CAPITOLO 23:
Per fortuna nessuno ci aveva visti tornare in camera ricoperti di gelato, né noi ragazze né i ragazzi, così non rischiai nemmeno di sentirmi in colpa per un eventuale punizione.
Ci eravamo divertiti, ma una doccia era stata necessaria per tutti quanti; non che fare una doccia calda mi dispiaccia, infatti fu molto rilassante.
Per il giorno successivo non avevo troppi compiti, nel senso che potevo tranquillamente ripassare tra una lezione e l'altra, così subito dopo la doccia mi feci prestare uno smalto azzurro da Agnes e me lo applicai con calma, sollevata per quel momento di relax dopo lo stress dei primi giorni alla Highsbury.
Purtroppo, però, avevo un pensiero fisso in testa: la mia prima luna piena.
Non avevo idea di cosa avrei fatto o come mi sarei sentita e ne avevo paura. Mi ero anche dimenticata di chiedere a Maryka che sarebbe accaduto, impegnata com'ero a tirare il gelato a Elija, ma comunque mi preoccupava tantissimo.
Insomma, la faccia che aveva fatto parlandomene, ripensandoci, non era affatto rassicurante e non potevo fare a meno di costruire strane ipotesi nella mia testa su come sarebbe stata quell'esperienza. E nemmeno quelle erano rassicuranti.
Il mattino dopo mi alzai, riposata come le altre ma decisamente poco incline a cominciare le lezioni, soprattutto perché la mattinata del mercoledì era la più noiosa della settimana.
La prima ora dovevo passarla con la Dyulig, che ci istruiva sulle modalità di volo dei demoni. Tanto per cambiare una preoccupazione in più visto che a causa di Elija ero terrorizzata anche dalle ali.
Prima pensavo che averle e poter volare fosse fantastico, ma quando ho visto le cicatrici che aveva sulla schiena sono rimasta sconvolta.
Non riuscivo a immaginare neanche lontanamente quanto potesse essere doloroso, e francamente non ero troppo ansiosa di scoprirlo.
Durante quell'ora si parlava principalmente delle varie tecniche di volo, e la pratica non esisteva poiché nessuno ancora possedeva ali, ma tutti quelli del quarto anno le avevano quindi sembrava che ognuno di noi del terzo dovesse presto aspettarsi di ritrovarsele.
La Dyulig ci aveva parlato di un luogo, la Sala della Nascita la chiamava, dove tutti i demoni andavano per farsi spuntare le ali. Era una specie di rito, molto sacro a quanto diceva, che ricordava a tutti i demoni quanto in realtà siamo sempre stati e sempre saremo soli, specialmente nel dolore.
Mi è sembrata una cosa molto deprimente, ma più che rattristarmi mi ha causato una fortissima ansia.
Già sapevo che darebbe stato doloroso, e come se non bastasse sarei stata sola.
Non sono mai stata una persona introversa, così tutte le mie ansie venivano pubblicamente sbandierate ogni volta che mettevo la testa fuori dalla mia stanza.
Se n'erano accorte le ragazze come se n'era accorto Xavier. E non so se per merito suo o della sua empatia, ma l'aveva notato anche Elija, che non mi aveva più mollata un solo secondo.
Diceva di sentirsi in colpa per avermi <<spaventata>> e continuava a offrirsi di darmi ripetizioni alleggerite sull'argomento.
Alleggerite nel senso che mi avrebbe trattata come una bambina scema.
Inutile dire che cercavo di mostrarmi tranquilla, ma l'idea di due enormi ali che mi uscivano dalla schiena non abbandonava mai la mia mente.
Era venerdì pomeriggio quando Maryka mi venne a trovare.
Stavo facendo un riassunto di storia mentre Jane, al telefono, chiacchierava con un certo Thomas. Amico, a quanto diceva, ma sapevo che presto avrebbe confessato che era il suo ragazzo.
Ad un certo punto bussarono, e visto che Jane non sembrava affatto essersene accorta andai io ad aprire, trovandomi davanti Maryka.
~ Ho saputo che hai un po' di preoccupazioni.~ esordì sorridendo.
~ Per la storia della luna piena.~ chiarii. ~ Non ne so nulla.~
~ Capisco. Vieni, così intanto facciamo un giro.~
Mi voltai un momento, lo sguardo pensieroso sul riassunto di storia.
"Al diavolo" pensai affrettandomi a seguirla.
~ Per fortuna che hai ancora l'uniforme,~ mi disse da sopra la spalla. ~ almeno sarai comoda.~
Poco ma sicuro.
Quando io e le altre eravamo entrate nella stanza per la prima volta avevamo trovato anche le uniformi; loro ne avevano una per ogni giorno, io tre per ogni specie, ma la mia preferita proprio per la sua comodità era quella dei licantropi.
