CAPITOLO 15

Il matrimonio

Jennifer

Il fatidico giorno è arrivato, e l'idea di andare in quella maledetta chiesa mi fa tremare le mani, le gambe e le braccia. O forse è perché ormai è il terzo caffè che bevo da questa mattina, e considerando che sono appena le nove, non va per niente bene. «Ehi calmati, o ti farai venire un attacco di panico», borbotta Tess alle mie spalle, mentre mi sta acconciando i capelli.

Ha insistito così tanto che alla fine glielo ho fatto fare, sebbene io sarei andata persino con i capelli sciolti.

Sollevo lo sguardo, incontrando il suo nello specchio, «non ce la faccio, sono agitatissima».

Lei sbuffa e non perché è una pessima amica, bensì perché sente queste esatte parole, da quando si è svegliata, e credo che tra poco mi tirerà i capelli, pur di farmi dire altro.

«Mi puoi ripetere ancora cosa ti ha detto Aiden ieri sera?» sbuffa ancora e alza occhi al cielo. «Sai, la versione non è cambiata dopo la decima volta», sussurra leggermente infastidita, ma vedendo il mio sguardo supplichevole, si arrende.

«Che l'hai ferito, che non si aspettava questo da te, e basta Jen, poi se ne è andato», asserisce, spruzzando della lacca sui miei capelli, per poi allontanarsi guardando orgogliosa la sua opera.

Mi alzo e mi avvicino ancora di più allo specchio, ammirando la lunga treccia che mi cade sulla spalla, costeggiata di piccole pietruzze e brillanti. Wow.

«È bellissima Tess», ammetto sorpresa. Lei sorride, e saltella felice agitando le mani, «lo so» ribadisce. Dallo specchio gli lancio un'occhiataccia.

«Sei proprio modesta» osservo, e lei in risposta sorride divertita, guardandomi altezzosa.

«Grazie, me lo dicono spesso», ammette con il sarcasmo che riempie la sua voce. Sospiro scuotendo la testa, mentre lei apre l'armadio, tirando fuori il mio vestito.

«Amo questo vestito» mi confida lei ammirandolo, nella sua interezza.

È quello che ho pensato anch'io, ogni volta che aprivo l'armadio, eppure ora l'idea di indossarlo, mi terrorizza. Come se un'ombra sinistra si stesse avvicinando lentamente, avvolgendomi con il suo gelido abbraccio, privandomi di ogni speranza di luce o di salvezza. Forse dovrei smetterla di essere così melodrammatica. Mi sto preparando a questo giorno da settimane, quindi ora mi devo dare una calmata.

«Dai, ti aiuto a metterlo!» esulta eccitata. Sospirando profondamente, mi tolgo la vestaglia, avvicinandomi, mentre lei osserva il mio intimo con disgusto.

«Davvero metti le mutande della nonna?» chiede con fin troppo sorpresa. Guardo in basso, per poi riguardarla confusa e innervosita.

«Non sono le mutande della nonna! Sono delle semplicissime mutande di cotone», obbietto offesa e guardandola male.

«E quel reggiseno? È più vecchio di me», continua giudicandomi con tono perentorio. Scuoto la testa, mentre i miei denti scattano e i miei occhi si socchiudono fulminandola.

«Ma se l'ho comprato l'anno scorso!» urlo, ancora di più colta dai nervoso. Lei non risponde, e adagia il vestito dolcemente sul letto, come se avesse paura di fargli male. Incredula, alzo gli occhi al cielo sbuffando, mentre lei afferra un sacchetto dall'armadio, di cui non mi ero proprio accorta.

«Visto che io ti conosco molto bene», mormora, mentre avvicinandomi, leggo sulla borsa di carta il nome di Victoria Secret.

Improvvisamente imbarazzata mi copro il volto con le mani, ignorando il trucco, che lei ha impiegato ore a mettere.

«Tess, io non farò sesso questa notte, non succederà nulla, perciò quello non serve» l'unico atto sessuale, che forse ci sarà questa notte nel mio letto, sarà con la mia mano e la mia fervida immaginazione, ma questo lei non intendo dirglielo.

«Vuoi davvero farmi credere che da soli, in una villa enorme, e nella vostra luna di miele, tu non faresti sesso con lui? Ma io dico Jen, l'hai visto?!» scuoto la testa e la guardo scioccata.

«Certo che no! Oltre a essere una delle regole che abbiamo stilato, voglio ricordarti cosa ha fatto quello stronzo, quando abbiamo fatto sesso la prima ed ultima volta», commento, mentre della malinconia inzuppa le mie parole, che sembrano congelarsi con il mio improvviso gelo, diventando stalattiti che mi trafiggono il cuore.

Annuisce guardandomi con il broncio. «Lo so, e hai ragione, ma forse questa sarà l'unica volta che ti sposerai, non vuoi essere bella, anche solo per te stessa?» mormora, facendo quella sua vocina acuta, di quando vuole convincermi di qualcosa.

Però effettivamente non ha del tutto torto, dopotutto.

