29 #Comicbook - Mermaid to be heroes

Come ve lo spiego perché sono entrata in fissa con la terraferma?

Dunque, i proiettili sott'acqua non vanno lontano, a meno che il bersaglio non sia fermo, a meno di due metri. Cosa ne avrei fatto delle mie Desert Eagle?

«Deadsea, usale quando vai a galla», me l'hanno già detto. Se non si fosse capito, Deadsea è il mio nome, un chiaro riferimento a qualcuno che dovrebbe assomigliarmi, uno in calzamaglia, ma questo è un discorso per dopo.

Parlavamo di sparare quando sono a galla, vi sembro un cetaceo? Chiaramente l'ho fatto, ma per quanto sparare ai gabbiani sembri divertente, tutte le cose che divertono troppo mi annoiano in fretta. La cosa peggiore è che loro, i gabbiani, non smettono mai di ridere, si dice di "garrire" per la precisione, ma è l'autore ad avermelo suggerito. A me non importa come si dice, per me è solo ridere, e dà fastidio.

Secondo punto riguardo le risate, poi la smetto, è che i gabbiani ridono e gli puoi sparare, i delfini invece ridono e basta. Sott'acqua i proiettili non vanno abbastanza lontano! Devo ripeterlo? Prova a colpirli mentre fanno quei salti graziosi. Confesso d'essermi sdraiata, in tutta innocenza, su uno scoglio, con la Desert in mano. Ho aspettato che uno di quei finti pesci saltasse per aria. Ho sparato qualche colpo ma nulla. Si dice che quelle bestie abbiano un gran cervello... Odio i delfini, cosa ridi, scemo!

Dove volevo arrivare?

Ah già, la fissa con la terraferma. Se non si fosse capito non ho le gambe, sono una magical sirena di quarta generazione, del tipo che potrei cantare come una dea, estrarre i cristalli dell'amore dal vostro cuore, risuscitare i marinai con le mie lacrime, blah blah blah. Ditemi a quale adolescente possano interessare certe capacità. Un'adolescente che possegga due Desert Eagle intendo. Dovete capire che (e chi se lo aspettava?) il mio character design è frutto del rapporto non protetto tra un'enchantix e un antieroe Marvel che veste solo pelle. L'autore ama le cattive idee, ma non distraiamoci che se arrivo a mille parole senza aver raccontato nulla sono nelle fogne. Parentesi estiva: quando dopo un'ora di sole farete il consueto bagnetto in mare e penserete:

«Non devo immergere la bocca in acqua, vuoi mettere lo sperma di balena?»

Sappiate che nello sperma di balena io ci ho nuotato e, in fin dei conti, non c'è nulla di male. Quello che dovreste pensare invece è: siete sette miliardi sulla terraferma, defecate due volte al giorno quando siete sani, volete dirmi che tutta quella roba viene depurata prima che la gettiate in mare? Perché allora non facciamo che le mie feci le passo nell'igienizzante e poi le nebulizzo nella vostra aria? Così, per equità.

Dunque, capitò che, mentre sparavo per aria, «Bang! Bang!», in una notte che non distinguevo i gabbiani dalle nuvole, dei drogati su un motoscafo iniziarono a spararmi. A me! Ero io la vittima. Uno di questi mi prende in pieno, non si può capire che male, mi misi subito a piangere. Ci credete che le mie lacrime hanno chiuso il buco? Cioè, non c'era più.

Mi andò il sangue al cervello, presi le Desert e mi lanciai sulla loro barca. Sbattei sul ponte come un tonno tirato all'amo e quelli mi guardarono.

«Cosa sono quelle facce da pesci lessi? Aiutatemi!» Si avvicinarono davvero e io tirai fuori le armi, gliele puntai, ma rimasi bloccata: «Oh no! Ho le munizioni bagnate, non sparano.»

Loro risero e mi presero di mira. «Sembri un pesce ma non sei muta e non possiamo far spifferare quello che facciamo qui.»

Contrabbando di zucchero a velo. Comunque mentivo sulle munizioni, mica sono un pirata dell'Ottocento, tutte le armi moderne sparano da bagnate.

«Avete preso un granchio», avrei voluto una frase migliore prima di svuotare i miei caricatori, ma il mio frasario di battute era ancora scarno.

Sparai su di loro due decine di volte e loro spararono a me una trentina. Scoprì che anche il sudore sanava le mie ferite all'istante, alla faccia della principessa di Atlantide, sarei potuta essere la regina. Da quel giorno in avanti indossai solo tute per sudare, le stesse delle televendite, con preferenza per quelle in pelle. Con tutto il sudore che perdo la mia pelle non invecchierà mai.

