CAPITOLO 16:
~ Dunque? Cominci tu o aspetti un po'?~ mi chiese ancora la Ginely sorridendo incoraggiante.
~ Be'... Ehm... Non so...~ balbettai spostando lo sguardo a destra e a manca nella stanza.
~ Se vuole, prof, posso rifare la prova per mostrargliela.~ intervenì Michael sfoggiando uno splendido sorriso.
~ Non serve, Michael. Penso che tu abbia fatto già fin troppo per oggi, grazie.~ gli rispose subito con un'ombra di rimprovero nella voce.
Molti ragazzi, compresi i più tremolanti, ridacchiarono e presero a lanciargli occhiate divertite che lui ricambiò apertamente. Cominciai a chiedermi se mi fossi persa qualche scena strana. Di qualunque cosa si trattasse pareva molto divertente.
~ Penso di potercela fare. Grazie.~ mormorai decisamente poco convinta di me stessa.
~ Ottimo.~ fece la Ginely. ~ Vieni qui al centro.~
"Ma perché?!" pensai con un po' di rabbia. "Mi sento un fenomeno da baraccone!"
Raggiunsi il fianco dell'insegnante e, come lei, mi voltai verso gli altri vampiri. Impossibile descrivere il mix di agitazione, imbarazzo e disagio che provavo in quel momento.
~ Ora,~ cominciò dirigendosi verso una piccola scrivania semi nascosta che non avevo notato.
Sopra vi erano due caraffe trasparenti, una piena completamente l'altra fino ad un quarto, contenenti un liquido verde scuro, come fosse una granita alla menta sciolta.
L'affiancai e vidi che prendeva in mano un piccolo coltellino sottile e alle emozioni straripanti che mi occupavano la mente si aggiunsero anche paura e panico.
~ Mi servirebbe un po' del tuo sangue.~ disse come fosse la cosa più naturale del mondo.
~ Per cosa?~ squittii presa alla sprovvista dalla sua richiesta agghiacciante.
~ Per la prova, ovvio.~
Deglutii. ~ Va bene.~
Le porsi incerta una mano. Nei film non si fa così, di solito?
Ah, già. Non era un film.
~ Non sentirai nulla, tranquilla.~ mi sussurrò sollevandomi la mano con la sua.
Strinse la presa sull'arnese che cominciava ad avvicinare alle mie dita sbiancate ed immobili.
Il metallo sulla pelle era freddo. Vidi la lama drizzarsi perpendicolarmente al mio polpastrello che ormai presentava un piccolo solco in corrispondenza della punta affilata.
Con un rapido movimento la Ginely torse il polso allontanandosi il coltello e procurandomi un taglietto di un paio di centimetri.
Poggiò un calice pieno del liquido verde sotto la mia mano.
~ Fai cadere qualche goccia lì dentro.~ mi disse ferma.
Ruotai la mano e presi a comprimere la falange ferita percependo diverse fitte che mi scossero, facendomi serrare istantaneamente la mascella.
Una scia rossa mi colorò la pelle, insinuandosi sotto all'unghia lungo i quali bordi vennero a loro volta colorati, cuticole comprese. La superficie del liquido si increspò quando la prima goccia vi cadde sopra. Vidi il centro del calice schiarirsi come in uno sbuffo, una nuvola chiara all'interno del bicchiere.
Più gocce rosse finivano nel calice più il liquido cambiava colore, schiarendosi.
Ormai nonostante mi stessi comprimendo il dito quasi dolorosamente non usciva praticamente più sangue, così la Ginely mi comunicò che potevo fermarmi. Voltai subito la testa verso di lei appena udii la sua voce. Sembrava quasi che avesse parlato qualcun altro talmente mi era parsa tesa e confusa.
La sua espressione era assorta e distante mentre osservava con attenzione il calice il cui contenuto era diventato di un bianco perlaceo, quasi luminoso, brillante.
Non capivo il motivo di tanto stupore e la cosa non mi meravigliò affatto; d'altronde, nemmeno per un momento ero stata sicura o tranquilla di qualcosa lì dentro.
