E a lui lo vorrei morto e invece ancora ti scrive
Due giorni dopo, Alessandro mette piede a Parigi e, appena entra nella camera d'albergo, è già sommerso di cose da fare, interviste e incontri. Non riesce a respirare un attimo, nemmeno a pensare. Ci riesce finalmente solo a notte fonda, o per meglio dire mattino presto, intorno alle quattro.
Riesce solo in quel momento a prendere anche il cellulare, pieno zeppo di notifiche e messaggi di chissà chi. Scorre l'elenco, ignorando l'ignorabile, rispondendo a sua mamma e a qualche altro amico, poi si ferma, prima di premere sulla chat di Riccardo. PRende un respiro e apre i messaggio che gli è arrivato alle undici di quella sera.
Ale, sono appena arrivato a Parigi. Questa città è bellissima! Tu che fai? Pranziamo domani?
Alessandro guarda ancora una volta l'ora, fuori è ancora buio, mancheranno un paio d'ore all'alba, ma fa comunque partire la chiamata. Riccardo sarà sicuramente fuori a far festa da qualche parte.
"P'nto?" risponde una voce assonnata.
"Non ci credo che stai dormendo, è impossibile" lo prende in giro.
"Ale? Sei tu? Cazzo che ore sono?" risponde, ora un po' più sveglio. "Sono le quattro e mezza, stai bene?"
Alessandro cerca di ignorare la stretta allo stomaco, ma sorride lo stesso.
"Sì, sto bene. Pensavo fossi fuori a far serata, mi sono appena liberato e ti avrei raggiunto. Dov'è finito il ragazzino che va per locali?"
Sente uno sbadiglio e il fruscio delle lenzuola.
"Aveva un sacco di sonno da recuperare..."
"Dai, ci sentiamo più tardi, torna a dormire" dice, ancora il sorriso sulle labbra.
"No!" risponde Riccardo, il tono più sveglio. "Dove volevi andare?"
"Volevo raggiungerti in qualche locale, ma non sei in qualche locale. Ci vediamo a pranzo?" ceerca di tagliare corto e non sa nemmeno lui precisamente perché.
"Raggiungimi in hotel."
Ecco, forse per paura di una richiesta simile. Ormai un po' lo conosce.
"Non puoi aspettare il pranzo?" chiede, un pizzico di ironia.
"Io l'ho ammesso che mi manchi" dice, diretto, "quindi no. Ci vieni?"
Alessandro sa che è una battaglia persa e non sa nemmeno se ha poi tanta voglia di combatterla questa guerra.
"Ti porto la colazione" risponde, arreso.
Quando Riccardo gli apre la porta della camera, lo trova in pantaloni di una tuta e ancora mezzo addormentato. Sono ormai le cinque e l'aria calda di quella stanza è in netto contrasto con il gelo che c'è fuori. Entra, sciogliendosi la sciarpa e togliendo il cappotto, poggiando una scatola sul tavolo.
"Ho preso un po' di tutto, non so cosa ti piace" dice, mentre Riccardo si passa le mani su viso e si stropiccia gli occhi, per poi rivolgergli uno dei suoi bellissimi sorrisi.
"Che bel risveglio" dice, sedendosi e fiondandosi subito su una brioche.
"Sei mai stato qui?" gli chiede Ale, mentre sorseggia il caffè.
"Sì, ma ero piccolo, in gita con la scuola. Ricordo più le canne che ho fumato che la città. Mi piacerebbe fare un giro. Tu cos'hai da fare oggi?"
"Un altro paio di interviste in mattinata e uno shooting nel pomeriggio. Sono libero solo stasera."
Il broncio del più piccolo lo fa sorridere. "Te l'avevo detto di essere impegnato, tu mi hai seguito lo stesso."
"E domani?" chiede l'altro. "Domani pranzi con me?"
Alessandro non può fare a meno di annuire.
Mangiano in silenzio, tra uno sbadiglio di Riccardo e il suo telefono che continua a notificargli dei messaggi.
"Ale, ma chi diavolo ti scrive alle cinque del mattino?" chiede dopo un po', un tantino scazzato. Alessandro non lo sa, ma lo immagina, per questo non ha controllato nemmeno un messaggio.
