Atto IV: Metamorfosi

     La superficie del banco le ghiacciava la mano. Un cubo di ghiaccio, a cui la pelle si era appiccicata. Jessica fissava le proprie dita, immaginando come la cute le si sarebbe strappata dalla carne, come sarebbe rimasta appiccicata a quel banco, se solo avesse osato tirare via la mano.

Un vento debole le sfiorò il viso. Portava con sé un odore di fresco, odore di fuori. Il vociare dei compagni di classe faceva da sfondo, e Jessica registrava quei rumori, ma non li comprendeva.

Rimaneva lì, gli occhi incollati sulla propria mano. Finché una foglia secca e ingiallita entrò dalla finestra, e atterrò sulle sue nocche.

Sollevò gli occhi di scatto, come se si fosse appena risvegliata da un sogno. Roberta entrò dalla porta, zaino in spalla, capelli ben pettinati, spalle incurvate. Insolito, per lei. Incontrò gli occhi di Jessica, ma quel contatto durò meno di un secondo: entrambe distolsero l'attenzione.

La campanella trillò nel momento esatto in cui Roberta prese posto, dietro il banco di Jessica. La professoressa di italiano entrò con la sua solita aria affaticata, con il suo caschetto ordinato, un naso che spiccava su un viso troppo piccolo e gli abiti firmati. Poggiò la borsa, la valigetta e la busta del pane sulla cattedra, e con uno sbuffo esagerato lasciò che i muscoli le si rilassassero, liberi di tutto quel peso in eccesso.

«Buongiorno, ragazzi.»

«Buongiorno,» risposero tutti in coro.

La professoressa si diede alcuni buffetti sulla gonna, poi sulle maniche. Prendeva tempo, sotto gli sguardi poco interessati degli alunni.

Jessica si grattò la pelle accanto all'occhio. Resisteva da tutta la mattina a quell'impulso. Digrignò i denti e si prese il polso con l'altra mano per allontanarlo. Doveva controllarsi.

«Ragazzi, ho...» La voce della professoressa soffocò nel mezzo della frase. Lei deglutì e riprovò. «Ho una notizia terribile.»

Alcune voci mormorarono il nome di Asia. In pochi non erano già a conoscenza dell'accaduto.

«A dire la verità, le notizie sono due.» L'insegnante si appoggiò con il sedere contro la cattedra, in cerca di un sostegno. Pendevano tutti dalle sue labbra. «La prima è nota a tutti, ormai. Asia Bianchi è deceduta due giorni fa. Il funerale si terrà domani pomeriggio. Siete tutti pregati di partecipare, in quanto classe.»

Giorgia alzò una mano. «Prof, com'è morta di preciso?» Ne parlava con un'insolita glacialità, come se sforzasse un tono solenne quando in realtà era solo affamata di informazioni.

La professoressa impiegò alcuni istanti per rispondere. Torceva le mani, si umettava le labbra. «La polizia ha dichiarato che si è trattato di suicidio. La poveretta era instabile. Deve essersi ferita il viso da sola in preda a un qualche attacco di allucinazioni e poi ha inghiottito una manciata di pillole e si è lasciata morire.»

Jessica si affondò le unghie nel polso. Il mondo attorno a lei divenne offuscato. Per quanto lei provasse a concentrare l'attenzione sulla professoressa, gli occhi non mettevano a fuoco.

«La seconda notizia,» iniziò la professoressa, e la voce le morì di nuovo. Spezzata, tagliata in due da una lama di angoscia. «La seconda notizia è la recente morte di un'altra compagna.»

Le pareti risucchiarono ogni suono. L'aria venne derubata dell'ossigeno.

«Flavia Federici è... è stata ritrovata ieri sera dai genitori. Affogata nella vasca da bagno.»

Jessica si agitò sulla propria sedia. Sbatté le gambe contro il banco. La stanza le girava attorno. Il pavimento le crollò da sotto i piedi. Sentì il peso degli sguardi attorno, puntati su di lei, poi su Roberta. Cosa cercavano? Un segno di colpevolezza? Dimostravano compassione?