In definitiva mi trovai su un motoscafo di contrabbandieri, con non so quanti chili di "zucchero" e un pugno di cadaveri. Ho pensato di lacrimare su di loro e salvarli, ma se non mi veniva da piangere che potevo farci? Le emozioni non le puoi comandare.

Su quel motoscafo c'era un televisore acceso con un film, un telegiornale o quello che era, c'erano i supereroi. Subito scattò la scintilla: io sparavo ai cattivi e avevo i poteri, ero una supereroina! Ed ecco che scattò anche la scintilla della rabbia, tutti quegli eroi vivevano sulla terraferma, tutti quelli che mi facevano invidia, con le loro calzamaglie imbellettate di stemmi e mantelli. Divenni allergica alla parola calza, io che per il resto della vita avrei dovuto comprare le mie tute e tagliarci una gamba o usarla come cintura.

Cioè, scusate, perché dovevo restare imbrigliata nei luoghi comuni? Io volevo essere un eroe da kung fu non da acquagym.

La guardia costiera mi arrestò prima che finisse il film, mi finsi svenuta: vorrei dire che sono un tipo che cade sempre in piedi ma... Venni scarcerata solo dopo qualche mese di processi e accertamenti. Non ne parliamo, tutti gli eroi hanno una grande caduta nella loro genesi, che la mia dovesse essere una caduta nel water è un altro discorso. Ve lo levo di bocca: "fuggire per la tazza, tu che sei un pesce?", è una battuta che conosco già, in carcere tutte la conoscevano. Tutte però invidiavano la mia piscinetta gonfiabile con acqua salata, il direttore credeva che "la sirenetta" ne avesse bisogno. Glielo lasciavo credere anch'io, perché le ragazze pagavano per entrarci con me.

Una volta fuori, come ogni buon supereroe e buona supereroina dovevo trovarmi un lavoro banale. D'altronde le tute del sudore e i proiettili costavano.

No, dico all'autore, non mi feci ingaggiare come sirena sui tetti delle ambulanze, non asseconderò la tua gag del cavolo. Mi proposi a un sushi all you can eat per le consegne a domicilio.

«Cosa vuol dire automunita?» fu la mia prima domanda appena assunta. Quelli rimasero con la bocca aperta per due minuti. Ero già comparsa sul telegiornale, non ancora come eroina, ma come spacciatrice di eroina con la pinna (accuse cadute), possibile che ancora si stupissero?

Beh, anche se appinnata e senz'auto, nessuno si sarebbe lasciato sfuggire un pesce che consegni sushi a domicilio. Così iniziò la mia relazione con Kim, un ragazzo dolcissimo, con i suoi occhietti a mandorla, guidava lo scooter con me dietro e mi portava in braccio fino ai citofoni così che io potessi gridare:

«Ouh! Vieni giù che c'è il pesce.» E poi fare lo spettacolino della consegna che terminava con un sonoro: «e ora i soldi.» Mi piaceva che la gente, con la coda sotto gli occhi, non facesse caso alla mia boccaccia, inoltre compensavo la cortesia di Kim che non la smetteva mai di chinarsi. Gliene parlavo in continuazione, lui diceva di non rendersene conto.

Povero Kim, gli sparò in faccia Jim, guarda caso quasi omonimi. Il ragazzo dagli occhietti a mandorla mi aveva portato fino alla porta di una casa e io avevo urlato il solito: «Ouh! Apri che si fa freddo» il sushi. Fino a quel giorno quella battuta mi aveva fatto ridere.

Aprì Jim e mi guardò come se mi riconoscesse, sparò in faccia a Kim e mi trascinò dentro. Quella volta piansi, volevo tornare a salvarlo ma Jim aveva delle braccia da palestra cinque giorni a settimana, impossibile divincolarsi. Il ragazzo rimase steso nel corridoio e Jim ci chiuse la porta davanti.

Mi rintanai in un angolo di quella casa, stretta alla mia coda:

«Scusa se non mi accomodo, ma mi sento un pesce fuor d'acqua.»

«Sei finita dritta nella mia rete, sirena.»

«Allora l'ordine di sushi era un'esca. Chi sei?»

«Un pesce grosso dello spaccio.»

La sua esse floscia abbassò il livello dello scambio al punto che non riuscii a ideare una risposta prima di scoppiare a ridere. «"Ma che aringhe vuoi?" Forse avrei dovuto dire così? Ormai hai vinto tu, dimmelo e basta.»

Jim mi puntò l'arma. «Sul motoscafo che hai assaltato c'era mio figlio.»

«Ehm, alto? Magro? Capelli?»

«Non era tra i morti.»