Poiché sembrava essersi imbambolata a fissare il bicchiere tentai di "svegliarla" schiarendomi la gola, ma senza ottenere alcun successo.
~ E ora?~ domandai agitando la mano per far asciugare il sangue.
Normalmente mi sarei portata il dito alle labbra e avrei rimosso il sangue leccandolo via ma assumere un comportamento simile in mezzo ad una trentina di vampiri con i primi istinti -ci avrei giurato- in piena fase di sviluppo non mi sembrava proprio una buona idea. Anche uno stupido ci avrebbe pensato.
La Ginely sussultò, come se l'avessi spaventata e tornò a girarsi verso di me, quasi mi vedesse per la prima volta.
Mi squadrò dalla testa ai piedi con rapidi scatti degli occhi scuri.
Le rivolsi uno sguardo confuso che venne ricambiato con un semplice sorriso rassicurante.
~ Ehm... cosa, Angel? Non ho sentito.~
Bugia. Grossa bugia. Non so cosa avesse visto in quel calice di tanto sconvolgente, ma tra una prova e l'altra era passata più di un'ora ed il signor Waily non mi sembrava un tipo amante dei ritardatari. Dunque avevo fretta e parecchia.
~ Ora che devo fare?~ ripetei tentando di non sembrare sfacciata. Un po' lo ero.
~ Devi berlo.~
~ Davvero?~
Me lo sarei dovuta aspettare.
~ Certo.~
~ E poi cosa succede?~
Sul serio dovevo scolarmi quell'intruglio? Così, senza se e senza ma? Io?!
~ La prova prevede che te la debba cavare da sola.~ rispose con un'alzata di spalle.
"E va bene. In fondo, sono immortale, no?" pensai affatto convinta.
Poco prima di allungare la mano "sana" verso il calice avvertii come una scossetta sul polpastrello tagliato. Quando vi abbassai lo sguardo sopra non trovai né la ferita né l'aura rossastra di sangue secco che prima c'era.
Un'altra domanda si era aggiunta alla già straripante lista nella mia testa, mentre il tempo che avevo per trovarvi delle risposte continuava a diminuire. Anzi, era praticamente inesistente considerando che dovevo svolgere ancora due prove.
Mandai mentalmente a quel paese il polpastrello, avvolsi le dita intorno allo stretto fusto del calice e l'alzai. Era molto più leggero di quanto mi aspettassi, come non contenesse nulla più di uno sbuffo di vapore.
Me l'avvicinai alla bocca evitando di respirarne il profumo o l'eventuale fetore, schiusi le labbra, vi appoggiai il bordo cristallino freddo come il ghiaccio e l'inclinai, facendomi scivolare tutto il contenuto in gola.
La prima impressione fu quella di star bevendo un sorbetto, ma solo a causa della consistenza e dell'intorpidimento che mi prese alla lingua, quasi congelatasi.
Il sapore fu qualcosa di nuovo e mai sentito. Aveva una tenue nota dolce ma contemporaneamente risultava un po' speziato e ciò ne accentuava in gusto particolare.
Mi affrettai a mandarlo giù in ogni sua goccia, come mi aveva detto la Ginely, pur sempre sforzandomi di riconoscervi qualcosa di simile qualcosa di simile ad altri sapori, ma nulla -ne ero certa- era lontanamente paragonabile a quel nettare strano.
Chiusi gli occhi, deglutendo un'ultima volta, ma quando fui lì lì per riaprirli sentii come diverse raffiche di vento a sferzarmi il viso, i vestiti, i capelli sempre più velocemente e con sempre più foga finché tutto non terminò all'improvviso, così com'era iniziato. Allora mi costrinsi ad aprire le palpebre.
Il senso di dispersione spaziale che mi travolse fu molto simile a quando Elija mi "teletrasportò" giù dall'albero. Tremai, le ginocchia mi cedettero e le orbite presero a dolere, come se la visione che avevo davanti fosse troppo per me.
In realtà non era niente di assurdo. Appena riuscii a guardare con tranquillità ciò che mi circondava non restai meravigliata né minimamente incuriosita.
