EPILOGO (Parte 2)
Dopo quasi due settimane di accertamenti ed una intensa riabilitazione per migliorare il mio equilibro e la mia coordinazione, finalmente mio padre firma le carte di dimissione ed usciamo entrambi dall'ospedale. << Il taxi arriverà tra poco>>, mi informa mio padre, mettendo il suo cellulare nella tasca dei jeans. Fuori dall'ospedale c'è un caldo afoso, quasi infernale, che è molto strano per un fine agosto. << Lei è...>>, incomincio a dire, riferendomi a mia madre, ma mi interrompo non riuscendo più a finire la frase perché mi viene uno strano groppo in gola. Mi fa ancora strano sentire la mia voce così bassa e roca, ma il dottore mi ha rassicurato dicendomi che tra un paio di settimane, se non meno, ritornerà come prima.
<< Cambiata? No, purtroppo è sempre la stessa>>, dice mio padre come se mi avesse letto nel pensiero, abbassando lo sguardo. Io annuisco e gli chiedo dopo un po': << Quindi quando arriviamo a casa facciamo subito i bagagli?>>. << Sì>>, risponde con una strana determinazione. Alla fine, in seguito ad una lunga chiacchierata, abbiamo deciso entrambi di trasferirci finalmente in un posto lontano e ricominciare tutto daccapo. Stranamente non ho notato in mio padre nessun ripensamento, anzi sembra quasi sollevato dall'imminente trasferimento, soprattutto dopo che il medico mi ha detto che mi avrebbe fatto sicuramente bene il cambio da una città piena di smog ad un piccolo paese vicino al mare.
<< Sicuro? Non ti dispiace lasciarla qui, da sola?>>, gli chiedo, guardandolo con la coda dell'occhio. << Ti ho già detto che sì, sono sicuro, anzi sicurissimo. Saprà cavarsela benissimo da sola... così imparerà per una buona volta la conseguenza delle sue azioni>>, dice. Si ferma davanti a noi un taxi. Quindi saliamo e papà dice al taxista l'indirizzo di casa.
Passati una quindicina di minuti, imbocchiamo la via di casa. Mi sorprendo quando vedo che sembra molto più ampia e deserta, visto che prima dell'incidente era sempre affollata di bambini che giocavano a pallone. Sento una certa ansia salirmi dentro di me, appesantendomi la testa. << Andrà tutto bene, non ti preoccupare>>, mi rassicura mio padre rivolgendomi un caloroso sorriso, mentre il taxi si ferma davanti casa.
<< Scarlett non c'è da nessuna parte>>, mi dice mio padre, dopo aver controllato da cima a fondo la casa mentre mi ha raccomandato di stare fuori ad aspettare. Non posso non notare la sua espressione preoccupata. << Ah>>, riesco solo a dire, chiudendo la porta d'ingresso alle mie spalle.