«Uh! Che fortuna sfacciata, temevo che fosse una vendetta.»

«Dov'è?»

«Chi?»

«Mio figlio!»

«Ah, ma lui non puoi mica averlo indietro. Sono una regina degli abissi, amico mio. Vuoi sapere dove lo nascondo?»

«Dove? Ti ammazzo e lo vado subito a prendere.»

«Ad Atlantide, pensi di saperci arrivare?»

«Io...»

Jim non era troppo sveglio e avere una sirena davanti non migliora l'intelligenza di nessun uomo. "Atlantide", non avevo idea di dove fosse suo figlio e nemmeno Atlantide, ma lo adottai comunque come ostaggio, in fondo avevo una pistola alla testa. Jim ci credette. Così iniziò la mia relazione con Jim, una delle più lunghe e delle meno tossiche.

Bastò ricattarlo col figlio, mi feci portare ovunque meno che al mare. È grazie a lui che andai a sciare, non il maledetto slittino o il bob con la coda tutta arricciata dentro, proprio gli sci. In sostanza, io mettevo un unico grosso scarpone attaccato a uno snowboard e lui mi prestava una sua gamba con lo sci. La sensazione migliore che ci sia. Ammetto: avere le gambe è più bello che ridere di voi mentre pestate i ricci di mare, molto di più. Quell'attimo con Jim sulla neve mi costò per un momento il sangue freddo e, davanti a una tazza calda, mi lasciai andare.

«Jim, caro, non ho idea di dove sia tuo figlio. Ti ho preso in giro: Atlantide non esiste, a meno che tu non l'abbia trovata e...»

S'incarognì a bestia, vedi che ipocrisia: anche io ci tenevo al mio giovane Kim. Dovetti scappare, come nelle scene di 007 sulla neve, solo che io ero una sirena su un bob. Mi colpì una decina di volte. Per fortuna la tuta da sci fa sudare anche sotto lo zero.

Ancora non ero la supereroina che sono adesso, però volevo diventarlo il più in fretta possibile. Strisciando col bob sull'asfalto, arrivai fino al palazzo del nostro albergo, «Cosa vuol dire ascensore fuori uso?» Ovviamente la stanza si trovava al quarto piano.

Convinsi il receptionist a portarmi a braccia su per le scale, sentivo i maledetti piedi di Jim inseguirci qualche piano indietro. Sulla targhetta del receptionist c'era scritto Tim, era una di quelle scene alla Nolan in cui si ripete il dramma iniziale ma l'eroe deve fare la scelta giusta e cambiare il finale. Mi feci lasciare in camera, ordinai a Tim di correre via e non tornare mai, per nessuna ragione, ad aiutarmi.

«Sirenetta», la esse molla di Jim riusciva a renderlo ridicolo anche con una pistola in mano, «pagherai il tempo che mi hai fatto perdere.»

«A rate?»

«Ne ho nove giusto qui nel caricatore!»

Sparò, ma questa volta io mi agitai come un'anguilla, con la testa all'ingiù e la pinna che si scuoteva qua e là, tutti i proiettili forarono la parete dietro di me ma nulla mi colpì. Lui ruggì di rabbia. Io risi.

«Sei un tipo sushiettibile, eh?»

Non la capì, o forse non gli piacque, mi trascinò in bagno e mi gettò nella vasca mentre questa volta caricava un unico colpo da sparare molto vicino a me, il suo bersaglio. Con le mani fuori a penzoloni toccavo giusto il mio nebulizzatore. Sapete il discorso che vi ho fatto sulle feci che gettate in mare? Ecco, avevo comprato uno spruzzino a manovella e l'avevo pure riempito.

Quando Jim mi puntò la sua pistola io gli nebulizzai la mia pipì dritta in faccia, «Cif. Cif. Cif.» come per educare un cane rabbioso. Se non scoppiai a ridere in quel momento fu solo per riuscire a prendere la pigna della doccia e sbattergliela in testa. Rimase steso. Per sicurezza gli diedi un altro colpo e gli presi la pistola. Di nuovo con una Desert in mano, qualcosa mi diceva che mi sarebbe dovuta servire molto presto.

Qualche mese dopo portai del sushi a un tizio che mi disse: «So che hai fatto qualcosa a mio fratello Jim e a mio nipote. Ora tu mi dici dove sono.»

«Atlantide, amico.» Lo convinsi per qualche settimana a scarrozzarmi a un paio di lunapark e a farmi dire nomi e indirizzi della sua organizzazione criminale. Presto però dovetti spedire ad Atlantide anche lui. La mia missione da eroina era appena iniziata e, per quanto riguarda i suoi compagni, prima o poi tutti ordinano sushi. 

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