La cosa imbarazzante, inizialmente, era quando, non potendomi cambiare ad ogni cambio d'ora, mi ritrovavo per esempio circondata da studenti con le uniformi dei demoni mentre io avevo addosso quella degli spettri.
Ma mi ci ero abituata quasi subito. Dopotutto quello era il momento in cui la mia diversità era più palese, ad occhio, ma la sensazione più o meno sgradevole che sentivo era costante da quando avevo fatto il mio ingresso alla Highsbury.
L'uniforme che indossavo quando uscii con Maryka era costituita da un paio di pantaloni grossi, abbastanza aderenti ma allo stesso tempo elastici e una maglia a girocollo senza maniche, aderente per le ragazze e larghissima per i ragazzi.
Quella dei vampiri consisteva in una camicia rossa sopra a una specie di t-shirt nera lunga e pantaloni neri, con i quali non mi vedevo affatto bene, sia per i ragazzi che per le ragazze.
Quanto agli spettri, le ragazze potevano scegliere tra una gonna velata lunga fino alle ginocchia e pantaloni molto semplici, del colore tipico della specie.
La divisa dei demoni, invece, era la più strana: gonna e calze nere obbligatorie, e un aderente maglia a maniche lunghe con un amplissimo oblò sulla schiena, con l'unica funzione di agevolare le lezioni di volo, mentre gli studenti maschi, in nero anche loro, indossavano una camicia sopra ad una specie di t-shirt.
Ogni uniforme recava scritto in color argento il nome della specie, nello stesso modo che avevo visto a Petra Vitris, e nonostante i colori scuri creavano una varia combinazione di colori in ogni luogo comune.
Uscimmo nel giardino dove il sole di metà pomeriggio scaldava l'aria e il suolo.
Maryka parlava, raccontandomi con fervore la sua prima luna piena, le emozioni che aveva provato, l'adrenalina alle stelle, la sensazione di poter fare qualsiasi cosa e di essere intoccabile.
Le si era accesa una luce negli occhi mentre narrava quella che definiva con convinzione <<un'esperienza eccezionale>>.
Sembrava davvero qualcosa di fantastico da come la metteva giù lei, ma sentivo ancora paura nel cuore. Paura che diventava angoscia appena dalla luna piena passavo a tormentarmi con il pensiero delle ali.
Dopo diversi minuti che camminavano mi accorsi che la nostra meta pareva proprio essere la foresta.
Nel dirigersi là diversi ragazzi salutarono Maryka e -notai con tanta soddisfazione quanto vergogna- quasi altrettanti salutarono anche me. Sembrava che quel riflettore a un migliaio di watt che mi sentivo continuamente puntato in faccia non esaurisce mai le batterie; dovevo farci l'abitudine.
~ Vedi, Angy,~ ricominciò quando fummo all'entrata della foresta. ~ La prima luna piena è un momento fondamentale nella vita di un licantropo, così come per "completare" l'addestramento di una mezz'essere.~ disse con una punta d'orgoglio nella voce.
~ Non dico che non sia importante. Solo che mi spaventa un po'...~
~ Be' lo capisco. Anch'io ero inquieta, ma sai, tutti quei film e quelle cavolate in televisione danno un'idea sbagliatissima dei licantropi. Non siamo mostri. Siamo esseri sovrannaturali. Andiamo oltre la natura dell'essere umano, noi siamo qualcosa in più. Abbiamo qualcosa in più. E la luna piena è il momento in cui raggiungiamo il culmine del nostro potere.~
~ ...Wow...~ mormorai sovrappensiero dopo un istante.
~ Cosa?~
~ Io... ti ammiro molto, Maryka. Per come sostieni la tua specie, per come sei... poetica, in un certo senso. Sei d'ispirazione.~
~ Grazie, tesoro. Nessuno mi aveva mai detto nulla di simile.~
~ Lo penso davvero.~
~ Me lo auguro.~ mi rispose sorridendo.
Trascorsi tutto il pomeriggio con lei, che tra una risata e un consiglio cercava molto gentilmente di tranquillizzarmi.
Quando ci separammo dentro la scuola, poco prima dell'ora di cena, realizzai di avere davvero una buona amica con me, e fui grata del suo impegno nei miei confronti.
2
Quando il fatidico giorno arrivò, ero pronta.
Non prontissima, ma potevo dirmi più o meno pronta.
Già dal mattino, fantasia o no, sentivo una differenza in me, nel mio corpo, e sapevo che valeva lo stesso per Nabija e per Maryka come per tutti gli altri.
Mi pareva di non riuscire a stare ferma, a concentrarmi per più di qualche minuto su qualsiasi cosa.
Ovviamente questo rese le lezioni già pesanti di loro una vera e propria tortura, soprattutto per il fatto che, essendo l'unica mezz'essere, ero anche l'unica delle classi a sembrare una ragazzina iperattiva.