Ero solo tesa e sull'attenti. La Ginely aveva detto che avrei dovuto affrontare la mia paura peggiore che, a quanto pareva, corrispondeva alla versione malvagia nientemeno che di me stessa, quindi non attendevo altro che il suo arrivo. Ero certa che avrebbe fatto una splendida entrata a sorpresa. Nel frattempo osservai la stanza.
Sembrava un vecchio studio in stile vittoriano. Un'intera parete era fatta in vetri lucidi e trasparenti che davano su un ampio e verdeggiante giardino curato e ricco di aiuole fiorite, di alberi e di cespugli potati recentemente.
I muri restanti erano completamente nascosti da alte librerie in mogano ricoperte da decorazioni in oro e in ottone e tutte piene di libri intervallati da alcune teche di vetro.
Mi avvicinai lentamente ad esse. Al loro interno vi erano decine di armi antiche: coltelli, spade, pugnali, fioretti...
Ma anche balestre e pistole di varie dimensioni.
La cosa era affascinante ed inquietante allo stesso tempo. Ogni pezzo di quella collezione era conservato perfettamente e con molta cura. Tutti gli oggetti erano delicatamente riposti su cuscini di velluto nero privi di polvere o qualsiasi altro organismo esterno e potenzialmente nocivo.
I pugnali ed i coltelli erano lucidi e brillanti. Normalmente mi sarei sentita incuriosita da quegli oggetti così belli, ma invece mi sentii come respinta. La mia mente voleva avvicinarsi mentre il mio corpo rifiutava completamente di farlo. Come fossimo due parti uguali di una calamita, venivo tenuta a distanza da quei pezzi di metallo. Almeno, quella era l'impressione. Sapevo bene che invece era il mio corpo a voler tenere le distanze.
"Perché dei pugnali non mi vogliono vicino a loro?"
Adesso cominciavo a spaventarmi davvero.
Presi ad arretrare, allontanandomi da quelle teche lucide verso la scrivania.
Un giorno avrei imparato a guardare sempre nella direzione che mi trovavo a percorrere.
Quando le mie cosce cozzarono contro il legno del mobile una scossa di una cinquantina di volt mi attraversò la spina dorsale, costringendomi ad arcuare la schiena e a fare un balzo in avanti.
Ancora prima di voltarmi capii cosa aveva provocato quell'assurda reazione fisica: un pugnale d'argento finemente decorato da ghirigori dorati.
Perché d'argento?
Perché avevo capito da cosa era generata la repulsione ed il timore verso quegli oggetti. Molte armi antiche venivano fatte in argento e... Be', avevo sangue di vampiro nelle vene. Si sa che le due cose non vanno affatto d'accordo.
Di nuovo mi ritrovai ad arretrare. Di nuovo senza vedere dove andavo.
Maledizione al detto "sbagliando s'impara". Detestavo quando le cose più spiacevoli erano esatte.
Battei la schiena contro qualcosa. Qualcosa che, secondo i miei calcoli, non doveva essere lì.
Era troppo morbido per trattarsi di un mobile. E respirava. Sentivo il suo fiato sulla nuca. Dio, respirava!
Mi voltai di scatto, trovandomi di fronte alla mia versione malvagia.
Fu solo il mio orgoglio a fermare l'urlo nel fondo della gola prima che potesse librarsi nella stanza ma la cosa non parve impressionarla minimamente.
Se ne stava lì, immobile. Era inquietantemente seria. Le palpebre stavano a metà degli occhi che -notai- erano completamente neri, stavolta.
La bocca chiara era un'unica linea sottile che tremolava leggermente, come volesse dire qualcosa ma non vi riuscisse. Le sue ali bianche sembravano appassite come fiori vecchi ed erano piegate verso di me con una strana angolazione.
~ Ti ucciderò.~ disse la mia voce.
Rialzai lo sguardo sul suo viso scarno.
~ Ti piacerebbe.~ le risposi con sfida.
