25 #Relaxed - Spugna antistress
«La sveglia è già suonata o no?»
Finché non ci guardo questa cattiva sensazione non avrà significato, finché non so che ore sono il letto rimarrà morbido, il cuscino accogliente e il sonno delizioso. Allungo la mano e guardo il cellulare.
«Due minuti di ritardo. Bene»
Le gengive mi pulsano e con la lingua sento come della polvere sui molari. «ho digrignato i denti anche stanotte», ammesso che tre ore con gli occhi chiusi e la mano sul cellulare si possano chiamare "notte".
Ieri ho commesso il solito errore, il mattino vorrei più di ogni altra cosa quello che a sera non riesco mai a fare: stendermi prima delle undici. D'altronde il sonno accelera il tempo, no? Come posso chiedermi di accelerare l'arrivo di questo momento, il risveglio?
Lancio le gambe giù dal letto, il resto del corpo le segue per inerzia. Riesco a percepire i liquidi oscillare all'interno del mio corpo, assieme al mio cervello. Stendo le ginocchia, mi alzo su un altro giorno in cui consumare ogni briciolo di energia solo per non fare schifo. Performance è una bruttissima parola, significa aspettativa e aspettativa è il nemico giurato della mia esistenza. Ho passato la vita a fuggire da lei, soprattutto dove questa si alzava.
"Ansia somatizzata" invece non sono due parole che ho detto io, le ha dette internet, ed è per questo che non vado dal dottore quando mi gira la tesa, quando la cervicale mi stringe il cranio in una morsa oppure quando, all'arrivo del capo in ufficio, mi parte la tachicardia. In realtà da un dottore ci andavo, non un medico ma uno psicologo. L'ultima volta ha detto:
«Stiamo facendo dei progressoni.»
«Ah sì?»
«Sì. Ti vedo molto sereno nel prossimo futuro.»
Non ci tornerò più. Devo spiegare perché? Ovviamente per l'aspettativa di quell'uomo, mi mette un'ansia mortale. Come faccio a presentarmi in queste condizioni dopo quello che ha detto? E poi, non siamo ridicoli, "vedo un futuro molto sereno", per questo genere di frasi ho già la mia chiromante.
Credeteci o no, la scaramanzia è figlia dell'ansia. Sono l'ultimo a questo mondo a credere nel fato e nelle fattucchiere, ma quando Jolanda gira dei buoni tarocchi le mie mani smettono di tremare, almeno per un po'. È vero anche se me ne vergogno.
L'altro giorno passavo davanti all'edicola sul tragitto di casa. Un'ora di pausa pranzo ben affettata in venti minuti di marcia, venti a fagocitare qualcosa di scongelato e venti seduto sul water, con la fronte poggiata sulle mani. Stando davanti all'edicola e accorciando il mio tempo sul water ma, come fossero quei giornalini nascosti dietro il giornalaio, i miei occhi si attardavano su una rivista: "Stellario di Maggio, tutto quello che ti deve accadere". A costo di stare antipatico, non ho mai considerato l'oroscopo qualcosa di intellettualmente innocente, quella rivista mi avrebbe dato il prurito se solo sul titolo non ci fosse stata la cura per la mia ansia: sapere "quello che deve accadere".
Passare il tempo a pensarci e poi correre a casa, per un boccone veloce, strizzò al minimo quella pausa pranzo. Ma ecco perché nella pausa di oggi mi siedo sul water prima del solito e, allungando la mano dietro la lavatrice trovo quella rivista, lo Stellario di Maggio.
«Maledizione», ecco, ora digrigno i denti anche da sveglio. Digito alla svelta un numero sul cellulare, mi saltella la gamba mentre aspetto che smetta di squillare.
«Pronto?»
«Mamma, qual è il mio ascendente?»
«Non ricordo. Com'è che si calcola?»
«Se te l'ho chiesto è perché non lo so. In questo giornale non c'è un glossario, un indice...»
«Chiudo un attimo la chiamata e guardo su internet. Mi aspetti?»
«Sì.»
La chiudo io, deve fare più in fretta possibile. Sono gemelli e fin qui ci arrivo da solo, ma il capitolo "Gemelli" la rivista lo divide in due parti, con tabelle attigue, una per gli ascendenti di acqua e aria e una per gli ascendenti terra e fuoco. Le ho già lette entrambe e non ci ho capito nulla ma sulla tabella di aria e acqua c'è una parola, "performance", seguita da cinque stelline colorate.