Fu abbastanza imbarazzante; per tutta la giornata mi sentii come fossi un moscerino fastidioso nell'orecchio di tutti, compagni e professori.
Quando alla fine giunse l'ora di Waily, tirai un sospiro di sollievo nel trovarmi insieme ad altre persone nel mio stesso stato -che, fra parentesi, era peggiorato-.
Il professore, dopo anni di lune piene, gestiva bene la sua situazione personale e tentava di farci fare lo stesso.
Con scarsi risultati, dovrei aggiungere.
Non so come riuscì a tenerci buoni fino a sera, quando cenammo tra noi, separati da tutti gli altri per evitare casini, ma terminato di mangiare eravamo in condizioni pietose.
Tutti continuavamo a ridere, a correre da un amico all'altro, i ragazzi se le davano -più o meno amichevolmente- di santa ragione. Sembravamo ubriachi fradici ma felici di esserlo.
Passarono pochi minuti e tutti, senza che nessuno dovesse dircelo, tacemmo.
La tensione era palpabile, il silenzio come mura ovattate intorno a noi.
Quando la luna fece finalmente capolino da dietro le sottili nuvole grigiastre quella che mi parve una vera e propria scarica elettrica si diffuse in tutto il mio corpo, come se al posto delle vene avessi cavi dell'elettricità.
Seguì un black out totale e quando mi svegliai ero sdraiata e dolorante sul mio letto, nella mia stanza.
~ Merda, la schiena...~ biascicai appena ricominciai a vedere con chiarezza.
~ Lo so, tesoro.~ disse Maryka, apparendo nel mio campo visivo. ~ Ma la buona notizia è che non si fa lezione per noi licantropi.~
~ Come no?~
~ Siamo tutti ridotti così, Angy.~
Notando la mia perplessità, concluse il discorso in fretta: ~ Ti basti sapere che non facciamo lezione.~
In tutta franchezza lei non mi sembrava messa proprio come me. Stava molto molto meglio.
Mi sforzai di sollevarmi sui gomiti e ci riuscii con non poca fatica.
~ Perché mi fa così male la schiena?~
~ Tutta la schiena?~
~ Sì...~
~ Probabilmente sei caduta.~ tagliò corto.
Splendido, mi dissi.
Provai anche a chiederle perché non ricordassi niente, ma la risposta fu altrettanto povera.
"Succede sempre così".
Magari il cattivo umore era un effetto collaterale della luna.
Appena fui in grado di alzarmi andammo a fare colazione tutte insieme (io, Nabija, Maryka e un paio di ragazze conosciute la sera prima).
Nabija era ancora eletrizzata, Maryka a dir poco inviperita e io quasi piangevo dal dolore.
Mi pareva di avere tutti i nervi, i muscoli e i tendini accartocciati gli uni sugli altri, e spesso è volentieri mi trovavo quasi a urlare dal male facendo azioni semplici come alzarmi da una sedia o salire le scale.
Dovevo essere caduta da una bella altezza.
Sfortunatamente non potei passare la giornata a rilassarmi o a tentare di lenire quel cazzo di dolore, bensì dovetti studiare per mettermi avanti con i compiti.
Avevo preso il ritmo nel seguire le lezioni, mi stavo abituando alle materie nuove e all'intensità di studio che mi stancava settimanalmente. Anche perché per restare allo stesso livello degli altri durante le lezioni pomeridiane gli insegnanti mi facevano corsi intensivi e avanzati.
A metà mattina stavo tentando di imparare gli ingredienti di una specie di pozione energetica universale quando una fitta improvvisa nella zona delle scapole mi fece accasciare sulla scrivania, con la mano sulla bocca per trattenere un grido.
~ Merda...~ dissi appena fui in grado di parlare.
Non avevo mai sentito così tanto male in tutta la mia vita.
Non capivo cosa mi stesse succedendo, perché provassi quei dolori improvvisi senza aver fatto nulla che potesse provocarmeli.
Potevo anche essere caduta, certo, ma in quel caso mi sarei dovuta trovare in preda ad uno strazio costante, senza fitte improvvise. Comunque ero decisa ad attendere prima di andare in infermeria.
Avevo sempre fatto così; anche con un mal di testa da morire mi rifiutavo di prendere qualsiasi tipo di medecinale, e nemmeno con quel dolore alla schiena avrei fatto un'eccezione.
3
Passarono due giorni, ma quel male non passava.
Ad un certo punto smisi anche di lamentarmi, perché le esclamazioni infastidite dei miei amici che mi imponevano di andare in infermeria erano più sgradevoli del dolore.
Damien e Nate avevano passato un pomeriggio in biblioteca, cercando nei libri una spiegazione medica, Faith si era offerta di farmi un massaggio ma, immaginandomi il dolore, avevo gentilmente rifiutato.
