Prologo
PROLOGO
Ricordi di carta
Stava correndo.
Non sapeva se sarebbe stata in grado di uscirne, magari l'avrebbero lasciata scappare. Era abile, certo, ma non c'era modo di spiegare perché i corridoi della loro base erano così vuoti, perché non c'era nessun allarme mentre scivolava lungo quegli androni silenziosi e poi verso le strade deserte.
Era in una città senza volto e senza nome, e quello era già abbastanza ovvio per farle comprendere che stava sognando. Estese una mano davanti a sé, osservandola mentre si trasformava in quella di una donna più anziana, ricoperta di luccicanti anelli d'oro massiccio.
Quindi poteva ancora Trasformare, ma intuì di trovarsi molto in profondità, ricordava nebbiosamente altre sale, altri Sognatori e infinite domande sulla Condivisione del sogno e su Ari.
Ari, pensò, con il panico che le esplodeva nel petto, oscuro e violento. Non potevano averlo. Avrebbe lasciato a quegli stronzi la possibilità di strapparle tutte le unghie, ma non avrebbe ceduto Ari. Mai.
La collana che portava al collo tintinnò sulla sua pelle, fredda e sudata. Se si fosse fermata a controllare avrebbe visto che la decorazione sulla bussola era sbagliata, forse un po' storta. Diversa da come era nella realtà. Il silenzio era quasi assordante, solo i suoi passi contro il terreno, un costante, rapido battito. Lì, senza gli occhi affilati di Ari e le sue solite inevitabili domande, si sentiva persa. Corse il più velocemente possibile, senza mai trattenersi; gli edifici intorno a lei divennero sfocati.
Girò un angolo, e una cascata di pallottole colpì la strada a pochi centimetri dai suoi piedi. Imprecò, sputando una serie di maledizioni senza senso in un miscuglio di lingue, e si nascose di nuovo dietro l'angolo. Stronzi. Maledetti stronzi.
Una macchina si avvicinò lentamente dalla direzione da cui era arrivata. Era nera, senza targa. Sam quasi rise con un briciolo di isteria. I cattivi trovavano sempre il modo più cliché per fare ogni cosa.
Osservò l'edificio accanto a lei. Cinque piani, mattoni rossi in vista e un'uscita antincendio qualche metro poco più su.
Un'altra macchina svoltò dalla direzione opposta, e lei imprecò di nuovo, messa con le spalle al muro in un vicolo cieco. Iniziò a scalare l'edificio, a mani nude. Il polso destro, però, non stava funzionando nel modo giusto e tutto il suo corpo stava urlando in preda all'agonia. Ma era sempre stata brava a ignorare il dolore fisico, e la memoria muscolare sapeva fare la sua magia. Riuscì a raggiungere la scala, per poi mettersi a correre di nuovo, su per le scale di metallo e sul tetto.
L'edificio seguente non era lontano, accelerò. Piantò un piede sul bordo e si lanciò in avanti con una spinta, spiegando le braccia in alto come un gabbiano che spiccava il volo e atterrando sul tetto seguente con una capriola. Il dolore alle gambe e al petto l'attraversò con violenza, facendola boccheggiare, senza fiato e con le vertigini, prima di allontanarlo nuovamente, spingendolo nei remoti recessi della sua mente, lì dove il REM tentava di spingerla via.
Ricordava vagamente l'esplosione, e per un lungo secondo si chiese se il suo corpo fosse ancora intatto: se fosse ancora effettivamente viva o se si fosse semplicemente persa nel Sogno. Magari quello era solo uno strano, contorto inferno che si prendeva gioco di lei. Poi il dolore la trapassò di nuovo e no, non c'era modo di essere morti quando tutto faceva così schifo.
Se ti fanno male, fagli più male, pensò, preparandosi per un altro salto, ricordandosi gli ordini che Ari aveva detto al loro gruppo di Sognatori. Le sembrò una vita fa. Se ti uccidono, continua a combattere. Se combatti, continua ad uccidere.
Stava continuando a combattere, dannazione, eppure le sembrava che i nemici non finissero mai, continuavano ad apparire come se si moltiplicassero all'infinito.
Quando raggiunse il tetto successivo collassò dietro a una ciminiera e prese un respiro tremante. Era chiaro che coloro che li avevano raggiunti, facendo esplodere il loro covo, volevano informazioni. Ma sperò con tutta se stessa che gli altri non si stessero trovando nella sua stessa situazione. Sarebbe stato facile arrendersi, dare loro ciò che volevano e semplicemente accogliere la calma della morte.