«Tesoro?»
«Dimmi, mamma.»
«Sei ascendente gemelli pensa un po'.»
«Elemento?»
«Aria, mi sembra.»
«Ok, ciao mamma.»
Chiudo in fretta perché ho paura di urlare, stropiccio la rivista mentre me la premo sulla faccia: «Perché?»
Non ha funzionato. Non ha funzionato per niente: performance cinque stelle può voler dire che dimostrerò grandi risultati ma soprattutto che alzerò il livello delle aspettative su di me. «Così giugno sarebbe il mese più ansiogeno della mia vita.»
Strappo quella pagina e la infilo nel water, non si fa ma la porta è chiusa e dentro il bagno faccio quello che mi pare. Tiro la catena e lo sciacquone non mi tradisce. L'oroscopo è scomparso, la mia ansia no.
«Jolanda, ciao.» Le sedute dalla chiromante costano come quelle dal terapista, anche la sua agenda è simile, altrettanto occupata. «Grazie di esserti liberata proprio stasera.»
«Se mi offri la cena puoi venire ogni sera, caro.»
Le poso due cartoni di pizza sul tavolino rotondo su cui di solito smazza i tarocchi. Apro il suo, «è già tagliata», riguardo il mio non lo tocco neppure.
«Mi lasci mangiare da sola?»
«Ho lo stomaco tanto indurito che la rimetterei nel cartone appena ingoiata.»
«Devi chillare, non va bene esagerare.»
«Chillare? È un rito contro la iettatura?»
«No, l'ho sentito dire a un rapper che è venuto stamattina: vuol dire che devi rilassarti. Relaxed yourself baby.»
«Ahah. Mi viene solo da ridere e, per l'appunto, mentre cerchi di parlare inglese sembri molto più italiana.»
«Sta' zitto. Vuoi che ti cacci?»
«No, ti prego, Jolanda.»
Mi carezza la testa con la mano, mi chiedo se sia sporca di quella fetta di pizza che sta ancora masticando. Nemmeno mia madre lo fa più, da quando avevo l'età a una cifra, credo, ma quella donna, col rossetto troppo rosso e il fard tema tramonto su Marte, forse ha connotati più simili a quelli di una madre che di una strega.
«Non hai mai pensato allo sport?»
«Cosa?» Storco il naso. «Se la mia veggente inizia a consigliarmi lo sport sono proprio alla frutta.»
«Mi piace parlare con te, tesoro, ma ti stai rovinando.»
«Sai che "rovinando" è una di quelle parole tabù.»
«E io te la dico comunque, ok? Vatti a sfogare col calcetto, hai degli amici, no?»
Annuisco, ma è solo per non approfondire quell'argomento. Esco dalla casa di Jolanda con la mia pizza in mano. Non ho ancora fame, o meglio, se la fame è quel dolorino che si sente allo stomaco io ne sento molti altri in questo momento. Arrivo a casa e metto il cartone in frigo.
«Non posso magiare carboidrati di sera: d'ora in poi devo dedicarmi allo sport.»
Chiudo il frigo, sono le undici, guardo il letto ma mi siedo sul divano col cellulare in mano. Impiego tre ore prima di decidere lo sport per me e una volta a letto non dormo per l'eccitazione.
L'apnea con skandalopetra. L'immersione come l'avevo provata da piccolo in piscina, sprofondare sott'acqua come in un'altra dimensione, non sentire più nulla di superfluo, abbandonato, senza quasi più peso, e questi non sono gli unici punti a favore: a livello sportivo bisogna sviluppare un controllo perfetto del proprio corpo e delle proprie emozioni. Insomma, Jolanda ci ha preso di nuovo.
Seguono dei mesi in cui mi alleno ogni giorno, da solo mi esercito a trattenere il fiato e col maestro in piscina faccio delle prove d'apnea subacquea graduale.
La skandalopetra è il mio obiettivo, gli Antichi Greci si gettavano in mare aggrappati a una pietra per raggiungere i fondali e raccogliere le spugne, si facevano tirare di nuovo su da un amico con una corda. La skandalopetra la usano ancora nelle gare d'apnea ed è lì che la userò anch'io.
Arrivo alla gara dopo tre ore di treno, ho il mio costume, un asciugamano, cuffia e occhialini. Salgo sul molo e prendo il motoscafo dei concorrenti. Nessuno dei miei familiari sa che mi trovo qui, nessuno mi chiederà come è andata. Dovrei essere più rilassato che mai, governo le mie emozioni, posseggo il mio corpo, ma la mano mi sta tremando. Sarà solo il freddo.
