21 - Paris, Le Marais (Entre le IIIème et le IVème arrondissements)

Quella stessa sera Anastasija, Matias e Rifka erano seduti intorno al tavolo della sala da pranzo dell'appartamento di Romy a Le Marais.

Avevano ordinato una pizza e Anastasija stava raccontando ai due quello a cui aveva assistito alla Shakespeare and Company.

-Povera Estelle, la verità deve averla distrutta - sospirò Matias portandosi una fetta di pizza alla bocca.

-Lo so, ed è questo che mi preoccupa. So già qual è la sua prima reazione. Vorrà lasciare Parigi seduta stante - affermò Anastasija con tristezza.

-E dove andrà? Los Angeles? - chiese Rifka.

-Tel Aviv - rispose Matias addentando un pezzo di pizza.

-Tel Aviv? - domandò Rifka senza comprendere.

-Certo! È lì che mamma va quando vuole lasciarsi tutto alle spalle. - dichiarò Anastasija alzandosi da tavola.

-Cosa possiamo fare?

-Per ora niente, Rif, solo aspettare - rispose Matias.

Anastasija però non era disposta ad aspettare.

Stava per prendere il telefono e chiamare sua madre o suo padre, ma qualcuno la precedette.

-Jude! - fu l'unica cosa che disse la ragazza.

-Cosa? - Matias e Rifka si guardarono senza capire.

Anastasija si affrettò a rispondere.

-Jude.

-Anastasija! Tuo padre mi ha chiamato. Lui e Romy vogliono partire per Tel Aviv. Immaginavo che Monique facesse uno dei suoi danni, ma non pensavo che fosse così meschina. Credevo che fosse cambiata nel corso degli anni, ma mi sbagliavo - la voce di Jude era affaticata, probabilmente la telefonata con Alan lo aveva sfiancato.

-Tu sapevi la verità, Jude, su mio nonno? - domandò Anastasija.

-No, Monique non mi riteneva abbastanza degno di considerazione e poi sapeva quale rapporto avessi con tua madre. A tua nonna servivo solo come tramite tra lei ed Estelle. Sai com'è tua nonna, considera tutti inferiori - affermò Jude.

Anastasija strinse i pugni tornando a sedersi.

-Mia nonna è insopportabile. - dichiarò la ragazza mentre Matias le cingeva le spalle e Rifka le prendeva le mani.

Anastasija prendeva forza dalla presenza delle due persone più importanti della sua vita, a parte i suoi genitori.

Erano loro le rocce a cui Anastasija si aggrappava quando si sentiva persa, esattamente come Romy aveva Alan.

-Monique non è cattiva, ha solo sofferto molto ed incolpa gli altri delle sue sofferenze. Un modo per non prendersi le proprie responsabilità, poiché i bambini si fanno in due - rispose Jude.

-Metti Jude in videochiamata, così lo vediamo anche noi - affermò Matias.

-Aspetta un secondo, Jude, ti metto in videochiamata -

-Va bene.

Anastasija si mise ad armeggiare sul telefono fino ad arrivare alla applicazione di Skype.

Selezionò il contatto di Jude e, in poco tempo il manager comparve nel campo visivo dei tre.

-È bello rivedervi, ragazzi, anche se avrei preferito che la circostanza fosse migliore. - sbuffò Jude, scuotendo la testa.

Subito Anastasija notò che il manager doveva essere in ufficio, non che le sembrasse strano, tra America ed Europa vi erano sei ore di differenza, quindi se a Parigi era sera a New York doveva essere pomeriggio.

Jude era impeccabile nella sua camicia bianca, tuttavia si vedeva lontano un miglio che non era tranquillo.

-Cosa pensi che dovremmo fare, Jude? - volle sapere Rifka.

-State vicino a Romy il più possibile, fatele sentire che non è sola, la rivelazione l'avrà sconvolta-   Jude era visibilmente preoccupato, era evidente che il fatto che fosse così lontano da Romy gli facesse male.

-Cosa suggerisci? Cosa dovremmo fare? - domandò Rifka.

-Se ben conosco Estelle non vorrà che voi lo seguiate in Israele, vorrebbe che continuiate a vivere le vostre vite. Siete giovani e lei non vuole che sacrifichiate continuamente la vostra esistenza per lei - rispose Jude.