Giorgia alzò la mano un'altra volta. «Prof, ma si tratta di omicidio?»

«Si sospetta un incidente. Deve essersi addormentata mentre faceva il bagno. Sembra prendesse un po' troppi sonniferi, nell'ultimo periodo.»

Le ragazze si bisbigliarono qualcosa l'un l'altra. I pochi maschi della classe si scambiarono sguardi straniti, come se non sapessero come reagire. Soltanto dopo alcuni secondi tornò il silenzio, e fu ancora più straziante. Riempiva lo spazio. E la stanza rimpiccioliva, secondo dopo secondo: le pareti si chiudevano su se stesse, pronte a schiacciare Jessica al loro interno.

Jessica percepì qualcosa di bagnato sul polso. Abbassò gli occhi, e vide il sangue sotto le unghie, e delle lacrime cadute.

Perché?

Le aveva detto di fare attenzione. Glielo aveva detto. E invece quel mostro... quel mostro con le converse aveva preso la vita di Flavia. Immaginò l'assoluta impassibilità sul suo volto deturpato, mentre le mani spingevano la testa di Flavia nell'acqua finché quella avesse smesso di muoversi.

«Com'è possibile?» Una voce urlò alle sue spalle. Roberta, alzatasi in piedi, i palmi posati sul banco.

Jessica non osò voltarsi. E se Roberta fosse stata la prossima? E se quella creatura fosse stata decisa a eliminarle tutte e tre, una dopo l'altra?

La professoressa si prese una ciocca fra le dita, gli occhi bassi. «Mi dispiace. So quanto tu e Jessica eravate sue amiche.»

«Ma non è possibile! Lei non prendeva nessun sonnifero!»

«Hanno ritrovato una scatola mezza vuota di sonniferi in camera sua. Mi dispiace tantissimo.»

Roberta crollò di nuovo sulla sedia, senza parole. A seguire, arrivò il coro di condoglianze da parte dei compagni di classe. E poi, un misero minuto di silenzio in onore di Asia e Flavia.

Jessica se ne stette immobile per la maggior parte della lezione. Immobile, con un ruggito nel petto che le si trasformò in un uggiolio sofferente mentre la professoressa spiegava i canti del Paradiso. Dov'era ora Flavia, nell'immaginario di Dante? In un cerchio dell'Inferno, a rivivere quella notte ancora e ancora. Quella notte che aveva segnato la sua dannazione.

Fu solo nell'ora di ricreazione che Jessica trovò la forza di tornare nel presente. Il mondo che la circondava le appariva più grigio, smorto. I suoni erano ovattati. Le persone lontane.

Si alzò dal banco e uscì dalla classe, sotto gli sguardi attoniti di tutti i compagni. Non li calcolò. Vagò per il corridoio, fino a trovare la classe abbandonata dove aveva avvistato le converse nere per la prima volta. Si appoggiò al muro e si lasciò cadere a terra, la testa stretta fra le mani.

Era tutto sbagliato. Flavia non meritava di morire.

E Roberta... forse Roberta sarebbe stata la prossima. Jessica cercò di mandare giù il groppo che le ostruiva la gola. Doveva trovare un modo per proteggerla. Per proteggere se stessa.

Ma come?

Si accorse che c'era qualcuno lì con lei solo quando vide un paio di Nike comparirle davanti. Sollevò lo sguardo, piano. Alessandro era lì, a regalarle uno sguardo pieno di compassione. «Ehi, Jess.» Si sedette al suo fianco. «Ti ho vista entrare qui e mi ero preoccupato. Hai una brutta cera.»

«Sto bene.» Jessica si asciugò gli occhi, prima che le lacrime potessero tradirla.

Lui sospirò, e non disse niente per un po'. Un polso posato sul ginocchio sollevato, la testa reclinata all'indietro. «Ho saputo...»

Lei annuì, ma non osò rispondere.

«Mi dispiace.»