È il mio turno, un medico mi controlla per qualche secondo, poi mi danno il sasso in mano, un uomo col cronometro mi guarda negli occhi, prepara il pollice sul pulsante. Sotto le mie pupille un abisso di acqua scura e salata.
«Vai.»
È l'ultima cosa che sento seguita dalle bollicine del tuffo e poi dal silenzio, immenso. Affondo, affondo, l'orologio di profondità gira la sua lancetta, compenso la pressione sulle orecchie spingendo aria, e affondo scivolando accanto al cavo che si perde nel buio. Sono allenato per questo, sono allenato, me lo ripeto venti, trenta volte mentre sento i battiti del cuore accelerare senza motivo, sento caldo alle tempie, sudo e per un momento apro la bocca e sento l'acqua del mare salarmi le papille. Sono quaranta metri sott'acqua, il buio mi circonda, non sento nulla, nessuno può sapere se sto facendo bene oppure male, eppure eccola, l'ansia mi prende alla gola. Perdo dell'aria, ingoio dell'acqua.
Vedo qualcosa di luminoso, ci nuoto incontro, ci entro e scopro che si tratta di una caverna con una grossa bolla d'aria all'interno. Prendo fiato, stringo le palpebre sulla torcia che illumina la camera. Una voce mi spaventa:
«Non ti aspettavo.»
«Chi parla?»
Lo capisco appena dopo averlo chiesto, immerso per metà, sul fondo di quella grotta si trova un essere che lì per lì avrei chiamato donna, la pelle abbronzata e scoperta a cui il riflesso dell'acqua dà un aspetto violaceo, ne vedo solo il busto sicché il resto è all'interno dell'enorme spugna su cui è coricata.
«Una spugna?»
«Intendi la mia coda?» chiede lei. Battute le palpebre in effetti riesco a mettere a fuoco la sua anatomia, non ha gambe, ha solo una sorta di pinna fatta di un'enorme spugna.
«E ti ci sdrai?»
«Naturale: la vita mi ha dato un morbido cuscino per coda, e io mi ci sdraio. Dicono che io sia una smidollata, alla faccia loro è vero! Le spugne non hanno midollo e non ne hanno bisogno.»
«Una sirena spugna.»
«Anche se lo dici a quel modo io sono a mio agio col mio corpo. Tu non hai delle natiche forse? Usale! Siediti. Hai delle palpebre? Chiudi gli occhi. Senti sonno? Amico, dormi.»
«Ah, parli come se non fossi mai uscita da questa grotta.»
«Può essere: la mia spugna filtra l'acqua e ne raccoglie cibo, non ho bisogno nemmeno di masticare.»
«E perché allora la natura ti ha dato i denti?»
«Per dirti questo, rilassati», calcò la esse facendola fischiare tra gli incisivi, «rilassati, amico.»
«Più lo dici più mi sento agitato. Questa situazione mi agita.»
«La caratteristica che più spesso esercitano i leoni è la pigrizia.»
«E tu che ne sai?»
«Non sei il primo nevrotico che finisce nella mia grotta. Vuoi saperne un'altra? Gli squali prediligono i pesci più lenti, le meduse si lasciano trasportare dalla corrente, le spugne non si muovo di un passo da dove sono nate, a malapena si può dire che "respirino".»
«E quindi?»
«La Natura non si aspetta da te nulla più di quel poco che sei in grado di fare. Amati, sei magnifico così come sei.»
«Sono tutte frasi che ho già sentito mille volte.»
«Allora prendi questo», la sirena prese un coltello e sezionò un pezzetto di spugna dalla sua coda, «ricrescerà», assicurò e me lo porse: «Spugna di Fine Dama. Torna a fare quello che ti pare, ma se ti venisse ansia strizzala e pensa a quello che faccio io.»
«Cosa fai?»
«Niente.»
Alza le braccia, con le mani dietro la nuca si accoccola sulla propria spugna e chiude gli occhi. Non so come torno al cavo della gara e mi aggrappo alla corda della skandalopetra con cui mi tirano su.
«Come è andata?» mi chiede il cronometrista.
«Non lo so», rispondo e mostro il pezzo di spugna «ho preso questa.»
«E la gara?»
Alzo le spalle e ci do una strizzata.
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