Ma Sam era cresciuta mantenendo segreti, i suoi e quelli di altre persone, e si sarebbe dannata se quegli stronzi avrebbero ricavato qualsiasi cosa da lei. Ari non l'aveva addestrata per essere una codarda. Sua madre non l'aveva cresciuta per essere una traditrice. E Ari non si era innamorato di una folle senza spina dorsale.
Probabilmente il suo corpo in superficie era troppo sedato per svegliarsi se avesse provato ad uccidersi in quel momento, ma...
Forse c'era una soluzione.
Da qualche parte dietro di lei poteva sentire la scala di metallo tremare, qualcuno la stava raggiungendo. Il suo fiato tremò nel tentativo di nascondere un singhiozzo spaventato. C'era sempre un'altra opzione.
Chiuse gli occhi e sognò una pistola.
Sam si svegliò in mezzo alla strada. L'unica cosa intorno a lei era una superficie piana e la nebbia di un sogno non ancora costruito.
"Merda," disse senza fiato, perché cazzo, la teoria non era sbagliata. Il Mitaan esisteva. Il livello più profondo del subconscio era solo una strada e tabula rasa.
Devo nascondermi, pensò. Il più in fretta possibile. Andiamo, maledetto cervello, fa succedere qualcosa.
Iniziò a correre di nuovo, nella nebbia. Tutto intorno a lei cambiò mentre correva: vecchi edifici di colori strani, rotaie in mezzo agli alberi, piccoli negozi, segnali e scritte familiari ma fuori posto, piante sottosopra o su, a fluttuare nel cielo.
La città nacque intorno a lei, e Sam rise, la sua risata si trasformò in fretta in singhiozzi isterici quando riconobbe ciò che la circondava. Svoltò un angolo, poi un altro, e un altro ancora, corse a perdifiato lungo la strada sabbiosa verso la Baia del Silenzio.
Superò un familiare edificio giallo, e la sua pelle bruciò al ricordo dei baci di Ari.
Ciao Vesiria, vecchia amica, pensò, correndo attraverso l'erba umida e saltando una panchina che le apparve davanti. È stato bello vivere con te, adesso però salvami.
Si sforzò di pensare, e rievocò la libertà, la salvezza e la pace; quella mai davvero esistita, se non nelle loro oniriche creazioni. Allora creò qualcosa da Lumisade, le piccole cupole ghiacciate con il riflesso dell'empireo stellato, poi gli alti edifici della Capitale, facendo nascere gli alberi cristallini della Foresta del Sogno Perpetuo in mezzo a pozzanghere d'acqua salmastra, giusto per confondere chiunque avesse avuto il fegato di seguirla.
Il cielo divenne grigio e tempestoso come superò l'imponente Faro Tagliavento, seguendo il percorso scosceso che portava al mare appena emerso dalla nebbia.
La loro vecchia casa a Zephiria si palesò, cupa e solitaria, il rosso scolorito dei muri apparve quasi lugubre.
Sam inciampò al suo interno. Il cuore batteva a una velocità folle, ma per il momento si sentiva al sicuro, confortata dall'ambiente familiare.
Qui, pensò. Qui.
Prese un respiro profondo, mandando giù aria come se stesse affogando. Dopo un paio di respiri profondi si tirò su e aprì uno dei loro vecchi sportelli.
Era una buona cosa il fatto che si conoscesse così bene. Ogni angolo tetro della propria mente, il bello e il brutto, ciò che la rendeva Samantha Hadrianel.
Era ciò di cui aveva bisogno in quel momento.
Sam chiuse gli occhi e sognò un mucchio di oggetti senza significato apparente. Fogli, pensò, facili da piegare, facili da ignorare, perfetti da distruggere.
Il brivido di ogni lettera scritta a mano ricevuta da Ari. Sam aveva vent'anni, totalmente innamorata di un uomo che era convinta non ricambiasse i suoi sentimenti. Un paio di mesi dopo si erano ritrovati a Enexa-Lir, la paura tra le mani nell'azione dell'uccidere, poi labbra tremanti che si sfioravano in una danza febbricitante.