Non ricevendo una mia risposta, lei tira fuori dal sacchetto un corpetto bianco ricoperto di pizzo e coordinato con un perizoma. Dannazione se è bello.

«E guarda ho anche una giarrettiera» mi rivela, mostrandomi il fine tessuto che tiene su un dito. Scuoto la testa, sospirando profondamente. «E va bene lo metto, ma niente giarrettiera!».

***

Un'ora dopo mi ritrovo in una limosine con affianco mia sorella e Tess, le mie damigelle d'onore. Stanno parlando entusiaste dell'imminente cerimonia, ma io non riesco nemmeno a sentirle. Mi sembra quasi tutto ovattato, come se fossi sott'acqua sprofondando sempre di più nell'abisso.

Aria si avvicina, chinandosi su di me per osservare il mio vestito, e quando i suoi occhi si spalancano, mi chiedo se per caso l'ho sporcato.

«È un Vera Wang?» mi chiede eccitata, e in risposta la guardo confusa. «Non lo so, me lo ha regalato Matthew», commento ingenuamente.

Lei senza chiedermi il permesso, afferra il retro del mio vestito che con molta difficoltà, Tess ha allacciato bottone per bottone, insieme a qualche imprecazione.

«Oh per la miseria, è proprio un Vera Wang, sai quanto costa questo vestito?» domanda scioccata.

Scuoto la testa e anche Tess, la guarda come se fosse un aliena. Capisco il suo fanatismo per la moda, ma in questo momento non sono con la mente stabile per poterla comprendere.

«Molto Jen, moltissimo», e dette quelle parole, la macchina parte, pronta ad accompagnarci alla cattedrale St. Patrick di New York.

Ho sempre amato quella cattedrale, così maestosa, elegante e sebbene circondata da enormi palazzi, non viene affatto sminuita. Da piccola quando ci passavo davanti, credevo che in quelle torri ci fossero delle principesse da salvare e in attesa dei loro principi, la cosa mi fa sorridere, sebbene in questo momento vorrei solo urlare e piangere.

Il cellulare di Aria squilla e mi riporta alla realtà, sento la voce squillante di mia madre dall'altra parte, ma è troppo basso per poterlo comprendere.

«Okay, ora glielo dico» borbotta e detto questo chiude la chiamata, per poi fare una smorfia. Cosa c'è ora che non va?

«È successo qualcosa?» gli chiedo spaventata.

«Era mamma, va tutto bene, è tutto pronto, ma ha detto che davanti alle porte c'è la stampa, e non un solo giornalista», se questo giorno era già complicato, ora è solo peggiorato.

Guardo la cattedrale e sebbene da questa prospettiva non vedo nulla, alzando lo sguardo riesco ad intravedere qualche testa, anzi molte teste.

In due settimane, avevano scoperto dove vivevo aspettandomi fuori casa, dove lavoravo e infine anche il mio numero di telefono. E per fortuna che in questi ultimi giorni mi sono trasferita da Tess, altrimenti li avrei trovati anche stamattina fuori casa sua. Dannazione!

Tess mi sorride e mi prende la mano stringendola forte «Jenny stai tranquilla, ho un piano», ammette, e poi si affaccia davanti, verso l'autista. Gli dice qualcosa che non capisco e lui subito esegue.

Quando ci ritroviamo dietro alla cattedrale, la guardo confusa. «Mia zia è una suora, e mi portava qui da piccola, so che c'è una entrata sul retro», commenta.

Mi aiuta a scendere dall'auto, afferrando insieme ad Aria lo strascico, attenente a non farlo strisciare sul pavimento.

Gli sorrido e l'abbraccio dolcemente «grazie mille, trovi sempre una soluzione a tutto». Lei sorride e fa uno sbuffo, come se fosse una sciocchezza. «Andiamo, la porta è proprio qui dietro».

Non ci vuole molto a trovare l'ingresso e quando entriamo, un'anziana signora, pronta a sgridarci per l'irruzione, si ferma a bocca aperta, appena mi nota.

«Oh tesoro era ora! Seguimi tutti ti stanno aspettando!» l'ansia mi stringe lo stomaco, ma la ignoro e seguo l'anziana signora, che dopo averci fatto attraversare varie porte e corridoi, indica un'ultima porta. «È lì dentro, congratulazioni ancora!» esulta, per poi andarsene da dove era arrivata.

«Jennifer» mi volto, e senza essere sorpresa, trovo mia madre in piena crisi di nervi, in un vestito blu elettrico. «Ma dov'eri finita?» non perdo nemmeno tempo a dargli spiegazioni, che lei mi prende per il braccio, portandomi verso mio padre che appena mi vede, i suoi occhi brillarono come il suo sorriso.

«Oh tesoro, sei bellissima», dice, per poi lasciarmi un bacio sulla guancia, mentre mia madre non smette di blaterare, su quanto io sia in ritardo, su quanto il prete l'abbia pressata. E molte altre cose, che nemmeno riesco a percepire in questo momento.

«Grazie papà», sussurro in risposta e lui sorride, stringendomi forte le mani fra le sue, che sento tremare.

