanza mi riempie le orecchie, facendomi rabbrividire. Sembriamo due bambini che giocano a nascondino, eppure ho l'impressione, che questa volta non finirà, come quando giocavamo da bambini.

Guardo il pavimento, attraverso il piccolo spioncino di luce. e mi rendo conto, che ho lasciato una scia di cereali, che portano dritta a me.

Dannazione! La porta si apre e vedo l'ombra di Matt, riversa sul pavimento «so che sei qui, piccola ladra di cereali». Trattengo una risata, mentre aspetto la mia fine.

Lentamente arriva davanti a me, e quando tira i vestiti, sebbene la poca luce, vedo i suoi occhi brillare «eccoti qui».

Si china su di me e mi prende in braccio, mentre io scoppio a ridere e i poveri cereali, finiscono tutti a terra. Frederick mi ucciderà, appena vedrà il casino che abbiamo combinato. Le sue mani si chiudono sotto alle mie cosce, stringendole nei suoi palmi.

Con semplicità mi porta nella camera, e mi butta sul suo letto, iniziando a farmi il solletico sulla pancia.

«Matt ti prego smettila», lo prego a corto di fiato, mentre non smetto di ridere. «MATT!» urlo più forte e lui si ferma, senza staccare le mani dalla mia pancia.

I suoi occhi incontrano i miei e una strana atmosfera si forma, mentre l'elettricità del momento aleggia intorno a noi. Entrambi siamo a corto di fiato, ed entrambi non riusciamo a staccare lo sguardo.

Solo ora mi rendo conto di essere sdraiata con lui fra le mie gambe, e con le sue mani sulla mia pelle nuda, per colpa della maglietta che si è alzata.

«Matt», lo richiamo, ma lui sembra perso nel momento. Si china su di me e il suo respiro mi accarezza dolcemente la pelle del viso, come una dolce piuma che mi provoca la pelle d'oca.

Il mio sguardo si sposta sulla sua bocca, ed è come se riuscissi già a sentire, la sensazione delle sue labbra sulle mie, della sua lingua che accarezza la mia, sfidandola.

Mi rendo conto di quanto lo desidero, solo quando le mie gambe, lo circondano avvicinandolo di più a me. Lui lo prende come incito e si china ancora di più su di me, con il suo fiato che stuzzica la mia bocca. La sua mano si sposta sul mio viso, accarezzandolo dolcemente e proprio in quel momento, appena incontro i suoi occhi, mi rendo conto di cosa sto per fare, e volto il viso, lasciando cadere le sue labbra calde, sulla mia guancia.

Una scarica di adrenalina mi colpisce, elettrizzando ogni muscolo e osso. Se prima eravamo accesi dal momento, ora uno strano freddo raggelante, ci fa dividere all'improvviso.

Lui si alza e si scompiglia i capelli, senza guardarmi negli occhi, mentre io mi sistemo la maglia «starò tutto il giorno nell'ufficio, ci vediamo stasera a cena» annuncia, per poi entrare nel guardaroba voltandomi le spalle.

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