<< Beh, non perdiamo tempo e andiamo a fare i bagagli! Vuoi che ti dia una mano?>>, mi chiede mentre prende una lattina di birra da terra. << No, grazie... ce la posso fare da sola>>, gli rispondo facendo un sorriso, dirigendomi in camera mia. La mia stanza è esattamente come me la ricordavo... piena di poster e foto fatte dalla sottoscritta che ricoprono tutta la parete dove si trova la scrivania che straborda di quaderni e disegni. E infine, proprio sotto alla finestra c'è il mio adorato letto pieno di cuscini. Apro l'armadio e prendo due valige, una più grande dell'altra, per mettere dentro tutto l'occorrente, dopo aver raccolto i capelli in uno chignon. Dopo più di mezzora passata a piegare ed a mettere dentro pantaloni sia corti che lunghi, salopette, t-shirt di vario tipo, maglie a maniche lunghe, felpe, alcuni vestiti, la biancheria, i pigiami ed i calzini, chiudo la prima valigia. << E fuori una!>>, dico a bassa voce, posando la valigia per terra e prendendo l'altra. Nell'altra che è un po' più piccola, metto quattro paia di scarpe, più le ciabatte, una trousse con dentro alcune creme, una spazzola, degli elastici, un mascara, un correttore, un blush, tre lucidalabbra ed una palette con quattro ombretti, ovvero tutti i trucchi che possiedo. Poi metto anche la mia amata macchina fotografica, il mio album da disegni e, dopo aver staccato tutte le foto ed i poster dalle pareti, li ripongo accuratamente in una teca. Chiudo la valigia e la metto vicino allaltra. Poi mi stendo sul letto esausta guardando il soffitto tempestato di stelline che si illuminano al buio, attaccate quando avevo ancora cinque anni. Mio padre bussa con un po' di esitazione alla porta semiaperta della mia stanza. << Avanti>>, dico, alzandomi dal letto. Lui apre completamente la porta e mi chiede, guardando le valige:
<< Oh, che brava, le hai già preparate!>>. Io annuisco soddisfatta. << Abby, non è meglio se vai a farti una doccia per rilassarti un po'?>>, mi chiede rivolgendomi un sorriso. << Sì, forse è meglio... anche perché, non so se è una mia impressione, ma mi sembra di puzzare come un maiale>>, dico, scatenando una risata a mio padre. << Ehm... non te lo volevo dire perché mi sembrava maleducato, ma sì, un po' puzzi>>, dice, incominciando di nuovo a ridere. << Ma che simpatico che sei!>>, esclamo, facendogli la linguaccia. << Per questa volta ti accontento... così mi tolgo anche questi vestiti>>, gli dico, guardando la maglietta verde ed i pantaloni rossi che mi hanno dato in ospedale le infermiere, che oltre ai colori che abbinati insieme sono orribili, sono fin troppo larghi. << Ah bene! Avevo il sospetto che ti piacessero>>, dice, tirando un sospiro di sollievo. << Per fortuna il trauma cranico non mi ha cambiato i gusti in fatto di abbigliamento!>>, dico, mentre prendo dalla valigia una t-shirt nera degli Sleeping With Sirens e dei jeans corti. << Ah, la mia piccola! Mi sei mancata!>>, dice, dandomi un bacio sulla testa. Tra un paio di anni, mi continuava a dire, lo avrei sicuramente passato di altezza, anche se avevo i miei dubbi visto che lui era un metro e ottantacinque ed io ancora un metro e settantaquattro. << Io per qualsiasi cosa sono in salotto! Fai con calma, ho fermato il taxi per le 18:20... tanto abbiamo il check-in alle 19 in albergo e sono solo le 16>>, dice. << Okay!>>, dico, andando in bagno e chiudendo la porta. Poso i vestiti sopra il mobile vicino alla doccia e mi sciolgo lo chignon. Poi mi guardo per la prima volta dopo quasi cinque mesi allo specchio... fino ad ora non avevo avuto il coraggio di farlo. Sul mio viso pallidissimo risaltano le lentiggini come le gocce di pioggia sul vetro di una finestra, invece le ciglia ramate sembrano come allungate ed anche i capelli. Sotto gli occhi ho un po' di occhiaie, ma nulla che non si possa sistemare con un po' di correttore. Mi tolgo i vestiti e li butto da una parte mentre entro nella doccia non solo per lavarmi ma anche per liberarmi da un incredibile senso di vuoto che mi opprime da quando mi sono svegliata dal coma.
<< Hai preso tutto?>>, mi chiede mio padre mentre prendiamo tutte le valige e le portiamo in salotto. << Sì!>>, dico, mentre qualcuno spalanca di colpo la porta, facendoci entrambi sobbalzare dallo spavento. È mia madre con in mano una bottiglia di vodka. Mio padre la fissa e mettendosi davanti a me, come se mi volesse proteggere. << Oh Trevor, da quanto tempo!>>, dice mia madre facendo un sorrisino. Poi si accorge della mia presenza e dice quasi con disprezzo: << Sei ancora viva?>>. Io la guardo a mia volta con odio. << Sì, per tua sfortuna>>, replico fremente di rabbia. << Ma perché ce l'hai tanto con me?>>, le chiedo di punto in bianco. Questa domanda ormai mi assillava da troppo tempo e prima di partire e molto probabilmente di non vederla mai più volevo chiederglielo. << Lascia perdere Abby>>, dice mio padre, prendendo due valige. << Ah, vuoi sapere perché ce l'ho con te? Perché TU mi hai ROVINATO la VITA!>>, sbotta velenosa mia madre.