Non avevo più tutto quel terrore di lei. La prima volta che me l'ero trovata di fronte non mi aspettavo nulla del genere e fu quello il suo vantaggio. Ma questa volta sapevo cosa sarebbe accaduto ed ero pronta a sfidarla.
~ Tu non sai quanto...~ mormorò senza nemmeno muovere le labbra.
"Ma vaffanculo" pensai rivolgendole il sorrisetto più irritante che mi fosse mai riuscito.
~ Quindi? Tutto qui? "Ti ucciderò"?~ chiesi incrociando le braccia sul petto e spostando il peso sulla gamba sinistra, sporgendo il fianco. ~ Mi aspettavo peggio dopo tutta quella sceneggiata del sangue.~ aggiunsi.
Il mostro, appena terminai la frase, prese ad allargare e stringere convulsamente le narici, alzando il mento ed agitando la testa.
~ Sangue...~ sospirò adorante la mia voce con una nota roca.
Improvvisamente spalancò gli occhi rivelando le orbite vuote di quell'essere cieco e dunque privo di coscienza, completamente in preda ai peggiori istinti che albergavano in entrambe che attendevano solo di essere svelati.
Sentii qualcosa di bagnato colarmi lungo il palmo della mano stretta a pugno. Era caldo e denso ed emanava un acre odore ferroso.
Temevo di aprire la mano, ma lo feci lo stesso e trasalii l'attimo dopo come era logico aspettarsi.
L'intera superficie interna, dita, palmo e parte del polso erano ricoperti del mio sangue la cui provenienza mi era ignota. Non avevo né ferite né graffi, ma nonostante questo il liquido rosso continuava ad aumentare, gocciolando per terra sul morbido tappeto.
Quando rialzai lo sguardo, la mia gemella cattiva era scomparsa esattamente com'era arrivata.
Ormai avevo rinunciato a fermare il misterioso flusso di sangue che mi colava dall'arto così tenevo la mano lontana dal corpo lasciando che le gocce cadessero, una dopo l'altra.
Non sapevo se avrei dovuto temere di più lei o il proprietario del tappeto che presentava un'ampia chiazza umida che avrebbe fatto impallidire perfino mia madre, regina della lotta ai germi e allo sporco.
Finché quel mostro non c'era dovevo preoccuparmi di andarmene, ma avevo in mente una pessima idea che continuava a picchiettare insistentemente la mia già troppo concentrata a non esplodere parete cerebrale: se quella era una prova, era logico che avrei dovuto raggiungere un certo obbiettivo a me ignoto perché la superassi.
Dunque potevo trovare svariate centinaia di modi per andarmene da lì ma finché non avessi superato la prova nessuno avrebbe funzionato.
Non riuscivo a distogliere lo sguardo dalla cascata di sangue che mi cadeva dalla mano. La vista del sangue non mi aveva mai impressionata molto, ma in quel caso la scena era orripilante addirittura per me.
Presi a muovermi lungo la stanza, sempre con lo sguardo abbassato sulla mia mano. Ad un certo punto udii qualcosa che impiegai qualche secondo ad identificare; sembrava un flebile sibilo acuto, proveniente da sopra la mia testa.
Rabbrividii in ogni cellula del mio corpo mentre con lentezza piegavo il collo all'indietro per alzare il capo e trovare la fonte di quel suono.
Una scarica elettrica mi immobilizzò sul posto mentre le mie labbra si spalancavano lasciando uscire l'urlo più agghiacciante che avessi mai udito; sopra di me, a testa in giù, c'era la mia gemella che digrignava i denti appuntiti, tra i quali scorreva un filo di saliva rosso sangue. Come se si stesse straziando l'interno della bocca per chissà quale motivo. Non sapevo se mi stava guardando, ma le sopracciglia affilate continuavano a muoversi su e giù sulla fronte, corrugandosi e distendendosi, creando dei disgustosi rotolini di carne in prossimità delle orbite vuote.
Gridò anche lei, ma il rumore che proruppe dalla sua gola non era spaventato né sofferente; racchiudeva in sé il fastidio delle unghie sulla lavagna, l'acutezza dei freni delle auto e il frastuono dei tuoni. Non avevo mai sentito niente di simile.