"Non lo so, ma è troppo presto per avere conversazioni con qualcuno" dice. "La mia giornata comincia alle otto, almeno" e un nuovo beep gli notifica l'ennesimo messaggio. Poi un altro ancora.
"Forse è urgente?" suggerisce Riccardo. "Dai, controlla, almeno" dice, indicando il cellulare sul tavolo. Alessandro sbuffa, guarda lo schermo e lo rimette giù, con il display verso il tavolo.
"Nessuna emergenza" dice, addentando il suo muffin, ormai con l'umore rovinato.
"Ale?"
Il tocco tra i capelli non se lo aspettava, quindi si sposta come scottato. Riccardo è in piedi al suo fianco, lo sguardo preoccupato. Non l'ha nemmeno visto alzarsi. "Ehi, tutto okay?" chiede.
"Tutto alla grande, è solo il mio ex."
L'espressione preoccupata di Riccardo muta velocemente in una furiosa.
"Cosa vuole? Ancora ti scrive? Non l'hai ancora mandato a fanculo? Avevi detto di si!"
Alessandro appoggia i gomiti sul tavolo, le mani tra i capelli a reggersi la testa.
"Non sono affari tuoi" dice, con meno convinzione di quanto avrebbe voluto.
"No, sicuramente non lo sono, perché io con uno stronzo del genere proprio non voglio averci a che fare. Ma se ti fa ancora stare male lo diventano!"
"Perché il mio stare male dovrebbe essere affar tuo?" Alessandro si alza, arrabbiato. PEr cosa, nemmeno lo capisce. Ma gli dà fastidio quella invadenza, quel suo arrabbiarsi. PErché lo fa?
"Perché ti voglio bene! Perché non mi piace vederti così e mi sembra di avertelo già detto! Non dve scriverti! Glielo devo dire io?"
Alessandro quasi ride istericamente solo ad immaginare Riccardo che fronteggia quello stronzo.
"Cosa ridi? Pensi che non potrei farlo?"
"No, sono convinto che potresti. Ma non è necessario e soprattutto peggiorerebbe la sua ossessione."
"Perché?"
Alessandro prende il cellulare e apre solo l'ultimo messaggio, che ha letto nell'anteprima.
Non mi rispondi perché stai scopando già con lui? Non siete nemmeno in grado di nascondervi!
Vede l'espressione di Riccardo passare dall'incredulo, al divertito e poi di nuovo al furioso.
"Dio ma è davvero idiota! Scoperei con te solo per fargli dispetto!" urla e Alessandro si sente come colpito allo stomaco. Prende il callulare dalle sue mani, se lo infila in tasca e afferra il cappotto.
"Direi che è meglio che io vada, ora" dice, laconico e ferito. Ma non vuole che la cosa pesi su quel ragazzo, magari ha anche parlato senza pensare, ma fa male lo stesso.
"Cosa? Perché? Sei qui da meno di un'ora! Scusa, non volevo urlare."
Ale cerca di sorridergli, mentre si avvolge nella sciarpa. "Devo lavorare stamattina" spiega, "ci senti-"
Riccardo gli afferra un lembo della sciarpa, fermandolo e tirandoselo vicino. "No, dimmi cosa ti ha ferito, non te ne andare arrabbiato."
Non può rispondere con la verità. Rivelargli che si è sentito ferito dalla sua affermazione, dal fatto che scoperebbe con lui solo per indispettire uno sconosciuto, avrebbe troppe implicazioni e Alessandro non sa se riuscirebbe ad accettare le conseguenze. Non sa se al momento è in grado di affrontare un rifiuto e non può permettersi di rovinar eil loro rapporto. Hanno ancora troppo n ballo, soprattutto a livello lavorativo.
"Ho mal di testa, Richi, non ho dormito proprio, sono solo stanco. Lascia perdere."
La presa sulla sciarpa si allenta e Alessandro riesce anche a fingere un sorriso, come se tutto fosse davvero okay, anche se dentro si sente morire. Non sa nemmeno perché è così ferito, sa che Riccardo parla senza pensare. O forse è proprio per quello e, soprattutto, per quei sentimenti che giorno dopo giorno si sta ritrovano a scoprire.