Elija e Xavier si erano proposti di portarmi ovunque in braccio finché non mi fosse passato tutto.
Alla fine fu Maryka a chiedermi se la schiena mi facesse ancora male.
~ Sì, cazzo, sì. Mi fa un male assurdo!~ fu la frustrata risposta che le diedi.
~ Vattene in quella cavolo di infermeria!~ ribatté lei piantandosi dov'era in mezzo al corridoio.
~ Non voglio.~
~ Non ti mangiano mica, sai?~
Era la quarta volta che me lo ripeteva; sembrava essersi davvero convinta che temessi gli addetti all'infermeria, motivo per cui mi aveva continuato a ripetere che non erano né vampiri né licantropi né demoni né spettri, ma semplici umani che vivevano con noi.
Era il destino a scegliere se renderti un entros o un semplice umano, e quelli che non nascevano creature della notte in genere occupavano le posizioni intermedie nella nostra società o, come gli entros, tornavano nel mondo degli umani per vivere come niente fosse.
Strano quanto poco tempo avevo impiegato a tradurre <<il mio mondo>> con <<il mondo degli umani>>, vero?
~ Aspetto ancora un paio di giorni.~ affermai testarda come al solito.
~ Fa' pure come ti pare...~
Proseguiamo insieme fino in classe per la lezione di Waily, che aveva deciso di portarci fuori.
Giustamente quando ho un dolore atroce alla schiena si svolgono le attività più esaltanti.
Provai a imitare i miei compagni, che, notai, erano decisamente più uniti dal giorno della luna piena, ma senza reggere per nemmeno cinque minuti.
Stramazzai al suolo con il fiato corto e i pugni contratti meccanicamente.
Maryka mi guardava scuotendo la testa con la disapprovazione che le si leggeva sul volto.
~ Dì un po', che ti prende, Denely?~ mi chiese Waily apparendo al mio fianco.
~ Niente, signore, solo mal di schiena...~
~ Da giorni, professore. E sta scema non vuole farsi vedere.~
La voce di Maryka giunse puntuale alle mie orecchie, scocciata come me l'aspettavo.
~ E per quale motivo non vuole farsi vedere?~
~ Ha paura degli infermieri!~
~ Cogliona.~ gemetti alzandomi.
~ Non è proprio una cattiva idea, quella della cogliona.~ mi disse Waily, che con la confidenza che aveva con lei poteva anche permettersi di chiamarla in modo peggiore.
~ Ecco! Visto?~
~ Va bene, va bene!~ esclamai. ~ Ci vado!~
Mi ero davvero innervosita. Tutte quelle storie per uno stupidissimo male alla schiena?!
Se ero caduta era ben giustificato, quindi perché rompere tanto?
Doveva essere successo anche a lei, milioni di volte! Ero nuova ma non una deficiente.
Sbuffando imprecazioni mi dicessi controvoglia in fondo al corridoio che conduceva all'atrio e svoltai a destra, come mi avevano indicato di fare.
Al termine del corridoio secondario c'era l'infermeria, segnalata da una targa dorata sopra all'ampia porta a due ante.
Incerta sul da farsi, bussai ed entrai provando una fitta dolorosa nello spingere la pesante anta di legno consumato.
Una donna bionda, sulla quarantina mi accolse nell'atrio dal pavimento in marmo bianco, come bianchi era il soffitto e le pateti, presentandosi come la signorina Bett, e mi accompagnò in una delle numerose stanze pronte per accogliere chiunque non si sentisse bene.
Lì sedetti su un lettino piuttosto morbido per essere di un'infermeria, osservando la donna lavarsi le mani nel lavandino in ceramica lucido quanto lo specchio sopra di esso.
Quando mi fui seduta, chiese cosa avessi, domanda abituale, e alla risposta "mal di schiena" mi comandò immediatamente di togliermi la divisa.
Rimasta in reggiseno mi girai dandole le spalle, e lei prese a tastarmi la schiena domandandomi ogni volta se mi stava facendo male.
~ Mi fa male anche se non tocca, glielo dico...~
Continuò per svariati minuti, ogni tocco una sofferenza, mentre cercavo di distrarmi osservando i decori sulle piastrelle della parete con i sanitari, per poi terminare con un'esclamazione: ~ Ahh! Ho capito cosa succede, qui...~
Mi fece rivestire, assicurandomi che non avrei avuto bisogno di cure di alcun tipo.
Venni accompagnata con gentilezza alla porta da dove, nemmeno dieci minuti prima, ero entrata, con la signorina Bett che sparava a vanvera parole educate e tranquillizzanti.
~ Non preoccuparti, tesoro. Ti stanno solo per spuntare le ali.~ mi salutò con un sorriso.
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