Quando realizzai pienamente ciò che stava accadendo presi ad allontanarmi, né in fretta né piano. Tremavo convulsamente di puro panico ed agitazione. Non sapevo che fare. Quella cosa voleva uccidermi ed io non avevo idea di come impedirglielo.
Nel medesimo istante in cui spostai il piede quella tese entrambe le braccia verso di me, urlando -se possibile- più forte di prima.
Gridai anch'io, unendo la mia voce a quel coro disperato di lamenti e feci per correre via ma lei si lasciò cadere finendomi addosso con forza troppo esagerata. Io non ne possedevo così tanta.
Il primo istinto fu quello di colpirla, ma non potei fare a meno di accorgermi che si bloccò subito, immobilizzandosi con le ginocchia sulla mia pancia e stringendomi i polsi con le mani dalle unghie -le vidi subito- orribilmente sporche e rotte.
Iniziò quasi ad annusare l'aria, piegandosi intanto su di me. Cominciai a trattenere il respiro, evitando qualsiasi tipo di rumore che potesse distrarla.
Tutta quella freddezza non mi apparteneva affatto, ma finché mi aiutava a sopravvivere era più che benaccetta.
Fece scattare la testa di lato, voltandola verso il mio polso ancora sanguinante. Mio Dio, il sangue! Sanguinavo perché era ciò che l'attirava!
Essere come una bistecca in una vasca di squali non mi piaceva per niente, dunque dovevo uscirne il prima possibile.
Si allungò sul mio polso, con la bava sanguinolenta che le colava lungo il mento affilato. Scoprì i canini bianchi e appuntiti e la sentii ringhiare sommessamente.
A quel punto mi prese il panico.
Ruotai su me stessa, cogliendo l'occasione dell'effetto sorpresa, e la feci cadere sotto di me gridando per lo sforzo o forse per un semplice sfogo di quell'adrenalina che mi pompava nelle vene.
Cercai di prenderla per la gola ma lei mi precedette, conficcandomi le dita dietro la nuca.
Urlai ancora, di dolore questa volta, perché mi afferrò diverse ciocche di capelli e prese a strattonarle violentemente, costringendomi a ruotare più e più volte la testa dolorante. Riuscii ad allungare le mani verso di lei e le restituii il favore strappandole quanti più capelli le trovavo in testa. Alla fine mi gettai in avanti finendole addosso in modo da liberarmi la gola dalle sue dita. Dandole una gomitata sul viso mi alzai di corsa, allontanandomi e arretrando verso la scrivania sopra alla quale stava quel cacchio di pugnale che ancora mi faceva vibrare i nervi per la tensione.
Repulsione davanti e repulsione dietro di me. Che bella situazione.
Mi stavo lentamente riprendendo da quella serie di shock che avevano seriamente compromesso le normali funzioni cardiache del mio corpo. Lei era ferma, seduta per terra come l'avevo lasciata. Le orbite vuote rivolte verso di me.
Notai che aveva del sangue su una mano. Il mio.
Anche lei se ne accorse. Avvicinò il braccio alla bocca dalla quale uscì, accompagnata da un mio urletto di disgusto, una lingua violacea, lunga e sottile che le si avviluppava intorno al polso, lungo la mano, tra le dita. Era uno spettacolo vomitevole. Con estremo gusto si leccò via ogni singola goccia del mio sangue mentre io ero costretta a guardare, sforzandomi di non rimettere quel poco che mi era rimasto nello stomaco.
Sapevo di avere solo una possibilità di cavarmela, ovvero l'oggetto non così tanto invitante alle mie spalle.
Dovevo voltarmi per prenderlo visto che non avevo alcuna intenzione di tagliarmi con qualcosa d'argento, ma allo stesso tempo non mi entusiasmava affatto l'idea di dare le spalle a quella cosa.
Tutta quella serie di ragionamenti mi fece quasi dimenticare i frenetici battiti del mio cuore che mi tamburellavano nelle orecchie, ma essi tornarono a farsi sentire appena realizzai che quel pugnale sarebbe finito nelle mie mani.
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