14 #Cozy - Fiera di Maggio

C'era la volta in cui un ragazzo di nome Giovanni, che poi si chiamano un po' tutti così da queste parti, sentì parlare della grande Fiera di Maggio. A dire il vero ne sentì parlare dalla madre, a dire il vero nessuno dei suoi amici ci andava e, a dire proprio tutta la verità, l'opinione del parroco era questa: «La fiera di San Sebastiano va onorata a Gennaio, quella di Montallegro a Luglio e in mezzo, Pasqua o digiuno. Nient'altro.»

Insomma la Fiera di Maggio si preannunciava un fiasco, un fiasco talmente colossale che Giovanni, tornando dall'oratorio, decise di cambiare strada e vederlo coi suoi occhi.

Una bancarella di dolcetti, i soliti di ogni fiera solo che a Gennaio c'era qualcosa in più mentre a Luglio c'era qualcosa di meglio. Contò nella tasca le monete e decise di tenerle per qualcos'altro.

Un salumiere ambulante con un maiale intero sul banco, la sua pelle arrostita dava una sensazione croccante solo a guardarla. Però non si trattava di un porco più grosso di quelli esposti a Gennaio, per non parlare di quelli di Luglio. Giovanni evitò di incrociare gli occhi del salumiere e scappò, non sopportava l'imbarazzo di essere l'unico davanti alla merce.

Ancora le monetine gli tintinnavano in tasca e, per un momento, pensò di poterle cedere a qualcuno di disastrato. Se ne vedeva tanta di gente così, soprattutto nei frangenti meno opportuni, com'era possibile che proprio in quel momento non ne trovasse?

Deciso nell'idea di darle in elemosina, s'infilò nella strettoia tra due espositori e sbucò dietro la fila di bancarelle. Lì rombavano i motori dei frigoriferi e uno strano calore aleggiava assieme all'odore di fumo. Da quelle parti, nascosti nel parchetto della fontana, stendevano i loro lenzuoli i venditori abusivi, gli artisti delle caricature, i truccabimbi e le megere da lettura della mano.

«Tra di loro faranno a pugni per le mie monetine», si disse Giovanni mentre col naso arricciato scorreva gli occhi su un tappeto di borse contraffatte. Le monete gli pesavano sempre meno nella mano, già le teneva sulla punta delle dita indeciso sul cappello nel quale infilarle quando, all'ombra di un albero di cui non si era mai accorto, notò un ambulante più ingombrante degli altri.

Si avvicinò e tanto più capiva tanto più le monete riprendevano peso nella sua mano. Ai piedi di un omone seduto sull'aiuola si trovava una montagnola di gabbiette e scatoline. Il tizio teneva gli occhi chiusi così Giovanni trovò il coraggio di avvicinarsi fino a sporgere il naso dentro una scatola: un ramarro, un ramarro verde coi lati della testa azzurri.

«Non toccare gli animali in esposizione.»

«Non volevo toccarlo.»

«Tu volevi», insistette l'uomo con una voce molto più snella del suo aspetto, «se lo vuoi toccare sono cinque euro ed è tuo.»

«Tanto ne ho solo tre.»

«Posso dartelo a tre, se mi lasci la scatola.»

Giovanni corrugò la fronte, indispettito, quell'uomo credeva di trattare con un bambino: «questa lucertola la trovo nel giardino dei miei nonni ogni maggio. Anzi, guarda, se stasera sei ancora qui te ne porto venti, cinque euro l'una...»

«Avevamo detto tre.»

«Cinque euro l'una», ribadì Giovanni mentre terminava il conto: «e viene cento in tutto.»

L'uomo tornò con gli occhi chiusi e un broncio in viso che prima non c'era. Giovanni fece per andarsene ma si ricordò di quale fosse il suo proposito giusto un attimo prima, dare in elemosina i tre euro, eppure aveva contrattato con l'uomo e per giunta l'aveva sbeffeggiato.

Tornò alle gabbiette e sbirciò dentro a tutte: uno scarabeo, un passerotto molto simile a quelli che zampettavano per l'aiuola, un piccione, un topolino marrone e uno grigio, un'altra lucertola e infine uno scarafaggio che, a una prima occhiata, sembrava proprio morto.

«A quanto lo metti il passerotto?»

«Eh, quello venti tondi.»

«Cos'hai per tre euro, tanto te li voglio mollare comunque.»

«Il ramarro senza scatola?»

«No, ti prego, lo voglio che non possa mordere.»