«Avevamo litigato...» Le parole le uscirono di bocca prima che lei potesse rendersene conto. Alessandro le rivolse un'occhiata interrogativa. Lei si afferrò il medio, lo torse fra le altre dita come se sperasse di scorticarlo. «L'ultima volta che l'ho vista, avevamo litigato. Mi disprezzava. Mi ha dato della narcisista.»

Lui le poggiò una mano sulla spalla. Fu solo per un secondo, ma fu abbastanza per risvegliarle un calore nel petto. «Stiamo tutti passando un periodo difficile. Certe volte, è più facile scaricare la colpa di qualcosa che ci fa stare male a qualcun altro.»

Le prese la mano, per fermarla dal farsi male da sola. Jessica osò incontrare i suoi occhi, ma solo per un secondo. Il tocco di Alessandro era una scarica elettrica che le percorreva il corpo, un soffio vitale, una boccata di ossigeno.

Poi lui ritirò il braccio e appoggiò di nuovo la testa contro la parete. «Mi sento come te.»

Jessica aggrottò la fronte. «Cosa?»

«L'ultima volta che ho visto Asia, avevamo litigato. Lei diceva di non volermi vedere mai più. Io le ripetevo che non era vero, che sarebbe tornata da me. Tornava sempre.»

«Ale...» Jessica mosse la mano. Gli sfiorò la maglia, ma non osò toccarlo. Gli occhi le bruciavano.

Alessandro e Asia litigavano spesso? Non ne aveva idea. Aveva sempre creduto che la loro fosse una storia d'amore piena di passione, come nei film. Macchiata solo dall'infedeltà di Asia.

«Se n'è andata sbattendo la porta e ha smesso di parlarmi per due giorni. Non riesco a smettere di chiedermi se le cose sarebbero andate diversamente, se solo io le fossi corso dietro. Se non l'avessi lasciata andare.»

Se prima non osava toccarlo, adesso Jessica si sentiva sporca anche solo a stargli vicina. La sofferenza di Alessandro... i suoi sensi di colpa...

Un pizzicore bruciante le attanagliò la guancia. Jessica si grattò con forza. Si fermò non appena sentì il sangue sporcarle di nuovo le unghie.

«Niente di quello che è successo è colpa tua,» gli disse. Questa era l'unica cosa di cui era sicura. L'unica certezza che poteva offrirgli.

Alessandro si lasciò andare a un sospiro. Jessica avvertì un odore di caffè. «Come se non bastasse, ho scoperto solo di recente che aveva una relazione segreta con il prof Marino.»

Lei ebbe una reazione troppo lenta. Ma si portò la mano alla bocca, finse shock per una notizia che conosceva da tempo. «Il prof Marino? Quel tricheco? Mi prendi in giro.» Fece una pausa. «Se lei era tanto stupida da non capire la fortuna che aveva a stare con te, non è colpa tua.»

Lui scosse la testa. «Certe volte mi chiedo se forse mi sono lasciato abbagliare dalla sua luce. E non ho mai visto la persona che più mi somigliava. Quella più adatta a me.»

L'aria le venne risucchiata via dai polmoni. «Chi?»

Alessandro le si era avvicinato. Il suo naso era un po' troppo grande per il suo viso, Jessica se ne accorse solo adesso. La sua intera persona però emanava una forza magnetica. «Tu.»

«Ti somiglio?»

«Molto più di quanto pensi. Non lo vedi?»

«Sì...»

Lui era vicino. L'odore di caffè nel suo alito la colpiva in pieno viso. Uno sciame di farfalle si liberò in volo nel suo stomaco. Soltanto un paio di centimetri in meno, e le labbra di Alessandro l'avrebbero toccata.

Lei chiuse gli occhi, un barlume di coscienza che ancora le illuminava il buio nella mente. «Ale...»

«Shh.» Lui le mise una mano sul collo. Calda. Forte. «Che male c'è a cercare un po' di conforto?»

Il loro bacio lavò via il dolore che Jessica aveva nel petto. Le loro labbra si incontrarono in un bisogno selvaggio. Le loro mani si aggrapparono ai vestiti l'uno dell'altra, alla ricerca di un calore che potesse scaldare i loro cuori vuoti.