Si chiude il cappotto e sta per salutarlo, quando Riccardo, con sguardo basso, lo sorprende. O forse nemmeno tanto, conosce la sua sensibilità.
"Non intendevo che ti userei per fare un dispetto a quello" dice, senza alzare lo sguardo, giocando coi lacci del pigiama. "Sei arrabbiato per quello che ho detto, no?"
Alessandro sbuffa.
"Non è stato piacevole, ma non sono propriamente arrabbiato" confessa con una mezza verità.
"Io parlo senza parlare e quel tipo mi innervosisce, non voglio che tu ci abbia a che fare."
"Nemmeno lo conosci."
Riccardo alza lo sguardo.
"E non voglio conoscerlo, mi basta quello che so e che vedo. E mi dispiace per quello che ho detto. So che è la tua vita, che puoi fare quello che ti pare..."
"Va bene" taglia corto Alessandro. "Ma devo comunque andare via, così dormo qualche ora e poi lavoro."
"Dormi qui, con me" lo sguardo acceso di aspettativa. Ha sempre idee geniali quel ragazzo, tutte giuste per far crollare la sua precaria stabilità psichica.
Alessandro fa per rispondere, ma Riccardo continua. "Dai, è più comodo. Tanto il tempo che torni in hotel ci perdi un'altra ora di sonno, arriverai alle interviste scazzato, perché il non dormire ti scazza. Qui c'è un letto, è grande, io ho ancora sonno. Dormiamo due ore, ci svegliamo e tu te ne vai, mentre io andrò a perdermi tra le strade di Parigi" quel fiume di parole quasi lo intontisce. "E io continuerò ad insistere, così perderai sempre più tempo. Dai, via le scarpe."
Alessandro si sente di nuovo afferrare per la sciarpa, che ora Riccardo gli sta sciogliendo, mentre gli sfila anche il cappotto.
"Ehi, si, va bene, stop, faccio io!" cerca di bloccarlo, mettendogli le mani sui fianchi per allontanarlo. Dimenticando totalmente l'assenza di maglietta dell'altro e toccando la sua pelle liscia e fresca. Ale vorrebbe picchiarsi da solo, ma non riesce nemmeno a spostare le mani, anzi, forse stringe anche la presa.
Il cappotto per terra, insieme alla sciarpa, ai suoi piedi. Riccardo di fronte a lui, un sorriso che gli illumina volto e sguardo. Non ha per niente l'espressione di chi sta per mettersi a dormire e Alessandro è sicuro che nemmeno lui chiuderà occhio.
"Non vorrai stropicciarti..." dice proprio il ragazzo, appoggiandogli a sua volta le mani sui fianchi, sotto la maglietta e facendole scorrere verso l'alto, sfilandogliela.
"Richi, cosa fai?"
"Ti aiuto a spogliarti, così non ti si rovineranno i vestiti" risponde, candido, chiedendogli con lo sguardo di sollevare le braccia. Alessandro, come un automa, obbedisce, ritrovandosi a petto nudo. "Togliamo anche questi" continua Riccardo, le mani sulla sua cintura.
"Tu i pantaloni li hai" ribatte il più grnade, bloccandogli ancora le mani. Riccardo inarca un sopracciglio, lasciando andare la fibbia. Ale crede di aver vinto, solo che non è per niente così.
"Ecco fatto" dice Riccardo, dopo essersi calato i pantaloni del pigiama, sfilandoselo e rimanendo in boxer.
"Richi..." è tutto quello che riesce a dire, sentendo di nuovo le mani dell'altro armeggiare con la sua cintura e, questa volta, aprendola, per poi passare ai bottini del jeans.
Riccardo gli apre i pantaloni, ma non glieli sfila. Anzi, appoggia le mani sul suo petto, a palmi aperti, poi lo guarda.
"Baciami" dice, che potrebbe sembrare un ordine, se il tono non fosse quasi di preghiera.
"Riccardo, che cos-" cerca di farsi serio Ale, ma viene ancora interrotto.
"Ale, ti prego, ti scongiuro, baciami."
E tutto va a farsi fottere. Tutto, tranne il contatto tra le loro labbra e le loro lingue che si conoscono e si scoprono.
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