L'uomo tese la mano, con le dita arricciate chiamò a sé le monetine, Giovanni gliele lasciò cadere sul palmo, il braccio peloso di quello si ritrasse come un tentacolo di calamaro entrò sotto una falda della giacca, frugò e tornò fuori con un pesce rosso dentro un sacchetto d'acqua.

«Questo.»

Giovanni lo sollevò in controluce davanti al suo sguardo perplesso. «Ma è a pancia in su.»

«Sì. È come le piace stare quando non deve nuotare. Trattala bene.»

«Trattala bene?»

Giovanni perse la pazienza, senza salutare se ne andò col sacchetto in mano. Per trattare bene un pesciolino morto, pagato tre euro, il ragazzo pensò di fargli un bel funerale sulla tavoletta del water. Corse a casa di fretta giacché sentiva gli sguardi dei passanti tutti rivolti al suo pesce morto, come accusassero lui di assassinio.

Arrivato e chiuso in bagno, il sacchetto gli scivolò di mano, esplose sul pavimento e una vocina gridò mentre l'acqua la trascinava tra i suoi piedi.

«Aiuto!»

«Aiuto», fece a sua volta Giovanni che cadde sulle natiche mentre l'essere uscito dal sacchetto si fermava tra le sue ginocchia, «dov'è il mio pesce rosso?»

«Sono io, ma sono una sirena rossa, non un pesce», esclamò stizzita, «hai guardato male nel sacchetto? Sei un pessimo acquirente, e ora io che ci dovrei fare qui con uno che mi ha comprata per errore?»

«Non ti avrei pagata tre euro se l'avessi saputo.»

«Di meno?»

«Di più! Io ho molta considerazione per le creature marine, ancora di più per quelle magiche, anche se scopro solo oggi che esistono.»

«Cosa ci facevamo in bagno?»

«Ehm. Siccome ti credevo un pesce morto...»

«No!» La piccola sirena batté la coda sulle piastrelle e strisciò fino ai pantaloncini di Giovanni, ci si aggrappò e ci posò la fronte. «Io sono una sirena rossa brava, posso esaudire dei desideri. Non mi scaricare.»

«Non ti voglio... Hai detto desideri? Quanti desideri?»

«"Quanti", insomma ridimensiona le aspettative, ciccio. Qui il punto è come li esaudisco: per ogni cosa che vuoi tu, in grande, devi fare lo stesso a me, in piccolo.»

«Vorrei lavare questo pasticcio di acqua.»

«Bene, comincia col lavare me.»

Come poteva Giovanni non dare retta a una piccola sirena apparsa nel suo bagno, carismatica per giunta e autoritaria al punto da assomigliare a sua madre. La raccolse e la avvicinò al bidè, questa scrollò con forza la testa, allora lui andò al lavandino aprì l'acqua e attese che fosse tiepida.

«Lo shampoo» ordinò la sirena e Giovanni le fece lo shampoo ai capelli con la punta delle dita. Le massaggiò la coda col sapone per le mani e lasciò che al resto pensasse lei con uno strappo di spugnetta rubato a quella della vasca. «Bravo ragazzo, adesso cosa desidereresti?»

«Aspetta, ma non esaudisci prima il mio desiderio?»

«No, ce ne vogliono diversi piccoli prima di esaudire quelli grandi», alzò le spalle come non ne potesse nulla, «è la legge delle fiabe.»

«Va bene. Allora adesso vorrei un bagno caldo, perché sono sporco anch'io.»

«Bagno, d'accordo, che sali usi di solito?»

«Nessuno.»

«Io uso un infuso alle erbe se ce l'hai. Vai a controllare in cucina?»

«Ti devo preparare un bagno in una tazza di tè?»

«Infuso, muoviti.»

Giovanni trovò un infuso alle rose e la sirena non poté essere più contenta, se lo fece mettere in una tazza e ci si immerse dentro. Chiese anche qualche fiore, Giovanni lo strappò dal poggiolo e ne mise i petali nella tazza.

«Il mio prossimo desiderio...»

«Lasciami godere questo», scongiurò la sirena con la testa che penzolava indietro sul bordo della vasca, «che profumo», sospirò rilassata, «lo senti anche tu?»

«Sì.»

«Dovresti sentire il tepore.»

«Ma lo sentirò, giusto? Quando il mio desiderio sarà esaudito.»

«Certo! Ma, sai cosa ci mancherebbe? Del latte.»

«Hai sete?»

«No. Porta una tazza calda.»

«Vuoi farci il bagno!»

«Non ho mai provato.»

«No, senti, adesso io voglio dirti il prossimo desiderio: un videogioco.»