Poi si guardarono negli occhi. Jessica deglutì, Alessandro le accarezzò i graffi sul viso. Il suo tocco faceva male, ma era rassicurante allo stesso tempo.

«Smettila di tormentarti, Jess,» le disse in un sussurro.

Jessica abbassò la testa. Poteva fidarsi di lui? Si diede della stupida da sola per quel frammento di dubbio: dopotutto, ogni sua azione fino a quel momento aveva avuto il fine ultimo di avere Alessandro per sé.

Afferrò la mano che lui le teneva sulla guancia. Strinse quelle dita fredde fra le proprie. «Vedo delle cose strane, negli ultimi tempi.»

«Strane come?»

«Una ragazza. No. Più un mostro che una ragazza. Mi segue. La sento sempre vicina, come se fosse in agguato.»

Il pollice di Alessandro le sfiorava la guancia in piccole carezze. «È solo nella tua testa.»

Jessica si conficcò gli incisivi nel labbro. «Però era lì. Alle spalle di Flavia, e io l'ho lasciata con la consapevolezza che l'avrebbe presa...»

«Shh, calmati.» Alessandro le scoccò un bacio sulla testa. «Non è stata nessuna ragazza fantasma a uccidere Flavia. Non era reale.»

«Ma se non me ne fossi mai andata...»

Lui le premette il dito contro le labbra per zittirla. I suoi occhi erano grigi, tetri, in quella stanza in penombra. «E se io avessi inseguito Asia, lei ora sarebbe ancora qui. Ma la vita non funziona così, Jess. Non possiamo tornare indietro. Possiamo solo andare avanti.»

Jessica parlò in un sussurro tremolante. Temeva la risposta, ma pose comunque la sua domanda. «E cosa c'è avanti?»

La morte, pensò. La sua. Quella di Roberta. Una ragazza mostro pronta a ucciderle.

«Ci sei tu.» Alessandro parlò con convinzione, avvicinando di nuovo il viso al suo. «Ci sono io.» Le sue dita imposero una leggera pressione sulla nuca di lei, per spingerla in avanti. «E possiamo imparare dai nostri errori. Cercare di costruire una vita più giusta.»

Jessica desiderò credergli. Desiderò credere di avere un futuro. Con lui, il ragazzo dei suoi sogni. Chiuse gli occhi e lo baciò ancora, lasciando che le preoccupazioni volassero via.


Quando tornò a casa, Jessica trovò la cucina già apparecchiata. Sua madre era seduta, si portava una forchettata di fettuccine alle labbra. Si guardarono, ma la madre non le rivolse un cenno di saluto come al solito. Si limitò a fissarla, con l'aria di chi è alla disperata ricerca di parole che non sa dove trovare.

Jessica lasciò cadere lo zaino sul pavimento. «Oggi non ho fame.» Lo stomaco era in totale subbuglio, un misto di farfalle che si gettavano allegre contro le sue pareti, e una mano marcescente che la artigliava.

«Tesoro...»

«Vado al bagno.»

Chiuse la porta dietro di sé con troppa forza. Poggiò le mani sul lavandino e si sforzò di prendere un respiro profondo. Scrutò la ragazza nello specchio: i graffi sulle guance, le occhiaie, il colorito pallido e malsano. Assurdo che Alessandro avesse trovato il coraggio di baciare un viso come quello.

Proprio lui, che era abituato alla bellezza di Asia.

Ma la bellezza di Asia era sparita con la stessa facilità. Erano bastati un paio di tagli.

La bellezza di Asia era stata effimera.

E, forse, anche quella di Jessica.

Notò una piccola fessura nella propria pelle, proprio sopra l'occhio sinistro. Era come un foglio di carta consunto, che iniziava ad arricciarsi. Jessica ci infilò le unghie. Ne afferrò l'estremità con un'estrema calma.

E tirò.