«Sono così felice di esserci, in questo tuo momento così importante», mi confida, con la voce piena di commozione .

Gli sorrido, incapace di rispondere mentre cerco di trattenere le lacrime, che minacciano di uscire.

«Forza andiamo dal tuo uomo, che è piuttosto agitato» sussurra impedendomi di dire altro. Devo dire che l'idea che anche Matthew si sente come me in questo momento, mi fa sentire decisamente meglio.

Mio padre mi stringe forte il braccio tra il suo, portandomi verso la porta senza fatica. Sembra quasi che per questo momento stia usando tutto le sue forze, per non farmi vedere quanto in realtà è debole. O forse è tutta questa sua felicità, che quasi sembra uscirgli dai pori, a dargli questa energia.

Una volta raggiunta la porta, inizio a tremare, e la mia mente si riempie di piani per la fuga. Infondo è la mia ultima opportunità per ritirarmi, dopo non potrò più tornare indietro. A meno che faccio una di quelle corse attraversando la navata, come Julia Roberts in Se scappi ti sposo. No! Che idee mi vengono in mente!

Senza guardarmi le spalle, attraverso titubante le porte che Tess e Aria mi aprono, per poi iniziare ad attraversare la navata.

Immediatamente cerco lo sguardo di Matthew e quando lo trovo, lo sorprendo intento a guardarmi. Un sorriso sincero si forma sul suo viso, illuminando i suoi occhi che non perdono il contatto con i miei.

Sono completamente terrorizzata, eppure il suo sguardo, mi fa fare un passo dopo l'altro, fino ad arrivare da lui. Mio padre tende la mia mano nella sua e si avvicina a lui, sussurrandogli qualcosa vicino all'orecchio, che non riesco a sentire, e dopo avermi dato un bacio, si siede vicino a mia madre.

Matthew mi attira a sé, la sua mano si posa sulla mia schiena, e sebbene la pesante stoffa, riesco comunque a sentire il suo calore. Eccitazione si mischia al terrore, creando un vortice di emozioni, da farmi girare la testa.

Il suo viso si abbassa sfiorandomi l'orecchio con il naso. Sussulto stringendo automaticamente di più la sua mano.

«Avevo ragione, sei bellissima in questo vestito» sussurra con voce melliflua. Sorrido senza controllarmi e lo ringrazio, mimando la parola con la bocca. Lui mi osserva per un'ultima volta per poi rivolgere l'attenzione al prete. Un uomo anziano dai capelli bianchi, e degli occhiali tondi appoggiati sul suo lungo naso, ci sorride felice per poi iniziare la celebrazione.

Da lì tutto fu confuso e un po' annebbiato, perché non riuscivo a concentrarmi con la sua mano che continuava ad accarezzare la mia e con lo sguardo focoso che a volte mi rivolgeva. Concentrandosi fin troppo sul mio seno, evidenziato dal corpetto per poi scendere lungo il mio corpo. E quando faceva quel sorriso soddisfatto, probabilmente qualche mio neurone è morto per infarto. Come potrebbe d'altronde non annientarmi totalmente?

Devo darmi una calmata, non posso perdere le staffe proprio ora. Mentre cerco di inspirare e espirare il prete mi guarda e la paura si impossessa di me, cosa mi sono persa? Ma lui invece mi sorride e continua a parlare.

«Jennifer Miller vuoi prendere il qui presente Matthew Dallas, come tuo sposo?».

Al diavolo la buona respirazione, non ha calmato per niente i miei bollori, né tanto meno la mia ansia. È arrivata l'ora, e qui che ci deciderà come andrà la mia vita. Si è un anno, ma comunque un matrimonio...è pur sempre un matrimonio. Ecco ancora il panico.

Matthew mi stringe di più la mano per richiamarmi, ricordandomi che ormai sarà passato almeno un minuto. Devo tornare in me.

«Sì...sì lo voglio», sussurro con esitazione. Il parroco mi sorride e annuisce, per poi rivolgersi a Matthew, con la stessa domanda, che al contrario di me, risponde senza incertezza.
Poi arriva lo scambio delle fedi e quando prendo la sua grossa fede d'oro, le mie mani tornarono a tremare, facendomi temere di farla cadere a terra.

Ma con tranquillità lui mi aiuta, per poi accarezzarmi dolcemente la guancia mimando un "va tutto bene" che finalmente mi fa respirare, o almeno fino all'ultimo step che tanto temevo.

Ho paura di sentire qualcosa oltre a un semplice bacio, anche perché so benissimo che non sarà un normale bacio. Non con Matthew.

Quando il prete mormora quella fatidica frase, i suoi occhi mi chiedono il permesso in una conversazione di sguardi, ed esitando, annuisco debolmente.

Lui si avvicina, mettendomi una mano dietro la nuca, e l'altra attorno al mio busto, mi guarda per un instante negli occhi, e poi mi bacia.

Un bacio lento e dolce, qualcosa che va in contraddizione con lui, eppure mi sciolgo e mi rilasso contro le sue labbra morbide e calde, lasciandogli accarezzare la mia lingua che non fa altro che ricambiare.

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