Somnia, la Capitale e i suoi alti edifici e il marcio segreto sepolto sotto di essi. Baci sul petto e respiri pesanti nel calore estivo. Ancora Vesiria e stare ore e ore a camminare mano nella mano, osservando i resti sprofondati di ciò che era un tempo lo splendore e il vanto di quella città. Quel desiderato e tremante Ti amo, sussurrato su una spiaggia con i piedi immersi nella sabbia e accarezzati dall'acqua gelida.
E Zephiria...
Zephiria. Non voleva più pensarci.
Era stata così felice. Sembrava tutto così distante adesso.
Tenne gli oggetti in mano - un pezzo spiegazzato di carta, un paio di soprammobili, una conchiglia, un pezzo di corteccia luminosa - e li strinse insieme, mise via Samantha Hadrianel, nascosta in ogni piega della carta, in ogni graffio e imperfezione. Ventisei anni di storia, ripiegata, ripiegata e ripiegata, come un elaborato origami.
Quando li ripose, nascondendoli dentro al vecchio mobile, aveva quasi finito.
Qualcosa cambiò nell'aria intorno a lei, e in qualche modo capì che gli inseguitori avevano raggiunto il Limbo. Doveva sbrigarsi.
Si strappò la collana che portava intorno al collo, stringendo la bussola che fungeva da ciondolo tra le mani per qualche secondo. Gli occhi caldi con lacrime trattenute e premette le labbra contro il metallo, contro la mano tremante.
Ti amo. Ti amo, ti amo, ti amo. Mi ami. Mi ami. Mi—
Trattenne un singhiozzo. Mi dispiace, Ari. Possono avermi ora. Ma non te, non ti avranno mai. Per favore, perdonami. Non ti sto abbandonando, un giorno ti riavrò.
Sam aprì gli occhi, baciò il pendente, e lo lasciò cadere insieme agli altri oggetti. Stava piangendo, si sfregò il volto con la manica. Il dolore a quel livello di profondità era lontano, le accarezzava appena le gambe e il torso.
Chiuse gentilmente lo sportello.
Spero di rivederti. Forse presto, forse un giorno lontano. Forse nei miei sogni. Non ti riconoscerò, ma ti avrò sempre con me.
Quando chiuse la porta dietro di sé, la città intorno a lei era strana e sconosciuta.
Qualcuno mi ha amata, pensò lontanamente mentre riprendeva a correre, questa volta senza direzione. Qualcuno mi ha amata. Forse qui. Forse altrove. Ricorda questo. È importante.
Quando la raggiunsero era ormai lontana dalla casa con i muri rossi. Le spararono al ginocchio e lei cadde, collassando sui binari in mezzo agli alberi. Sbatté la testa sul metallo duro e tutto si fece sfocato e distorto. Il suo corpo era dolorante, un costante e sordo dolore le pulsava nel cranio, e sentiva il ginocchio andare a fuoco e ridursi in cenere ogni attimo che passava.
Passi affrettati rimbombarono lungo la strada dietro di lei, e in qualche modo capì che era finita: game over. Il terreno e il freddo delle rotaie erano gelide sotto la sua guancia. Sopra di lei, i rami riflettevano la luce argentea del cielo senza sole, ondeggiando nella brezza afosa che la avvolgeva come un miraggio, cullandola dolcemente.
Era confortante, un ultimo secondo di pace.
Sono pronta, pensò vagamente, chiudendo gli occhi e lasciandosi avvolgere dal buio. Qualcuno mi ha amata un tempo, sono pronta.
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Crediti grafica: nightgate
Crediti editing: Skadegladje
Ska
Greys
Beh, ormai è chiaro che se io non comincio con un prologo in cui qualcuno viene massacrato, devo per forza tirare fuori qualcosa di tragico. E non credo ci sia neanche troppo da dire, visto il rant immenso della presentazione.
Suvvia Ska, che sarà mai un po' di sangue? Azione, violenza, avventura, sentimento, tragedie e drammi sono ciò che regalano le emozioni più intense e adrenaliniche! Per questo siamo qui, per condividere con voi il frutto di ore e ore di ricerche, costruzioni e macchinazioni e, il tutto racchiuso dentro una trama piccola piccola. Pensatela come se fosse il Tardis del Dottor Who. Una trama dall'apparenza piccola e breve ma che al suo interno nasconde tutto un mondo da scoprire. Perché non ci seguite anche voi in questa nuova avventura? Temerari, si parte per Mesmeria! Allacciate le cinture, si vola a testa in giù!
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