Non provò dolore. La pelle venne via con facilità. Si ritrovò a fissare un pezzo del suo stesso viso nella propria mano, cereo da un lato, rosso cremisi dall'altro. Avrebbe dovuto provarne ribrezzo, forse. In quei primi attimi però, dentro di lei non ci fu nulla.

Gettò quell'ammasso di pelle a terra. Nello specchio, un bulbo oculare privo di palpebra e iniettato di sangue la fissava. La carne tutt'attorno brillava di un rosso sanguinolento.

Pensò di urlare, eppure non ne possedeva l'impulso. Così ciondolò fino alla porta sbarrata, vi si appoggiò e si lasciò cadere. Chiuse l'unico occhio che poteva ancora farlo. L'altro rimase spalancato, a fissare le mattonelle del bagno.

Questa volta non sarebbe arrivato Alessandro. Una parte di lei pianse, perché lo desiderava con sé. Lo desiderava in ogni momento. Una parte più piccola dentro di lei, seppellita sotto un cumulo di terra bagnata di lacrime, sospirò di sollievo.

Una mano batté un colpo contro la porta. Jessica sussultò.

La ragazza mostruosa! La ragazza mostruosa era venuta a prenderla.

«Jess, cos'hai?» La voce di sua madre.

Lei deglutì il cuore impazzito che le batteva in gola e si asciugò le lacrime con una manica. «Niente.»

Degli istanti di esitazione. «Lo so che questo è un momento difficile per te. Tu e Flavia eravate molto legate.» Sua madre sapeva già di Flavia. Le notizie si spargevano in fretta, in quello stupido paesino. «Se posso fare qualsiasi cosa per aiutarti, per favore, dimmelo. Non devi affrontare tutto questo da sola.»

Jessica si afferrò le ginocchia fra le braccia e le portò al petto. Raggomitolata così. Sola. Separata dal resto del mondo.

Sua madre non poteva aiutarla. E per quanto non le piacesse ammetterlo, nemmeno Alessandro. Perché una maledizione la perseguitava. Una maledizione che la stava deprivando della sua bellezza, della sua salute.

Una maledizione che l'avrebbe uccisa.

«Sono qui, se hai bisogno di me.» Sentì le mani della madre scivolare lungo la porta che le separava.

Per un attimo, Jessica considerò l'idea di dirle la verità. Di raccontarle quello che aveva fatto ad Asia. Della maledizione. Della ragazza mostruosa. E di Alessandro.

Ma non poteva. Così si raggomitolò ancora di più su se stessa, immersa nelle sue stesse lacrime.

«Ti voglio bene, ma',» le uscì in un sussurro. Non le giunse alcuna risposta. La madre non l'aveva sentita.

Trascorse quelle che parvero ore, prima che Jessica osasse rialzarsi in piedi. Raggiunse l'armadietto dei medicinali e raccattò delle garze. Le utilizzò per coprire il lato del viso privo di pelle. Raccolse il pezzo di volto che aveva lasciato a terra e lo gettò nello scarico. Tuttavia, non trovò tracce di sangue sul pavimento.

Quando uscì, sua madre era ancora lì. Dischiuse le labbra, coprendosele con la mano, non appena vide le condizioni di Jessica. Sfiorò le bende con le dita, ma l'altra si scansò. «Che hai fatto?»

«Niente. È che non riesco a smettere di grattarmi. Così forse riesco a controllarmi.»

«Tesoro, se hai bisogno, possiamo prendere appuntamento con uno psicologo...» Jessica le lanciò un'occhiataccia, e la madre trasalì per un attimo. «Be', in realtà, tuo padre è in ritardo con il mantenimento da qualche mese, ma possiamo sempre rivolgerci a uno psicologo della mutua.»

Jessica scacciò l'argomento con un cenno della mano. «Non mi serve uno strizzacervelli, ma'.»

Se ne andò per rinchiudersi nella propria stanza.

Non aveva tempo da perdere appresso a degli psicologi incompetenti.Doveva trovare un modo per fermare la ragazza mostruosa, prima che arrivasse aprendere anche lei e Roberta.

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