«Benissimo, avrai un videogioco solo se ora mi leggi un libro.»

Giovanni prese un libro a caso dalla libreria, la sirena glielo fece portare indietro e ne ordinò un altro, uno di marinai innamorati. Il ragazzo lo lesse ad alta voce, afflitto dalla noia, mentre la sirena a occhi socchiusi immersa nella tazza sembrava sull'orlo di sognare quei marinai.

«Prossimo desiderio?» chiese, quando Giovanni non ce la faceva proprio più dalla noia, ma prima di avere risposta aggiunse: «hai fame, no?»

«Vorrei pranzare, ma a quest'ora piuttosto biscotti e cioccolata.»

«Portameli subito.»

Giovanni obbedì e ne sgranellò dei pezzi per lei ma, mentre portava un biscotto anche alla propria bocca, quella gridò: «Eh no! Non puoi esaudire da solo un tuo desiderio: altrimenti romperai la catena di desideri e non ne verrà esaudito nessuno.»

«Ho capito», Giovanni posò il biscotto con la saliva sulle labbra, lo stomaco gli gorgogliò.

«Prossimo desiderio?» La piccola sirena sembrò chiederlo a se stessa, e Giovanni non ne poté più.

«Ora basta: io voglio milioni di euro.»

«Quanti?»

«Almeno cento.»

«Beh, d'accordo.»

«D'accordo?»

«Certo, ammesso che tu abbia qualcosa di uguale ma piccolo da dare a me. Hai capito come funziona no?»

«Dieci euro?» La sirena dondolò la testa poco convinta. «Cento?»

«Ci siamo, direi.»

Giovanni corse a rovesciare il salvadanaio, trovò la banconota del suo compleanno e la consegnò alla sirena, questa la piegò più volte e se la infilò sotto la conchiglia che portava sui capelli.

«Sarò milionario.»

«Non ancora», lo avvisò la sirena, «c'è ancora qualche desiderio da suggellare.»

«Quanti?»

«Aspetta che conto... Uno!»

«Evviva», esultò il ragazzo a denti stretti, «dimmi subito.»

«Eh? Devi sceglierlo tu ma, se ti devo consigliare proprio qualcosa, io chiederei di essere consegnato al vero amore della mia vita. Così avrai amore e denaro.»

«Giusto», si batté una mano sulla fronte, «quindi devo consegnarti all'amore della tua vita in piccolo.»

«Sì: l'uomo da cui mi hai comprata.»

«Ma sono le sei!»

Giovanni corse a prendere la giacca, non aveva tempo di chiedersi che genere di amore ci fosse tra la sirena e il grosso uomo e poi, se si parla di sensatezza, era tutto il pomeriggio annichiliva dubbi del tipo: "sto facendo il bagno a una vera sirena?"

Arrivò trafelato a quel che rimaneva della Fiera di Maggio, con un sacchetto del supermercato pieno d'acqua. Mentre le bancarelle chiudevano i tendoni e dal parchetto si allontanavano gli ambulanti, «signore» urlò Giovanni in direzione dell'uomo sotto l'ombra dell'albero: «devo riconsegnarle questa sirena che mi ha venduto.»

«Non faccio rimborso.»

«Deve accettare perché questa sirena può esaudire i desideri.»

«E io ci dovrei credere? Sono riuscito a venderti un pesce morto a tre euro, non sei al mio livello con le trattative.»

Giovanni aprì il sacchetto e le rivolse lo sguardo, la sirena scrollò la testa e bisbigliò: «se non mi dai al mio vero amore, tu non avrai il tuo.»

«Senta un po'», Giovanni fece il vocione davanti all'uomo, «ora si riprende questo sacco, glielo lascio qui, lo tratti bene. Non chiedo indietro neanche una moneta.»

«Ah no. Se proprio me lo vuoi dare mi devi pagare.»

«Come? È assurdo!»

«Ciò che è assurdo è che tu sia disposto a pagare per ridarmelo.»

Giovanni se ne andò digrignando i denti, tornò in dieci minuti col sacchetto e tutto ciò che aveva trovato nel suo salvadanaio. Appese il sacchetto alla mano dell'uomo e gettò i soldi in una delle sue scatole. «Non dica nulla» ordinò con un dito sulla bocca. Quindi si allontanò da lui.

Mentre Giovanni andava via, con un'aspettativa frizzante per tutti i suoi desideri, l'uomo aprì il sacchetto, guardò la sirena con un sorriso.

«Era pieno di soldi quel ragazzino.»

La sirena gli strizzò l'occhio e ghignò: «Era.»

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