Anastasija accennò un sorriso a sua volta, anche se la rabbia nei confronti della nonna non si era affievolita nemmeno un po'.

Non aveva mai avuto grandi rapporti con Monique, proprio per il suo carattere difficile, ma non si aspettava che arrivasse a tanto.

-Non pensare a Monique, Anastasija. È inutile ti rodi il fegato per niente. Adesso godetevi la serata, Estelle non vorrebbe che vi preoccupaste troppo per lei - dichiarò Jude.

-Hai ragione - scosse le spalle Anastasija.

-Adesso devo andare. Non pensate troppo a Romy - dichiarò Jude.

-Va bene, Jude - sorrise Anastasija mentre il manager spariva dal suo campo visivo.

-Non so perché ma sento che ho bisogno di scrivere - dichiarò Anastasija.

-Prima finiamo di mangiare, la pizza sarà diventata un pezzo di ghiaccio - rise Rifka.

La risata di Rifka contagiò anche gli altri e, forse, la serata iniziò a prendere una piega diversa.

***
Romy era seduta sul divano del salotto con un diario aperto sulle ginocchia e la penna che correva velocemente sulla pagina bianca,

Da quando Susan era morta, i diari di Romy erano diventati una sorta di lettera alla sua amica morta, un modo come un'altro per sentire l'amica ancora più vicina.

Alan era sotto la doccia e Romy ne aveva approfittato per aggiornare il suo diario.

Sul tavolino erano ammucchiati dei fazzoletti di carta usati, fogli arrotolati e un bicchiere di vino vuoto.

La bottiglia era stata ritirata da Alan prima che andasse sotto la doccia, Romy sapeva dove l'aveva messa, ma non aveva voglia di bere in quel momento.

Si sentiva così male. Non vedeva l'ora di lasciarsi Parigi alle spalle, anche se amava tantissimo quella città.

A volte mi sorprendo dei miei stessi pensieri, Susy. Se fossi ancora qui, probabilmente mi rimproverasti, dicendo che dovrei affrontare le cose di petto, ma non è così facile e tu meglio di chiunque altro avresti dovuto saperlo. Non pensavo che mia madre potesse essere così crudele. Dirmi la verità su mio padre nel momento in cui ero più debole, mi conosce bene e sapeva che così mi avrebbe destabilizzata, peccato che non avesse capito che io non sono sola come lei. Non più. Ho Anastasija, Rifka, Matias, Jude e soprattutto Alan. E poi ci sei tu. Anche se non sei più qui fisicamente io sento che non te ne sei mai andata. Penso che tu sia il mio angelo custode.
Ed è bello saperlo.
Sto per partire per Tel Aviv, magari la vicinanza di Debora sarà ristoratrice.
Almeno lo spero.
Non so se in Israele troverò un po' di serenità, ma spero di sì. Così quando tornerò in Europa sarò più forte e mia madre non potrà più ferirmi.

-Non dovresti pensare troppo a Monique. E , comunque, il principe del drago non merita di essere trattato così - affermò Alan entrando in quel momento in salotto, già vestito.

Si chinò a raccogliere la bambola di Rhaegar abbandonata sul pavimento vicino al tavolino e si sedette di fianco alla moglie.

-Vero, non se lo merita - rise Romy appoggiando la bambola sul tavolo di fianco al diario.

-A che ora abbiamo il volo? - chiese lei.

-Alle sei, ma è meglio che andiamo prima, sai come sono le cose quando si entra in Israele - dichiarò Alan.

Romy annuì. Lo sapeva, vi erano controlli severissimi e molto turisti erano sottoposti ad interrogatori molto lunghi, soprattutto quando sul passaporto si esibivano timbri di paesi arabi, nonostante non fosse vietato l'ingresso a chi aveva quei timbri si veniva molto spesso guardati male.

-Non ho chiesto il visto turistico. - Romy si batté una mano sulla fronte, maledicendosi di non averci pensato.

-Non serve, ricordi, basta che restiamo per novanta giorni.

Romy annuì guardando oltre il marito, la sera che aveva avvolto Parigi.

-Andiamo a dormire, domani mattina dobbiamo svegliarci presto - sorrise Alan e Romy sorrise.


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