<< Scarlett, ORA BASTA!>>, interviene mio padre, innervosendosi per il suo tono. Mia madre abbassa lo sguardo sulle valige e vedo sul suo volto lo sconcerto ed una punta di rabbia. << Dove... andate?>>, chiede, posando la bottiglia sul ripiano della TV. Papà deglutisce, odiando probabilmente già quello che sta per dire. << Via da questo posto. Via da TE!>>, dice tutto dun fiato. Le guance di mia madre diventano allimprovviso paonazze. << M-ma... non puoi, non potete farlo!>>, dice sconvolta, scuotendo la testa e facendo rimbalzare i suoi capelli castani ormai spenti per il troppo alcool e fumo. << Sì che lo possiamo fare, infatti lo stiamo facendo! Sono stanco...>>, incomincia a dire, ma poi si corregge: << Siamo stanchi del tuo comportamento e di tutte le cattiverie che ci hai detto e fatto! Quindi noi ce ne andiamo, che questo ti serva da lezione!>>. Lei tace per un po' e poi, avvicinandosi a noi, dice con voce rotta: << Abby, tesoro, io... ti voglio bene!>>. Riesco ad intravedere per un attimo negli occhi marroni di mia madre una punta di rammarico, mescolata a pura disperazione. << Non la toccare>>, la ammonisce mio padre, lanciandole unocchiataccia e mettendosi di nuovo tra lei e me, creando una specie di barriera. Riesco a scorgere la sua occhiata di una freddezza tale che mi gela il sangue nelle vene. Non avevo mai visto questo lato di mio padre. << Ma... n-no per favore, non abbandonatemi. I-Io... vi voglio bene! Posso cambiare, anzi vi prometto che cambierò! Da domani andrò in un centro di riabilitazione per il mio problema con lalcool. Vi prego... Abby, mi dispiace per come ti ho trattata, ma non ero in me... Trevor, i-io credo di amarti ancora. Scusatemi se vi ho fatto soffrire>>, dice scoppiando a piangere e cercando di prendere la mano di mio padre, che nel frattempo si scosta. << Che ipocrita che sei...>>, dice mio padre in quasi un sussurro. Mi ritorna in mente una cosa che mi aveva detto mio padre un po' di tempo fa: "Abby, ricordati, non tenere il rancore dentro di te, perdona le persone, perché certe ne hanno bisogno più di altre... e dopo lasciale nel passato insieme ai tuoi ricordi". << Ti perdono>>, le dico, facendo sussultare mio padre. Mia madre alza lo sguardo e mi fissa, stranamente senza alcun odio, con i suoi occhi marroni pieni di lacrime. << T-Trevor... ti prego! I-Io ti amo>>, lo supplica mia madre, sfregandosi compulsivamente le tempie con la punta delle dita. Mio padre riesce a fare un verso a metà tra una risatina ed un grugnito seccato. In quel preciso istante suona il taxi.
<< Andiamo>>, dice mio padre, indurendo la voce mentre prende due valige e mi fa segno di andare per prima. << NO, NOO!!!>>, urla mia madre mentre usciamo di casa. Poi sento un forte rumore di vetro che si sfracella sul pavimento e mia madre che grida ed allo stesso tempo piange disperata. << Non girarti Abby... non merita la tua attenzione>>, dice mio padre, quando ci avviamo verso il taxi. Io annuisco mentre do la valigia al taxista. Poi entro nel taxi, intanto che mio padre lo aiuta a mettere le altre due valige nel bagagliaio. Poi mio padre si siede di fianco a me e chiude lo sportello prima che il taxi si metta in moto per portarci allalbergo. << Sono fiero di te>>, dice a bassa voce sorridendomi.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top